Su stimolo del giornalista Vittorio Varale, durante il biennio 1930-31 Domenico Rudatis pubblicò nella rivista Lo Sport Fascista una fondamentale Storia dell’arrampicamento in nove puntate (nn. 3, 4, 5, 7, 8 e 12 del 1930 e nn. 2, 6, e 9 del 1931). Scritta da uno degli autori di letteratura di montagna più brillanti e affascinanti del Novecento, l’opera costituì il primo tentativo italiano di storia dell’alpinismo, per quanto limitato alle sole Alpi Orientali.
Qui le puntate finora uscite:
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Uno degli aspetti più importanti e affascinanti della Storia dell’arrampicamento(anche se oggi la cosa può facilmente sfuggire) è l’eccezionale qualità grafica dell’opera: taglio dell’impaginazione, scelta delle fotografie e disegni originali dell’autore. A questo riguardo è giusto ricordare alcune circostanze. Anzitutto la veste tipografica de Lo Sport Fascista: grande formato, illustrazioni di qualità. Insomma, una rivista abbastanza di lusso, per l’epoca. In secondo luogo il buon gusto e la cura certosina di Rudatis, fotografo, disegnatore, illustratore e arredatore di vaglia, che fu attentissimo a curare assieme a Vittorio Varale tutti gli aspetti non solo informativi e teorici ma anche formali della serie.
La prima puntata apparve nel marzo 1930 e costituì la prima collaborazione in assoluto di Rudatis con Lo Sport Fascista. In quella sede vennero definiti i principi fondamentali che guidano il giudizio sulla tecnica e sui valori morali e culturali dell’arrampicata. Pubblichiamo qui l’ottavo dei nove articoli
(Nota a cura di Luigi Piccioni).
Lettura: spessore-weight(4), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(2)
L’arrampicamento italiano d’anteguerra
(Storia dell’arrampicamento – 08) (08-09)
di Domenico Rudatis (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna)
(pubblicato su Lo Sport Fascista, giugno 1931)
Precisati i criteri generali dello sport d’arrampicamento, tracciata la progressione internazionale delle imprese culminanti ed esposta la situazione moderna nei vari centri internazionali, Domenico Rudatis ci presenta ora il necessario completamento del suo poderoso esame storico generale con la visione particolare, chiara e precisa, dello sviluppo dell’arrampicamento italiano di ante-guerra parimente considerando le guide e i senza guide e i loro rapporti e valori mantenendosi nel rigore assoluto dei fatti e dei controlli tecnici (a cura della redazione di Lo Sport fascista).
Attraverso l’intera progressione dell’arrampicamento internazionale, successivamente svolta nei nostri scritti, è venuto spesso ad emergere il valore italiano e talvolta così preminentemente da rappresentare addirittura determinate epoche. Tali gli sviluppi storici creati dalle conquiste di Tita Piaz e di Angelo Dibona.
Ma necessariamente, poiché nella nostra trattazione cogliemmo appena i passaggi da una culminazione all’altra, da una impresa emergente alla successiva e così di seguito, dell’attività arrampicatoria non apparve che la scala dei massimi risultati via via superantisi nelle diverse epoche, e, alla fine, la magnifica tensione e convergenza di sforzi per portarsi al limite del possibile con sempre maggior approssimazione.
Perciò, tutto un poderoso complesso di importanti arrampicate, spesso vicinissime a quelle più salienti del loro tempo e dovute a guide italiane, non poté neanche venir accennato. In un quadro dell’arrampicamento italiano invece, per quanto sintetico, dette scalate e gli uomini che le effettuarono non possono non essere ricordati. E parimenti, l’opera degli arrampicatori italiani senza guide contemporanei all’attività di Piaz e Dibona nella esposizione dei progressi internazionali non poté necessariamente trovare nessun posto, perché troppo al disotto di tale attività. Ora invece, esaminando lo sviluppo dell’arrampicamento italiano, dobbiamo presentare anche l’opera degli arrampicatori italiani non professionisti, considerare i risultati da loro ottenuti con guide, rilevare i loro successi quali senza guide, prendendo esatta coscienza dei valori e dell’effettivo distacco con l’attività e la capacità dei professionisti.
Nell’esporre adesso lo sviluppo particolare che l’arrampicamento ha avuto in Italia, dobbiamo logicamente cominciare del 1887. Da quando cioè il prodigioso adolescente atleta monachese Georg Winkler, con la sua conquista, scoprì e realizzò, si può dire, il principio di una nuova concezione alpinistica: il porre l’accento del valore dell’azione alpina essenzialmente sulla nuda e pura espressione dell’audacia e della potenza fisica e morale dell’individuo in se stesso, e quindi l’abbassare deliberatamente a fattori secondari l’organizzazione, i mezzi materiali, la altitudine delle vette, i vari interessi esplorativi e scientifici. Ché proprio nella decisa posizione di questo accento del valore, sta la peculiare nobiltà e spiritualità del moderno arrampicamento, e la sua stessa distinzione e superiorità rispetto all’alpinismo classico che tali fattori invece considera come principali.
