Gli sport outdoor, una risorsa turistica: farne un’opportunità e non un problema
di Angelo Seneci guida alpina, Direttore Rock Master e consulente esperto in Turismo Outdoor
Il presente post è tratto dalla relazione che Angelo Seneci fece a Lecco, il 14 dicembre 2013, in occasione del convegno L’Arrampicata sportiva, un’opportunità per il territorio.
Prima di tutto vogliamo inquadrare l’outdoor in generale perché ritengo che l’arrampicata sia un tassello di quest’ultimo. Un tassello che a volte può svolgere il ruolo di “Cavallo di Troia” per entrare con dinamiche importanti in certi ambienti e può essere un mezzo capace di dare grande visibilità. I numeri dell’outdoor sono però molto più ampi e importanti della semplice arrampicata e questo lo vedremo insieme in seguito.
Noi siamo partiti nei nostri territori molto tempo fa (dal 1987) e ovviamente l’arrampicata di allora non corrisponde all’arrampicata di adesso. Allora era difficile vederne la crescita e all’inizio abbiamo fatto anche degli errori, forse è meglio chiamarli “tappe nell’evoluzione”. Col senno di poi avremmo detto: “Bisognava fare così”, ma i nostri errori di allora potrebbero essere utili per chi deve compiere un percorso simile oggi e offrire soluzioni migliori a certe problematiche.
Che cos’è lo sport outdoor? Per capirlo basta semplicemente affacciarsi alla finestra di questa sala, guardare il lago e le montagne che sono sullo sfondo. Per sport outdoor consideriamo tutte quelle attività o discipline sportive che hanno come terreno comune di azione la natura: dall’acqua alla roccia, dalla terra all’aria. Tutte queste attività hanno la caratteristica di essere sport che si praticano nella natura e quindi con delle problematiche comuni.
Prima caratteristica è quella di svolgersi in un ambiente non strutturato per accogliere grandi numeri e che bisogna impostare in modo essenziale tenendo conto della fragilità e delle problematicità di questi ambienti.
Biker nei pressi del Lago di Garda. Foto: Leo Himsl/K3
Possono poi nascere esigenze contrastanti, tipo il conflitto che è nato in questi anni tra escursionisti e biker. È un problema serio. Noi abbiamo fatto anche dei tavoli provinciali per tentare di risolverlo ed è un problema che è comune in tutta Europa.
I primi passi dello sport outdoor si muovono negli anni ’80/90 del Novecento, nello stesso periodo in cui si affermano gli “sport estremi” che godono in questi due primi decenni di grande visibilità dovuta alla loro spettacolarità, anche se sono attività confinate a settori limitati della popolazione, spesso marginali e che avevano, in quel periodo, scarso interesse sotto il profilo economico.
Si trattava di attività che allora non davano l’idea di un mondo su cui investire, ma chi ha cominciato a investire a quel tempo (come ad esempio gli Amministratori di Arco) oggi ne trae i maggiori frutti. Allora non era facile intuire cosa stava per succedere, ma adesso la storia è cambiata.
Dalla fine degli anni Novanta e con gli anni Duemila c’è stata una profonda mutazione. Lo sport outdoor è passato da gruppi limitati al coinvolgimento di grandi strati di popolazione. Nell’universo outdoor sono rappresentate tutte le fasce d’età e ceti economico-sociali differenti tra loro. Si va dai giovanissimi alle famiglie, fino alla terza età. Sono coinvolti praticanti di ogni livello sociale. Diviene così una risorsa economica non marginale per territori che hanno un patrimonio ambientale da valorizzare e proporre. Una cosa interessante è che anche in questi anni di crisi quei territori che a suo tempo hanno investito vedono un movimento che si consolida con continui trend in crescita: un turismo di prossimità capace di soddisfare il bisogno di movimento e natura diventa un’appetibile e praticabile alternativa sulla porta di casa. Il successo del Garda Trentino lo dimostra. Il “vivere diverso”, il” muoversi” è diventato nel mondo una necessità così come per tanta parte della nostra popolazione senza dover per forza fare viaggi esotici o lontani.
Vediamo a grandi linee i dati sui praticanti in Europa
Cerchiamo di capire effettivamente cosa vale a livello europeo il turismo dello sport outdoor.
Sono dati su cui non esistono numeri certificati perchè sono sport che, per loro natura, si svolgono fuori da stadi e da terreni per lo più a pagamento, quindi difficili da quantificare, anche se possono essere fatte delle stime.
