Guido Machetto, un poeta nel regno delle nubi

Guido Machetto, un poeta nel regno delle nubi

In occasione del quarantennale dalla scomparsa, il 28 ottobre 2016, nell’auditorium di Città Studi, a Biella, è stata ricordata la poliedrica e sfaccettata figura di Guido Machetto. La serata, organizzata dal CAI Biella e dalla Scuola Nazionale di Alpinismo Guido Machetto, ha visto il locale gremito: un successo pieno, merito soprattutto dello stesso protagonista, ancora oggi ricordato con molto affetto dai compagni, dagli amici e da quanti ne hanno sentito solo parlare.
Il titolo della serata era Guido Machetto: un poeta nel regno delle nubi: Uno straordinario e ardito accostamento per il celebre alpinista biellese, pioniere della rivoluzione in “stile alpino” delle spedizioni extraeuropee.
E’ stato un momento imperdibile per rivivere una stagione alpinistica in cui Biella, con i suoi giovani alpinisti, fu protagonista a livello nazionale e non solo. Si è riscoperto un approccio alla montagna, alla sfida con ambienti ostili, alla sfida con se stessi, che ancora oggi appare moderno e contemporaneo. Anzi, per certi aspetti, appare oggi più moderno rispetto alla realtà che si sta vivendo. Erano gli anni, del resto, della rivoluzione giovanile, e dell’epica dell’On The Road.

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A tenere il filo e a coordinare i momenti di racconto a quelli in cui le immagini, alcune inedite, si sono sostituite alla parola, è stato il direttore della Scuola Nazionale di Alpinismo Guido Machetto, Mauro Penasa. Sul palco, dopo di me, invitato in quanto compagno storico di Machetto, si sono alternati gli alpinisti biellesi Giovanni Antoniotti, Beppe Re, Ettore Gremmo, Renzo Coda Zabetta, Nino Zappa e la giornalista Laura Gelso. Ha chiuso la sfilata Eugenio Gariglio, compagno di Machetto nella tragica salita al Pilier Bernezat della Tour Ronde in cui Guido perse la vita per una caduta. Ognuno di loro ha raccontato, con punte a volte di grande commozione, un momento preciso dell’epopea alpinistica di Machetto, iniziata nel 1962 con la prima ripetizione in una sola giornata della via Cassin alla parete nord delle Grandes Jorasses, con Giorgio Bertone.

Questo blog già si è occupato di Guido Machetto, vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/guido-machetto-sullhimalaya-come-sulle-alpi/  cui rimandiamo per un approfondimento. In questa sede riportiamo l’integrale intervista fattami da Andrea Formagnana, poi ridotta per la pubblicazione su La Stampa del 26 ottobre 2016. In questo pdf trovate l’attività alpinistica di Guido Machetto, a cura di Mauro Penasa.

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Biella, 28 ottobre 2016: Guido Machetto, un poeta nel regno delle nubi. Da sinistra, Eugenio Zamperone (presidente CAI Biella), Alessandro Gogna, Beppe Re, Nino Zappa, Giovanni Antoniotti, Laura Gelso, Mauro Penasa, Ettore Gremmo, Renzo Coda Zabettaguidomachettopoeta-e-zamperonepres-caibiellaa-gognab-reninozappagiovanniantoniottilauragelsom-penasaettoregremmorenzocodazabetta

Intervista ad Alessandro Gogna
di Andrea Formagnana

Alessandro, tu sei entrato a far parte del “grande” alpinismo alla fine degli anni ’60. Chi erano allora i tuoi modelli?
Erano tanti, forse troppi. Questo era dovuto ai molti libri letti e ai molti abbonamenti a riviste italiane e soprattutto estere. Diciamo comunque che avevo in testa gente come Walter Bonatti, René Desmaison, Hermann Buhl, ma che stavo ben attento a quello che di nuovo stava succedendo, sia sulle Alpi che altrove. Dougal Haston e Don Whillans erano in cima alla lista…

Tu e Guido avevate una decina d’anni di differenza che allora in alpinismo non erano pochi. Eppure avete portato a termine insieme salite di grande valore. Qual è il ricordo di un giovane al cospetto del “vecchio” alpinista?
Era più giovane della sua età anagrafica… per questo motivo è stato lui a cercarmi, subito dopo la prima invernale della Nord-est del Pizzo Badile. Ricordo, una serata memorabile alla Pietro Micca di Biella. Io non lo sentivo “più vecchio”, anche se di certo lo era. Ammiravo tutti i sognatori, e Guido lo era al massimo grado. E i sogni non hanno età.

