Gole, forre, anfratti e canyon
Per quanto riguarda l’Italia, l’area della Gola di Frasassi e della Gola della Rossa, nelle Marche, era già conosciuta a livello locale dal 1932, perché offre pareti rocciose di grande interesse. Ma su di essa non si era mai concentrato un interesse più generale. Lo stesso successe ad altri siti noti e meno noti.
Fu Édouard-Alfred Martel, l’inventore della speleologia moderna, ad attraversare per primo un grande canyon, con la sua spedizione dall’11 al 14 agosto 1905. Dal punto iniziale, il Couloir Samson, Martel e i suoi superarono, con l’uso di tre canotti, continue difficoltà che a volte sembrarono loro insormontabili, fino al cosiddetto Imbut e fino alla fine, scoprendo meraviglie naturali di immenso valore che nessuno aveva mai avuto modo neppure di immaginare. Le Gorges du Verdon avevano incominciato a esistere nell’immaginario dell’esplorazione.
Dovevano però passare ancora parecchi anni prima che esistessero anche nella mente degli arrampicatori.
Fino alla fine degli anni ‘60 infatti le gole del Verdon erano conosciute solo ai turisti che ne percorrevano le aeree cornici e da qualche appassionato di kayak che scendeva le difficilissime acque del torrente. I primi scalatori che timidamente si affacciarono a quello che per loro sarebbe diventato un paradiso terrestre furono marsigliesi: tra questi spiccava la figura di François Guillot, sì, proprio quello che con Gary Hemming e René Desmaison più si distinse nel famoso salvataggio del Petit Dru del 1966.
All’inizio frequentarono una piccola falesia (200 m di altezza) non lontana da Moustiers-Sainte-Marie, la Falaise de Saint-Morin, oggi un po’ trascurata. È un luogo idilliaco, sulla riva sinistra, con un prato meraviglioso sempre verde. A parte quella paretina, nessun’altra grande parete era stata ancora esplorata. La prima grandiosa muraglia ad essere vinta fu la Paroi du Duc, praticamente sopra il Couloir Samson, all’inizio delle gole. Alta circa 350 m, la Voie des Enragés fu salita da Patrick Cordier, Patrice Bodin, Lothar Mauch e Patrice Richard, dal 16 al 24 agosto 1968, ma in seguito fu ripresa raramente, perché impressionante, all’ombra tutto l’anno e difficilissima. Il canyon doveva diventare importante per le sue pareti esposte a sud, non per le muraglie repulsive che tanto in comune avevano con l’alpinismo vero e proprio. Si era ai tempi di quello che in Italia fu chiamato Nuovo Mattino, una piccola rivoluzione culturale in ambito alpinistico che portò alla rivalutazione delle scalate solari che privilegiavano l’arrampicata libera e sobria nei mezzi artificiali, il free climbing, insomma. Negli anni Ottanta, le Gorges du Verdon sono diventate un centro di arrampicata internazionale: non c’era un arrampicatore di nome che non fosse stato, almeno una volta, in visita quasi “religiosa” a quel santuario.
Ci furono episodi che fecero storia, come quando Jacques Perrier, detto Pschitt, colui che aveva spezzato le tradizioni e aveva aperto dall’alto la mitica Pichenibule, vide dal ciglio del canyon un giovane e sconosciuto italiano mentre questi saliva Mangoustine Scatophage, allora la più difficile placca del Verdon, con la massima facilità: “sembrava passeggiasse”, fu il suo commento. Il nome di quel giovane era Manolo, che da quel momento diventò un mito, in Francia come altrove.
Con la definitiva consacrazione del Verdon, che ebbe quindi il posto che meritava nell’Olimpo delle grandi mete arrampicatorie (la California provenzale), venne ad essere creata una specialità, quella dell’arrampicata in gole, anfratti, forre e canyon, che si affiancò alle falesie e alle grandi scogliere sul mare anche se non divenne mai una “disciplina” in quanto non si differenziava dalle altre per tecniche di salita particolari. Non volendo considerare location d’oltre-atlantico come il Grand Canyon del Colorado, al Verdon, la “madre di tutte le gole”, seguirono rapidamente altri luoghi fantastici.
