Filo a Piombo, 40 anni dopo
(sul Becco di Valsoera, 1982-2022) <
di Andrea Giorda
“Di sguardi al grande formidabile spigolo ne erano stati rivolti parecchi, da me e non solo da me…ormai il problema era palese, era la linea ideale, ma ci lasciava alquanto perplessi. Non dico non si possa salire ma chi vorrà accingersi all’impresa è bene che si organizzi per svaligiare tutti i negozi di chiodi (espansione compresi) della città (Gian Piero Motti)”.
Il “formidabile spigolo” di cui parlano queste autorevoli considerazioni è quello del Becco di Valsoera nel vallone di Piantonetto, una diramazione della Valle dell’Orco in Piemonte.
Nel 1960 il vulcanico Andrea Mellano era riuscito a dirottare verso il Becco di Valsoera la moto di Romano Perego. Perego, eccezionale scalatore e Ragno di Lecco era diretto al Monte Bianco. I due, insieme a Enrico Cavalieri, salirono lo spigolo fino a circa metà, dove inizia a strapiombare presero un bellissimo diedro sulla sinistra che portava in vetta, oggi è una via ripetutissima, la Cavalieri Mellano Perego.
Come fa notare Motti, lo spigolo del Valsoera è una delle più belle prue di granito delle Alpi ed era il problema dei problemi. Nel settembre 1982, quando ormai la stagione stava per finire, Sandro Zuccon ed io avevamo poco più di vent’anni e decidemmo di provarci. Eravamo in pienissima forma, veloci e determinati Scalammo lo spigolo vergine andando poi ancora in vetta (600 metri in tutto) scendendo dal canale nevoso (non esistevano al tempo doppie sul versante Ovest) e nel pomeriggio tardi eravamo già al Rifugio Pontese, a goderci gli ultimi deboli raggi di sole, quasi autunnali.
Avevamo usato i nut, pochi chiodi, nessuno a pressione, perché eravamo fermamente contrari. Avevamo portato sul Becco, su una fredda parete a Ovest, a più di 3000 metri di altezza, un nuovo e moderno modo di scalare, che più che sui chiodi si basava sulla velocità e sulla capacità di passare in libera su alte difficoltà (per l’epoca), anche dove non si poteva chiodare o le protezioni erano precarie.
Decidemmo, forse un po’ compiaciuti, di chiamarla Via del Filo a Piombo. Nome anche un po’ ironico perché le vie del Filo a Piombo o Direttissime erano quelle denunciate da Reinhold Messner nel suo celebre articolo “L’assassinio dell’impossibile”. Messner metteva all’indice il dilagare dei chiodi a pressione usati con le staffe per superare qualsiasi ostacolo e diceva “che gusto c’è a giocare ad un gioco dove si vince sempre?” e ancora “… io non ho nulla contro i chiodi a pressione, costano poco, ti fan passare dappertutto, hanno solo una controindicazione, ammazzano l’Alpinismo! “
Ecco, noi avevamo colto il messaggio, eravamo abituati a scalare in Valle Orco tentando la libera con pochi nut, ma la svolta in montagna venne con una delle primissime ripetizioni italiane della Diretta Americana al Dru, dove, nel 1981, incontrammo Patrick Berhault e Jean-Marc Boivin. La coppia di fenomeni, in giornata aiutandosi con un deltaplano biposto, aveva scalato anche l’Americana all’Aiguille du Fou. Quanta strada avevamo da fare rispetto a quei due?
Sandro ed io non ci accontentavamo di guardare all’orticello di casa, ma consapevoli della nostra perfetta intesa in parete, tornammo l’anno dopo, nel 1982, sfrontatamente nel campo da gioco più famoso al mondo, le Aiguilles di Chamonix. Senza timori reverenziali aprimmo una nuova via sui Grands Charmoz, dove Zucs (Alessandro) mostrò le sue qualità di placchista, superando una sezione liscia e non proteggibile come solo lui sapeva fare.
Se scorrete il librone di Michel Piola sulle scalate sul Monte Bianco, non vedete, in quegli anni, nomi di italiani tra gli apritori sulle Aiguilles di Chamonix. Era la luna, era terreno esclusivo per exploit dei francesi. Zucs, io e Pierre Mauro, il terzo socio, ci siamo nel librone, con la nostra piccola bandierina, la Via degli Italiani.