La supremazia delle guide dolomitiche
Il periodo da Winkler a Piaz in Italia è caratterizzato dal pronto adeguarsi delle guide dolomitiche al livello delle più difficili imprese straniere, fino a prendere poi con Piaz la testa di tutto il movimento evolutivo in generale. Così, pochi anni dopo Winkler, vediamo già parecchie guide delle Dolomiti portarsi all’altezza dei migliori arrampicatori internazionali, sia con la ripetizione delle vie di maggior difficoltà, quasi subito dopo l’apertura di esse da parte dei primi salitori, sia con l’effettuazione di nuove e più ardue arrampicate. Né è questo un movimento particolare esistente solo in qualche centro più famoso come Cortina d’Ampezzo, ma un più rapido e più intenso ritmo di progresso evidente in tutta la regione dolomitica.
Il fatto che ciò fu opera delle guide, proprio allora che nei maggiori centri esteri dominava l’alpinismo senza guide, condotto da campioni di grandissimo valore tecnico e morale, dimostra che detto progresso fu quasi conseguenza naturale dell’essere le Dolomiti le montagne ideali dell’arrampicamento.
Michele Bettega, Bortolo Zagonel, Giuseppe Zecchini, Antonio Tavernaro delle Pale di S. Martino; gli Innerkofler di Sesto; i Bernard e i Rizzi regnanti nelle Valli di Fassa e di Gardena; i Siorpaes e i Dimai di Cortina d’Ampezzo, compongono principalmente la schiera dei grandi scalatori di detta epoca, tutti professionisti delle Dolomiti, ma anzitutto fedeli ed appassionati amanti della montagna.
Nessun arrampicatore italiano senza guide di allora si può mettere accanto a questa schiera, nessuno avendo effettuato delle scalate pari a quelle dei predetti arrampicatori professionisti. Costituirono questi una mirabile fioritura di capacità e di valori intimi, spontanei, della nostra razza. In quel tempo furono i giovani alpigiani che seppero immediatamente raccogliere da sé e per sé l’appello e l’esempio di Winkler, e con la propria audacia, con la propria supremazia di nervi e di muscoli dimostrare la tempra italiana e l’effettivo dominio delle nostre montagne quantunque allora non ancor tutte politicamente italiane.
In ciò l’alpinismo tradizionale italiano non figurò che rappresentativamente, poiché esso non portò che un contributo d’azione del tutto secondario rispetto alle prove di capacità e all’opera intrinseca delle nostre guide dolomitiche. Risultato limitatissimo in quanto reale attività di arrampicamento, in quanto scalate, anche se accompagnato da contributi di studio e di organizzazione assai ragguardevoli.
Ma se dobbiamo poi anche riconoscere che le migliori conquiste realizzate dalle nostre guide dolomitiche durante il suddetto periodo avvennero operando con alpinisti stranieri, non possiamo certo però lasciar apparire queste imprese come successi stranieri. Se figurarono sempre come tali, fu appunto perché l’alpinismo classico sovrappose sempre alla superiorità morale e fisica dell’audacia e del valore dei capicordata, l’inferiorità dei vari fattori secondari accennati.
Così la ricchezza dei mezzi economici diventò spesso una preponderante virtù alpinistica. Così il denaro tolse classicamente l’italianità a superbe imprese di capicordata italiani, come se l’oro potesse, oltre che costituire ben meritata ricompensa alla guida pel magnifico godimento procurato effettuando una scalata, anche togliere alla guisa stessa il merito effettivo di averla compiuta. Come se chi compra un quadro avesse il diritto di mettervi la propria firma!
Il rovesciamento di tali fondamentalmente errati criteri dell’alpinismo tradizionale è base del moderno sport dell’arrampicamento.
Se pertanto – constatato che da Winkler a Piaz, guide a parte, la tradizione in Italia non partecipò al progresso né direttamente con dei capicordata eminenti, né indirettamente con dei grandi collaboratori delle guide – si può affermare in modo categorico che all’aprirsi dell’arrampicamento moderno la tradizione alpinistica italiana restò subito tanto sorpassata da risultare quasi estranea ad esso; d’altra parte si constata nello stesso tempo tutto un complesso di stupendi trionfi di arrampicatori professionisti italiani. Trionfi la cui schietta italianità è ora rivendicata a fondo dallo sport dell’arrampicamento e splende attraverso le chiarificazioni e le precisazioni di questo.
Nella stessa dominante schiera dei più valenti arrampicatori professionisti italiani di tale periodo, due sovrastano tutti gli altri: Luigi Rizzi di Campitello in Val di Fassa, e Antonio Dimai di Cortina d’Ampezzo. Anzi possiamo dire che quasi tutte le più grandiose e difficili arrampicate italiane effettuate dopo l’apertura di Winkler e prima dell’avvento di Tita Piaz, sono dovute all’ardimento e alla capacità tecnica di Luigi Rizzi e di Antonio Dimai, la cui attività risalta altresì anche successivamente durante il primo decennio del nostro secolo.
E’ il Rizzi che porta il tedesco Emil Munk alla vittoria, nel 1897, sulla proterva parete ovest di Laurino nel Catinaccio; ed è ancora Rizzi che l’anno dopo guida i tedeschi Hans Seyffert ed Eugen Dittmann alla conquista della cresta ovest della Marmolada, asperrima scalata ora trasformata e resa facile con scale ferrate. E se queste arrampicate spiccano – come già precisammo altrove – addirittura nella progressione dei valori internazionali, e, a maggior ragione quindi in Italia, una ricchissima serie di trionfi, alcuni dei quali abbastanza prossimi ai predetti, incorona degnamente Antonio Dimai “re delle Dolomiti” nell’ultimo decennio del secolo scorso.