Mi vengono in mente le Gole di Gondo in alta valle d’Ossola (il regno di Alberto Paleari, Roberto Pe, Mauro Rossi ed altri), ma soprattutto l’ancora più spettacolare Su Gorroppu in Sardegna, la grande scoperta di Marco Bernardi, Andrea Gobetti e Claudio Persico. Ancora nelle Marche, nel 1987 balzò alla ribalta la Gola del Furlo, quando Lino Liuti scalò lo spigolo della Pala rocciosa sopra la diga dell’Enel.
Abbiamo poi esportato l’idea nelle Gorges du Todra in Marocco, ed anche mutuato con altra disciplina, vedi le Gole di Sottoguda, l’esempio più significativo di una straordinaria serie di cascate di ghiaccio, una accanto all’altra.
Io stesso ho dato il mio contributo alla scoperta e alla prima esplorazione di alcune di queste realtà “infossate”: ricordo le gole del Cassìbile e di Pantàlica in Sicilia, le “gravine”, come quella di Laterza, in Puglia, ma anche gli orridi precipizi del Barile e del Raganello in Calabria, dove tanta storia dev’essere ancora scritta.
La Gola del Limarò è l’ultima nata: per ironia della sorte è estremamente vicina a una delle aree più frequentate dagli arrampicatori, quella di Arco e Valle del Sarca. Con le sue pareti superbe che s’insinuano con dislivelli verdoniani dentro e verso le propaggini del gruppo del Brenta, è un mondo a sé. L’aveva notata anche Antonio Stoppani che la descrisse nel suo Il Bel Paese.
Eppure era stato niente meno che Cesare Maestri a scoprirla con occhio alpinistico: un gigantesco diedro rivolto a sud-ovest, gli risultò irresistibile. A Maestri non sfuggì di certo che, come lui stesso transitando sui tornanti che collegano Sarche a Tione, Pinzolo e Madonna di Campiglio aveva notato quella sfida naturale così provocatoria, così anche le migliaia di turisti avrebbero potuto godere dello spettacolo di una cordata impegnata in una via estrema e per di più non guardando dal basso ma praticamente di fronte e a poche centinaia di metri, come a teatro.
Poi il silenzio quasi totale fino al 2-3 aprile 1988, quando i giovani Danny Zampiccoli e Giampaolo il Trota Calzà ci mettono il naso: riescono ad aprire un itinerario grandioso di quasi 400 m, 12 lunghezze di corda con difficoltà dal V e VI al VI+ e A2, invisibile se non da quella che oggi è la ciclabile del Limarò. È la via dedicata a Michele Nogler, in ambiente veramente impressionante nel chiuso di una gola selvaggia.
Ma l’ignoranza di questi luoghi prosegue ancora per circa una ventina d’anni: il motivo sta soprattutto nel fatto che la Gola del Limarò non è trattata in alcuna guida della Valle della Sarca, pur essendo formata dallo stesso fiume…
Ovvio che oggi ci sia molto spazio per ciò che deve essere ancora fatto. Lo sa bene Francesco Salvaterra.
Intagliate tra altipiani di fitte foreste o brulle colline, o al fondo di valli create dal lavorio dei torrenti, tutte le gole rocciose sono una meraviglia della natura.
La loro grandiosità è fatta di elementi inconsueti, propri di una terra aspra ma allo stesso tempo dolce come può essere solo la montagna a quote non così alte. Quando per la prima volta mi decisi ad avvicinare una gola per scalarla, con la testa piena di chiacchiere fatte con gli amici e pieno di timore reverenziale, fu proprio dal Point Sublime che vidi le Gorges del Verdon, assai minacciose in un fine pomeriggio che prometteva tempesta. Nella notte, un uragano di vento e di pioggia ci avrebbe spezzato i montanti della tenda.
Una bellezza quindi che si è inserita leggermente in ritardo nel catalogo delle meraviglie. Un tempo la montagna era considerata orrida e paurosa, poi nella mente romantica divenne bella e degna di amore. Le gole sono arrivate dopo, c’è voluto più tempo per sdoganarle dal mondo delle ombre, neanche la loro essenza fosse quella delle grotte. Il canyoning, più recentemente, ha accolto anche lo scorrere violento dell’acqua nel paradiso estetico che noi uomini del XXI secolo ci siamo ritagliati.
Il numero di vie aperte nelle gole, il tasso di frequentazione di arrampicata e di torrentismo e la facilità con la quale oggi possiamo reperire sul mercato proposte di avventura d’ogni genere, hanno creato qualche problema di sovraffollamento. Non siamo ancora ai livelli di un percorso come Selvaggio Blu in Sardegna, ma occorre fare attenzione a non raggiungerli. Limitazioni all’accesso sono sporadicamente presenti soprattutto a causa del disturbo all’avifauna.