Nel 1992, i famosi fratelli Yves e Claude Remy, forse mal consigliati e forse ignari che esistesse già una via rimasero affascinati dallo spigolo e aprirono una via che andava ad intersecate più volte la via del Filo a Piombo. La via dei Remy, aperta a spit, seppur notevole, non ebbe mai un gran successo e la via del Filo a Piombo profanata con gli spit perse quell’aura di purezza che la caratterizzava. Per me e per Alessandro, ma non solo, era stata alterata una linea storica che faceva sognare chi voleva ripeterla con il nostro stile.
Sono passati 40 anni dall’apertura del Filo a Piombo e il nostro amico Filippo Ghilardini, giovane e forte istruttore della Scuola Gervasutti, ha lavorato di fino e ha convinto me e Zucs a tornare sul nostro spigolo, insieme in cordata. Oltre a noi un allievo istruttore ancora più giovane, Lorenzo Turletti, tre generazioni in due cordate.
Sia io che Alessandro, pur avendo passato i 60 da un po’, siamo molto attivi, non siamo tipi da guardare indietro con la lacrimuccia e abbiamo sempre nuovi progetti, forse troppi. Ma legarci insieme di nuovo, dopo 35 anni dall’ultima volta, per questa via speciale, è indubbio che abbia fatto riemergere i ricordi della nostra antica intesa. Entrambi eravamo un po’curiosi di cosa avremmo trovato. La mia impressione è stata quella di una linea verticale, per niente banale, moderna e unica per estetica. A volte sei proprio a cavallo dello spigolo con un vuoto assoluto. Certo ora ci sono le soste a spit, alcuni spit su punti chiave della via dei Remy, Agrippine.
L’ingaggio nostro del 1982, quando ci siamo lanciati all’avventura solo con qualche chiodo e qualche nut, senza sapere cosa avremmo trovato è irripetibile. Oggi poi oltre agli spit abbiamo i friend, un lusso assoluto che risolve quasi tutti i problemi. Mi chiedevo se oggi, pur con tutti i chiodi in loco sarei in grado di salirla in scioltezza senza un friend. Siamo carichi di materiale come asini, è presto fatto il confronto con l’unica foto originale che mi è rimasta, è una sentenza e una testimonianza. Grande lasco e pochissimo materiale in apertura per essere leggeri e veloci.
Una nota dolorosa è l’assenza assoluta di neve nei canali e sulle cime intorno, un deserto ormai. Mentre scalavo avvolto dai ricordi mi è venuto in mente il detto Tuareg “Le oasi sono per il corpo, il deserto per l’anima”. Ecco forse perché siamo di nuovo qui a sessanta anni suonati, cosa ci ha fatto tornare, cosa cerchiamo su queste rocce fredde e immutevoli, cosa cerchiamo in montagna.
Filippo, che ringraziamo, ha scritto una nuova e dettagliata relazione della via che alleghiamo. Aiuterà i giovani alla riscoperta del percorso originale della via del Filo a Piombo, che ha rappresentato un passo importante nello stile di apertura nelle valli canavesane.
Lascio la parola al mio antico socio Alessandro Zuccon detto Zucs e poi al giovane Filippo Ghilardini detto Zucchino come seguace di Zucs, che vi raccontano le loro impressioni.
Un caro saluto va ai ragazzi del Corso Guide della Lombardia, che sul Becco ci hanno tenuto in allegra compagnia.
Filo a Piombo 40 anni dopo
di Alessandro Zuccon
Quante vie chiamate ‘Filo a Piombo’ ci sono sulle nostre montagne? Una veloce ricerca sul Web ci dà la risposta: parecchie.
Evidentemente l’idea della linea che sale verso l’alto dritta dritta piace, affascina sempre, simbolo di eleganza? di purezza? di sfida?
Anche noi, io e Andrea, 40 anni fa ci cascammo e l’affilato e verticale spigolo del Becco di Valsoera, che nelle giornate terse è visibile persino da Torino, fu Filo a piombo, forse la prima via sul Becco che osava uscire dal classico, era la metà di settembre 1982, due anni dopo fu la volta di Sturm und Drang.