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Per i Biellesi la figura di Machetto è leggendaria. Ma se si leggono i suoi scritti o le sue interviste Machetto assume un rilievo assoluto, ben al di fuori della sua dimensione locale.
Il rilievo assunto da Guido quando lo si legge è assolutamente giustificato. Ciò che non è giustificato è proprio vedere che la sua dimensione è rimasta locale quando invece avrebbe DOVUTO essere di portata internazionale. E questo anche prima della famosa salita al Tirich Mir. Non siamo noi che possiamo, con la bacchetta magica, sovvertire quest’ingiustizia. Però dobbiamo almeno provarci.

E’ stato davvero un innovatore, un rivoluzionario, o semplicemente un prodotto dei tempi ?
Sì, lo è stato innovatore e rivoluzionario. Io ora non sono in grado, anche perché di tempo ne è davvero passato tanto, di ricordare chi avesse avuto tra noi quali idee e quali altre, purtroppo. Ma ho l’impressione che, se appena ci sedevamo a un tavolo, oppure sui sedili di un’auto, ci fosse stata sempre un’immediata produzione di sogni, che ci scambiavamo come se il tempo per realizzarli fosse eterno. L’aggiunta al nostro binomio di Gianni Calcagno intensificò questa produzione e rese più “solido” il modo di confezionare i nostri “prodotti”. E questo a dispetto che vivessimo in tre città diverse.

Con Guido hai compiuto alcune imprese di particolare valore. La Crétier alla Grivola e l’integrale di Peuterey, entrambe in inverno, e la Sud delle Grandes Jorasses. Perché quel tipo di alpinismo era tanto affascinato dall’inverno?
A quel tempo l’inverno era inverno. La sfida era lì, era la più evidente di tutte e non ti concedeva quei periodi secchi e caldi che invece l’oggi purtroppo quasi regala. Una sfida irresistibile, sentivamo che tutte le grandi pareti o vie ancora non salite d’inverno dovevano esserlo. Muoversi d’inverno voleva dire fare delle piccole spedizioni, voleva dire impegnarsi in qualcosa il cui risultato era davvero incerto. E l’incertezza non è soltanto il sale, è la base dell’avventura.

Guido Machetto d’inverno sulla cresta sud dell’Aiguille Noire, febbraio 1971
Cresta integrale di Peuterey, tent. 1a inv, 02.1971, Machetto

L’integrale di Peuterey è stata una salita al limite della resistenza umana… Cosa ricordi di quelle dure giornate?
Il mio ricordo naviga molto leggero sulla rocciosa cresta della Noire, sulla pazzesca discesa nel baratro per raggiungere le Dames Anglaises, sulle nevi sottili della Blanche, sulla vetta di un tetro Pilier d’Angle prima della tempesta di Desmaison e Serge Gousseault. Fa tanto freddo, tanto peso sulle nostre spalle. Che bello sarebbe stato trovare qualcosa da mangiare al bivacco Craveri… Ricordo quanto era nero il cielo dell’Ovest quella mattina dalla vetta del Pilier d’Angle e quanto nero il pendio finale della cresta di Peuterey, che dovevamo salire senza piolet traction. Quindi la rinuncia, amarissima, la discesa al Col Peuterey nella bufera e l’umiliazione dell’elisoccorso dopo altre due notti praticamente senza cibo, con lo spauracchio di dover scendere i Rochers Gruber come Bonatti e compagni. L’incazzatura con alcune guide di Courmayeur e con l’amico Emanuele Cassarà. Gente che parla, parla, alcuni dietro le spalle. Prima hanno azzannato noi, poi ci hanno provato con Desmaison. Ma lui ci era abituato (vedi la storia del Dru), noi no.