Con il fiorire dei nuovi itinerari aperti dall’alto e cui si accede dall’alto, il Verdon, cioè la gola per eccellenza, ha perso un po’ di fascino sugli arrampicatori di punta. Le vie classiche, quelle lunghe che partono dal basso, sono oggi assai trascurate e pochi amatori le affrontano, pronti ad accarezzare veramente le “gocce d’acqua” del calcare come a vivere durante la scalata i mille odori di primavera che la Provenza appiccica alla pelle sudata. L’atmosfera di mistero è tornata su quasi tutta la parete: solo nella parte in alto, vicino alle invisibili auto, qualche punto colorato si agita e arrampica in un vuoto che avrebbe dovuto risalire interamente dal basso per provare fino in fondo la sensazione d’essere fuori dal mondo.
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Regattin al #25: spiacente, non ero io.
@ 28
Caro Carlo, in realtà, angosciato dal mistero della morte e dal dolore di cui gli dèi del cielo ci deliziano su questa terra, ho un’indole taciturna, cupa, pessimista; di piú, leopardiana.
Però mi rendo anche conto di amare l’umorismo, la battuta scherzosa o pungente, l’atmosfera allegra e rilassata tra veri amici. Perché questa contraddizione?
Sospetto che le risate e l’ironia mi servano per sopportare meglio la condizione umana. E forse – chissà – dipenderà pure dalla mia natura emiliana. Mah! Vallo a sapere.
L’alpinismo, fra l’altro, mi ha insegnato ad apprezzare ancor di piú le belle cose che la vita ci concede. Ora però – da un po’ ho passato i vent’anni… – sono assalito da una nostalgia senza requie per quei giorni grandi.
Mi consolo con le vie normali, le escursioni e con la mia famiglia adorata.
Buona vita a tutti.
P.S. Guardate, ragazzi, che queste confidenze intime per me sono rarissime. Preso dal riserbo, ero tentato di cancellare tutto!
Ci voleva proprio l’implacabile “Caterpillar” per farmi aprire il cuore in pubblico a tal punto. Bravo Carlone!
Prima di tutto non è che in Italia gli unici a lavorare siete voi piemontesi.
Secondo: che tu affermi che l’allegria sia un difetto, mi sa che hai bisogno del grullaio.
massì, ho preso le misure con la tua allegria emiliana. Da noi, nell’austera, grigia e laboriosa Sabaudia, è inimmaginabile, in genere non è considerata una qualità, ma un difetto. Ma buon per te che sei allegro. Buona giornata
Carlo, avevo frainteso.
Apprezzo che tu ti presenti qui e altrove con nome e cognome: “Signori, io sono io, con nome e cognome. Potrò piacervi oppure no, ma mi mostro a voi senza celarmi dietro pseudonimi spesso ridicoli. Non ho nulla da nascondere e mi assumo la responsabilità di ciò che dico o faccio”.
P.S. Comunque, se mai un giorno anche tu dovessi optare per uno pseudonimo, la scelta è ovvia: Caterpillar!
Carlo, sto scherzando (mannaggia alle faccine sghignazzanti che non funzionano piú!).
Bertoncelli. La mia è la risposta al commento 20 in cui si insinua che sarebbe meglio per me che il mio nick, quello usato qui, fosse inventato per non danneggiare la reputazione del mio vero “io” nel mondo reale. Non solo il mio nome.cognome (in sintesi “brand”) non è inventato, ma è un brand che, nelle opportune sedi, gode della massima reputazione positive.
Scusate l’ennesimo OT (ma in questo caso è solo l’ultimo di una lunga serie), a proposito di nick, chiedo a Placido Mastronzo se per caso l’8 agosto del 2003 (ho appena controllato, non ho una memoria così precisa) era assieme a S.S. (non alle SS) e ci seguiva sulla stessa nostra via (in Sfizzera…) …
Ma che cos’è ‘sto “brand Carlo Crovella”?
Carlo, ti stai forse ferragnizzando? Tu quoque, Crovella mi?
N.B. Alessandro, se non ripristini al piú presto le faccine che sghignazzano e tutto il resto, io mi sento castrato (beninteso, in senso figurato).