Domenica 10 luglio 2022 dopo appunto 40 anni, io e Andrea ormai over 60, coi giovani e forti Filippo e Lorenzo, una generazione più avanti, ci siamo tornati. Perché? Commemorazione simbolica? Inconfessabile tentativo di illudersi che tutti questi anni siamo passati senza lasciare traccia sul nostro fisico e sul nostro spirito? Rito propiziatorio per gli anni a venire?
Probabilmente un poco di tutto ciò, ma comunque ancora una bella giornata in montagna, a dispetto del freddo mattutino e delle classiche nebbie pomeridiane del Piantonetto (peraltro questa domenica molto modeste), su una bella via, difficile ma non troppo dove, almeno io, ho ancora un poco di margine per divertirmi a scalare, con amici affidabili e collaudati. Filo a Piombo, alla prossima volta…
La mia esperienza sul Filo a Piombo
di Filippo Ghilardini
L’apprendista, nell’alpinismo come nella maggior parte dei mestieri, necessita di un Maestro.
Un maestro è un’entità indispensabile perché, oltre alle nozioni teoriche, nell’andar per monti come in qualsiasi attività artigianale è fondamentale l’accompagnamento nell’esperienza, l’osservazione e l’emulazione, per formare un indirizzo proprio nell’approccio alla disciplina.
La recente ripetizione del Filo a Piombo al Valsoera è stata per me simile ad una tesi, un tassello di un lungo percorso di apprendimento, che tra gli altri ha avuto come maestri proprio Alessandro Zuccon e Andrea Giorda, i quali la tracciarono nel settembre 1982, 40 anni fa.
Se è vero che chi mi ha insegnato tutti i rudimenti, con grande pazienza, è stata un’altra persona, Giampiero, sono grato che il mio percorso si sia incrociato, grazie alla Scuola Gervasutti, successivamente con Andrea e Sandro. Grazie a loro ho trovato il mio indirizzo, fatto mia la loro visione. Un approccio fatto di esplorazione, visione in grande, duro lavoro per ottenere i risultati desiderati e una profonda ricerca estetica.
Il Filo a Piombo è una delle loro vie meglio riuscite, per armonia, visione, capacità. Una via che Motti tredici anni prima definiva quasi impossibile, chi avesse voluto tentarla avrebbe dovuto svaligiare tutti i negozi di attrezzatura tecnica di Torino, chiodi a pressione compresi, scriveva. Eppure, ripetendola per la prima volta domenica scorsa, ho trovato una via modernissima, lineare, continua su difficoltà tutto sommato abbordabili. Una via perfetta. Così moderna che purtroppo 10 anni dopo i fratelli Remy, i maestri apritori a livello mondiale che tutti conosciamo, ne ricalcarono quasi interamente il tracciato, cercando il loro spazio sull’evidente linea dello spigolo.
Sandro e Andrea sono stati dei precursori e dei visionari, ma non voglio qui incensarli, per questa o altre loro salite, voglio ringraziarli. Il tempo li aveva un po’ divisi, la loro perfetta complementarietà di stili nella scalata, si rispecchia anche in caratteri molto diversi nella vita, con gli anni la cordata si sciolse, e da quelle salite di inizio/metà anni ’80 non si erano mai più legati insieme.
Nel mio piccolo, ho scritto il mio nome prima vicino all’uno e poi all’altro, in aperture molto diverse tra loro ma tutte estremamente coinvolgenti ed istruttive. Il desiderio profondo, per esprimere loro la mia riconoscenza, era però quello di riunire la cordata.
Ci sono riuscito con questa ripetizione – 40 anni dopo – una giornata bellissima progettata insieme a Martina, la mia compagna, che purtroppo è stata costretta a casa dal Covid. Mi sono legato quindi con Lorenzo Turletti, giovane e forte allievo istruttore della Scuola, nel segno di quella continuità tra Maestro e Apprendista che lega la nostra attività, nella speranza che l’insegnamento di Sandro e Andrea passi ad un’altra generazione ancora. Quando tocchiamo la montagna, che ne valga la pena, che l’opera sia realizzata “a regola d’arte”, che esprima genialità, fatica, perché no rischio, ma soprattutto visione e profonda onestà intellettuale, come l’opera di un sapiente maestro artigiano. Come il Filo a Piombo.
