E’ o non è un luogo da scialpinismo?

E’ o non è un luogo da scialpinismo?

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(3)

In località Pila (gruppo del Monte Emilius, Valle d’Aosta), il 7 aprile 2018 una grande valanga si stacca dal col Chamolé 2641 m uccidendo due scialpinisti.

Altri due sono estratti vivi e sono trasportati all’ospedale Parini di Aosta in ipotermia. Facevano tutti parte di un gruppo di sciatori impegnati in una gita di scialpinismo. Il tutto si svolge a davvero poca distanza dal comprensorio sciistico di Pila, che è proprio sopra ad Aosta.

Testimoni presenti sul posto riferiscono ai soccorritori di aver visto «diverse persone» travolte dalla valanga che, da sotto la Testa Nera 2819 m, si è staccata con un largo fronte, stimato a 250 m.

Le operazioni di ricerca sono subito condotte dal soccorso alpino valdostano. Le ricerche di eventuali dispersi si concentrano anche nel lago Chamolé 2311 m, a poca distanza da dove è caduta la slavina. Si teme che qualche scialpinista travolto possa essere stato sbalzato nell’acqua. Sul posto sono per questo elitrasportati i sommozzatori dei vigili del fuoco di Torino.

Con sollecitudine il pm Eugenia Menichetti effettua un sopralluogo a bordo dell’elicottero della Guardia di Finanza nella zona in cui è caduta la valanga:  

“Stiamo facendo tutti gli accertamenti per vedere se ci sono delle responsabilità: il fronte che si è staccato è davvero impressionante”, ha spiegato il magistrato. Nel pomeriggio la polizia ha sentito alcuni testimoni che hanno assistito alla tragedia.

Si apprende che le vittime stavano partecipando a un corso di scialpinismo e subito girano voci (anche autorevoli) che fossero “su un itinerario pericoloso” e che “non avrebbero dovuto passare di lì”.

Dei cinque travolti, i due non sopravvissuti sono Carlo Dall’Osso, 52 anni, di Imola e Roberto Bucci, 28, di Faenza. Sono le 11.10 quando la valanga si stacca dal versante nord-ovest del col Chamolè e raggiunge il pianoro del lago ancora ghiacciato, 300 m più in basso. Fin lì è trascinato il corpo di Dall’Osso: la massa nevosa sfonda la crosta di ghiaccio del lago e il corpo s’inabissa poco oltre la riva. I soccorsi ci mettono ore per trovarlo e recuperarlo. Un’operazione imponente: quattro elicotteri, tra protezione civile, Finanza e vigili del fuoco di Torino da dove è giunta la squadra sommozzatori. Quattro i cani impiegati per la ricerca in valanga. Il corpo di Dall’Osso è individuato con una sonda, poi con un sistema complesso di corde e di protezioni con assi è recuperato dopo che un sommozzatore riesce a legare il corpo, issato poi con un paranco: la sponda di neve e ghiaccio rischia di crollare.

L’altra vittima, Roberto Bucci, è sotto un metro di neve. Tentano invano di rianimarlo. Intanto uno dei due scialpinisti ricoverati in ospedale (il quinto è illeso) racconta: «La maggior parte di noi era già su al colle di Chamolè. Rivivo ogni cosa. Si è staccato dall’alto, no so il perché». Evidentemente neve umida, pesante che si è staccata fino al suolo, scavando nella terra. Quella che si definisce «valanga di fondo», tipica della primavera quando il sole surriscalda i versanti. «Eravamo in 19, con gli istruttori, venivamo dalla Romagna e siamo iscritti al corso di scialpinismo della scuola del Club alpino italiano «Pietramora», che comprende le sezioni di Cesena, Faenza, Forlì, Imola, Ravenna e RiminiCerto che ricordo. Ho tutto davanti ai miei occhi».

Un momento delle operazioni di soccorso

Il compagno di parlare non ha voglia: «Ho male un po’ dappertutto, ma soprattutto qui». Mostra il petto. La morte, la paura.

Divisi a gruppetti, ciascuno dei sette istruttori aveva due o tre allievi. Partiti tra le 8.30 e le 9, avevano raggiunto e oltrepassato il lago Chamolè, poi risalito il ripido pendio che porta ai 2641 m del col Chamolè. La loro meta era il rifugio di Arbòle, nel vallone che sale alle spalle dei due monti gemelli di Aosta, Emilius e Becca di Nona.

«Itinerario sbagliato, non è luogo da scialpinismo, soprattutto con quelle condizioni di neve. Ma che cosa ci facevano lì?», dice la guida Fulvio Gastaldo appena sceso dall’elicottero dopo aver finito il lungo soccorso al lago Chamolè. Aggiunge: «Non è un itinerario da sci alpinismo, non capisco».