Le molte e celebri vie Phillimore e Raynor che attuarono i primi assalti alle più colossali pareti dolomitiche, dimostrando parimenti potenza e arditezza di concezioni, sono in realtà quasi tutte vie Dimai ovvero vie Rizzi, e quando non sono vie Dimai o Rizzi, sono vie Bettega, ma chi tenne la testa, chi osò, chi affrontò le difficoltà e le vinse fu sempre un italiano, cuore e muscoli di alpigiani, di gente della nostra più pura razza. Ai due inglesi spetta la soddisfazione di aver potuto seguire uomini di tanto ardire, ma non si può assolutamente andare molto più in là da ciò nell’obbiettivo riconoscimento del valore straniero in questo e in tanti altri casi, qualunque siano la fama ed i meriti già stabiliti dalla tradizione classica.
Così, riguardando di corsa i successi salienti riportati, prima della fine del secolo scorso, da Antonio Dimai, vediamo questi accompagnare nel 1891 la rinomata scalatrice olandese Jeanne Jmmink nella seconda ascensione alla Punta delle Cinque Dita per quel camino che l’anno precedente il viennese Robert Hans Schmitt aveva vinto impegnandosi con tutte le sue forze; e nel 1893 rivediamo Dimai conquistare la parete meridionale del superbo Cìmon della Pala guidando l’inglese Leon Treptow, e con lo stesso compiere la terza scalata della Torre Winkler, quattro anni dopo la seconda dovuta a Robert Hans Schmitt con Albert von Krafft. Col 1895 incomincia quella magnifica successione di vittorie attraverso la quale il Dimai condusse gli inglesi John Swinnerton Phillimore e Arthur Guy Sanders Raynor. Assieme alla guida Giovanni Siorpaes di Cortina d’Ampezzo venne affrontata la parete nord-ovest della Civetta, e vinta dopo 11 ore di lotta, con un itinerario che è del tutto indiretto, che perviene in cresta lontanissimo dalla vetta ma che costituisce tuttavia il primo trionfo riportato sulla titanica muraglia.
Ed ecco nell’anno seguente, 1896, Dimai effettuare le prime ripetizioni della scalata della Torre Delago guidando, con Sepp Innerkofler, J. Veitl e Robert Corry; e, con Luigi Rizzi, Phillimore e Raynor. Scalate poi seguite nel medesimo anno da quella del famoso Heinrich Pfannl assieme a Thomas Maischberger. Considerato che la Torre Delago – la più difficile delle tre famose Torri meridionali del Vajolet, conquistata, l’anno prima, dall’innsbruckese Hermann Delago – per il suo complesso di ininterrotte forti difficoltà valeva come la più alta misura delle prestazioni di arrampicamento raggiunta fino allora, risulta pertanto evidentissimamente lo stato di equivalente capacità nel quale si trovavano in quell’epoca le migliori guide dolomitiche ed i massimi arrampicatori internazionali senza guide. Però, un più particolareggiato esame lascia scorgere che dal 1896 detta parità si va trasformando in una posizione di prevalenza delle nostre guide.
Parimente nel 1896 Antonio Dimai e Luigi Rizzi fanno trionfare il binomio inglese Phillimore e Raynor colla conquista della parete sud della Pala di S. Martino e della parete est del Catinaccio. Ed è ancora Dimai che nel 1897 apre diverse vie nuove, tra cui una sulla Cima Grande di Lavaredo e altre sulle Tofane, cogli stessi inglesi; e poi nel 1898 sempre assieme a costoro e coadiuvato da altre valenti guide, vince indirettamente il Pelmo da nord e la Cima Una di Sesto, e supera il lato meridionale dell’Antelao, scalata questa, anche se proprio non tanto difficile, una delle più grandiose di tutte le Dolomiti.
Il predominio di Piaz e Dibona
La conquista della parete nord-est della Punta Emma nel Catinaccio, compiuta da Tita Piaz da solo nel 1900, segna il cominciamento di un nuovo periodo.
Essa, dopo il primo sorprendente balzo di Winkler, è il secondo grande passo innanzi dell’arrampicamento in generale, che Dibona nel 1910 e 1911 spinge ulteriormente avanti. Già ne parlammo diffusamente.
Tutto l’arrampicamento internazionale, dal 1900 al 1911, è dominato dunque dall’opera dei professionisti Piaz e Dibona. E se col 1912 la scuola di Monaco si porta alla pari e col 1913 passa in testa prendendo il primato dei valori internazionali, in campo italiano però Tita Piaz e Angelo Dibona mantengono la loro supremazia fino al 1928, fino cioè all’improvviso e formidabile risveglio dei giovani professionisti e non professionisti della successiva generazione.
In Italia Piaz e Dibona sovrastano nettissimamente la propria generazione, in maniera così netta che unicamente un piccolo gruppo di altre valentissime guide può venir sottoposto da presso a questi due sommi campioni, mentre i non professionisti italiani loro contemporanei restano da essi dominati così dall’alto che i confronti si riducono ai minimi termini.
Da quando Piaz ne effettuò la conquista, cioè dal 1900, la parete nord-est della Punta Emma non viene più ripetuta fino al 1906, ed è poi ancora Piaz e solo Piaz che riprende a scalarla. E la ripete ben quattro volte già in un primo anno.
