Il Canalone della Morte

Riceviamo da Luciano Ratto, lucianoratto@alice.it, il primo alpinista a conquistare tutti i Quattromila delle Alpi e fondatore con Franco Bianco del Club 4000, un documento inerente gli incidenti mortali accaduti sul Grand Couloir du Goûter, sulla normale francese del Bianco, comprensivo delle possibili soluzioni.
Al fondo, come quasi di consueto, abbiamo aggiunto delle considerazioni. Una riflessione del tutto personale che forse si distacca dalla visione corrente.

Luciano Ratto. Archivio Ratto
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Il Canalone della Morte
(La roulette russa sul Monte Bianco)
di Luciano Ratto (agosto 2015). Foto (salvo diversa menzione) della Fondation Petzl

1 – Lo scandalo del Goûter
Paura sul Monte Bianco: valanga sfiora 15 alpinisti nel canalone del Goûter: questo titolo, su La Stampa VdA del 21 agosto 2015, dà notizia dell’ultimo atto di una incredibile commedia che per poco non si è tramutata in tragedia, dopo una penosa altalena di ripetute aperture e chiusure del Refuge du Goûter a seconda delle condizioni del percorso di accesso, e di un discutibile intervento delle autorità francesi che ne hanno “vietato” (sic!) l’accesso.

E così, ancora e sempre, come ogni anno, il canalone del Goûter è comparso alla ribalta. Fino a quando? Fino a quando assisteremo a questo scandaloso spettacolo?

Sorprendente è la conclusione di questo articolo dal quale apprendiamo che il sindaco di Saint-Gervais, signor Jean-Marc Peillex, appena informato dell’accaduto, si è limitato a dire che la situazione è ora nella norma, perché fa abbastanza freddo… e pertanto il Refuge du Goûter rimane aperto e la via è percorribile!…”. Cose da non credere! Ma di quale “norma” parla questo sindaco? Per lui la “norma” è che in quel famigerato canalone si debba continuare inesorabilmente a rischiare la vita?

Solo nel 2014 abbiamo assistito alla folle impresa che ha sfiorato la tragedia di uno pseudo-alpinista americano che ha messo a repentaglio la vita di due suoi figli di 9 e 11 anni durante una salita del Monte Bianco per cercare di conseguire un discutibile record. E, ancora una volta, l’ineffabile sindaco di Saint-Gervais, Jean-Marc Peillex, non nuovo a esternazioni anche esagerate, si dichiarò indignato“, e  affermò che “qualcuno deve dire basta a queste assurdità”, facendo benissimo a denunciare quel padre incosciente e vanaglorioso, ma che avrebbe anche dovuto chiedersi se non si sentiva colpevole pure lui per la mancata soluzione di questo gravissimo problema che si trascina da troppi anni.

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Questo episodio, al quale i media hanno dato molto risalto (https://gognablog.sherpa-gate.com/il-guinness-della-stupidita/), si è svolto nel corso della salita al Refuge du Goûter, base di partenza per raggiungere la vetta del Bianco. Questa via è considerata la più agevole dal versante francese e non presenta grandi difficoltà tecniche dal rifugio alla vetta, ma è pericolosissima nel tratto di salita al rifugio perché si deve attraversare un canalone nel quale cadono frequenti frane e slavine. Perciò tra le vie “normali” del Bianco questa è certamente la più rischiosa ma, purtroppo, la più frequentata.

L’attraversamento del Grand Couloir du Goûter
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Su questo canalone, in cui si è verificata la caduta dei due bambini, fortunatamente trattenuti dal corrimano fisso, molto si è scritto in passato; mette conto leggere su una pubblicazione intitolata Le insidie della montagna questa frase: nel canale del Goûter si concentra gran parte degli incidenti più gravi del Monte Bianco, e lo scritto così continua: circa la metà degli incidenti si verifica nei 100 metri dell’attraversamento del canale, ed un terzo sulla cresta, ecc.

L’attraversamento di questo canalone è un assurdo azzardo che si traduce in una vera e propria roulette russa: ecco perché la definizione di “canalone della morte” che gli è stata data.

2 – Il Grand Couloir del Goûter
Il Grand Couloir del Goûter, si trova sul versante settentrionale del Monte Bianco, lungo la cosiddetta via “normale” del Monte Bianco (che, a causa di questa situazione, tanto “normale” non è) che si sviluppa sul versante ovest dell’Aiguille du Goûter. Questa via che parte dal Refuge de la Tête Rousse per raggiungere il Refuge du Goûter e di lì il Bianco, è di gran lunga la più frequentata tra le quattro vie del Bianco (tre francesi ed una italiana) e perciò, ogni anno è percorsa da moltissimi alpinisti in salita ed in discesa.

L’attraversamento del Grand Couloir du Goûter
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Questo canale ha inizio dalla cresta dell’Aiguille du Goûter, è alto circa 800 m, e bisogna attraversarlo nel suo tratto inferiore su una lunghezza di 70 metri per raggiungere, sul versante sinistro orografico la cresta che conduce al rifugio.

Il problema di questo canale è che la roccia in cui si trova è marcia ed è coperta da pietre e massi instabili di dimensioni anche notevoli pronti a cadere, a volte messi in movimento involontariamente da altri alpinisti impegnati nella fasi di salita o di discesa, e, anche se la sua inclinazione non è accentuata (40/45°), le pietre, rotolando, coinvolgono porzioni sempre maggiori di roccia, provocando vere e proprie frane, causando molto spesso gravi incidenti ai malcapitati alpinisti che lo attraversano.