In effetti gli accumuli di neve sono abnormi per la stagione e le alte temperature di questi giorni hanno facilitato il crollo. Nella notte le temperature sono rimaste al di sopra dello zero… I giornali riferiscono che il pericolo di distacco valanghe era «3» marcato sull’intera Valle d’Aosta.

Consultando il bollettino valanghe del 7 aprile 2018 si hanno informazioni ben più precise: «Il grado di pericolo valanghe è in aumento nelle ore più calde: 2-moderato in rialzo a 3-marcato nei settori centrali e occidentali della valle, 1-debole in aumento a 2-moderato nel settore orientale dove le ultime nevicate e i venti da nord-ovest sono stati meno intensi. I problemi valanghivi sono: neve bagnata e neve ventata.
Attività valanghiva spontanea: in aumento nelle ore più calde della giornata.
valanghe di neve umida anche di fondo che, a causa dell’altezza del manto nevoso superiore alla media stagionale, raggiungono le medie dimensioni e in singoli casi grandi dimensioni, in particolare dai pendii ripidi, alle esposizioni più soleggiate al di sotto dei 2500-2700 m;
scaricamenti e lastroni superficiali piccoli o medi, dai pendii molto ripidi, principalmente nei canali abituali e dalle barre rocciose, oltre 2300-2500 m, soprattutto nelle zone più interessate dalle ultime nevicate.
Distacco provocato:
– nei settori di confine con Francia e zone G.S.Bernardo-Valpelline
lastroni con spessori fino a 70 cm alle esposizioni orientali e sud-orientali oltre i 2300-2500 m, maggiormente localizzati in corrispondenza dei cambi di pendenza e in prossimità delle creste, sono generalmente soffici. Durante le ore più calde uno sciatore può provocarne il distacco;
strati deboli inglobati presenti nella parte superiore del manto o dove questo risulta più sottile, generalmente al di sotto delle croste che sono ancora un punto fragile di scivolamento/rottura, in particolare alle esposizioni settentrionali oltre i 2300 m;
numerose cornici presenti a tutte le esposizioni in particolare sotto ai 3000-3200 m di quota, attenzione sia al sovraccarico per il passaggio dello sciatore, sia al transito nelle zone sottostanti per possibili crolli nelle ore più calde della giornata.
E’ buona regola terminare le escursioni entro la mattinata».

L’interpretazione di questo bollettino sarà di certo essenziale nell’accertamento di eventuali responsabilità della direzione del Corso, perché si discuterà parecchio se la sezione occidentale del gruppo del Monte Emilius faccia parte del settore centrale o del settore orientale della Valle d’Aosta

La gita del corso prevedeva di passare la notte al rifugio Arbòle, poi un’altra gita per la domenica, quindi il rientro.

Uno del gruppo di scialpinisti romagnoli viene evacuato

Una tragedia con due morti è cosa nella quale i giornali sanno rimescolare assai bene. La Stampa riporta i tentativi dei giornalisti di parlare con i sopravvissuti: «”No, guardi, lasci stare. E poi ci sono i nostri istruttori”. Si mette le mani sul volto il giovane che scende le lunghe scale in pietra del Centro traumatologico di Pila. Fa parte dei diciannove sciatori che salivano al colle di Chamolé. Sono arrivati dal disastro bianco con l’elicottero. Sono sotto choc. Tra loro alcuni cercano la solitudine, vanno verso la piazzola dell’elicottero, a sedersi su un muretto. I pulmini bianchi della società delle funivie Pila fanno la spola tra il Centro traumatologico e l’Ufficio gare», al piano strada della stazione della funivia che arriva da Aosta. Fra il Centro e l’ufficio non c’è neanche un chilometro di asfalto. Con loro agenti della polizia e carabinieri. “Siamo di Imola e anche di altre città”, dice una signora bruna con il volto incassato nelle spalle. Il racconto sarà per altri momenti. Non viene scelto da nessuno come sfogo. E c’è chi chiama casa o qualche amico. Il pianto subito frenato interrompe la voce di uno di loro che si siede nel pulmino parlando a bassa voce al telefono: “No, sto bene, non mi sono fatto niente, ma altri… Sì, una grande valanga”. Gli elicotteri continuano a fare la spola tra il lago di Chamolé e Pila, oppure scendono subito ad Aosta. Ci sono quelli della protezione civile e del soccorso alpino, della Finanza, dei vigili del Fuoco di Torino che trasportano nella neve a grumi della valanga la squadra sommozzatori. I superstiti fanno fatica anche a parlare fra loro. All’Ufficio gare delle funivie di Pila arrivano anche due psicologi dell’Usl. La gestione delle emozioni, del dolore è importante. Chi esce dall’Ufficio gare per prendere un po’ di sole, fumare una sigaretta, guardare il cielo o fare una telefonata, confida: “Gli istruttori sono sotto choc. Lasciate perdere, capite il momento”. È il suo modo per dire ai cronisti che non è il momento. Le loro dichiarazioni le hanno già fatte a polizia e carabinieri. Uno di loro, giacca verde, nello stretto portico del posto di polizia non distante dalla scuola di sci, dice: “Sì, eravamo sulla neve”. Pare un’ovvietà, anzi una frase che ha dell’assurdo. In realtà tradisce lo stress, la paura impressa nella memoria di quell’enorme massa di neve che viene dall’alto e ha travolto i compagni».

