Le Alpi si sono presentate all’appuntamento con l’inizio del nuovo millennio e al proprio attivo hanno una serie di primati invidiabili: due secoli e mezzo fa qui mutò l’atteggiamento dell’uomo verso la montagna e quindi nacque l’alpinismo; le Alpi sono le montagne più esplorate, più descritte e ovviamente più visitate e fotografate al mondo; milioni di persone ne fanno annualmente la loro meta di viaggio e altri milioni di persone fondano la loro attività lavorativa su quelle che potremmo definire vere e proprie migrazioni turistiche.
Ne conseguono molti vantaggi per la popolazione ma anche, ed è evidente, alcuni primati negativi: perché alcune zone alpine sono particolarmente esposte al rischio ambientale di una gestione scorretta e di una cattiva frequentazione.
Ma se si osserva attentamente su una mappa a larga scala si nota, in confronto ai punti critici, quanto più ampia sia la superficie dove la Natura è del tutto padrona, dove è ancora facile viaggiare alla ricerca della purezza di piccole e grandi cose alpine.
Queste zone sono disposte a macchia di leopardo e non è così difficile individuarle: basta dare uno sguardo alla carta geografica alla caccia di nomi che mai si sono sentiti pronunciare… Se si scorre la Svizzera, si nota un affollamento di questo genere di territori, a cominciare dalla poco nota Val Ferret svizzera, ai piedi del Monte Bianco.
Il versante svizzero del Monte Bianco ha confine meridionale nel Mont Dolent, vero pilastro angolare dell’intero gruppo perché è l’unica vetta che, sovrastando il Col Ferret, fa da spartiacque alle tre nazioni, così simbolica da essere stata meta qualche anno fa di una manifestazione internazionale dell’associazione ambientalista Mountain Wilderness che si batte da anni per l’istituzione del Parco Internazionale del Monte Bianco. Svolgendosi verso nord il versante continua con le grandi colate glaciali dell’A Neuve, de Saleina, d’Orny e du Trient che fanno capo al Mont Dolent, alla Tête Noire, all’Aiguille d’Argentière, all’Aiguille du Chardonnet e all’Aiguille du Tour. Tutta questa gigantesca bastionata domina la Val Ferret svizzera e la Val Champex, fino ad addolcirsi e morire al Col de Balme
La faccia discreta del Monte Bianco riserva agli alpinisti italiani delle grandi sorprese. Discreta perché non troppo conosciuta e non troppo propagandata. Tutti conoscono il Rifugio Torino del versante italiano o l’Aiguille du Midi del versante francese. Funivie, sci estivo, traversata della Mer de Glace e l’innegabile grandiosità dei luoghi hanno indubbiamente tenuto in ombra altre zone dello stesso massiccio, ugualmente belle e selvagge. Qui, a Champex, a Orsières, a La Fouly si pratica ancora un turismo non proprio all’antica ma certo con le sue caratteristiche di voluto isolamento. Non ci sono rifugi al limite del collasso, stracolmi di gente a caccia di una cuccetta che un custode un po’ esasperato gli assegna con malagrazia. Qui tutti possono godere della montagna, con i sentieri, con i pochi impianti di risalita, gli angoli tranquilli, il silenzio. Chi vuole salire più in alto lo può fare, superando la maggior parte del dislivello a piedi però, come si faceva un tempo e non come succede sui versanti italiano e francese dove gli impianti ti scaraventano tra i 3500 e i 3800 metri in pochi minuti. E trova un rifugio a dimensione familiare, gestito da Thierry Amaudruz e da sua moglie Fatima, algerina. La mancanza di particolare affollamento favorisce la buona organizzazione e la dimensione amichevole dell’esperienza cui andiamo incontro. L’ospitalità della Cabane du Trient è famosa e ben si accompagna alla collocazione del rifugio, aperta, dominante e non angusta e soverchiata da «Quattromila» incombenti. L’alpinismo che si pratica qui è quello classico, molto tradizionalmente legato al rispetto per l’alta montagna e meno portato alla performance sportiva. Come diceva Tintin, l’eroe dei fumetti di Hergé, «va bene dai 7 ai 77 anni!». È di rigore una certa umiltà, altrove sempre più rara. Attenzione, non quell’umiltà triste che fa dire con vergogna la facile meta del giorno dopo, con frasi del tipo «vogliamo salire soltanto…», bensì quell’umiltà che nasce dalla gioia di fare proprio quello che si sta facendo.