Rassicuro tutti che, nelle opportune sedi, il brand Carlo Crovella gode della massima considerazione positiva.
Sul tema profili falsi/nick farlocchi (molto grave in assoluto, ma per fortuna non si questo spazio web), a chi interessa approfondire (e ha l’abbonamento al Corriere) segnalo l’intervento del mio conterraneo Aldo Cazzullo (che non è certo un pericoloso estremista nero):
https://www.corriere.it/lodicoalcorriere/index/17-01-2024/index.shtml
Caro Matteo, ti avverto: se non la pianti di scrivere corbellerie che manco Crovella nei suoi momenti peggiori, io spiattellerò a tutto il forum e all’universo mondo il tuo cognome, comprensivo di indirizzo e finanche di codice di avviamento postale. Cosí impari!
Matteo avvisato, mezzo salvato.
P.S. Adesso, visto che sei duro di comprendonio, inserirò tre faccine che strizzano l’occhio, per farti capire che sto scherzando, e altre tre che sghignazzano a crepapelle. Però ultimamente pare (dico pare) che il programma del GognaBlog per farci un dispetto non accetti piú faccine, sostituendole automaticamente con altrettanti punti interrogativi. Ecco, in tal caso sappilo.
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…e anche Palms è un nick che espone idee idee circostanziate e commenti intelligenti…
che mi frega se si chiama Palmisano o se è nativo di Palm Springs?
Tra iperboli e paranoie secondo me si è perso il senso del mio commento, che riguardava l’identità: affidata in Internet alle parole, al discorso che viene condotto, più che al nome con cui ci si firma. Placido Mastronzo in questo senso ha un’identità ben precisa, continua nel tempo del blog, definita, secondo me.Anche Carlo Crovella del resto ne ha una ben definita, anche se per proteggere la sua reputazione viene da sperare, per lui, che il suo sia nient’altro che un nom de plume ????
@ 17
Carlo, io “purtroppo” la Gruber non posso guardarla. Me lo ha proibito tassativamente il cardiologo:
“Gruber verboten! Lei, Bertoncelli, rischia le coronarie!”.
Comunque qui di gole, forre, anfratti, canyon e pertugi vari non si parla affatto.
Ve ne rendete conto? Stiamo abusando della pazienza di chi ci ospita, colui che siede “colà dove si puote”.
effettivamente non sono un tipo che sorride abitualmente. in casa mia era considerato disdicevole raccontare barzellette. Tipico torinese: “prima il dovere, poi il piacere”. ma i doveri arrivano uno dietro l’altro e non c’è mai tempo per il piacere. Il succo della vita è nelle cose serie, questo il nostro mantra. Questo è molto torinese. A Torino non troveresti un simil Berlusconi che racconta barzellette al primo venuto.
Cmq colgo al volo il tuo invito. Una facezia, anche se poggia su un fatto drammatico che però non c’entra con questo blog. l’altra sera ho assistito alla trasmissione della Gruber su La 7.
Il titolo, a caratteri cubitali: GOGNA MEDIATICA: LA DESTRA ALL’ATTACCO.
Se siamo nell’era di una generale Gogna mediatica, vi stupite che da tutto sto casino sia immune proprio il Gogna Blog???
Buon pomeriggio.
Carlo, so che sei una persona seria (lo dico senza alcuna ironia). Però a volte potresti esporre le idee lasciandoti andare un poco: un pizzico di facezie e di umorismo non compromette affatto la fondatezza delle proprie argomentazioni. Non siamo a un simposio.
In piú ti converrebbe pure: qualche pernacchia ben assestata (ma benevola!) al buon Matteo ti consentirebbe di zittirlo piú facilmente. Invece cosí c’è un continuo battibecco.
@12 Bertoncelli. Di fatti non lo faccio (=sommergervi di milioni di commenti con nick inventati), ma non per insormontabili difficoltà tecniche, che davvero ci si mette venti secondi a creare da zero un account “inventato” (che poi usi protratto nel tempo, per cui, dopo, non hai neppure più quei dieci secondi della creazione inizale) e meno di un secondo (se hai già il software installato, ovviamente…) per cambiare l’IP e il biscotto è bel che combinato. provocatoriamente vi assicuro che, una volta creati, in modo informatico, milioni di account e facendoli combaciare con i nick di volta in volta usati nei commenti e poi switchando il software (già installato) che in automatico ti cambia l’IP, ci si mette meno di mezzo secondo per spedire ogni commento con tali modalità…
Qui non lo faccio per serietà personale e così dovrebbero fare tutti, dichiarandosi. Ma chi non lo sente di suo (=l’obbligo morale di presentarsi con nome e cognome “veri”) non lo farà mai, inutile cercare di convincerlo. Quindi inutile insistere sul tema. Ciaooooooo!