Per rendere un po’ più sicuro questo canalone, a inizio della stagione estiva, le guide alpine di Saint-Gervais posizionano un cavo teso tra le due sponde, che avrebbe lo scopo di offrire una assicurazione; troppo spesso però gli alpinisti non utilizzano questo mezzo di sicurezza, confidando nella buona sorte…

Assembramento prima della traversata
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3 – Criticità del Couloir del Goûter
La pericolosità di questo canalone fu segnalata fin dai primi salitori del Bianco lungo questa via, nel 1861, eppure, da oltre due secoli, in esso si verificano incidenti che solo da 25 anni (dal 1990) sono stati rilevati. Li si può evidenziare con le seguenti statistiche elaborate dalla Fondation Petzl in collaborazione con la Gendarmerie de Haute Montagne di Chamonix:

tra il 1990 e il 2011 sono stati registrati 291 alpinisti soccorsi in 254 incidenti, che hanno causato 74 morti e 180 feriti: 12 all’anno in media, di cui 4 morti e 8 feriti!

Nonostante le forti variazioni tra gli anni, il numero delle vittime è stabile sul lungo termine con un leggero aumento nell’ultimo decennio. E in tutti gli anni precedenti quante sono state le vittime? Qualcuno ne ha tenuto il tragico conto?

E’ questo un vero e proprio bollettino di guerra.

In quest’anno 2015, proprio mentre sto scrivendo questo documento, da giugno a fine agosto, i morti sono già cinque, per non parlare dei feriti, e la stagione alpinistica non è ancora terminata.

In nessuna località del mondo e in nessun gruppo alpino, compresi i territori degli 8000, si è mai verificato, non occasionalmente, ma sistematicamente, regolarmente, puntualmente ogni anno, una serie di incidenti con morti e feriti come in questi pochi metri di canalone. E ciò, sorprendentemente, sotto gli occhi di tutti, nella massima indifferenza delle autorità amministrative della regione, del mondo della montagna, dell’opinione pubblica e dei media. Ormai queste morti “non fanno più notizia” se non nella cronaca spicciola dei quotidiani locali e perciò sono considerate alla stregua di incidenti stradali di poco conto.

Il canalone in un periodo asciutto
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Senza esagerazioni, è questo uno scandalo che dovrebbe essere denunciato sul piano internazionale con grande evidenza perché non riguarda solo il mondo dell’alpinismo, e che si presta a severe riflessioni d’ordine etico sulla responsabilità di chi è responsabile di questo stato di cose…

Di fronte a questi dati tragici e terrificanti si rimane allibiti e increduli:
– che la grande Francia, maestra di civiltà, che dispone di risorse e professionalità di alto profilo, sia finora rimasta inerte;
– che in tanti anni le autorità francesi comunali e regionali non siano state capaci di trovare che una soluzione molto precaria, con la posa di un cavo in corrispondenza dell’attraversamento del canale; è questo cavo che ha salvato i due bambini, ma non altri alpinisti;
– che l’opinione pubblica, formata soprattutto dai parenti delle vittime di questo scandalo, non abbia reagito in alcun modo;
– che nessuno (magari il Club Alpino Francese e gli altri club alpini europei ) abbia mai pensato a un’azione legale (magari istruendo una vera e propria “class action”) per omicidio colposo, in appoggio ai familiari delle vittime nei confronti della Municipalità di Saint Gervais, della Prefettura della Regione Rhônes-Alpes, e del Governo francese.

4 – Osservazioni di alcuni esperti
Come detto, questo scandalo è noto da molti anni. Già i primi salitori, a metà ‘800, segnalarono la pericolosità della salita su questa via. In diversi libri-guida, monografie sul Bianco, articoli e riviste, si è ripetutamente segnalato il forte rischio; si legga al riguardo:

– nel libro Tutti i 4000: l’aria sottile dell’alta quota (Vivalda Editore), a pagina 50, queste parole: “… Riteniamo che questo sia il percorso più pericoloso e mortale di tutte le Alpi“;

Lucien Devies e Pierre Henry, autori della prestigiosa Guida Vallot dedicata a La chaine du Mont Blanc, vol 1°, del 1973, hanno espresso questo giudizio perentorio: “… C’est un des lieux le plus meurtriers des Alpes, trés frèquenté et abordé par des incompétents, il est facile mais dangereux et exposé. La traversée du couloir est raide et en même temps trés exposée aux chutes de pierres… Techniquement cette voie est facile, mais le danger est grand, meme avec les aménagements récents”. Non occorrono altre parole, salvo l’osservazione che non sono solo gli “incompetenti” a subire il bombardamento ma anche gli esperti, guide comprese.

– Mario Vannuccini, in I 4000 delle Alpi, ha scritto: “L’attraversamento del Gran Couloir è la parte più delicata dell’ascensione al Monte Bianco. Attenzione alle scariche di sassi, molto frequenti e pericolose in questo tratto! Conviene transitarvi il più velocemente possibile e uno alla volta”.

– Martin Moran, in The 4000m Peaks of the Alps, ha annotato: “… Esiste un serio, oggettivo pericolo di caduta massi nell’attraversare il Grand Couloir, dove si sono verificati innumerevoli incidenti”.

– Helmut Dumler e Willi Burkhardt, nel libro Il nuovo quattromila delle Alpi, del 1990, e nel successivo Il grande libro dei quattromila delle Alpi, del 1998, così hanno scritto: “… La massa degli alpinisti che salgono si fermano prima della traversata del couloir attrezzato con le corde. Qui, soprattutto nel pomeriggio, scricchiolano e si staccano le pietre. Sulla successiva costola gli alpinisti che salgono o scendono costituiscono un pericolo costante per gli altri. In alcuni giorni gli elicotteri del servizio di soccorso non si arrestano per un momento. CI SI CHIEDE PERCHE’ NON SIA ANCORA STATO CREATO UN PERCORSO ATTREZZATO SULLA COSTOLA ADIACENTE.