Allorché il Soccorso alpino della guardia di finanza di Entrèves consegna la relazione alla procura di Aosta, questa apre un’inchiesta per disastro e omicidio plurimo colposi.

Il recupero della salma di Carlo Dall’Osso

Sono sei gli indagati, il responsabile del corso e cinque istruttori. Si tratta del direttore Vittorio Lega, 51 anni, e degli istruttori Leopoldo Grilli, 44 anni, Alberto Assirelli, 50 anni, Paola Marabini, 56 anni, oltre ai due sopravvissuti travolti dalla slavina, Giacomo Lippera, 45 anni, di Rimini, e Matteo Manuelli, 43 anni, di Imola, istruttori sezionali del CAI. Uno di loro è stato salvato in extremis dai soccorritori, che lo hanno rianimato. Gli è stato notificato l’avviso di garanzia in ospedale.

In base alla ricostruzione del Soccorso alpino della guardia di finanza di Entrèves, guidato dal maresciallo Delfino Viglione e intervenuto sul posto con il Soccorso alpino valdostano, tutti erano attrezzati con Artva, pala e sonda e Dall’Osso aveva inoltre lo zaino airbag che in determinate condizioni consente di galleggiare su una slavina: tuttavia, pur essendo riuscito ad attivarlo, la neve molto umida, quindi pesante, non ha dato scampo e lo ha ugualmente sommerso nel lago. Il corpo di Dall’Osso è stato individuato in acqua proprio dall’Artva.

La massa di neve si è probabilmente staccata dopo il passaggio degli sciatori che erano a monte. La valanga aveva un fronte di 200-250 metri e uno sviluppo di 600.

«Mancano ancora alcuni dettagli, per esempio sulla distribuzione dei 21 scialpinisti lungo il pendio – dichiara la magistrata Eugenia Menichetti – Abbiamo però appurato che il percorso da loro scelto (dal lago di Chamolé al rifugio Arbòle) era poco seguito». Per la pericolosità? «E’ un pendio di elevata pendenza. La pericolosità dipende anche dalle condizioni della neve. Sono in corso accertamenti, verranno fatte analisi del manto».

Il pendio a nord-ovest del col Chamolè con a destra la Testa Nera

Dalla relazione del SAGF consegnata in procura è emerso che il gruppo era composto da 21 persone in tutto, non 19 come si era appreso in un primo momento. Tra di loro anche due snowboarder, che procedevano in salita con le ciaspole, tra i quali una delle due vittime, Bucci.

Il primo gruppo di 14 persone, muovendosi da sinistra a destra, ormai quasi al colle, ha provocato la valanga che, nella sua corsa, ha travolto le rimanenti sette persone. Oltre ai due feriti e ai due morti, anche altre due o tre persone sono stati coinvolte parzialmente dal distacco nevoso.

Operazioni di soccorso sulla valanga che si è scaricata nel lago Chamolè

Le tracce degli sci devono aver provocato un distacco in due tempi molto ravvicinati. La linea di frattura dello strato più superficiale del manto nevoso ha inseguito la geometria del versante della montagna per 250 metri. Il ripido pendio ha subito un collasso. Il peso e il percorso trasversale devono aver sollecitato strati di neve già in movimento per temperature in forte rialzo, per l’umidità della neve e per le ultime nevicate.

La chiamata di aiuto ha raggiunto la stazione unica di emergenza alle 10.48. In dieci minuti il primo elicottero era già sulla valanga. I due sepolti sono riusciti a mantenere quel poco d’aria necessaria alla sopravvivenza grazie a una sorta di nicchia che si creata proprio per il tipo di neve: l’umidità la rende pesante ma contribuisce a renderla compatta e a formare vuoti d’aria.