Assieme a Bernard Trier egli traccia sul versante nord-est dello stupendamente ardito Campanile Toro, nel 1906, un impressionante itinerario. Supera con G. Christophe la parete sud-ovest della Torre Principale del Vajolet, proprio incombente verso l’attuale omonimo Rifugio. E nel 1908 riporta quella memorabile vittoria in terra straniera, che è la via Piaz alla seconda terrazza sulla parete ovest del Totenkirchl nel Kaisergebirge.
Negli anni successivi seguono tante altre vie nuove, specialmente nel gruppo del Catinaccio, tra cui la Torre Purtscheller, lo spigolo della Torre Delago, la parete nord della Torre Winkler, anteguerra, ed altre ancora nel dopoguerra; e seguono pure molte ripetizioni importantissime.
Vediamo Piaz arrampicare talvolta da solo, accompagnare altre guide, accompagnare degli amici, dimostrando insomma, oltre alla maestria professionale un nobilissimo senso alpinistico.
Angelo Dibona aprì degli itinerari straordinariamente grandiosi, e, operando in un intervallo di tempo di pochi anni, anteguerra riuscì a risolvere un numero di problemi alpini importanti veramente sorprendente.
Si afferma nel 1907 con la conquista della Torre Leo nella selva lapidea dei Cadini di Misurina. Vince da solo nel 1908 l’oltremodo difficile Campanile Dibona nelle Dolomiti Ampezzane; e conduce alla vittoria con Agostino Verzi di Cortina d’Ampezzo, gli inglesi Edward Alfred Broone e Hanson Kelly Corning sulla parete ovest della Roda di Vael nel Catinaccio, e sulla parete nord della Torre Orientale del Latemar. La sua attività prende quindi un ritmo intensissimo.
Fra i diversi successi da lui conseguiti nel 1909 cominciano ad apparire quelli della meravigliosa serie realizzata con Luigi Rizzi accompagnando i fratelli Guido e Max Mayer di Vienna, i quali avevano già effettuato ardue salite col Rizzi nel 1908.
Così nel 1909 possiamo principalmente ricordare: la conquista del Sass da Mesdì, della Punta Mayer, della Punta Matilde, della Roda di Mulon, e il primo percorso della cresta nord del Vernel, sempre nel gruppo della Marmolada; la seconda scalata del Campanile Dibona, la prima scalata della Guglia di Val Popena Alta nel gruppo del Cristallo; la prima scalata della parete sud-est della Torre Fanis nel gruppo omonimo. Nel 1910 viene raggiunto l’apogeo dei trionfi dolomitici di detta serie. Citiamo appena: la prima scalata della parete ovest del Sass Pordoi, della parete sud del Bec de Mesdì, e della parete est del Dent de Mesdì, nel gruppo di Sella; la prima scalata della parete sud-est della Punta Pian de Sass nel Sassolungo; la diretta scalata della parete nord della Cima Una di Sesto e quella della colossale muraglia del Croz dell’Altissimo dalla Val delle Seghe.
Né si può non tener presente la famosa conquista dello spigolo nord dell’Oedstein nel Gesäuse, pure effettuata nel 1910, e della quale, come delle sue ultime dolomitiche suddette, già parlammo altrove.
La serie continua numerosissima anche nel 1911. Fra le tante: la prima scalata della parete sud-ovest della Punta Grohmann, quella della grandiosa parete nord del Sassolungo, quella dello spigolo nord della Cima Popera e quella della parete nord del Piz Popena, nelle Dolomiti Ampezzane.
Sopra tutte però si eleva spiccatamente – come già conosciamo – la conquista della parete nord della Lalider nel Karwendel, la più difficile di tutte le arrampicate di Angelo Dibona, vera pietra miliare della progressione dell’arrampicamento internazionale, gloriosamente posta dall’audacia e dal valore italiano in terra straniera. Essa è ancor oggi la più superba arrampicata eseguita da italiani l’estero.
Va pure rammentata la prima ascensione della parete sud della Mejie nel Delfinato, compiuta nel 1912. Scalata di granito la quale anche non consentendo la precisione delle valutazioni e comparazioni degli ambienti dell’arrampicamento puro, resta tuttavia una impresa delle più ardue del suo tempo.
Non ci estendiamo ulteriormente per completare l’elenco delle arrampicate effettuate da Angelo Dibona, sia accompagnando i Mayer, sia altri alpinisti, quantunque siano ancor parecchie tanto le nuove scalate che le ripetizioni importanti.
Rileviamo solo come il valore dell’opera di Piaz e Dibona è tale che, se precedentemente a loro molte vie Dimai restarono conosciute come vie Phillimore-Raynor, le vie aperte da Piaz restarono vie Piaz e le vie aperte da Dibona restarono parimenti vie Dibona. A tanta distanza questi nostri grandissimi scalatori lasciarono tutti i classici, così preminente si affermò la personalità loro, che per la prima volta la personalità delle guide mise del tutto e stabilmente in ombra quella degli alpinisti da esse accompagnati. Con ciò la figura del capocordata nella sua elevatezza e completezza fisica e morale finalmente sale al suo vero posto. Di fronte ad un Piaz e a un Dibona tutti hanno sentito, anche all’estero, che non poteva più sussistere il criterio classico di considerare la guida uno strumento, e l’audacia una merce d’acquisto. Cioè, che nessun pagamento, nessun livello sociale, nessuna organizzazione possono sovrapporsi a quell’intrinseco valore morale e atletico con cui un capocordata procede innanzi. Che, quindi, a un professionista si paga la compagnia, ma non si compra il valore. La tradizione e lo spirito classico erano così definitivamente allontanati!