L’attraversamento del canalone
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5 – Scopo del presente documento
A questo punto ritengo necessario precisare che questo problema mi appassiona perché negli anni scorsi sono salito più volte sul Monte Bianco su percorsi diversi, ma, scendendo, ho sempre evitato la via del Goûter di cui conoscevo la pericolosità.

Senonché, in un’occasione in cui io e il mio compagno fummo sorpresi da una forte bufera, fu gioco forza scendere obtorto collo proprio lungo questa via; giunti in vista della famigerata traversata assistemmo, con il cuore in gola, a una tragedia: una enorme frana di grossi massi travolse in pieno un gruppo di tre alpinisti polacchi due dei quali se la cavarono seppur feriti gravemente, mentre il terzo fu investito in pieno e morì dissanguato perché gli era stata quasi strappata una gamba e i soccorsi, per le pessime condizioni meteo, non arrivarono in tempo.

Fu da quel giorno che decisi di battermi per cercare di contribuire, con i miei modesti mezzi, a porre rimedio a questa situazione assurda: scrissi numerose lettere e articoli di tono “forte” che essendo “politicamente scorrette”, perché tiravo in ballo le autorità francesi, pochi giornali e riviste presero in considerazione.

Quest’anno ho dedicato più tempo a documentarmi al riguardo e ho scoperto che a questo angosciante problema hanno dedicato studi seri e approfonditi due importanti istituzioni francesi fondate di recente:

– la Coordination Montagne (www.coordination-montagne.fr/), di Grenoble;
– la Fondation Petzl (www.fondation-petzl.org), di Criolles.

Fonte: Coordination Montagne
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La Coordination Montagne, fondata nel gennaio 2012, raggruppa molte associazioni ed enti che operano nel mondo della montagna, e indirizza la sua attività all’informazione e prevenzione. In tale ambito, nel 2012, in collaborazione con la Fonfazione Petzl, ha pubblicato, in dieci lingue, un utilissimo fascicolo tascabile intitolato La salita del Mont Blanc: un’impresa da alpinisti indirizzato a tutti i candidati al “tetto delle Alpi”: si tratta di un insieme di indicazioni su come prepararsi per affrontare questa salita, come attrezzarsi e informarsi, quali vie seguire, quali pericoli evitare e come agire in caso di incidenti; due intere pagine sono dedicate a come attraversare il canale del Goûter, a beneficio delle migliaia di alpinisti che lo affrontano ogni anno.

Nel mese di maggio 2014 l’Association Chamoniarde di Chamonix e la Coordination Montagne, con il sostegno della Fondation Petzl, hanno aperto il sito www.climbing-mont-blanc.com allo scopo di estendere la campagna di informazioni.

La Fondation Petzl, fondata nel 2006, ha lo scopo di “condividere il successo dell’azienda con l’ambiente con il quale interagisce, e a tal fine si impegna in una riflessione sull’accesso al Monte Bianco, una delle cime più belle e tra le più visitate al mondo il cui accesso impone uno studio su come renderlo più sicuro con una azione preventiva. E’ certo che il rischio zero non esiste in quanto il canalone del Goûter è solo un piccolo tratto del percorso per raggiungere la vetta del Bianco, ma ci si può proporre, con una maggiore informazione, almeno di assicurare una maggiore sicurezza agli alpinisti che lo frequentano”.

Di fronte alla cattiva immagine che questo canalone procura all’alpinismo in generale, la Fondation Petzl vuole perciò risvegliare le coscienze e avviare una riflessione approfondita su cosa si può fare al riguardo, lanciando un messaggio più chiaro sui pericoli che si corrono e offrire un contributo al miglioramento della sicurezza del canalone sulla via normale del Monte Bianco da Saint-Gervais.

Ricordiamo qui che le quattro vie classiche di accesso al Monte Bianco sono: la via di Saint-Gervais passando per il canalone del Goûter, la via dei Grands Mulets, la via dei Trois Mont Blanc da Chamonix, e la via italiana dal rifugio Gonella, denominata via del Papa.

Perciò, dato che le vie normali al Bianco sono frequentate ogni anno da un numero altissimo di persone, stimato in media tra i 35.000 e i 40.000, la Fondation Petzl, nel 2010, ha presentato ai professionisti della montagna delle proposte orientative.

Tutti si sono dichiarati d’accordo circa la necessità di trovare una soluzione per limitare il pericolo nell’attraversamento del canalone, senza pregiudicare il valore del sito e le intrinseche difficoltà del percorso facilitandone l’accesso, seguendo le direttive date dal Presidente della fondazione, Paul Petzl.

Nel corso di questa indispensabile concertazione, le guide alpine hanno presentato delle fotografie attestanti la presenza di massi di grande taglia (fino a 50 tonnellate) sulla sommità del canalone. Questa documentazione ha permesso di precisarne le traiettorie e la loro “energia di caduta”, ponendo in evidenza che una eventuale passerella aerea sospesa a 25 metri di altezza (come si era pensato di attuare) potrebbe essere colpita dal 3% di tali massi e pertanto si dovrebbe posizionarla a 35 metri, il che però sarebbe incompatibile con la preservazione del sito.

Il contributo della Fondation Petzl si è perciò orientato inizialmente verso lo studio di una galleria di diametro limitato (2 metri) percorribile a piedi e adattabile al terreno. Altre iniziative sono state considerate: ricerca di un itinerario alternativo più sicuro, miglioramento dell’informazione sul rischio di questa via, migliore conoscenza delle altre vie, ecc.