Bum! Esageruma nen: forse è meglio togliere 4 o 5 zeri…
Sullo sterile (e noioso) argomento dei nickname non ho altro da aggiungere.
Trovo fantastico come si possano sparare iperboli infondate per giustificare le proprie paranoie.
Se si potesse inventare un nickname, un indirizzo IP e accreditarsi sul GognaBlog in un minuto, per farlo un milione di volte occorrerebbe 1.9 anni di tempo uomo (e senza scrivere nulla)…mi sa che l’invasione dei cloni può tornare tranquillamente nel campo che gli è proprio: la fantascienza.
“Io potrei invernarmi milioni, forse addirittura miliardi, di nick diversi […].”
Carlo, non so gli altri, ma dubito che io riuscirei a sopravvivere a milioni o miliardi di Crovella…
Darei di matto, andrei alla sede del GognaBlog facendo una strage in stile USA: chi c’è c’è.
P.S. Alessandro, trema!
@Benassi. Guarda che quella che ti stupisce è invece una prassi diffusissima e soprattutto una tentazione molto forte. Ciò avviene in quantità industriale specie sui social di larghissima diffusione (Fb, Istagram ecc). Per i motivi che ho detto: 1) dribblare il fastidio sui lettori per ripetuti interventi dello stesso commentatore; 2) dare l’impressione ai lettori che, su certi tesi, ci sia una molteplicità di pensatori che si schierano su tali posizioni.
Io potrei invernarmi milioni, forse addirittura miliardi, di nick diversi e fare lo stesso numero di interventi utilizzando a rotazione questi nick diversi e otterrei i due soprastanti obiettivi.
Non rispondetemi con obiezioni ingenue del tipo “devi mettere la mail” e/o “dall’indirizzo IP e Gogna ti può smascherare”… Tutte bazzecole aggirabili. A) Gli account mail sono creabili con estrema facilità (in più sarei un imbecille se mi firmassi Pincopallo e lasciassi la mia solita mail: ovvio che invento all’uopo un account Pincopallo e metto quello). 2) Per quanto riguarda l’indirizzo IP… sarà che io da giovine ho letto i manuali del Mossad e quindi ho una forma mentis da “intelligence”, ma ragazzi è un giochino facilissimo aggirare l’IP. In rete si trovano addirittura software che, se gratuiti, ti permettono di scegliere GRATIS degli IP un po’ farlocchi, tipo di Hong Kong o dell’Arizona… chiaro che se uno controlla, sono IP che saltano all’occhio). Se invece compri, a poche decine di euro, dei software un filo più evoluti, puoi scegliere tu l’IP e, se non sei svagato, all’occorrenza lo scegli con acume. In quel caso io posso stare sempre alla mia solita scrivania e risultare che sono collegato da Bari e, cinque minuti dopo, collegato da Trieste… Se mixo nick inventati con account inventati e IP modificati, non mi becca neppure la polizia postale.
E’ una questione di serietà individuale. Ma purtroppo (considerazione generale che va ben al di là di questo Blog), viviamo nel mondo dell’apparire e non dell’essere. L’unico modo di controllare la fondatezza dei contributori è quello da me già segnalato, cioè a carico dell’amministratore. Non so se ne valga la pena. Per cui turiamoci il naso e teniamoci i nick anonimi/inventati
Sinceramente io, non capisco perchè ci si dovrebbe creare dei nomi falsi per creare dei doppioni per poi polemizzare sul blog. Va bene la che mente umana è contorta, ma se fosse vero, consiglierei a chi lo fa di farsi dare un occhiata dallo strizza cervelli detto anche grullaio.
Sono completamente d’accordo con Palms, il valore di un contributo non c’entra nulla con l’anonimità o meno della firma.
E trovo questa fissa per il controllo dell’identità assolutamente inutile se non dannosa: credo che costringere a rivelarsi avrebbe l’unico effetto di costringere qualcuno a non dare il suo contributo. Che talvolta risulta tra i più interessanti.