Il gruppo delle guide che dopo il 1900 maggiormente primeggiano anteguerra, al disotto di Piaz e Dibona, comprende: Luigi Rizzi e Francesco lori della Valle di Fassa, Antonio Dimai e Agostino Verzi di Cortina d’Ampezzo, Franz Wenter e Franz Schroffenegger di Tires.
Spesso abbiamo parlato di Luigi Rizzi operante con Antonio Dimai e dominante con le proprie imprese già nell’ultimo decennio del secolo scorso. Successivamente, sempre attivo, il Rizzi apre varie altre vie nuove importanti nelle Dolomiti di Fassa e di Gardena – tra cui il gran camino Sud della Punta Pian de Sass, nella ripetizione del quale lo stesso Preuss si dovette impegnare duramente, – ed è compagno modesto e fedelissimo di Angelo Dibona in tutta la serie delle grandi imprese effettuate coi Mayer. Appare dunque il Rizzi un arrampicatore dei più salienti e di lunga attività.
Meno anziano di lui è Francesco Jori, seguace di Piaz col quale effettuò molte scalate. Jori emerse nel 1909 vincendo con Katherine Bröske lo spigolo sud-est della Punta Fiames nelle Dolomiti di Cortina d’Ampezzo. Ricordiamo, tra le scalate compiute da Jori con Piaz nel 1911: la prima ascensione dell’aereo spigolo della Torre Delago, accompagnandovi Irma Glaser; quella della parete nord della Winkler, unitamente a Max Kauer e Julius Stefansky; e quella della Torre Purtscheller pure nel Catinaccio, con C. Breier, Georg Sixt e Werner Schaarschmidt. Poi, nel 1912, vediamo Jori compiere con Franz Schroffenegger il quinto percorso della parete est della Fleischbank nel Kaisergebirge, uno dei rarissimi percorsi italiani degli ardui itinerari di quella regione tanto celebre tra gli arrampicatori.
Franz Schroffennegger e Franz Wenter, ambedue guide dolomitiche di Tires, sotto il gruppo del Catinaccio, loro campo particolare di azione, si posero in viva luce pressoché contemporaneamente a Jori, con varie brillanti nuove arrampicate, eseguite appunto in gran parte nel gruppo del Catinaccio. Così nel 1910: la prima scalata della parete di Laurino dal nord, e della Torre Delago da nord-ovest. In seguito però tanto Preuss che Dülfer dimostrarono che le valutazioni delle nuove vie di Wenter e Schroffenegger erano esagerate. Nel 1912 Wenter e Schroffenegger effettuarono il quarto percorso della famosa parete est della Fleischbank; e lo Schroffenegger poi eseguì assieme a loro – come abbiamo detto – il quinto percorso.
Queste due guide di Tires furono alle volte compagni di Piaz. Piaz fece con Wenter nel 1901 la sua prima salita sul Campanil Basso di Brenta. Schroffenegger partecipò con Piaz, nel 1908, alla conquista della parete ovest del Totenkirchl, ed arrampicò pure con Dülfer, precisamente nella prima scalata dello spigolo nord-ovest della Torre di Valbona nel Catinaccio compiuta da Dülfer nel 1912. Nel 1913 lo Schroffenegger condusse l’austriaco Otto Bleier e Umberto Fanton nella prima libera arrampicata del Campanile Paola nelle Alpi Carniche.
L’anziano Antonio Dimai, il “re delle Dolomiti” dell’ultimo decennio del secolo precedente, seguita a svolgere un’attività magnifica anche dopo il 1900. Colla conquista della parete sud del Teston del Pomagagnon, effettuata nel 1905 assieme ad Agostino Verzi, guidando le celebri alpiniste ungheresi Ilona e Rolanda von Eötvös, realizza la più difficile scalata della sua lunghissima carriera. Ora il Teston del Pomagagnon porta appunto il nome di Campanile Dimai ricordando, col suo prospettarsi superbo verso l’incantevole conca di Cortina d’Ampezzo, il nome di una razza di guide italiane fra le più degne e gloriose.
Vicina a questa conquista va poi citata quella della parete sud della Punta Grohmann nel gruppo del Sassolungo, conseguita nel 1908 dallo stesso Antonio Dimai assieme a Johann Summermatter di Randa conducendo ancora la baronesse sorelle von Eötvös. Attualmente, più che sessantenne, Antonio Dimai seguita ad arrampicare!
Né va tralasciato infine Agostino Verzi, valoroso compagno di Antonio Dimai nel superamento della parete sud del Campanile Dimai, ed in altre imprese, e sovente poi di Angelo Dibona, come nella prima scalata della parete ovest della Roda di Vael e della parete nord della Torre Orientale del Latemar, pocanzi accennata. Già nel 1906 Verzi si era distinto guidando l’inglese Broone nella prima ascensione dell’ardita parete ovest della Cima della Sforcella nel gruppo del Catinaccio.
Si può rammentare la guida Nino Povoli di Covelo, in considerazione della sua scalata al Campanil Basso di Brenta col diretto superamento della parete terminale nord, compiuta nel 1904 con Riccardo Trenti.