Questo famigerato canalone è da tempo riconosciuto come pericoloso, tanto che a volte è stato chiamato il “braccio della morte” per il conto altissimo che presenta agli alpinisti che vogliono raggiungere la cima del Bianco lungo questa via.
L’elevata esposizione ai crolli su questo passaggio lo rende particolarmente pericoloso in piena stagione estiva, perché viene travolto da frane frequenti, il che è stato confermato da due studi commissionati dalla Fondation Petzl denominati “accidentologia” e “caduta di massi”:

– “accidentologia”: la gendarmeria di alta montagna di Chamonix e la Fondation Petzl hanno studiato le operazioni di soccorso organizzate tra il 1990 e il 2011 al fine di meglio conoscere la realtà degli incidenti avvenuti nel percorso tra i due rifugi, le varie circostanze e le vittime. Si è accertato che la metà circa degli incidenti ha avuto luogo durante la sola traversata, che è stato definito un vero “punto nero” della salita al Bianco.

– “caduta di massi”: nell’estate del 2011, dal 20 giugno al 18 settembre, una società di ingegneria geotecnica, ha condotto uno studio statistico sulle frane per identificare i fattori che possono aggravare o ridurre il rischio. Durante questo periodo di osservazioni i tecnici hanno trascorso 42 giorni sul campo, e hanno fatto moltissime osservazioni sui 754 eventi provocati da “massi cadenti” allo scopo di:
– in primo luogo specificare il pericolo rappresentato dalle rocce e massi che cadono;
– in secondo luogo studiare i rischi associati in funzione dell’affollamento del sito;
– e infine individuare quali soluzioni potrebbero ridurre o eliminare il pericolo.

Impressionanti sono le molte fotografie e i filmati registrati proprio nel momento del verificarsi delle frane durante questa “campagna”.

Il versante dell’Aiguille du Goûter in un periodo di secca
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Inoltre sono state osservate 363 persone in situazioni difficili, vale a dire persone che erano nel canalone quando si è verificata una frana e che avrebbero potuto essere o sono state colpite dai massi. Con poche eccezioni, questo numero è direttamente correlato al numero di frane osservate. Si è verificato inoltre che:

le cadute di massi possono verificarsi in qualsiasi momento del giorno o della stagione, ma si sono osservate forti variazioni legate alle condizioni meteorologiche;

– i momenti più pericolosi sono nelle ore più soleggiate della giornata e della stagione, con temperature positive e aria secca (umidità <50%). Tali periodi generalmente corrispondono alle più alte presenze di alpinisti nel canalone.

In base alle rilevazioni effettuate nell’estate del 2011, il numero dei passaggi annuali in questo canale è stato stimato in media tra i 17.000 e i 17.500, di cui 7.300 – 7.500 in salita e 9.700 – 10.000 in discesa.

Estrapolando la percentuale media registrata durante il periodo di osservazione, si può stimare per l’intera stagione che circa un migliaio di persone abbiano dovuto affrontare massi in caduta nella traversata del canalone.

6 – Soluzioni possibili
Su come risolvere il difficile problema di mettere in sicurezza la salita al Refuge du Goûter sono state studiate molte misure, misure che però devono mirare a rendere il percorso più sicuro ma – come già detto – in nessun caso a renderlo più facile tecnicamente così da indurre in errore i candidati sul minor impegno fisico e mentale che richiede l’insieme della salita al Monte Bianco lungo questa via.

La priorità dovrebbe essere data alla informazione e alla prevenzione. Occorre perciò:

Sul piano della prevenzione:
– diffondere le informazioni già disponibili (bollettini meteo, guide turistiche, opuscoli informativi,ecc), indicazioni delle guide alpine, dei responsabili del soccorso, dei gestori dei rifugi;
– considerare un nuovo percorso più sicuro;
– predisporre dei ripari e rinforzare i cavi lungo la traversata.

Sul piano tecnico si sono esercitati in molti, compreso l’autore di questo documento, ad avanzare proposte. Ecco qualche possibile soluzione prospettata da diversi autori:
1 – “blindare” almeno la parte alta del canalone con versamento, tramite elicotteri, di centinaia di metri cubi di cemento a pronta presa che “saldino” le pietre sul terreno;
2 – montare barriere di protezione in ferro e/o cemento armato, su più punti del canalone; queste due prime soluzioni sono difficilmente realizzabili per il pericolo conseguente al dover operare “dentro” il canalone stesso. Inoltre sarebbero poco accettabili sul piano del rispetto ambientale;
3 – stendere un ponte tibetano sopra il canalone (1a ipotesi Petzl): praticabile, magari montandone due in parallelo onde evitare intasamenti tra cordate in salita e discesa; il costo è accettabile e il tempo di realizzazione è breve. La Petzl stessa però la valuta impraticabile perché si è calcolato che, per essere al di fuori della traiettoria dei massi e delle pietre più grandi, questa passerella aerea dovrebbe essere alta più di 35 m da terra, cosa impossibile da realizzare in quel sito;
4 – scavare una galleria sotto il passaggio chiave (2a ipotesi Petzl, su suggerimento delle guide di Saint-Gervais): si è pensato a un tubo in acciaio di due metri di diametro percorribile a piedi e adattato all’ambiente. E’ questo un progetto molto impegnativo, rischioso, molto costoso, con tempi lunghi di attuazione, ma che avrebbe il vantaggio di uno scarso impatto sull’ambiente. Su questa ipotesi di soluzione si è però scatenato un acceso dibattito sul web;
5 – attrezzare una via sulla costola destra orografica del canalone (1a ipotesi Ratto): era questa la proposta di Dumler e Burkhardt, citata anche nel presente documento, e che peraltro è suggerita come “variante 192” anche dalla Guida Vallot, a pagina 111: questa variante si presenta nel suo insieme, secondo la Vallot, della stessa difficoltà (PD) della solita via, ma è assolutamente sicura e porta sulla cresta Payot all’altezza dei Rochers Rouges da cui facilmente si raggiunge il Refuge du Goûter. Alpinisticamente – a mio avviso – parrebbe perfino più interessante dell’attuale. Questa nuova via potrebbe essere messa in sicurezza, su indicazione delle Guide Alpine di Saint-Gervais con impiego di imprese locali, con un’ottica – oserei dire – da “modello ferrata”, attrezzandola perciò con cavi, fittoni, corde, scale, protezioni varie. Ritengo che potrebbe essere realizzata in poco tempo (qualche mese di lavoro) e con spesa contenuta. Comunque tra tutte le soluzioni ipotizzabili sarebbe senza dubbio la meno costosa e la meno impattante sull’ambiente naturale. Inoltre importa osservare cha sarebbe in linea con i principi orientativi dettati da Paul Petzl, Presidente della Fondation Petzl;
6 – impiantare un’ovovia (2a ipotesi Ratto): con stazione di partenza alla Tête Rousse, e stazione di arrivo sulla cresta nei pressi del Refuge du Goûter. Inutile dire che questa soluzione sarebbe la più radicale e la più costosa come impianto e come manutenzione e richiederebbe alcuni anni per essere realizzata, ma non è scartabile a priori impugnando motivi di rispetto ambientale perché qualunque soluzione venga adottata sarà inevitabilmente sempre, in qualche misura, a scapito dell’ambiente.