Invece una via su una parete complessa come la Sud delle Grandes Jorasses non viene in mente a tutti. Chi è davvero il padre di questa salita e quanto vi ha davvero impegnato?
Non ho un ricordo sicuro, ma direi che l’idea è stata di Guido. Avevamo capito subito che c’era un po’ di roulette russa nel canale dei primi duecento metri, fatto nel tardo pomeriggio per evitare il sole. La sorpresa non erano i sassi che fischiavano attorno, era che ce l’aspettavamo un po’ più facile… Alla fine siamo usciti su una cengia un po’ a destra, tanto per evitare il grosso della mitraglia, ma ci sono stati momenti in cui abbiamo pensato che non potevamo fare altro che bivaccare proprio sul fondo del canalone. Il giorno dopo fu invece una bella salita, un’arrampicata libera non estrema e di prim’ordine su rocce sicure e prive di pericoli oggettivi. Le prime ore del terzo giorno furono una marcia trionfale verso la vetta. Eravamo felici.

Dopo di che vi siete imbarcati nella spedizione all’Annapurna…
Sì, è stato un vero imbarco.  Guido aveva una qualche esperienza di spedizioni (mi riferisco anche alla ricerca sponsor), noi zero. Carmelo Di Pietro, un vecchio compagno di Guido, è stato fondamentale nel reperimento soldi presso il CAI di Busto Arsizio. All’inizio l’equipaggio comprendeva anche Cosimo Zappelli e Giorgio Bertone, poi per qualche ragione che ora non ricordo questi si sono defilati. Comunque il gruppo era davvero affiatato e c’è voluta la grande tragedia di Rava e Cerruti per demolire l’affiatamento. Peccato. La giornata di discussioni al campo base per decidere se continuare o tornare è stata un massacro psicologico. Ne è seguito un periodo triste, in cui i miei rapporti con Guido e Gianni si erano proprio raffreddati. Periodo che si è chiuso giusto un mese prima della morte di Guido alla Tour Ronde, in un pomeriggio di rappacificamento a casa mia: Guido e io avevamo ritrovato l’accordo. E la sua morte poco dopo portò almeno una buona cosa: il riavvicinamento con Gianni, culminato con il nostro successivo viaggio nella Scozia invernale.

Campo Base Annapurna, 28 settembre 1973. Guido Machetto (tra Lorenzo Pomodoro e Carlo Zonta, a sinistra, e il sirdar, a destra) apprende per radio della cancellazione totale del campo 2 e della scomparsa di Leo Cerruti e Miller Rava
Annapurna, spedizione italiana 1973, il Sirdar cerca contatto radio con i presunti scomparsi. Da sinistra, Lorenzo Pomodoro, Carlo Zonta e Guido Machetto


Ad un certo punto della tua carriera hai lasciato l’alpinismo, per un’attività di scoperta più vicina all’arrampicata. Quanto ha influito la tragedia dell’Annapurna?
Ha influito un casino, anche se il passaggio è stato assai graduale. Ci sono voluti almeno sei anni per capire a fondo certe cose, essenzialmente che non avevo più dentro di me la spinta competitiva che avevo prima. Avanzavo tra prime ascensioni ancora notevoli e arrampicate al sole, navigavo tra la teoria di un alpinismo sociale che rifiutava l’individualismo e le ancora forti sirene di una montagna ad personam che giustificava ampiamente la “fuga dalla realtà”. E siccome la montagna continuava a piacermi, sentivo che dovevo darmi una calmata, per non rischiare troppo in quel periodo di indecisione e disequilibrio. L’abbraccio del free climbing e le suggestioni del Nuovo Mattino fecero il resto.