L’unico dato che abbiamo certificato e acclarato è quanto valeva nel 2012 il mercato dell’attrezzo e dell’abbigliamento riferito allo sport outdoor a livello europeo.
Questo era 14 miliardi di euro. Il mercato più importante è la Germania col 24%. Seguono il Regno Unito con il 14%, la Francia con il 13%, Italia – Austria – Svizzera con un 6% ciascuno. In totale si calcola che i paesi dell’arco alpino influiscano su questo valore per il 55% del totale. I paesi del nord dell’Europa occupano un 15/16% e sono in crescita i paesi dell’Est Europa (Polonia e Repubblica Ceca).
Mettendo in relazione questi dati con le stime sui praticanti dei singoli paesi possiamo valutare in circa 80/100 milioni i praticanti di sport outdoor in Europa così ripartiti: 25 milioni in Germania; 15 milioni in Francia; 6 milioni in Italia; 6 milioni in Svizzera; 6 milioni in Austria, per un totale di 55 milioni di praticanti nei paesi dell’arco alpino.
A riguardo delle motivazioni si tenga presente che i praticanti propensi al viaggio hanno nello sport la motivazione della loro vacanza nell’80% dei casi.
Se quindi lo valutiamo come potenzialità turistica, arriviamo a definire il potenziale bacino di turisti outdoor per l’Europa superiore ai sessanta milioni e in quaranta milioni per l’arco alpino. Sono numeri pesanti, perché è gente motivata e che si fidelizza facilmente su un territorio.
Quanto vale l’arrampicata? Circa il 3% del mercato outdoor complessivo. È un dato un po’ forzato che però è interfacciato con quello che abbiamo più o meno sui singoli paesi, di percezione, che fa tornare abbastanza il senso dei dati.
Trasformato in praticanti: Germania 700.000; Francia 400.000; Italia 200.000; Austria 200.000; Svizzera 200.000.
Diciamo anche che spesso viene percepito come arrampicatore solo chi va tutte le settimane ad arrampicare, ha un livello di preparazione sul 6b (sto un po’ esagerando) e conosce tutta la vita di Adam Ondra. Ma io dico: “Uno sciatore va tutti i giorni a sciare? Uno che una volta all’anno fa una settimana bianca è uno sciatore, cioè rappresenta per noi un riferimento, oppure no?”. Quindi i numeri che abbiamo dato sono conservativi per questi motivi. C’è tra l’altro un mondo nuovo che è esploso negli ultimi sette, otto anni ed è quello delle sale indoor di arrampicata in tutta Europa.
Alcuni esempi: Neu Thalkirchen a Monaco di Baviera conosce 270.000 entrate/anno. Gaswerk a Zurigo 250.000 ingressi/anno. Tradotto, significano almeno 15.000 persone singole. A Monaco ci sono sette sale del genere per un numero stimato di 40.000 persone frequentanti. L’Italia non è da meno anche se la storia è più recente (tre, quattro anni) ed è un mondo che vale 40/50mila ingressi con realtà molto più piccole come bacino di utenza rispetto ad esempio a Monaco di Baviera.
In tutto questo mondo non tanti vanno in falesia: è una realtà che dobbiamo andare a scoprire per proporre cos’è la vacanza in falesia.
Un altro dato interessante viene dai numeri della FASI. Il trend di crescita confermato dall’andamento degli affiliati alla Federazione di Arrampicata Sportiva Italiana è nell’ordine dei +400% negli ultimi dieci anni. Sono dati importanti anche in riferimento alla crescita dell’arrampicata in Italia che è stata un’evoluzione non solo quantitativa, ma anche qualitativa.
Tra l’altro tutte le età sono rappresentate in modo importante.
Età dei praticanti (da interviste che abbiamo fatto nel Garda Trentino): fino a venti anni, 5%; 21/30 anni, 25%; 31/40 anni, 39%; 41/50 anni, 20,5%; oltre i 50 anni, 10,5%.
Quindi una grossa componente va dai trenta ai cinquant’anni, e tra l’altro sono persone con buona capacità di spesa e che magari vengono anche con la famiglia.
Un numero interessante, che qui è basso perché è stato fatto soprattutto sull’arrampicata, è quello dei praticanti oltre i cinquanta. Se andiamo a prendere, ad esempio, la statistica sui soci del Deutscher Alpenverein in Germania ci accorgiamo che questa fascia di età è molto più rappresentata tenendo presente anche che in Germania i soci DAV sono molto attivi (nelle nostre associazioni ci sono soci attivi, ma anche molti soci “storici”).