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7 – Conclusione e piano operativo
A parte le considerazioni sopra esposte, ritengo che, vista l’importanza e la delicatezza dell’opera, sarebbe opportuno (a prescindere dalle soluzioni sopra finora ipotizzate) lanciare un bando di concorso, rivolto a studi di progettazione e a imprese di costruzione di tutta Europa, per vagliare la validità di quanto prospettato e per risolvere tecnicamente il problema della sicurezza eventualmente con nuove soluzioni sperimentate in situazioni analoghe.

Per i finanziamenti, vista l’internazionalità degli alpinisti che fruiranno di questa nuova sistemazione del percorso al Bianco, si potrebbe fare ricorso a fondi dell’Unione Europea.

A questo punto è opportuno sottolineare che obiettivo prioritario nella decisione di risolvere, una volta per tutte, questo annoso problema non è il costo della soluzione che sarà adottata ma la salvaguardia delle vite umane; è questo un imperativo categorico cui tutto deve essere subordinato: salvare una sola vita giustifica qualunque spesa che si debba sostenere e anche che si chiuda un occhio, una tantum, se, per motivi di necessità, si dovesse provocare qualche ferita all’ambiente.

Se un rimprovero si può, anzi si deve fare, agli amici francesi è quello di essere arrivati al terzo millennio senza aver ancora risolto un problema noto da almeno due secoli.

L’attraversamento del Grand Couloir du Goûter
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In occasione della costruzione del nuovo avveniristico, ipertecnologico Refuge du Goûter, peraltro costosissimo (7 milioni di euro?), con una modesta frazione di questo importo si sarebbe potuto mettere in sicurezza il percorso di salita e discesa al rifugio stesso.

Ora non si deve più perdere altro tempo: occorre chiedere alle autorità competenti (Sindaco e Prefetto) di procedere in questo modo:
– da subito porre delle barriere insormontabili che impediscano in modo categorico l’entrata nel famigerato canalone; se occorre presidiandolo con una presenza fissa di gendarmi;
– provvedere a un accurato e approfondito primo “disgaggio” del percorso sulla destra orografica del vallone (variante 192 della Vallot), fin sulla Cresta Payot;
– attrezzare velocemente questa via e metterla in sicurezza con cavi, corde, scale, nicchie e ripari, e con adeguati segnavia;
– provvedere a dare comunicazione di queste decisioni a tutto il mondo alpinistico con adeguati mezzi informativi.

Considerazioni
di Alessandro Gogna
Il saggio di Luciano Ratto tocca punti di indiscutibile interesse. Accanto all’urgenza di ripensare la totalità della salita di questa via “normale”, si pongono questioni di ordine etico e libertario, oltre che ambientale. Con la consapevolezza che finora nessuno dei numerosi articoli apparsi sul web a questo proposito (il documento di Ratto è stato diffuso a fine settembre 2015) ha affrontato la questione in questi termini. Tutti si sono limitati a sollecitare le soluzioni, sgomenti di fronte alla gravità dei fatti.

Che il Canalone della Morte sia uno dei posti al mondo più soggetti a incidente è fuori discussione: ma la causa di ciò risiede soprattutto nell’altissimo tasso di frequenza, ultimamente aumentato vieppiù con la costruzione del nuovo Refuge du Goûter. La “normalità” che cita il sindaco di Saint-Gervaise fa riferimento al fatto che in quel periodo le temperature erano mediamente fredde, dunque la pericolosità del canalone non era ai livelli massimi. Il sindaco ha fatto un inopportuno ragionamento statistico, concludendo che la via può rimanere “aperta” quando il pericolo è, per dire, 50 e deve essere chiusa quando è 100. Tutto ciò è ridicolo, le condizioni sulla montagna variano di minuto in minuto. Divieti e permessi rischiano d’essere obsoleti in un battito di ciglia. E io rimango della mia opinione, per fortuna condivisa non da pochi, che non ci dovrebbero mai essere divieti, come pure non dovrebbero esserci mai i tanto ventilati e mai attuati “numeri chiusi”. Ripeteremo alla nausea che ciascun alpinista o pseudo-alpinista deve imparare ad assumersi la piena responsabilità delle sue azioni. E che, se al posto del divieto, ci fosse un avviso tipo la “bandiera rossa” delle spiagge, ci sarebbe di sicuro una maggior crescita di responsabilità, anche in individui stupidamente refrattari o poco esperti.