Da parte mia mi ritengo già approvato dal Capo…altrimenti la prossima volta gli lascio la sicura mooooolle!! 🙂 🙂 🙂
Non voglio sporcare un così bell’articolo, nella forma e soprattutto nel contenuto, ma le osservazioni di Bertoncelli (che prescindono dall’articolo, ma mettono in luce un problema strutturale che in effetti esiste) sono fondate. Se si vuole partecipare a un dibattito, specie in modo ricorrente (magari non giornaliero o infra-giornaliero, ma cmq con una certa ricorrenza), è buona educazione presentarsi a viso aperto. il dibattito generale di questi giorni, per il noto caso di cronaca della ristoratrice di Lodi, pone l’attenzione proprio su questo risvolto. Sia chiaro con quel tristissimo caso, il Blog non ha nulla a che fare: è un problema di metodo generale. io non solo dico che si dovrebbe partecipare a viso aperto in qualsiasi spazio web, ma addirittura sostengo che si dovrebbe esser verificati prima di iscriversi. Infatti anche un nome innocuo come Mario Rossi potrebbe essere inventato.
In più c’è un problema nel problema. La mia personale sensazione è che, anche in questo Blog, una bella fetta di nickname siano degli alter ego della stessa persona. Nessuno me lo toglie dalla testa. Si usano diversi nick sia per non appesantire gli altri con contributi sempre dello stesso individuo, sia (soprattutto) per dare l’impressione che a pensarla in un certo modo si è in “tanti“. Guarda caso questi “molteplici” nick diversi esprimono idee in genere della stesso tenore e spesso si spalleggiano. Non vediamo mai nick diversi nella forma, ma simili nelle posizioni, che polemizzano fra di loro, ma li vedremo sempre che si spalleggiano, il che la dice lunga. E chi ha un minimo di capacità di analisi, dopo un po’ comprende benissimo a quali personaggi “veri” potrebbero far capo tali nick imparentati.
In assoluto questo NON è un problema insuperabile: i lettori con acume “riconoscono” facilmente questi doppioni e, a prescindere se siano davvero nick dello stesso individuo oppure no, superano con facilità questa criticità.
In realtà io già ripetuto più volte che uno spazio web con natura di “porto di mare aperto a tutti” e quindi potenzialmente aperto a più nick degli stessi individui, sia una situazione squalificante per il contenitore stesso, ne abbassa la qualità complessiva. E’ per questo che il tema mi infastidisce. Se non fosse per questo, non ci penserei neppure. Ma qui entriamo in una scelta chiamiamola “editoriale” dell’amministratore del Blog. Infatti, se le cose stanno così, è perché così preferisce Gogna (tra l’altro fin dall’inizio del Blog). Intendiamoci, preferenza legittima e inappuntabile, circa la quale Gogna non deve giustificazioni né spiegazioni a nessuno.
Un corollario: è sterile (da parte dei lettori/commentatori) polemizzare con i singoli nick “anonimi”, chiedendo loro di dichiararsi, quando le regole del Blog consentono a tutti l’anonimato (attraverso un nick inventato) o addirittura l’eventuale presenza multipla della stessa persona attraverso molteplici nick. Se costoro prediligono forme di presenza “mascherata”, è inutile cercare di convincerli o esortarli a uscire dall’ombra: non lo faranno mai.
L’unica cosa che si potrebbe fare sarebbe creare un modello di partecipazione in cui, prima di esser tecnicamente autorizzati a commentare, occorre compilare un’anagrafica che sarà vagliata dall’amministratore il quale, fra le tante cose, potrebbe eventualmente anche approvare la partecipazione ai commenti attraverso un nick inventato. In questo modo noi tutti sapremmo implicitamente che il nick “Pincopallo” è stato direttamente autorizzato da Gogna e quindi non avremmo più nulla di obiettare. Ma tutto ciò comporterebbe una rivoluzione tale dello spazio web che determinerebbe un cambiamento profondissimo nella sua natura. Mi sa che, alla fine di questo ipotetico cambiamento, molti dei commentatori che oggi polemizzano contro i “nick” anonimi, si troverebbero di fronte uno spazio web che magari non sarà più quello di loro complessivo gradimento… e potrebbero rimpiangere di aver “preteso” il cambiamento. Buona giornata a tutti!