Scheda tecnica
Becco di Valsoera 3212 m, parete ovest, via del Filo a Piombo
(Alpi Graie – Gruppo del Gran Paradiso)
Primi salitori: Andrea Giorda e Alessandro Zuccon, settembre 1982
Periodo: giugno – settembre
Difficoltà: max 6b+ (obbl. 6°)
Lunghezza: 450 m (200+250)
Descrizione
La via del Filo a Piombo percorre uno dei più belli spigoli di granito delle Alpi. Proseguendo dai primi tiri della via Mellano-Perego-Cavalieri, si scalano in tutto 450 metri di via a goccia d’acqua su roccia splendida. Grande è l’esposizione e l’ambiente, una linea unica per estetica e logica di percorso. La via fu aperta, tolti pochi passi, interamente in libera andando anche un poco oltre a quello che al tempo si chiamava settimo grado. Può considerarsi la prima via moderna del Becco di Valsoera, per 22 anni tutti i ripetitori della via Mellano-Perego-Cavalieri, dopo il tiro di artificiale deviavano nel diedro più abbattuto a sinistra, nel 1982 Giorda e Zuccon proseguirono sul filo aprendo questa via che stupì, perché era stata considerata per anni quasi impossibile.
Oggi l’ingaggio è minimo rispetto all’apertura. Le soste a spit, molte di Agrippine, via aperta successivamente, i chiodi in loco e i friend, che all’epoca non c’erano, permettono di percorrere questa via con buona sicurezza, godendo appieno dell’arrampicata.
Accesso generale
Si percorre la valle dell’Orco e a Rosone si prende a destra la strada per il Vallone di Piantonetto, si prosegue fino alla diga del Teleccio dove si parcheggia.
Si può pernottare al rifugio Pontese, consigliato, ottima cucina e ospitalità, ore 0,45.
Volendo, la via è fattibile in giornata direttamente dal parcheggio.
Avvicinamento
Dalla diga di Teleccio si percorre il sentiero che in circa 45 minuti porta al rifugio Pontese 2217 m. Dal rifugio si prosegue attraversando in direzione Nord il Pian delle Muande, fino a giungere all’inizio dei canaloni che scendono dal Becco di Valsoera. Si abbandona quindi il sentiero principale risalendo la pietraia (tracce di sentiero), fino ad un evidente zoccolo roccioso che si risale.
La via Mellano-Perego-Cavalieri, che va seguita fino a terminare il tiro di artificiale (L6), attacca alla base di un’evidente fessura che delimita a sinistra la Torre Staccata (1.30-2 h dal rifugio).
Materiale
Una serie di friend BD 0.1 – 3 più doppi friend medi. Utile il martello per ribattere i chiodi di via, una fettuccia lunga per la prima sosta di Filo a Piombo.
Nota
Per raggiungere l’attacco del Filo a Piombo vanno percorsi i primi 6 tiri della via Mellano-Perego-Cavalieri. La via Filo a Piombo è ripetutamente intersecata da Agrippine, via mista con diversi spit aperta dai fratelli Remy nel 1992, 10 anni dopo Filo a Piombo.
Relazione di Filippo Ghilardini
Prima parte: via Mellano-Perego-Cavalieri
L1: si seguono facili placche senza percorso obbligato obliquando leggermente verso sinistra, stando a lato della grande fessura che divide la Torre Staccata dalla parete vera e propria, si scala poi verticalmente un pilastrino di roccia rossa poco compatta, sosta a spit recente (Climbing Technology) in comune con Agrippine (45 m, 4c).
L2: ci si sposta qualche metro a sinistra (friend medio-piccolo), si supera un muro verticale di 7-8 m inizialmente sprotetto (spit Mammut di Agrippine), quindi si obliqua lungamente a sinistra fino a raggiungere un pulpito non stabilissimo con chiodo da allungare a dovere, da lì in verticale ci si dirige verso comoda sosta su cengia (50 m, 6a poi 5c, sosta recente CT).
L3: tiro breve, diritti per fessure in direzione della sosta CT visibile dal basso (25 m, 5a).
L4: si prosegue dritti e poi a destra, evitando sulla destra una grossa protuberanza rocciosa, si supera la sosta di Agrippine e si procede in un bel diedro fessurato per poi raggiungere con un passo verso sinistra la sosta CT, alla base della caratteristica fessura-diedro giallastra di licheni della Mellano-Perego-Cavalieri (50 m, 5c).