Mi rifiuto di pensare che le autorità amministrative della regione o l’opinione pubblica siano indifferenti, penso invece con forza che l’esitazione di esse sia più che altro dovuta alla sensazione d’impotenza che ha una qualunque amministrazione di fronte a fenomeni, come quello dell’alpinismo, che sfuggono a regolare qualificazione. Soggetti molto di più alla decisione dei singoli e molto di meno alle regole, anche quelle del buon senso. Non confondiamo l’indifferenza presupposta col “non fare notizia” con l’esitazione di fronte al dibattito che ciascuno vive dentro di sé. La tragedia del “non fare notizia” è comune a migliaia di altri fenomeni planetari: ma io ritengo che la notizia debba essere comunque data, non solo quando il padrone morde il suo cane, ma anche quando, più normalmente, il cane morde il suo padrone. Davvero sono responsabili i giornalisti e gli amministratori che, per motivi anche bassamente opportunistici, non danno il giusto rilievo alle tragedie del Canalone della Morte? O non è più giusto pensare sempre che l’alpinista, e solo lui, è il vero responsabile? Davvero è così moralmente obbligatorio “mettere in sicurezza” quel canalone snaturandolo quindi in modo radicale? Davvero pensiamo che sia più etico dare la possibilità di una salita più sicura a chiunque piuttosto che richiedergli una maggiore esperienza? Davvero pensiamo che la salita al Monte Bianco sia una cosa così importante?

Gli altri non hanno il diritto di impedire l’azione dell’alpinista, possono solo consigliarlo ed eventualmente soccorrerlo. E anche quando gli facilitano la strada con corde fisse o quant’altro cadono nell’errore di favorirgli la convinzione che in fin dei conti tutto sia stato messo in sicurezza.

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La guida alpina Alberto Bianchi ha giustamente segnalato sul sito facebook dell’Osservatorio della Libertà in montagna (29 settembre 2015) l’esistenza di questo genere di cartellonistica di tempi ormai lontani, commentando: “Questo è un cartello per la sicurezza sul lavoro del tempo andato; oggi si predica l’esatto opposto! Sostituendo “la macchina” con “il terreno” l’avvertimento calzerebbe a pennello anche a chi vuole muoversi libero in montagna; ma anche in questo campo oggi si afferma la filosofia opposta“.

Per queste considerazioni rifuggo dalle invocate “severe riflessioni d’ordine etico sulla responsabilità di chi è responsabile di questo stato di cose”. Come rifuggo da ogni tipo di “azione legale (magari istruendo una vera e propria “class action”) per omicidio colposo”.

Divieti, responsabilità e certificazioni di sicurezza vanno a braccetto con l’aumento esponenziale delle cause legali, con l’intrusione sempre maggiore del diritto e delle assicurazioni in un mondo che vorremmo più “nostro”, più alpinistico.

Sono invece pienamente d’accordo nel condannare la scelta di ricostruire in modo avveniristico e spettacolare il Refuge du Goûter senza prendere neppure in considerazione i problemi che una maggiore frequenza di accesso ha portato e porterà, con l’inevitabile crescita del tasso di gravi incidenti. Non si è fatto nulla né per “mettere in sicurezza” né per dissuadere senza divieti. Il rifugio è stato costruito, ha comportato costi spaventosi e… lo show must go on!

Piano piano arrivo anche io a ciò che secondo me occorrerebbe fare in concreto.
Nessun divieto, nessun numero chiuso. Dimentichiamo soluzioni sciocche o improponibili come ovovia, ponte tibetano, tunnel sotterraneo. Dimentichiamo le “barriere insormontabili che impediscano in modo categorico l’entrata nel famigerato canalone; se occorre presidiandolo con una presenza fissa di gendarmi“.

Si deve invece scoraggiare nel modo più incisivo possibile la frequentazione di quella via “normale”: con video, cartelli e agitando ogni possibile spettro di paura e di morte. Aumentando le tariffe del trenino, dell’accompagnamento guida e dei pernottamenti in rifugio. Sì alla revisione dei corrimano e degli ancoraggi, ma no al disgaggio (che per me è come mettersi a scopare il mare).

Infine, sì alla costruzione di una via ferrata che salga sullo sperone di sinistra, parallelo al canalone. Detto da me, contrario a ogni genere di via ferrata… Ma quando ci vuole ci vuole. E in ogni caso non parlare mai di “piena sicurezza” della variante.

Il Canalone della Morte ultima modifica: 2015-11-26T05:35:00+01:00 da GognaBlog

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18 pensieri su “Il Canalone della Morte”

  1. Ratto, penso che forse il francese ti abbia risposto come riporti perché da loro l’alpinismo è ancora una attività molto diversa dall’escursionismo che da noi viene praticato dalla maggioranza di chi va in montagna pensando di fare alpinismo e quindi pensando di avere le capacità e la cultura di un alpinista.