Soci DAV – distribuzione per età: Fino a diciotto anni: 16%; 19/25 anni: 7%; 26/40 anni: 20%, 41/60 anni: 38%, oltre i sessanta anni: 19%.
Notiamo una percentuale elevata di soci con età superiore ai quaranta anni (con capacità e disponibilità di spesa) ed un buon numero di soci in età di pensione con tempo e risorse da impiegare. Quindi famiglie e “Best Age” sono i nuovi target su cui investire nello sport outdoor. “Best Age”, “Gold Age”, chiamiamola come vogliamo, ha disponibilità economica e tempo: mentre la prima fascia ha disponibilità economica e meno tempo, quella degli over sessanta ha tanto tempo a disposizione ed è un mondo ancora tutto da scoprire. Nessuno ha ancora investito sull’outdoor nei termini della terza età.
Arrampicata nella zona di Torbole. Foto: Leo Himsl/K3
Sto seguendo un progetto del genere in Liguria e sono rimasto esterrefatto dal fatto che la stessa, che ha un terreno noto per l’outdoor, ad esempio col Finalese, ha visto un crollo verticale delle presenze.
Quando ero un ragazzo ricordo che la Liguria era un luogo privilegiato dove andavano a svernare i pensionati del Nord Italia e del Nord Europa. Non ci vanno più… quando in realtà c’è tutto un mondo nuovo da intercettare, a esempio in Germania.
Ho appena visto ad Arco un pullman di cinquanta persone, tutti pensionati tedeschi, che sono scesi coi loro bastoncini da trekking e sono andati a farsi la passeggiata. In questa fascia stagionale la nostra amministrazione sta giocando tantissimo; tutto è comunque da scoprire anche per noi perché non ci abbiamo investito così tanto. Comunque è una questione del tutto aperta.
Anche la componente femminile è in continua crescita e rappresenta il 35% dei fruitori dell’outdoor.
La capacità di spesa media giornaliera del turista outdoor dimostra anche una cifra interessante che si aggira sugli 80/100 euro.
Una statistica più dettagliata (2011) ci dice: spesa media giornaliera da 10 a 50 euro: 57%; spesa media giornaliera da 50 a 100 euro: 32%; spesa media giornaliera da 100 a 150 euro: 8%; oltre i 150 euro: 3%.
Interessante anche come si “muove” il turista outdoor. Oltre il 60% lo fa con amici; circa il 30% con la famiglia e da solo si muove circa il 5%.
L’alloggio tipo vede un preponderante uso del campeggio (55%) contro un 25,5% in albergo, 4,5% in agriturismo, 7% in appartamento o casa in affitto, 8% in casa di proprietà. Si vede un trend in crescita delle strutture di piccole dimensioni, tarato su questo tipo di clientela dinamica, con strutture e servizi dedicati.
L’indice di fidelizzazione ci dice che oltre il 60% torna sullo stesso territorio più volte all’anno, quindi facciamo un investimento che crea nel tempo una crescita continua.
Altro dato interessante è che questo è un pubblico estremamente sensibile a tutti gli aspetti che contemplino soluzioni volte alla salvaguardia dell’ambiente (ad esempio disponibilità a camminare per accedere alle falesie o disponibilità ad usare parcheggi di testata: 75% degli intervistati). Questo denota che è disponibile ad assumersi delle “fatiche” in questo senso (aspetto interessante per far nascere nuove imprenditorialità).
Ci troviamo quindi ormai in presenza non più solo di utenti esperti, ma di un pubblico che pratica l’outdoor con spirito ricreativo e non totalizzante, spesso caratterizzato da neofiti. È un pubblico che cerca strutture e servizi per praticare lo sport in sicurezza, piacevolmente, massimizzando il tempo delle vacanze, moltiplicando le esperienze, in un contesto accogliente; in quest’ottica il “dopo sport” ha un grande valore. In realtà territoriali come la nostra o come la vostra, avere un centro urbano con servizi, anche ricreativi, vicino ai punti di pratica dà un valore aggiunto notevole.
Questo quanto è successo ad Arco. Il centro storico di Arco parla di arrampicata: vai al bar e trovi le foto degli arrampicatori, oppure sugli schermi interni passano le immagini dei bikers, del canyoning o del volo libero. Da noi tutti si “vestono da outdoor“. Questo è sintomo di una percezione di un fatto culturale, di stare bene con queste persone che tra l’altro hanno vivacizzato la storia di Arco. La vita è passata dal “bianco e nero” degli anni settanta al “colore” di oggi (metafora usata durante un’intervista per una TV tedesca sul turismo ad Arco…).
