Intervista al medico e psicoterapeuta Alberto Pellai: “Dare dei limiti è indispensabile per la crescita. Dico sempre ai genitori che si dovrebbe rallentare la virtualizzazione della vita dei figli. Che non dovrebbero essere dotati di smartphone almeno fino alla fine della scuola media”.
Figli senza regole?
(intervista ad Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta)
di Nicoletta Moncalero
(pubblicato su huffingtonpost.it il 13 settembre 2020)
Secondo il sociologo Frank Furedi, autore di Why Borders Matter, badando più ai diritti che ai doveri dei nostri figli stiamo fallendo nel nostro ruolo di genitori, che dovrebbe essere invece quello di stabilire confini, limiti, ai loro comportamenti, per permettere loro di crescere, di diventare adulti responsabili.
Alberto Pellai è medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore nel dipartimento di scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva. “Anche nel nostro lavoro – conferma – rileviamo una situazione di fatica da parte del minore di stare dentro alle regole, dentro ad una cornice. Spesso è la scuola che la segnala, il genitore non se ne accorge. Il ragazzo non ce la fa perché non ha sviluppato capacità auto regolative, auto riflessive, e una competenza pro sociale. Non è a suo agio in un contesto sociale, non è in grado di rivendicare il proprio diritto ad essere o fare in relazione ai diritti degli altri. Le regole vengono date proprio per questo, per il vivere sociale, perché non siamo in una bolla o su un’isola, ma a contatto con gli altri”.
Cosa dovremmo fare come genitori?
“Facendo meno figli e tardi, siamo molto più concentrati sul nostro bisogno di sentire che li amiamo all’infinito, più di ogni altra cosa, che non su quelli che sono i bisogni di crescita dei nostri figli. Questo si traduce nel volerci sentire molto amabili e molti amati. D’altra parte, il no, il confine, la regola, non entrano nella logica dell’amabilità, ma nell’educazione, del sostegno della crescita. In questa situazione si chiede al genitore di uscire da questo copione, per entrare in quello dell’allenatore alla vita, colui che sa le procedure giuste e le sa mettere in gioco, ed è soprattutto autorevole, sa tenere in mano il timone della nave, anche quando c’è la tempesta. È quello il ruolo dell’adulto, del genitore”.
Il desiderio di essere amabili è un segno di debolezza dei genitori?
“Si chiama fragilità narcisistica. È come se riversassimo tutto il nostro bisogno d’amore in una relazione che non è simmetrica, ma verticale. Noi dovremmo essere amati dalla persona che ci sta a fianco. Le nostre relazioni, dove dobbiamo raccogliere l’amore che ci serve, sono quelle di coppia, tra adulti. L’amore che riserviamo ai figli, da una parte è importante per l’accudimento, per farlo sentire amato e protetto. Dall’altra però questo amore non deve servire a trattenerlo nel nido, in assenza totale di frustrazione, fatica, o esperienza dolorosa, ma deve prepararlo ad uscire, fuori, in un contesto certamente meno protettivo, ma sfidante. L’amore del genitore deve dotare le esplorazioni del figlio di quegli attrezzi per la vita che gli permetteranno di diventare poi adulto”.
Parliamo di regole: servono anche per noi genitori, per crescere bene un figlio?
“I genitori dovrebbero cercare l’equilibro. L’equilibrio che dovrebbe avere in mente un genitore, riguardo un figlio che cresce, è associato a quanto gli vuole bene e a quanto lo sta allenando alla vita. Deve fare attenzione a non renderlo onnipotente ma competente. La competenza è una potenza che si appoggia su skills, sulle abilità, su un saper fare e su un saper essere che progressivamente sono stati modellati dalla relazione educativa”.
Perché le regole sono importanti?
“Le regole sono uno degli strumenti che l’educatore deve avere, e metter in gioco, che gli danno un potere. L’adulto deve essere disponibile, amichevole, coinvolto, ma non il migliore amico. Se sono responsabile della tua crescita non posso fare a meno di fornirti limiti, regole, confini. Se non faccio questo mestiere è come se tu vivessi e crescessi in una zona franca, in un territorio in cui sarai tu ad auto regolarti, auto gestirti e auto definirti le tue regole. Mestiere impossibile per un bambino o un pre adolescente. Se c’è qualcosa che veramente i figli vogliono, e che protegge la loro crescita, è che siano veramente gli adulti a fare questo lavoro sulle regole, a super visionarle e a monitorarle. Questo dà ai figli il permesso di trasgredire, e di sbagliare, sapendo che non si dovranno occupare loro della riparazione. L’adulto, facendo un intervento ripartivo, strutturerà la strada maestra in cui sono possibili la crescita e il successo evolutivo”.
Le regole possono anche essere date nel momento sbagliato?
“Le regole sono di importanza fondamentale in tutto il percorso dell’età evolutiva, devono però rispondere al principio della specificità: dobbiamo essere specifici, con regole adeguate al momento di sviluppo di nostro figlio. La domanda perciò deve essere: in questa fase, qual è la regola che gli serve? In una relazione educativa sosterremo una crescita regolata: io ti dò regole dal fuori affinché tu strutturi le tue regole interne, in modo che poi tu non abbia più bisogno che ci sia io a dartele”.
Può farci degli esempi?