Roberto Bucci

Gli uomini del Soccorso alpino della Finanza di Entrèves procedono con l’inchiesta. Non soltanto con le testimonianze, ma anche con le analisi dello stesso manto nevoso. I ventuno scialpinisti hanno seguito la parte di sinistra del pendio, dove con la bella stagione riemergerà il sentiero che a stretti tornanti sale fino al colle Chamolé. «Itinerario inusuale», dicono gli esperti. In realtà, è difficile trovarne uno meno pericoloso o complicato per raggiungere d’inverno e in condizioni di innevamento anomalo, come quelle di questa stagione. L’itinerario usuale per raggiungere il rifugio Arbòle passa per il colle di Plan Fenêtre 2221 m e per il vallone del Comboé.

Alla custode dell’Arbòle, Valentina Liguori, che aveva appositamente per quel gruppo aperto il rifugio, è stato chiesto qual è l’itinerario primaverile che normalmente si segue per arrivarvi. «Noi seguiamo il vallone di Comboé, poi arrivati in fondo saliamo lungo il corso del torrente, sulla destra, è il percorso più agevole. Certo occorre prestare molta attenzione e che i ripiani al di sopra siano già scaricati. Per lo scorso fine settimana avevamo raggiunto il rifugio in elicottero perché io sono infortunata. Dovevamo anche trasportare cibo proprio per gli ospiti».

Un particolare non va sottovalutato: tra le più note e storiche monografie scialpinistiche solo quella di Mario Grilli, Dal Moncenisio al Monte Rosa, 666 itinerari scialpinistici (Ed. Grafica LG, Torino, 1988) riporta quell’itinerario (n° 223  pag. 86, cartina 15, presentazione di Roberto Arruga. L’itinerario termina con ” necessita di innevamento sicuro su tutto il percorso”). Lo stesso percorso è descritto in Alp n. 260, dic-gen 2010, pag. 57, come pure in Orizzonti bianchi, itinerari scelti di scialpinismo in Valle d’Aosta, vol. 1, di Alessandro Mezzavilla e David Pellissier. Alp riporta che l’itinerario “impone ottime condizioni di sicurezza”, mentre Mezzavilla-Pellissier avvertono di possibili distacchi nevosi su ambo i versanti del col Chamolè. In più se ne vede descrizione anche su internet (on-ice.it, gulliver.it e montagneinvalledaosta.com).

Ma i 21 scialpinisti hanno cambiato programma. È possibile che avendo rinunciato alla salita sulla Becca di Nona abbiano deciso di fare l’itinerario del colle di Chamolé, dal lago in su. Hanno trovato condizioni di grande innevamento e con temperature al di sopra dello zero. Una volta raggiunto il colle avrebbero poi dovuto oltrepassare la cresta e affrontare una traversata molto pericolosa. Se ne intravede una parte proprio nella fotografia scattata dalla Finanza dall’elicottero e pubblicata qui sotto.

Da quella sorta di orecchia creata dal distacco della valanga avrebbero dovuto proseguire in alto, poi scendere nell’estrema parte sinistra che si vede nell’immagine. Quel versante da attraversare è rivolto a est e, alle 11, il sole l’aveva già riscaldato almeno da tre ore. Ma proprio il riscaldamento aveva già provocato disequilibrio sul crinale, dove il passaggio degli scialpinisti ha provocato il distacco.

È la prima volta che a distanza di due giorni da una sciagura in montagna vengono aperti fascicoli di indagine con ipotesi di reato a carico di persone, perché di solito l’inizio indagine è caratterizzato da un fascicolo generico. Ma qui si parla di un corso di scialpinismo, con responsabilità degli istruttori che alla magistratura sembrano evidenti.

La richiesta di incidente probatorio è stata avanzata dal pubblico ministero Eugenia Menichetti, che coordina le indagini. Il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Colazingari ha affidato alla guida alpina di Gressoney Paolo Comune l’incarico per una perizia volta a chiarire le dinamiche della valanga. Il perito ha avuto dal 3 settembre al 3 novembre 2018 per vagliare le cause che hanno portato al distacco e la condotta degli indagati. La perizia approfondirà, fra le altre cose, gli aspetti già trattati nella relazione tecnica del soccorso alpino della guardia di finanza (il tipo di valanga, il punto di distacco e gli elementi oggettivi e soggettivi che sono intervenuto nella tragedia) consegnata il 2 maggio 2018. Il consulente tecnico dovrà determinare «se l’evento si è verificato esclusivamente per cause naturali ovvero se nel determinismo causale dello stesso siano intervenuti fattori umani, con particolare riferimento alla condotta degli indagati e alla presenza del gruppo dagli stessi condotto, relazionando le indicate circostanze allo standard diligenziale richiesto dalla migliore scienza ed esperienza in materia». Gli indagati erano stati interrogati dal pubblico ministero il 17 maggio 2018.

Carlo Dall’Osso

Dalla relazione di Paolo Comune, in sintesi, emergono per i sei indagati profili di responsabilità, per quel che riguarda la scelta del percorso, per l’orario di partenza e per il numero di partecipanti all’escursione.