L’attività degli arrampicatori italiani non professionisti nell’anteguerra e gli inizi dell’arrampicamento italiano senza guide
Solo dopo il 1900 i non professionisti italiani effettuarono delle imprese di vero e proprio arrampicamento, vale a dire delle imprese entranti nella categoria aperta da Winkler, che costituisce appunto l’inizio dell’attività arrampicatoria specifica e differenziata dall’alpinismo classico.
Dopo il 1900, il movimento degli arrampicatori non professionisti in Italia si portò decisamente innanzi, ma questo progresso cominciò così tardi rispetto all’evoluzione generale, che rimase interamente soffocato dalla contemporanea maggiore ascesa dei professionisti, onde la diminuzione del distacco tra questi e gli altri fu in realtà molto minore di quanto può apparire a prima vista.
Di fronte al predominio internazionale di Piaz e Dibona, e alla contemporanea meravigliosa attività del gruppo di guide or ora considerate, l’opera dei non professionisti risulta tanto esigua da potersi riassumere brevissimamente.
Tra le arrampicate italiane con guide emerge dapprincipio la scalata del Campanil Basso di Brenta con la straordinariamente difficile variante terminale compiuta dal trentino Riccardo Trenti assieme alla guida Povoli nel 1904. E spiccano poi: nel 1907, la scalata della parete nord-est della Punta Emma eseguita dal ben noto alpinista torinese Ugo De Amicis condotto da Tita Piaz – prima di italiani con guida; nel 1908, quella della Torre Leo compiuta dal lombardo Leopoldo Paolazzi e da Amedeo Girardi di Cortina d’Ampezzo guidati da Angelo Dibona e A. Costantini – prima di italiani con guida; nel 1910, quella della parete sud-ovest della Torre Principale del Vajolet di De Amicis con Tita Piaz, prima di italiani con guida; e nel 1913, l’accennata conquista del Campanile Paola del cadorino Umberto Fanton assieme a Bleier condotti dallo Schroffenegger.
Oltre a queste imprese più salienti che appartengono tutte ad una categoria di valori superiori a quella corrispondente a Winkler, possiamo ancora ricordare, secondariamente: alcune scalate del Campanil Basso di Brenta, tra il 1904 e il 1907, cioè le prime quattro di italiani con guida – tra cui quella del milanese G. Scorti col Povoli – dopo delle quali cominciano quelle italiane senza guide; la via aperta sulla parete nord-ovest della Civetta da Cesare Tomè di Agordo con la guida Santo De Toni di Alleghe e il portatore Luigi Farenzena; la scalata della parete sud della Marmolada compiuta nel 1908 dal veneto Arturo Andreoletti assieme al milanese Carlo Prochownick con la guida agordina Stefano Parissenti – prima di italiani con guida; nel 1910 quella della parete sud-ovest del Cimon della Pala compiuta dalla medesima cordata – prima di italiani con guida; e, pure nel 1910, la conquista del Campanile Rosa nel gruppo delle Tofane effettuata da Paolazzi e Girardi guidati da Angelo Dibona e Celestino De Zanna. E si potrebbero aggiungere ancora poche altre arrampicate della stessa importanza.
L’alpinista italiano che presenta anteguerra la più notevole attività arrampicatoria con guide è il torinese Ugo De Amicis, le cui due preminenti suddette scalate fanno parte di una vasta serie di imprese – meno difficili delle due specificate – pure realizzate con Tita Piaz, e che sono principalmente: il Campanil Basso di Brenta, il camino di Adang ai Pizes da Cir, prima di italiani con guida, il camino Schmitt della Punta delle Cinque Dita, prima di italiani con guida, le Torri Winkler, Stabeler e Delago del Vajolet, la parete sud della Marmolada, la parete sud della Tofana di Rozes. Ed a parecchie di queste imprese partecipò anche Guido Rey.
L’arrampicamento italiano senza guide di anteguerra è, come vero arrampicamento, percepibile solo dopo il 1900; e l’esame specifico di esso, ora che le singole scalate necessariamente s’inquadrano al loro posto nella progressione generale dei valori, già esattamente riconosciuta, riesce molto chiaro e preciso.
In primo luogo risulta che il progresso dell’attività arrampicatoria senza guide degli italiani delle vecchie province pervenne solo nei suoi migliori successi al livello tecnico corrispondente a Winkler, rimanendo invece in prevalenza al disotto di questo livello, non entrando cioè che molto raramente nel campo dell’arrampicamento vero e proprio modernamente inteso.
Attività quindi che restò a enorme distanza dalla continua intensa elevazione dei valori in quel tempo.
Gli scalatori senza guide della Venezia Giulia e Tridentina ottennero invece risultati assai migliori di quelli delle vecchie province.
In secondo luogo risulta che il livello raggiunto dagli arrampicatori delle vecchie province fu approssimativamente lo stesso tra i veneti come tra i lombardi e i piemontesi, nonostante la situazione particolarmente favorevole dei primi, e riconoscendo naturalmente ai due ultimi, in più, ma a parte, i grandi meriti in tutti i campi dell’alpinismo classico.
Si possono ricordare, tra i piemontesi: Giacomo Dumontel, che fece pure delle scalate dolomitiche nel 1908; Ugo De Amicis, che arrampicò anche senza guide; Francesco Ravelli, di chiarissima fama; Vittorio Sigismondi che arrampicò brillantemente anche da solo; Francesco Pergameni; Pietro Ravelli che aprì nel 1911 l’ardita via diretta sulla parete sud-ovest della punta Mattirolo nelle cosiddette Dolomiti di Valle Stretta (Alpi Cozie), zona specifica di arrampicamento nella quale operarono anche quasi tutti i precedenti; Giuseppe Lampugnani che partecipò con i triestini ad arrampicate dolomitiche tra le più notevoli fra quelle italiane senza guide di quel tempo.