“Placido Mastronzo” a me invece pare che abbia qui una storia, un motivo guida dei suoi interventi, una personalità ben definita, un’intenzione piuttosto chiara: in altre parole un’identità.Molto più riconoscibile e incisiva, secondo me, di tanti “Marco Rossi” che appaiono casualmente e/o saltuariamente, che d’identità ne hanno poca o nessuna, nonostante appaiano col nome dato e quello di famiglia.
Quindi non capisco perché contestargli, sia pure “gentilmente”, tale sua identità.
C’interessa davvero chi sia “Marco Rossi”? Secondo me no. Ne ricaviamo sensazioni e opinioni in base a quello che ne leggiamo qui. Il resto di fatto non esiste.
”Placido Mastronzo” invece esiste già come nome programmatico di quello che esprime, dell’identità che ha tracciato su questo blog nel corso del tempo. Sarebbe più chiaro, più interessante, più utile se si firmasse Marco Rossi? Non credo.
P.S. non lo conosco, non l’ho mai frequentato, di lui so soltanto quello che leggo qui, non ho avuto con lui – o lei – alcun contatto di alcun tipo, né sollecitazione a scrivere questo commento, diretta o indiretta, che non sia venuta dalla mia voglia di demistificare il mito dell’identità legata ai nomi dati. Su internet, ovviamente. Se no cosa faccio, contesto a Gaber di aver usato uno pseudonimo?
Grimper dans les Gorges du Verdon, c’est magique.
Le site est magnifique, immense.
Les voies offrent du rocher et de l’escalade très variés où la technique et l’engagement restent présents.
Y grimper au printemps ou à l’automne, c’est le mieux.
Ne pas oublier que La Palud s/verdon est à 1000 m. L’hiver, il y fait très froid.
Et l’été, il y a trop de touristes.
Egregio signor “Placido Mastronzo”, scusi la confidenza, ma le domando gentilmente: perché non partecipa al forum col suo vero nome?
Supponiamo che lei si chiami Marco Rossi. Ebbene, pensi a come sarebbe piú bello se cosí si presentasse:
“Signori, io sono Marco Rossi. Sappiate che tutte le cose sagge o sciocche che vi scriverò verranno dalla mente di Marco Rossi e non da quella di un Mastronzo, che tra l’altro non esiste neppure”.
P.S. “Placido”, l’ho scritto soltanto per consigliarti quella che ritengo la soluzione migliore, non per polemizzare. Fai pure come preferisci.
Crovella: è bene precisare che la falesia di Saint-Maurin tecnicamente NON è “nelle” gorges, in quanto la base della parete si trova a monte della D952 (la strada che percorre le gole), poco prima dell’uscita dal canyon verso il Lac de Sainte-Croix. In questo, la falesia di Saint-Maurin non si differenzia da altre pareti che venivano esplorate nello stesso periodo.
Non c’è quindi alcun dubbio che la prima via (a noi conosciuta) delle gorges sia la Voie des Enragés.
#2 Crovella. La prima frequentazione della falesia di Saint-Maurin è stata il 30 ottobre 1966, con l’apertura di La Droite (Maxime André e Marc Chabert) e di Les Noctambules (Brigitte Ilbert, Philippe Kelle e Gérard Ruyssen). Le esplorazioni continuarono il giorno dopo (con il citato François Guillot) e poi anche il 1° di novembre. Vi risparmio l’elenco (che comunque ho). Altre vie furono aperte in seguito, ma non oltre il 1968.
Bell’articolo, intrigante. Precisazione da impallinato di storia. Si riesce a individuare non dico il giorno preciso, ma l’anno/mese della “scoperta” della prima falesia del Verdon, la citata Falaise de Saint-Morin? E’ ovviamente precedente alla via di Cordier & C, che è dell’agosto 1968. Ma “quanto” prima? Pochi mesi o qualche anno? In certi snodi della storia alpinistica (com’e’ stato quello in Francia), a volte bastano sei mesi per generare a uno scollinamento concettuale e determinare un “prima” e un “dopo”
Me lo ricordo Tamagni arrivò in P.S per un infortunio sul lavoro,una casualità..parlammo di vie e di un amico comune e di alcune salite..non me lo ricordavo più …sempre stato fuori dai giri o gruppi di climber..per l ordine sempre e certo ma da buon libero pensatore….diffidare degli evangelizzatori …e procuratori di dogmi e religioni..comprese le alternative…un elemento spesso è volentieri passo dal Limarò..molto più accattivante di Gondo..buio e incassato