E’ del 13 giugno 2019 la notizia che sono stati rinviati a giudizio per i reati di disastro e omicidio colposo (non più plurimo) i sei istruttori del CAI.

Questa derubricazione è stata necessaria, considerato che anche il Dall’Osso è presunto colpevole assieme agli altri istruttori: e dunque, per logica, la vittima incolpevole è solo una, il Bucci.

Secondo il PM, l’attraversamento del colle fu “commesso con negligenza, imprudenza e imperizia” a causa “della presenza di pendii esposti al rischio valanghe“.

La notizia del rinvio a giudizio è stata commentata da Vincenzo Torti, presidente generale del CAI, nonché avvocato: “Preso atto della richiesta di rinvio a giudizio presentata dal PM di Aosta, dott.ssa Eugenia Menichetti, nei confronti dell’istruttore CAI che coordinava l’uscita sul Colle di Chamolè, vicino a Pila, durante la quale una valanga ha travolto il gruppo di scialpinisti provocando due vittime, nonché, “a strascico”, anche nei confronti di altri che, con ruoli diversi e nettamente differenziati, vi prendevano parte, il Club Alpino Italiano non può che auspicare che, nel perdurante rispetto per le incolpevoli vittime, già dall’imminente udienza preliminare, questa drammatica vicenda possa essere correttamente inquadrata sia nella peculiarità del contesto ambientale venutosi a creare, sia con riferimento all’effettivo ruolo dei singoli partecipanti, in una mai preconcetta ricerca della verità”.

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E’ o non è un luogo da scialpinismo? ultima modifica: 2019-06-14T05:06:00+02:00 da GognaBlog

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22 pensieri su “E’ o non è un luogo da scialpinismo?”

  1. E’ di oggi la notizia che il giudice Marco Tornatore ha condannato a un anno e sei mesi di reclusione i sei istruttori del Cai di Faenza accusati di disastro e omicidio colposi nel processo sulla morte di due scialpinisti travolti e uccisi da una valanga sul colle di Chamolé a Pila.
    A processo erano finiti: Vittorio Lega, 50 anni di Imola; Leopoldo Grilli, 46 anni di Imola; Alberto Assirelli, 52 anni di Ravenna; Paola Marabini, 58 anni di Faenza; Giacomo Lippera 48 anni di Chiaravalle e Matteo Manuelli 45 anni di Imola. L’accusa, rappresentata dal pm Luca Ceccanti, aveva chiesto una condanna a un anno e nove mesi di reclusione.
    I fatti risalgono al 7 aprile 2018, quando una valanga si era staccata in corrispondenza di una placca a vento e aveva travolto un gruppo di 21 scialpinisti, uccidendo Roberto Bucci, 28 anni di Faenza e Carlo Dall’Osso, 52 anni istruttore Cai di Imola. Al termine delle indagini, svolte dai militari del Soccorso alpino della Guardia di finanza di Entrèves, la procura aveva ritenuto che l’attraversamento del colle era stato fatto con «negligenza, imprudenza e imperizia» a causa della presenza di pendii esposti al rischio valanghe. Erano così stati rinviati a giudizio i sei istruttori, che avevano organizzato l’uscita sulla neve.
  2. Vorrei informare che a metà maggio si aprirà il processo penale per gli istruttori della scuola coinvolti. Spero che gli atti del processo ( perizie etc) siano in qualche modo consultabili.

  3. Gli argomenti sia di Cominetti che di Pellegrini sono di totale buon senso e  condivisibili.
    Tuttavia il mondo in cui ci muoviamo è questo e pertanto occorre essere pragmatici; se succede un incidente in montagna la perizia viene affidata ad una Guida, la quale ha completa discrezionalità di giudizio, come è giusto che sia.
    Volevo solo capire, leggendo la perizia, come poi il PM sia arrivato a pensare a “imperizia, imprudenza etc etc.” Attenzione non sto dicendo nulla ne pro ne contro vorrei solo capire e fare tesoro, poichè quando mi capiterà di accompagnare allievi dei corsi vorrei esserne consapevole
    dinomarini

  4. Pellegrini, sono d’accordo su quanto scrivi ma la pratica purtroppo si discosta sempre dalla teoria. Non condanno l’esistenza delle élites e delle masse perché è un tema troppo grande per me, ma baso le mie affermazioni sulla pratica. Concordo pienamente sul l’inutile presenza dei tribunali laddove anni fà si parlava di fatalità ma: o facciamo la rivoluzione o ci abbassiamo a una mesta convivenza. Sigh.
    Io non me la prendo col CAI i cui istruttori sono convinto essere in totale buona fede, ma mi meraviglia la leggerezza nell’affrontare in generale la neve, infusa da un sistema che vuole omologare anche l’assunzione di rischi enormi. I bollettini, per chi non vive in montagna dove farà la gita, sono utili e vanno consultati, ma non sono delle certezze. Sono un piccolo aiuto per comprendere maggiormente un problema assai complesso condizionato anche da orgoglio e consumismo.