E quanto la figura di Machetto ha influito sul tuo alpinismo?
Guido Machetto non ha influito su di me come maestro, bensì come compagno. Ripeto era un uomo di idee: faccio notare (e questo lo ricordo molto bene) che è stata sua l’idea di andare a scalare su quello che poi sarebbe stato chiamato Scoglio di Mróz. Era il lontano ottobre 1972, e salimmo la parete meridionale, ancora oggi stranamente trascurata. Nessuno sapeva ancora niente di Nuovo Mattino, di free climbing, di arrampicate difficili al sole, senza pericoli oggettivi. Forse lui era stato influenzato dal mondo francese, che già si esprimeva alla grande su Verdon, Vercors e Chartreuse. Lo scopritore della Valle dell’Orco, intesa come oggi è intesa, è stato Guido Machetto e non, come si è sempre scritto e detto, Gian Piero Motti con i suoi Tempi Moderni al Caporal. Sia pure per poche settimane.

Machetto è stato anche scrittore. Pensi che un libro come Tike Saab, che quando uscì impressionò per la modernità, sia ancora una lettura che si possa riproporre alle nuove generazioni?
Certo che sì. Purtroppo è introvabile. Fa parte di quel filone che chiamerei di “nuova sincerità” che avevo inaugurato io con Un alpinismo di ricerca. Fu letto da pochi, capito da ancor meno. Le moderne riproposte editoriali, tipo quelle della RCS, dovrebbero ripubblicarlo (al posto di altre cose assai insipide).

Dove sta andando, alla luce della tua esperienza, l’alpinismo?
In passato mi sono lasciato andare ad alcune “profezie” che si sono sempre rivelate sbagliate in tempi medi e giuste in tempi lunghi. Mi sono detto: ma chi te la fa fare di cercare di indovinare i tempi, sei negato! Ma, alla fine, nelle imprese del moderno alpinismo (al di là delle distanze extraterrestri) ritrovo parecchio del mio di un tempo: è questo che alla fine conta, perché ti sembra che una parte importante di te sia sempre in vita (e lo potrà rimanere). La tua vita ti sembra più giusta.

Guido Machetto, fotografato dal compagno Beppe Re, durante la prima ascensione del Tirich Mir II (1974)
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Guido Machetto, un poeta nel regno delle nubi ultima modifica: 2016-12-09T05:25:41+01:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Guido Machetto, un poeta nel regno delle nubi”

  1. Guido Machetto è stato il maestro di sci mio e di mia sorella, bambine nei primi ’70, al Col di Tenda-Quota 1400, che all’epoca non era ancora collegato agli impianti di Limone Piemonte. Per me, già col virus della montagna, era un mito! Custodisco il suo libro tike saab con tanto di dedica. Era il Natale 1972.

  2. Quel giorno scendevamo istruttori e allievi verso il colle del Nivolet a un certo punto chiedo a Piero Frassati, “ma secondo te, non sarebbe ora che ci impegnassimo per dare il nome di Guido alla Scuola di Alpinismo del Cai di Biella?” La sua risposta fu come al solito breve e schietta ” abbiamo perso anche troppo tempo” . Rientrammo a casa consapevoli che quel giorno valeva la pena di essere vissuto…

  3. Guido Machetto: sincero amico, ottimo compagno di scalate, carattere assai spigoloso. Betto Pinelli

  4. Quando negli anni ’70 comperavo i fascicoli della Enciclopedia La Montagna della De Agostini, il nome di Guido Machetto compariva qua e là ma compariva. Fu lì che lessi dello sperone del Tirich Mir, della via sulla parete sud del Cervino e della sua scomparsa. Allora avevo 17 anni, non avevo la minima idea di cosa volesse dire salire in due un “7700” in stile alpino. Adesso non ne capisco molto di più, però mi viene in mente una cosa: in quegli anni solo Messner provava a salire in stile alpino delle montagne attorno agli 8000 metri di quota e questo può forse dare un’idea delle capacità alpinistiche di Machetto. Quando ho letto il libro di Alessandro “Un alpinismo di ricerca” vi trovai varie ascensioni con Machetto che purtroppo nel frattempo ci aveva già lasciato.

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