  2. ULTIME NOTIZIE SUL DOSSIER DEL CANALONE DELLA MORTE
    Ho inviato il mio dossier/denuncia a gran parte del mondo alpinistico e montano di Italia e Francia:
    -in Italia, la mia denuncia è stata molto diffusa ed ha avuto una grande eco: il dossier sul “Canalone della morte” è stato pubblicato da molti blog; cito in particolare questo, il 26 novembre, con un commento di Alessandro e di altri 16 alpinisti, e ripreso successivamente da facebook con decine di commenti.
    -in Francia, l’ho trasmessa alle autorità centrali e locali ed a tutte le riviste di montagna di quel Paese, ma finora nessuno ha reagito. Speriamo che qualcosa e qualcuno si muova, perché, almeno nella prossima stagione, alpinistica, non si registrino nuove morti. Così infatti ho scritto nel documento di presentazione del dossier:
    “Se ci si muove subito e si adotta la soluzione che ho giudicata la più opportuna, vale a dire attrezzare una via “ferrata” sulla destra orografica del canalone verso la cresta Payot, e nel frattempo si impedisce drasticamente l’attraversamento del canalone, dalla prossima stagione alpinistica estiva si potrebbe porre fine al massacro. Sarebbe un risultato grandemente soddisfacente e meritorio per tutti noi, francesi ed italiani.”
    Proprio in questi giorni, mi è giunta (prima ed unica risposta da parte francese) un messaggi da parte del Signor Jean-Jacques Prieur, Segretario del prestigioso “G.H.M.” (Group de Haute Montagne) di Chamonix. Ecco il testo integrale:

    Cher Monsieur,
    J’ai transmis votre message au Président du GHM.
    Par ailleurs étant Guide de Haute Montagne, j’ai souvent travaillé sur cet itinéraire du Mont Blanc et comme vous et comme tant d’autres, je me suis toujours interrogé sur la possibilité d’utiliser un autre itinéraire, celui de ” l’arête Payot ” paraissant un des plus évidents.
    Renseignements pris auprès de guides très anciens de la compagnie des guides de Saint Gervais, il semble que dans l’état actuel des choses l’itinéraire dit de “l’arête Payot” soit plus difficile et surtout que la qualité du rocher y soit très mauvaise. Cependant aucun de ceux qui l’affirment ne sont allés voir personnellement sur place et particulièrement dans le haut de l’itinéraire, ce qu’il en était vraiment.
    En fait c’est un problème qui concerne plus les pouvoirs publics que le monde associatif ou les guides. On voit en effet que malheureusement le plus gros pourcentage des accidentés sont des gens qui ne sont pas des alpinistes confirmés. Les guides n’ont pratiquement jamais d’accident sur cet itinéraire, c’est pourquoi ils continuent de l’utiliser et par effet d’entrainement, tout le monde les suit.
    Merci pour votre contribution à la sécurité générale.
    Cordialement.
    Jean-Jacques Prieur
    Secrétaire Général du Groupe de Haute Montagne

    In questo messaggio ho evidenziato alcuni passaggi che dimostrano che:
    1°- che neppure questa guida, presumibilmente “emerita, e il famoso GHM di cui è segretario, si sono finora posti in modo serio il problema che -come ho scritto nel dossier- la “Vallot” (del 1973 ) non solo scrive quanto ho riportato nel dossier, “ …C’est un des lieux plus meurtriers des Alpes…” ma aggiunge, in calce alla breve indicazione dell’itinerario 192 della cresta Payot, queste parole ” Il est déconseillé d’utiliser directement le grand couloir à la montée comme à la descente”, ma evidentemente le guide locali non ne hanno mai tenuto conto.
    Segnalo, per contro, che la Guida del Monte Bianco di Chabod, Grivel, Saglio (del 1963), è molto più precisa e dedica più spazio alla via sulla cresta Payot rispetto alla “normale” del canalone e così definisce la Payot: “Più difficile ma più sicura dell’itinerario normale” llustrandola inoltre nello schizzo n° 9.
    2°- che le guide locali non si sono premurate finora di salire per verificare sul posto le condizioni di questa nuova via che propongo,
    3°- che, secomdo Prieur“:…c’est un problème qui concerne plus les pouvoirs publics que le monde associatif ou les guides….” : un bello scaricabarile!
    4°- che, tutto sommato : “…Les guides n’ont pratiquement jamais d’accident sur cet itinéraire…” Ed allora, se è così, perchè preoccuparsi tanto?
    E’ tutto. Spero che lo scambio di opinioni possa continuare perchè l’importanza del tema in oggetto lo giustifica. Ringrazio chi mi legge dell’attenzione e porgo cordiali saluti .
    Luciano Ratto

  3. In risposta ad alcuni commenti alla mia denuncia ed alle propostte da me avanzate per risolvere questo annoso tragico problema, credo innanzitutto opportuno chiarire quale è, da sempre, il mio atteggiamento nei confronti dell’ambiente naturale, montano e di pianura:
    – negli anni ’80 sono stato il co-fondatore ed il primo Presidente dell”A.T.A.” (Associazione per la Tutela dell’Ambiente) che operava nel territorio dei Comuni limitrofi al Parco Regionale de La Mandria;
    – quando nel 2006 è stato costituito il “Gruppo Club 4000″della Sezione di Torino del CAI, ho insistito, assieme a Roberto Aruga, perché nel Regolamento (vero e proprio Atto Costitutivo) si affiancasse, nell’articolo 3 che precisa la finalità di questo Gruppo, la postilla “nel rispetto dell’ambiente naturale”, anche se poi, purtroppo, ho constatato nei soci scarsa sensibilità al riguardo;
    – durante gli anni del mio impegno per il Club 4000 e tuttora, ho preso parte, a titolo personale, o in affiancamento a MW, Legambiente, e ad altre associazioni ambientalistiche, a lotte contro progetti quali la sopraelevazione del Piccolo Cervino, il Walser Express sul Rosa, la funivia della Marmolada, la realizzazione di un ascensore a cielo aperto nella “perla delle Alpi” (la meravigliosa conca di Cheneil), e altro che ho elencato nel “Libro nero degli scempi valdostani” (sono valdostano di origine).
    Inoltre scrivo sovente, al riguardo, su “Montagnes Valdotaines” e su “Giovane Montagna” di questi problemi.