  5. Questo mio solo per ricordare:- che i bollettini nivologici sono bollettini di pericolo, e non di rischio- che i bollettini nivologici sono bollettini a scala regionale, non locale; questo significa che i pendii singoli non sono contemplati, e devono, i singoli pendii, necessariamente essere valutati di volta in volta, di caso in caso, di giorno in giorno, di ora in ora- che i bollettini nivologici sono bollettini previsionali, non sono certificazioni, né bollettini di osservazione- che la scala di pericolo in essi descritta è una scala accolta e condivisa in Europa; voglio pensare che la competenza abbia prodotto l’attuale classificazione, pur negli ovvi compromessi e data soprattutto la difficoltà della materia in oggetto
    Suggerisco la lettura attenta di:
    https://www.slf.ch/it/bollettino-valanghe-e-situazione-nivologica/info-bollettino-valanghe/gradi-di-pericolo.html
    allegati annessi. In genere prima di dire che qualcosa mi sembra sbagliata in un campo che non è il mio di professione, cerco di capire cosa e perché ha portato a tale scelta, in senso lato.Inoltre, per chi la neve non ce l’ha in giardino, e che parte da Genova per andare ad avventurarsi sulle Alpi Cozie e di mestiere non fa la guida, e non è un alpinista professionista, leggere “io i bollettini non li leggo quasi mai” a mio avviso non è cosa da buon esempio. Leggere un bollettino non significa affatto togliere un problema di torno e rendere “sicura” la montagna; leggere un bollettino significa invece essere “dentro” il problema, ed affrontare con uno spunto di riflessione qualsiasi itinerario. A patto che si sappia come è fatto un bollettino, da chi, cosa c’è scritto, e come leggerlo, cosa che, ad oggi, non è per nulla scontato, anzi. Se il PM di Aosta scrive testualmente “fu commesso con negligenza, imprudenza e imperizia a causa della presenza di pendii esposti al rischio valanghe” confonde anch’essa il concetto di pericolo con quello di rischio, visto che tutti i pendii sono esposti al pericolo valanghe, tutti, ed il rischio c’è quando qualcuno si espone a tale pericolo, e non è la stessa cosa, anzi. Tutte le energie spese in tal senso dalla comunità scientifica e scialpinistica sino ad ora non sono state usate per rendere sicura la montagna, ma per rendere più sicuro il nostro incedere, a partire dal Munter, passando per i bollettini, e finendo sulla dotazione personale; se poi tutto ciò è percepito come feticcio bene-augurante sdoganato il quale la montagna è sicura, è un enorme fraintendimento a cui non solo non si deve prestare il fianco, ma che deve essere combattuto il più possibile: la montagna resta un luogo inospitale e pericoloso, sempre. Se non si comprende la differenza tra soggetto ed oggetto, il piano di discussione è compromesso. Se invece lo si fraintende volutamente, si è in malafede.(colgo l’occasione per fugare i dubbi su cosa sia il settore centrale normato nel bollettino nivologico della valle d’Aosta, come del resto si evince qui: http://appweb.regione.vda.it/DBWeb/bollnivometeo/bollnivometeo.nsf/LegendaMappaPericolo.jpgil monte Emilius e la conca di Pila stanno nel settore centrale della valle d’Aosta, e c’è poco in tal senso da discutere)Mi tocca insistere: invece che ripetere le solite cose, ormai ahimè trite e ritrite, occorrerebbe spendersi allo sfinimento per spiegare, far conoscere e divulgare; alle masse non interessano i brontolii, specie quelli d’elite, che servono solo ad aumentare le distanze; le masse, per essere demassificate, devono essere acculturate, e per far questo il brontolio serve a nulla, esattamente come non serve a nulla ripetere che non esistono più le stagioni.Quanto all’intrinseca pericolosità della montagna invernale con gli sci, e dunque, all’altissimo rischio esposto ad ogni gita, è cosa lapalissiana; non vi è necessità di essere d’accordo, ma solo necessità di prenderne atto. Senza conoscere Cominetti, il 90% delle guide alpine che conosco, se possono evitano lo scialpinismo; io non sono per fortuna una guida, e lo scialpinismo lo faccio con grande parsimonia, e brindando alla buona sorte alla fine di ogni gita.Sarebbe invece un ottimo spunto di riflessione, l’articolo, per parlare profusamente dell’ingerenza della giustizia nei confronti della vita privata di ciascuno, e della debolezza del pensiero dell’occidente, che ad ogni piè sospinto sostituisce la responsabilità personale con la responsabilità comune, ed introduce risvolti penali che francamente non hanno senso. Sarebbe un ottimo spunto per parlare della deresponsabilizzazione coatta in atto, che è l’inferno a cui stiamo andando incontro, a grandi passi. Pertanto mi chiedo perché si punti sovente il dito verso il CAI, che invece in più di una occasione ha promosso e promuove eventi formativi di sensibilizzazione verso una più guardinga e rispettosa frequentazione della montagna, invece che chiosare su una giustizia sommaria, ignorante e spesso legata a dinamiche di ruolo e casta. A questi eventi formativi io ho avuto modo di partecipare, attivamente, organizzati da persone coscienziose e che hanno passato i periodi migliori della loro vita non ad inanellare prime assolute in montagna, ma a divulgare concetti di sicurezza personale che non rendono la montagna “sicura”, ma rendono il nostro incedere più sicuro, dato per scontato il fatto che, come detto, il pericolo della montagna innevata è mostruoso ed il rischio esposto, se analizzato con sguardo asettico, troppo elevato per essere accettato razionalmente, ma personalmente, ovvero a responsabilità propria, sì.Quindi secondo me, tornando dunque al tema proposto dall’articolo, quel luogo, come tutti i luoghi alpini, è certamente a libero arbitrio un luogo da scialpinismo; l’assunzione della propria responsabilità fa il resto, assieme alla preparazione fisica, morale e tecnica; le questioni penali da quei luoghi dovrebbero essere bandite ab origine, data la completa e necessaria assunzione da parte di ogni singolo della propria responsabilità ed alla presa di coscienza che quei luoghi sono intrinsecamente pericolosi.