Tra i lombardi: Gaetano Scotti, Angelo Calegari, Eugenio Fasana, Serafino Gino Carugati, i noti maestri delle Grigne; Erminio Dones – il famoso campione di voga – che fece delle belle conquiste nelle Grigne negli anni prima della guerra; Ugo di Vallepiana, che fu compagno di grandi arrampicatori stranieri; Aldo Bonacossa, che arrampicò pure nel Kaisergebirge dove, nel 1909, effettuò la scalata dello spigolo nord del Predigtstuhl; Leopoldo Paolazzi che arrampicò senza guide nelle Dolomiti Ampezzane; Carlo Prochownick, che compì diverse scalate senza guide specialmente nel gruppo delle Pale di S. Martino, assieme al veneto Andreoletti.
Tra i veneti: Arturo Andreoletti; Antonio Berti, la cui attività fu prevalentemente esplorativa, ma, nel Cadore, assai estesa, e proseguì poi anche nel dopoguerra; Luigi Tarra; Dino Cappellari; i fratelli Augusto ed Umberto Fanton, che operarono specialmente nelle Marmarole e nelle Alpi Carniche. Primeggia in questo gruppo la bella figura di Umberto Fanton, valido figlio del Cadore che dal 1907 fino all’apertura della guerra effettuò una serie di arrampicate, tra cui moltissime nuove ascensioni, con intenti in prevalenza esplorativi, facendo abitualmente da capocordata ai suoi compagni di gruppo. Anch’egli però non si elevò al disopra del livello iniziale dell’arrampicamento moderno stabilito da Winkler, altro che con la citata conquista del Campanile Paola, ma dietro la guida Schroffenegger. Aviatore di guerra, morì in combattimento aereo.
L’inferiorità di classe degli arrampicatori italiani senza guide delle vecchie provincie rispetto ai professionisti italiani in generale e a Piaz e Dibona in particolare è categorica, abissale. Ed altrettanto si può dire nei confronti dei Preuss e dei Dülfer, nella stessa epoca.
Anteguerra agli arrampicatori italiani senza guide delle vecchie provincie mancarono del rutto i criteri tecnici e la comprensione del progresso internazionale, situazione della quale i veneti, in quanto rappresentanti dell’arrampicamento in un certo qual modo, risultano maggiormente responsabili. Basteranno alcuni esempi per dare chiaramente la misura di questa mancanza.
Scrivono nel 1911 (Rivista Mensile del CAI, 1911) gli alpinisti accademici veneti Augusto Fanton è Luigi Tarra: “La canna – il primo camino della via Berti-Carugati sulla parete est del Baffelan nelle Prealpi Vicentine – presenta per una trentina di metri difficoltà non inferiori certamente a quelle offerte dai passi più notoriamente ardui delle Dolomiti Trentine e Cadorine”. Orbene in realtà questo camino è decisamente inferiore, e di non poco, al livello stabilito da Winkler nel 1887, cosicché il distacco esistente tra detto camino e i passi più notoriamente ardui delle Dolomiti, anche riferendosi alla fessura Piaz della Punta Emma senza neppur scendere a imprese più prossime al 1911, è enorme. La citata dichiarazione resta una tangibile prova di incompetenza.
Gli accademici veneti Tarra e Cappellari compiono nel 1913 la scalata della Punta Fiames per la via aperta da Antonio Dimai nel 1901, e riferiscono (Rivista Mensile del CAI, 1914): “la salita è nel suo complesso da annoverarsi fra le scalate di primo ordine”. Poiché effettivamente tale scalata è di una categoria inferiore a quella corrispondente a Winkler, risulterebbe di conseguenza che le arrampicate appartenenti, come il Campanil Basso, a questa ultima, dovrebbero venir designate di primissimo ordine, e tutte le categorie superiori, da quella della parete nord-est della Punta Emma a quella della Lalider e oltre, addirittura trascendenti! Evidentemente gli stessi “accademici” non avevano la più pallida idea di ciò che veniva fatto nel loro tempo dai professionisti italiani, e tanto meno di ciò che veniva fatto all’estero e dagli stranieri in generale. Ancora un esempio. I medesimi arrampicatori accademici salgono nel 1913 il Col Rosa per la via aperta da Antonio Dimai nel 1899, e designano la nota fessura come “una difficoltà di primissimo ordine” (Rivista Mensile del CAI, 1914) Anche in tal caso, poiché detta impresa fa parte della categoria corrispondente a Winkler, conseguirebbe, per la fessura Piaz della Punta Emma un superprimissimo ordine e per tutto il resto categorie trascendenti! La mancanza di ogni criterio di valutazione è pertanto abbastanza dimostrata.
Passiamo infine a considerare gli scalatori senza guide della Venezia Giulia e Tridentina, la cui superiorità è molto notevole.