Per andare ad intercettare e fidelizzare questo pubblico non è più sufficiente promuovere le valenze naturali della destinazione, ma diventa necessario offrire esperienze diversificate e prima ancora costruire ed organizzare gli spazi di queste esperienze, creando il contesto dove tutte queste attività sono integrate con l’enogastronomico e con la cultura.
Per esempio negozi di prodotti tipici locali e di prodotti a chilometro zero. Anche questo va pensato in un progetto integrato al fine di: 1) riuscire a proporre un prodotto spendibile anche in modo interessante; 2) creare un turismo outdoor sostenibile.
Attività sportive che hanno nell’ambiente naturale il loro terreno di gioco non possono non mettere la sostenibilità al primo posto. È evidente però il rapporto dialettico e non semplice, dove i problemi crescono al crescere dei numeri: fare dell’outdoor una risorsa turistica ci obbliga ‘in primis’ a individuare modi, mezzi, regole per contenere l’impatto sull’ambiente.
Se questi temi non vengono gestiti bene, ci si scontra con chi abita lì da sempre e vede nel turista outdoor qualcuno che non porta ricadute e che dà solo fastidio. Meglio farlo subito. Da noi questo aspetto si è strutturato “da solo” e oggi ci tocca un po’ metterci mano magari con qualche difficoltà in più di mediazione. Bisogna pensare alle regole, pensare a modi.
L’esperienza che ha vissuto Arco, in quasi trent’anni, ha attraversato tutte queste tappe: prima l’arrampicata con l’attrezzatura delle strutture, poi i percorsi per bike che erano stati segnalati e infine il rendersi conto di aver pensato tante belle cose senza prevedere i problemi legati alla manutenzione o alla gestione delle strutture realizzate. Chi viene dopo di noi potrà far tesoro della nostra esperienza.
Negli anni ’90 gli interventi si limitano alla valorizzazione di quanto scoperto e già attrezzato dagli appassionati: falesie, itinerari MTB… Questo sicuramente corrisponde alle esigenze di una fase iniziale e alla tipologia dei praticanti, ma velocemente mostra i suoi limiti sia verso l’ambiente naturale e antropico che verso lo stesso sviluppo dello sport. Infatti la mancata pianificazione e progettazione dello sviluppo ha effetti negativi sia interni che esterni. Nel predisporre progetti nuovi bisogna immaginare da subito chi saranno i gestori, chi saranno gli attori.
Gli effetti negativi interni sono stati:
1) Sbilanciamento dell’offerta verso i livelli medio alti della pratica dell’arrampicata (80% degli itinerari di difficoltà medioalta, contro una realtà di un 80% di praticanti sotto il 6b) e tracciati MTB estremamente tecnici e ripidi, con rischio di non intercettare la maggioranza dei praticanti.
2) Assenza di un servizio di monitoraggio continuo e di periodica manutenzione, con rischio di deterioramento accelerato delle opere: sentieri, attrezzature in parete, segnaletica, problemi di sicurezza e di degrado.
Gli effetti negativi esterni sono stati:
Non aver determinato delle regole ha lasciato proliferare l’uso selvaggio del territorio: parcheggi, viabilità, rifiuti, con l’instaurarsi di conflitti con la popolazione e anche tra diversi gruppi di praticanti.
La risposta
Con gli anni Duemila s’inizia a riflettere su come gestire questo patrimonio (oggi la gestione è a metà tra il professionismo e l’associazionismo con partecipazione degli Enti, ma anche sempre più dei privati che guadagnano e investono in modo equilibrato).
Nel 2008 nasce il progetto “Outdoor Park Garda Trentino”, un piano di sviluppo territoriale con centro sullo sport outdoor. Il progetto è ripreso dalla Comunità di Valle nel Piano Urbanistico Territoriale e vengono coinvolte le sei amministrazioni comunali del Garda Trentino sotto la regia di Ingarda APT e la partnership della Provincia di Trento.
Nasce un piano pluriennale che prevede le seguenti azioni:
1) Individuazione e catasto dei siti esistenti e potenziali, valutazione delle loro potenzialità rispetto ai target di riferimento (es. famiglie, principianti, disabili…);
2) Individuazione delle criticità: gestione servizi igienici, gestione rifiuti, parcheggi e mobilità;
3) Interventi di valorizzazione (attrezzatura falesie, tabellazione sentieri, realizzazione bikepark…), ma anche realizzazione e organizzazione delle strutture accessorie: toilette, parcheggi di testata, mobilità alternativa, centri servizi;
4) Implementazione di un servizio continuo di manutenzione (falesie, rete mtb) con specifici protocolli;
5) Costruzione di modelli gestionali (rete mtb).