  6. Fare della dietrologia è pura speculazione se non si tiene conto di elementi oggettivi e misurabili che putroppo non si possono rilevare nella loro interezza senza andare sul posto

  7. Dino, lungi da me il polemizzare su guide e istruttori. La perizia potrà essere un autorevole parere sicuramente utile a capire maggiormente tutta la vicenda, ma i fatti mi sembrano già ricchi di elementi importanti già cosi descritti, e su quelli si basavano i miei commenti. 

  8. Non era mia intenzione avviare la solita diatriba Guide/Istruttori per me assolutamente poco costruttiva.
    Era mia intenzione approfondire tecnicamente l’incidente ( in maniera non preconcetta) essendo consapevole che solo l’approfondimento genera esperienza.
    DinoMarini
     

  9. Certo, intendevo Temerle e non Tenerle.
    Ci sarebbe da chiedersi: quegli istruttori erano abbastanza fifoni? Detto così suona male ma il montanaro È fifone per natura perché conosce la montagna e i suoi pericoli. Quindi in tal caso competenza significa aver paura (temere) chi è troppo forte per essere controllato da noi umani. Se vado con le pelli nel Berner Oberland ci vado a primavera inoltrata perché posso prevedere cosa farà la neve con un margine di sicurezza per me accettabile. Non ci andrei in inverno, come non ci vado neppure vicino a casa su certi itinerari che è meglio affrontare in primavera. Quando ero un giovane aspirante guida un vecchio istruttore dell’Ensa di Chamonix mi disse che lo scialpinismo uccide le guide. Non l’ho mai dimenticato perché ho capito dalle prime gite con i clienti quanta ragione avesse. E le guide che vivono in montagna, sulla neve ci stanno ogni giorno! Figuriamoci un dilettante (con tutte le patacche che volete) che arriva sulla neve lo stesso giorno in cui inizia la gita?! Per me è pazzo da legare, bollettini, artva, pala e sonda e airbag, che si voglia dire e portare con sé. La responsabilità verso gli altri è affare maledettamente serio, purtroppo.

  10. sarò un caso,ho capito quanto scritto da M. Cominetto e lo condivido in pieno. Il piccolo errore di battitura: per salvarsi occorre TEMERLE, non tenerle sono troppo sfuggevoli.

  11. Come già più volte detto, sull’argomento “pericolosità sci alpinismo” concordo al 100% con Cominetti. Anche sui bollettini concordo; tra l’altro a mio parere la scala è troppo compressa soprattutto tra 1 e 3 che sono le situazioni più frequenti.
    Invece non concordo al 100% con Panzeri perché tra tutti i “portatori di patacca” Guide e Istruttori ( non tutti ovviamente) sono forse fra gli unici che cercano di inculcare il concetto di pericolosità e prudenza.
    Infatti sono molto curioso di leggere la Perizia e le motivazioni a supporto, poiché gli elementi riportati dalla stampa sono troppo succinti ed è difficile farsene un’idea.
    Il concetto di azzardo è ovviamente soggettivo tuttavia alcuni elementi sono oggettivi e non vorrei averli capiti male.
    – ora di partenza ( ora dell’incidente ca. 10,30 ora legale=9,30 ora solare)
    -numero partecipanti 20. Due allievi per istruttore.
    -bollettino da 1 a 2 dato l’orario; penso che i previsori conoscessero le temperature e la loro evoluzione.
    Sull’itinerario non so.
    DinoMarini

  12. Cominetti penso che la maggioranza della gente non capisca quello che dici e sì che lo dici molto bene !Maledetta sicurezza del cai & c.