La Cabane du Trient è situata sull’orlo di un enorme bacino glaciale, il Plateau du Trient, alla sommità del Glacier d’Orny e del Glacier du Trient. Questa levigata conca si estende pressoché in piano e priva di crepacci, costeggiata da vette magari aguzze come le Aiguilles Dorées ma mai predominanti sulla vasta piana ghiacciata, così da costituire un ambiente che assomiglia, fatte le debite proporzioni, ad un piccolo Antartide. Non sono molti i bacini glaciali che ricordino questo lontano continente: solo la Plaine Morte al Wildstrubel, il Glacier de Tsanfleuron ai Diablerets, il complesso Hüfifirn e Claridenfirn al gruppo Tödi-Clariden e forse pochi altri possono essere messi in paragone. Non si vuol qui prendere in considerazione la quantità di superficie: per questa, altri ghiacciai risultano (e in gran numero) ben superiori al Plateau du Trient. Qui si valuta solo il bacino sospeso in alto, senza apparente via di uscita del ghiaccio verso il basso, come un gigante addormentato e del tutto immobile.
Gli sfoghi del Plateau du Trient, sono due: a est il Glacier d’Orny, a nord il Glacier du Trient. Quest’ultimo ha una caratteristica particolare, quasi un pericolo per chi visita la valle sottostante. Più o meno all’altezza del Col des Ecandies 2796 m, il ghiacciaio forma al suo interno delle cavità che subito si riempiono d’acqua di fusione. A metà estate, tra luglio e agosto, queste tasche si svuotano regolarmente provocando delle piccole alluvioni di acqua, fango e detriti morenici che si riversano giù per il fianco destro della lingua glaciale. Quando questo materiale si unisce, spesso con notevole violenza, alle acque di deflusso normale del ghiacciaio, il livello del torrente Trient cresce paurosamente. Chi in quel momento dovesse sostare nei pressi del corso d’acqua, nella grande piana del villaggio di Trient o al di sopra, rischierebbe di essere trascinato nell’improvvisa piena. Memorabile fu il primo pomeriggio del 17 luglio 1977, quando una intera famigliola di villeggianti riuscì a stento a salvarsi con una fuga precipitosa: per un pelo non furono travolti dalla fiumana di fango. Ma lo svuotamento più violento a memoria d’uomo avvenne il 6 agosto 1960, quando per 48 ore il contenuto di una «tasca» particolarmente capace continuò a riversarsi nel Trient, provocando ingenti danni alla colture e alle cose della valle sottostante.
Anche la storia alpinistica di questi luoghi è abbastanza dimenticata: poche grandi imprese, molte salite di piacere. Questo è stato a lungo il regno di una generazione di guide, i Crettex. Maurice era dotato di una forza erculea, mentre a suo cugino Onésime piaceva molto scherzare. Un giorno stava raggiungendo al rifugio dei clienti di Neuchâtel, quando si accorse che uno di loro aveva un ombrello nello zaino. All’alba del giorno dopo lo prese e lo piantò, ben aperto, su un torrione di roccia vicino. Il proprietario cercò il suo ombrello a lungo, c’era fretta bisognava partire per l’ascensione. Alla fine Onésime Crettex, serissimo, gli fece notare che su quel torrione durante la notte era cresciuto uno strano fungo scuro… Un altro buffo aneddoto riguarda Nestor, il figlio di Maurice, allorché si trovò a superare una pericolosa lastra di vetrato, senza poterla evitare né a destra né a sinistra. Con gli scarponi era impensabile, con i ramponi non si poteva a causa dello strato troppo sottile di ghiaccio: così Nestor si tolse gli scarponi e salì con i soli calzettoni, cercando di far presto prima che si bagnassero completamente e perdessero quella poca aderenza…
postato il 27 agosto 2014
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Il posto è stupendo ed effettivamente in estate frequentato molto meno ed in maniera meno “urbanizzante” delle mete turistiche servite da impianti d’alta quota, poi però c’è la primavera, c’è la Haute Route Chamonix -Zermatt, c’è una fiumana di gente che si riversa dalla Fenêtre de Saleina, c’è chi rispetta l’ìambiente e chi invece lancia sul ghiacciaio la bottiglia di PET vuota perché portarla in giro “Pesa troppo!” (mi è capitato proprio così…) c’è ai rifugi una folla schiamazzante stile Pub di fondovalle, spesso poco educata (della serie: “Pago e c…o!”) ecc. ecc. …
Ci sono ancora come dici “macchie” poco note, poco servite da strutture ricettive, le quali riescono ancora a far godere una montagna “più montagna e meno città”, ma personalmente ho avuto modo di trovarle bel al di fuori dei circuiti di massa, dei quali il Trient non è del tutto indenne…