Si passa quindi dagli interventi tampone alla pianificazione dello spazio outdoor, con un progetto di sviluppo che affronti in modo integrato lo sviluppo di tutte le attività outdoor in funzione dell’ampliamento dell’offerta verso un pubblico multisport.
Ancora due considerazioni interessanti da proporvi:
1) Il discorso della gestione integrata di tutte le attività sportive, prima di tutto per l’offerta al pubblico di un prodotto completo, ma anche per raggiungere delle economie di scala interessanti dove possano nascere delle attività. A esempio, la gestione delle toilette e dei parcheggi. Se individuo i punti strategici dove la collocazione e l’uso sono più funzionali e dove i servizi possono essere facilmente usati da tutti, creo una struttura fruibile in modo intelligente. Vanno quindi pianificate da subito le forme di gestione e manutenzione, individuando i soggetti deputati e le forme di finanziamento.
2) Il polo attrattore è un altro punto fondamentale. I praticanti alla sera vogliono ritrovarsi, ad Arco (per es. i bikers fanno anche tanta vita nel paese). Vanno quindi individuati i poli attrattori su cui costruire la rete delle infrastrutture. L’obiettivo non è solo di creare una massa critica di visitatori che possa stimolare la crescita di nuova imprenditoria, ma anche un riferimento forte da spendere nella promozione.
Bisogna individuare strutture territoriali, associazioni, imprenditori che possano prendere in mano lo sviluppo diventandone i motori. Solo la passione di queste persone potrà essere il vero volano.
Un ultimo aspetto: la formazione degli operatori a questa nuova recettività. Questo è un altro passo molto importante soprattutto in riferimento al rapporto.
Chi gestisce l’attività recettiva deve essere aperto ai turisti e se gli chiedono dove sono le falesie devono saperlo spiegare con precisione, sapendo anche preparare la colazione. Non ci deve essere solo l’operatore ma, un po’ alla volta, bisogna che tutto il paese “mastichi” questa nuova modalità di ospitare facendo crescere anche nella popolazione, non direttamente coinvolta, la “simpatia” e la passione per queste attività sportive (elemento importante per i nostri ospiti: “sentirsi” a casa). Quindi servono operatori poco formali e che rispondano alle esigenze (servizi e strutture dedicate nelle unità recettive, conoscenza delle attività, parteggiare la passione…).
Noi ci abbiamo messo vent’anni, perché c’è stata un’evoluzione (utilizzo del web e dei social, promozione diretta). Chi arriva adesso può usufruire di momenti di formazione allargata basati su esperienze precedenti.
Angelo Seneci
postato il 13 maggio 2014
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A prescindere da quanto dice Seneci e dall’esperienza di Arco, ho come la sensazione che a molti (che non ci vivono) della montagna piaccia in realtà la decadenza…
Luca… sei troppo distante dal denaro e dalla valorizzazione turistica! ed è per questo che piaci e qui sta la tua forza! Altrimenti non ti saresti messo a creare il libro del Mass (ad esempio)!
Per fortuna che la provincia di Belluno non è a statuto speciale. E speriamo che rimanga così per sempre!
E bravo l’imprenditore.
L’ho letto tutto e mi sento estraneo, vivo davvero altrove. Penso alla stessa creatività (o ingordigia?) turistico-imprenditoriale che ha portato per esempio sul Castellazz vicino al Passo Rolle, con la trovata del ” Trekking del Cristo Pensante”, mille persone al giorno quando prima ne saliva una alla settimana. Arco non mi ha mai attratto, proprio perché mi sa che lì tutto sia funzionale e predisposto. Penso anche a un luogo che invece, ogniqualvolta lo visito, mi trasmette serenità e mistero, libertà e grandiosità, quella semplice natura alpina cioè che piace a me: Col di Prà, in provincia di Belluno (quassù sono anche scorbutici e non lusingano il turista con finti sorrisi, ma ti lasciano parcheggiare senza pagare…). Come sarebbe messo adesso (funivie, altri impianti, alberghi e rifugetti vari, cento altre trappole) se appartenesse a un comune del Trentino? Boh, facciano pure altri soldi con l’outdoor sportivo, ma l’anima se ne è oramai andata.