“Al bambino piccolo il genitore insegnerà che non si fa a botte con il compagno di asilo solo perché gli ha rubato il gioco. Il genitore darà al figlio le competenze negoziali e relazionali necessarie a trovare il modo di gestire il conflitto. A 14 anni il genitore darà al figlio le regole per insegnargli a muoversi in città in sicurezza, ma anche per avere una prospettiva rispetto al paese dei balocchi che trova fuori di sé: alcol, tabacco sessualità. Il figlio dovrà fare in modo che questi diventino territori in cui impara a crescere, e non in cui fa male alla sua crescita. Dopo di che, dai 15 ai 20 anni, le neuroscienze ci dicono che i genitori dovrebbero essere gli osservatori del rispetto delle regole: ne abbiamo pochissime da dare a questo punto, ma abbiamo da monitorare il modo in cui i nostri figli riescono a mettersi in gioco con i loro sistemi auto regolativi ormai completi e complessi, e faremo degli interventi a gamba tesa solo quando loro non ce la faranno e quindi dovremmo un po’ ridisegnare di nuovo limiti e confini del territorio”.
Gli adulti di oggi sono capaci di visionare questi confini?
“I nostri figli stanno crescendo per la prima volta con un settore adulto che non fa altro che proporre un modello di crescita ribelle centrata solo sul concetto di trasgressione, funzionale a un mercato molto remunerativo”.
Ci aiuti a capire meglio.
”In questi tempi la relazione educativa diventa un baluardo – se il ragazzo ha acquisito buone competenze, si è allenato alla vita, ha sviluppato pensiero critico, tolleranza alla frustrazione, capacità di affrontare la fatica e sa reagire alla sconfitta – ecco che allora non andrà nella zona di crescita dove la ricerca della felicità diventa ricerca di eccitazione, dove stare bene significa ingerire qualcosa che immediatamente dà una sensazione piacevole, ma andrà a cercare una felicità che è quella delle bambine ribelli, della ribellione in senso positivo, che porta ad una crescita che si basa su un percorso verso l’autonomia, dove il traguardo non l’hanno trovato lì pronto”.
L’avere tutto sempre a disposizione, l’essere in mondo che non è solo reale ma anche virtuale è parte del problema?
“Questo è un tema molto caldo. Noi genitori rispetto a tutto il genere di modelli, identificazioni che sono reperibili dentro l’online perdiamo la nostra autorevolezza. Veniamo percepiti come poco validi o di poco valore. C’è una gran quantità di esemplarità trasgressiva, cafona, che valuta positivamente chi sa andare sempre al di là del limite. Tutto in un mondo che non è educativo perché non è controllato dagli educatori, ma costruito dal mercato. Su YouTube i nostri figli vanno a vedere sempre cose estreme, dalla sessualità allo sport, cose che non appartengono al principio di realtà, e questa è una zona pericolosa. È come se avessero un costante allenamento a identificarsi in qualcosa al di là del limite, quel limite che nel mondo reale dobbiamo costantemente indicare come una cornice che dovrebbe confinare le sue esperienze. Il virtuale è un mondo a parte, non ha confini, regole: lì dentro i nostri figli rischiano di non strutturare le competenze auto regolative che nel reale sono fondamentali. Per questo dico sempre ai genitori che si dovrebbe rallentare di tanto la virtualizzazione della vita dei figli. Che non dovrebbero essere dotati di smartphone almeno fino alla fine della scuola media”.
La consapevolezza che il mondo delle forme e delle morali è un mondo virtuale, che il mondo del sé e dell’emancipazione dall’io permette di tenere la rotta anche in dure tempeste è una modalità culturale possibile, sebbene al momento inesistente e inconcepita nella formazione comune.
MODELLI E REGOLE INDIVIDUALI, FAMILIARI, SCOLARI, SOCIALI, VIRTUALI…
Ci sono tanti modelli, incoerenti fra loro e con qualsiasi principio di realtà.
Alcuni modelli sono così fortemente proposti e pubblicizzati che un adolescente (non un bambino) pensa di poter andare su Marte, o di poter guidare un lussuoso SUV o di partecipare a sparatorie o a sortilegi.
E’ oggettivamente difficile, sia per i figli che per i genitori, darsi delle regole per orientarsi fra tanti, troppi messaggi incoerenti.
L’articolo ha il merito di sollevare e spiegare questo grosso problema.
Affrontarlo non è semplice e non basterebbe un solo breve articolo.
La regola di rallentare la virtualizzazione della vita dei figli impedendo il possesso di smartphone fino alle medie sarebbe un ottimo esempio.
Peccato che quando Pellai è stato intervistato era già chiaramente impraticabile: la scuola a stessa, con la sua DAD, aveva già imposto ben altra regola e altro modello.
Geri
“una relazione che non è simmetrica, ma verticale”
…apprezzo sempre chi sa scrivere con proprietà e precisione…
Interessanti considerazioni pedagogiche. Per fortuna che i mie figli non sono più adolescenti…e, quando lo erano, non esistevano ancora gli smartphone… In più per fortuna che, quando io ero adolescente (fine ’60 e tutti i ’70 per intenderci), esisteva solo il telefono fisso grigio della SIP, con orari familiari ben precisi (anche per le tariffe in bolletta) sia per effettuare sia per ricevere telefonate. Le comunicazioni fra noi ragazzi erano verbali, il più delle volte vis a vis durante la giornata, e quindi molto più schiette e genuine. E anziché accecarsi sullo schermo si aveva tempo per leggere, sarà per quello che, di sera, ho letto anche cose pesanti tipo Dostojevski, Thomas Mann e Kafka. Oggi le nuove generazioni non leggono neppure più il giornale, figuriamoci Delitto e Castigo…
Ai figli che imparano ad andare in bicicletta..si fornisce pure un caschetto e per dare l’esempio lo si indossa pure ..sempre.
Per quanto riguarda bullismo e botte, non si fa ma neppure si subisce.