I triestini Tullio Cepich, Antonio Carniel, Alberto Zanutti e Napoleone Cozzi formano il gruppo emergente fra tutti gli scalatori della Venezia Giulia. Gruppo di elementi validi affiatati omogenei che variamente accompagnandosi tra loro riportarono brillanti successi. Il capo di questo gruppo è Cozzi, nobile figura di patriota e di artista, eccellente sportivo, creatore di tutto il movimento arrampicatorio senza guide nella Venezia Giulia. Vediamo così: Zanutti e Cepich compiere nel 1905 il secondo percorso della diretta parete nord del Montasio; Cozzi, Zanutti e Carniel effettuare nel 1905 il primo percorso italiano senza guide della parete nord della Piccola Cima di Lavaredo; Cozzi e Zanutti conquistare nel 1910 la titanica torre terminale dei Cantoni della Busazza nel gruppo della Civetta, battezzandola col nome di Torre Trieste; e poi ancora gli stessi nel 1911, col piemontese Lampugnani, aprire sulla immane parete nord-ovest della Civetta la cosiddetta via degli Italiani molto più diretta della via degli Inglesi ed anche più difficile, e ripetere la scalata della Torre Trieste. Imprese queste ultime tra le più ragguardevoli dell’arrampicamento italiano senza guide di anteguerra.
Nella Venezia Tridentina l’arrampicamento senza guide di anteguerra era il più maturo e poderoso. Parecchi sono gli scalatori trentini che allora raggiunsero il livello tecnico corrispondente all’impresa di Winkler. La storia del Campanil Basso di Brenta anteguerra è in buona parte anche la storia dell’arrampicamento trentino senza guide. Mario Scotoni, fermissimamente volitivo, e Giovanni Nones, arrampicatore di grandissima capacità, furono i primi ad iniziare l’arrampicamento senza guide su forti difficoltà. Essi, tagliando su diritti dalla Bocchetta del Campanile Alto per la parete orientale del Campanile Basso fino a scalare un tratto della parete terminale – vinta da Preuss nel 1911, – diedero una tale prova di valore, che, nel 1905, si spinge all’altezza dei più elevati risultati tecnici internazionali. Tanto che ne parlammo appunto in rapporto a questi.
Dopo il 1908 è riconoscibile la formazione di una vasta schiera di veri arrampicatori. Ricordiamo: Francesco Lot, Eugenio Dalla Fior, Italo Lunelli, Nino Paisser, scalatore di calma e potenza senza pari che destò l’ammirazione anche dei professionisti.
Alpinista completo, arrampicatore valente, con una attività molteplice appare Vittorio Emanuele Fabbro. Compie nel 1911 con Dalla Fior la seconda traversata italiana senza guide delle tre Torri meridionali del Vaiolet; e nel 1913 ne compie da solo la traversata inversa, cioè prima la Delago, poi la Stabeler e la Winkler, che presenta maggior difficoltà della diretta comunemente seguita. Effettua la seconda scalata italiana senza guide alla Punta delle Cinque Dita per il Camino Schmitt, sale più volte il Campanil Basso, ed apre vari nuovi itinerari, continuando la sua attività anche nel dopoguerra.
Chi però domina anteguerra lo arrampicamento trentino, e anche quello italiano in generale, è Luigi Scotoni, fratello minore di Mario Scotoni.
Egli è l’unico scalatore italiano senza guide di anteguerra che possiede la classe dei nostri professionisti e la capacità dei migliori senza guide stranieri del suo tempo.
Diciassettenne appena, compie nel 1908 la prima scalata italiana senza guida del Campanil Basso, e poi nel 1909 ripete due volte da solo questa scalata! Parimenti nel 1908: effettua la prima traversata italiana senza guide delle tre Torri meridionali del Vajolet, Winkler, Stabeler, Delago; compie il primo percorso italiano senza guide del camino Schmitt sulla Punta delle Cinque Dita, assieme a G. Lubich, superando direttamente anche la parte terminale del camino, che, come è noto, comprende difficoltà molto superiori all’itinerario usuale del “camino Schmitt”; da solo, nel tempo di 10 ore, traversa completamente il Crozzon di Brenta, superandone il grandioso spigolo nord; e infine, ancora da solo, apre sulla parete sud-ovest del Campanil Basso una variante di attacco alla ben nota via Fehrmann. Variante più difficile della stessa via Fehrrmann, e che già accennammo altrove, appunto in considerazione di ciò, tra i risultati di valore internazionale.
E’ una attività, quella di Luigi Scotoni che, nel suo tempo, alla sua età, nelle sue condizioni di arrampicatore prevalentemente solitario che non trovava allora compagni sempre capaci di seguirlo, ha veramente del prodigioso!
E completiamo il quadro ricordando Federico Terschak di Cortina d’Ampezzo, che arrampicò con guide e senza guide, aprendo anche ardue vie nuove, tra cui: la prima scalata della cresta sud della Croda Rossa d’Ampezzo, della parete sud della Cima Ovest di Lavaredo, e dei Pomagagnon per quel molto difficile camino che ora porta appunto il nome di “camino Terschak”; tutte tre effettuate nel 1913 con Hermann Kees. Egli continuò nel dopo guerra la sua attività.
Esponendo l’arrampicamento italiano senza guide di anteguerra, abbiamo naturalmente lasciato in disparte l’attività di arrampicatori prettamente allogeni, quali: Erwin Merlet, che arrampicò pure con Dülfer ed altri eccellenti scalatori, ed i fratelli Erns e Kurt Kiene di Bolzano, il migliore dei quali, Kurt, primeggiò nel suo ambiente con bellissime imprese, raggiungendo il suo massimo risultato nel superamento della “fessura diagonale”delle Cinque Dita, e morì in guerra.
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