  13. Io credo nella buona fede delle persone e quindi penso che gli istruttori fossero sicuri di quello che facevano. Lo scialpinismo è l’attività più pericolosa tra quelle fattibili in montagna proprio a causa dell’imprevedibilità dei distacchi nevosi. Ho conosciuto diversi esperti in valanghe che ci sono crepati sotto perché per studiarle andavano proprio lì… E ho anche notato che una grande conoscenza del fenomeno porta a un eccesso di sicurezza che sulla neve non esiste. Sulla neve ho imparato di più spalandola che nelle decine di corsi che da guida alpina mi tocca fare periodicamente. Troppo irrigidimento teorico, secondo me. Per salvarsi occorre tenerle semplicemente perché uccidono indipendente dalla patacca che porti sul petto. Anzi, più patacche hai e più il rischio è alto. Quando dalla Spagna al telefono certi clienti mi chiedono se il posto dove andremo è pericoloso per le valanghe rispondo sempre di si. Alcuni rinunciano, io non lavoro ma non devo dare troppe spiegazioni, che per me è più faticoso che fare la gita. Lo scialpinismo non credo abbia luoghi possibili e non possibili ma semplicemente condizioni favorevoli oppure no. Io vivo sulla neve e non consulto quasi mai i bollettini perché ne seguo la trasformazione giornalmente. Decido quale gita fare la mattina prima di partire e penso che ogni programma fatto in anticipo debba essere SEMPRE suscettibile di modifiche. Questo lo devono imparare anche gli allievi di ogni tipo di corso, perché salva la vita. Un rifugio prenotato, spese affrontate, gruppo numeroso che infonde un falso senso di sicurezza, non devono essere vincoli e comunque si deve sapere che il rischio zero non esiste! Competenza può anche essere codardia. Se anche ci si dovesse vergognare è perché non si è morti. E comunque il discordo sarebbe ancora lungo.

  14. Sarebbe davvero interessante ed utile poter leggere la perizia della Guida Paolo Comune.Non conosco i luoghi dove è successo ma mi piacerebbe capire meglio i ragionamenti svolti dal perito.
    Spero che qualcuno che ha accesso agli atti o il curatore del blog possa proporceli.
    Dino Marini

  15. Alberto, son d’accordo, è sbagliato, ma così è quasi dappertutto : viva il cai & c. !

  16. Con questo voglio difendere anche i “rifugisti”: per loro è meglio se sono albergatori senza nessuna competenza, così non hanno responsabilità.

    Questo Paolo, secondo me è sbagliato. Perchè un rifugista per essere tale dovrebbe avere delle competenze.
     

  17. Ormai sono dell’idea che è meglio tacere quando si ha a che fare con persone che praticano le attività di massa e in massa, se non si accetta di essere aspramente criticati e tacciati di arroganza o boria.
    Con questo voglio difendere anche i “rifugisti”: per loro è meglio se sono albergatori senza nessuna competenza, così non hanno responsabilità.
    Impossibile che le masse capiscano il rischio dell’andar per monti; si sentono certificati e istruiti e pensano così di sapere le “cose”: viva il cai & c. coi loro media ! 
    Penso che solo la selezione naturale possa fare qualcosa.
    Nel mondo massificato l’intelligenza viene tarpata e la competenza insieme alla capacità danno solo responsabilità.
    Le masse generano profitti, i morti e i feriti diventano eroi o santi e vanno protetti, difesi e coltivati a qualsiasi costo.
    Ma io son troppo vecchio per fare qualcosa, posso solo parlare al vento.

  18. Se i rifugisti non hanno avvisato del pericolo non è che fossero necessariamente incompetenti (???ognuno può avere la propria ipinione) , ma forse questo pericolo non era così evidente come attestato dal bollettino che dava appunto pericolo 2 . Dopo ovviamente il  senno del poi riempie le  bocche e placa gli animi impauriti di tutti

  19. ma i gestori dei rifugi, non questo in particolare, sono rifugisti o sempre più albergatori?

  20. ma i gestori del rifugio non potevano avvisare i richiedenti l’ospitalità delle condizioni pericolose esistenti al momento ?

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