L5: si supera la stupenda fessura dai bordi netti, poi si entra a sinistra in un diedro verticale, da cui si esce con una sequenza faticosa (blocco instabile) alla base del tiro di artificiale, sosta CT (35 m, 5b con uscita di 6a).
L6: si va a destra a prendere un diedro liscio con chiodi e cordone, che si supera (A1/A0), quindi si segue un diedrino di 3-4 m a destra fin sotto una fessura molto chiodata, che si deve seguire (VII o A0). Sostare verso sinistra alla base di un netto diedro fessurato, sosta CT (35 m).
Seconda parte: via del Filo a Piombo
L7: si supera il diedro di 8 m con un’elegante spaccata (6°), raggiungendo un paio di chiodi, i quali non si rinviano. A questo punto la classica Mellano-Perego-Cavalieri prosegue diritta nel gran diedro, mentre per Filo a Piombo occorre traversare decisamente a destra sotto una prua gialla di licheni, fino ad oltrepassare il filo dello spigolo, in vista della fessura-camino che divide la parete dalla Torre Staccata. Dopo aver percorso delle belle lame e fessure nere, si aggira lo spigolo e si sosta su un evidente e solido spuntone proprio sotto uno spit di Agrippine (sosta da fare con fettuccia o cordone non presenti, 35 m, 6a poi 5c).
L8: tiro chiave se fatto in libera: si rinviano i primi due spit Mammut di Agrippine, allungare il secondo, e poi si prosegue con passo delicato per entrare nel centrale dei tre diedri visibili dalla sosta, il più chiodato. Tra i primi due spit c’è già un passo sul 6a, entrare nel diedro è ancora delicato, 6a+. Si prosegue nel diedro chiodato fino a rinviare il penultimo chiodo visibile: una volta raggiunto questo, tralasciare il seguente chiodo e ribaltarsi verso sinistra in direzione dell’uscita del diedro parallelo, presente a sinistra, friend 0.4. L’uscita, fisica, porta ad una comoda cengia, dove sullo spigolo si trova la sosta con spit Mammut di Agrippine. (25 m, il tiro in libera è sul 6b/6b+).
L9: a destra della sosta si prosegue grazie alla fessura a destra del diedro quasi cieco (attenzione ad un blocco) e, proseguendo atleticamente tra tettini, lame e fessure, con uscita fisica su magnifiche lame, si giunge alla sosta recente CT (6a/6a+, 20 m).
L10: tiro con il passaggio chiave: innalzarsi sopra la sosta e con cautela andare a rinviare un buon chiodo sulla sinistra. Da qui innalzarsi sullo spigolo e con passi tecnici obbligatori sul 6b procedere verso sinistra sino a raggiungere una esile scaglia con chiodo, utile microfriend. E’ presente un chiodo più in basso, era probabilmente utilizzato per fare A0 ma è inaffidabile e la roccia attorno fragile. Si prosegue quindi abbastanza lungamente sul filo (friend incastrato) e sfruttando belle fessure, anche larghe, si perviene ad un comodo terrazzino dove si sosta, nuovamente sullo spigolo su spit Mammut di Agrippine (40 m, 6b/6b+).
L11: si attacca il diedrino a destra della sosta e si raggiunge una esile fessura ancora un po’ verso destra; tramite una scaglia rovescia si supera un boulderino insidioso, si prosegue per una bella fessurina per poi piegare verso sinistra in direzione di una sosta CT più o meno all’altezza della penultima sosta di Nel Corso del Tempo, visibile sulla destra (35 m, 6a+).
L12: si procede verticalmente sullo spigolo in direzione di uno spit Mammut di Agrippine, poi non ci si dirige verso il secondo ma si piega più logicamente verso sinistra (chiodo) e ci si innalza con passi obbligati (5c) su di un muretto. Superato quest’ultimo si prosegue diagonalmente verso destra in direzione di un camino, che si supera (friend n.3), si affronta direttamente il seguente muretto a tacche sprotetto e si raggiunge l’ultima sosta di Nel Corso del Tempo (40 m, 6a).
Discesa
Veloce e comoda discesa in doppia dalla via Nel Corso del Tempo, si arriva giusto dove si sono lasciati gli zaini alla partenza della via Mellano-Perego-Cavalieri.
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