    Tornando al mio dossier sul Goûter, credo non sia sfuggito che più volte, nel presentare le varie (comprese le mie) ipotesi di soluzione del problema dell’attraversamento del “Canalone della morte”, ho posto in evidenza l’eventuale impatto sull’ambiente, più o meno alto a seconda delle ipotesi prospettate.
    Nella soluzione che io ho indicata, e che tutto sommato, secondo me è la più consigliabile , probabilmente l’adozione di protezioni tipo “ferrata” è forse un po’ “pesante” come impatto, ma è purtroppo lo scotto che si deve pagare nella ricerca di un compromesso tra sicurezza e “leggerenza” ecologica.
    Io ho tenuto in conto il monito che il Presidente della Petzl ha lanciato ai tecnici, cercare una soluzione che fosse sicura ma che non rendesse troppo facile e quindi scarsamente alpinistico il percorso (pag.13):
    ”..Tutti si sono dichiarati d’accordo circa la necessità di trovare una soluzione per limitare il pericolo nell’attraversamento del canalone, senza pregiudicare il valore del sito e le intrinseche difficoltà del percorso facilitandone l’accesso, seguendo le direttive date dal Presidente della Fondazione, Paul Petzl …”

    Insomma, io, di fronte alla gravissima ecatombe che si verifica inesorabilmente ogni anno, da due secoli a questa parte, ritengo che (pag.17) questa soluzione “… tra tutte le soluzioni ipotizzabili sarebbe senza dubbio la meno costosa e la meno impattante sull’ambiente naturale. Inoltre mette conto osservare cha sarebbe in linea con i principi orientativi dettati da Paul Petzl, Presidente della Fondazione Petzl…”.
    “…A questo punto è opportuno sottolineare che obiettivo prioritario nella decisione di risolvere, una volta per tutte, questo annoso problema non è il costo della soluzione che sarà adottata ma la salvaguardia della vita umana; è questo un imperativo categorico cui tutto deve essere subordinato: salvare una sola vita giustifica qualunque spesa che si debba sostenere ed anche che si chiuda un occhio , una tantum, se, per motivi di necessità si dovesse provocare qualche ferita all’ambiente…”.

    Occorre poi ricordare che molti percorsi per raggiungere rifugi sono così attrezzati; cito uno tra molti: quello per il Rifugio Monzino, e sicuramente lo sarà anche il nuovo per la Capanna Sella. In Svizzera sono moltissimi (troppi) gli esempi, e nessuno se ne duole.

    Alcuni di coloro che conoscono la mia profonda fede ecologista si sono stupiti che io abbia proposto due soluzioni possibili, e cioè quella sopra citata, e la costruzione di una breve ovovia da 4 posti atta a superare il canalone maledetto e perciò con uno sviluppo limitato in verticale. L’ho proposta per questi motivi:
    1- se i due rifugi italiani (Gonella e Sella) non sono serviti da mezzi di risalita, i tre francesi ne dispongono a go-go: funivie e trenini; quindi una breve ovovia non danneggerebbe l’ambiente più di quanto non sia già danneggiato, a fronte dei vantaggi di cui sopra sul piano della sicurezza;
    2- il Rifugio del Goûter è servito oggi, come tanti rifugi in quota, da elicotteri, con costi notevoli e inquinamento atmosferico e sonoro facilmente immaginabili;
    3- sul piano dei costi/benefici l’impiego di una ovovia per i trasporti di quanto necessita al rifugio sarebbe di gran lunga meno costoso dell’impiego di elicotteri che potrebbero essere usati solo per trasporti pesanti o ingombranti o per il soccorso. I costi dell’impianto e della gestione di questa ovovia sarebbero recuperabili con i biglietti del trasporto degli alpinisti (o turisti) in salita e discesa.

    Aggiungo , ad esempio, che il Rifugio Monzino, altra base di partenza per il Bianco sul versante italiano, per salire lo stupendo”trittico” creste di Peuterey-Brouillard-Innominata, anni fa era servito da una teleferica che trasportava non solo il materiale occorrente al rifugio ma anche i sacchi degli alpinisti (ignoro se esista ancora). Oggi, se consulti Google, leggi che viene pubblicizzata la ferrata ristrutturata nel 2005 e l'”elitrasporto sacchi” (sic!). Non mi pare che un’ovovia sia molto diversa da una teleferica e una ferrata per il Monzino sia tanto diversa da quella (parziale) per il Goûter.

    Noi oggi siano giustamente sensibili sul tema del rispetto ambientale, ma a volte forse esageriamo, e così lasciamo insoluti problemi come questo del Goûter. Guardando indietro nel tempo, è curioso che nessuno si sia mai soffermato a criticare i nostri nonni che non andavano, al riguardo, molto per il sottile e così, pochi anni dopo la prima salita, ad esempio, del Cervino e del Dente del Gigante (due illustri simboli dell’alpinismo) si sono affrettati a renderne la salita più facile (altro che i moniti di Petzl!), con un’esagerata dovizia di cordame e ferramenta: ” business è business” e le guide di allora (scarpe grosse e cervelli fini) fiutarono subito l’affare.
    E da allora chi ha mai fatto obiezioni mettendosi contro gli autori di questa bella idea?: il CAI? le varie associazioni ambientalistiche? i puri e duri della montagna?

    Per non parlare poi del proliferare di ferrate su ogni minima falesia, e di sentieri attrezzati persino su percorsi in creste pianeggianti come la cresta di Pila. Incredibile poi trasformare una magnifica salita alpinistica sulla cresta ovest dell’Emilius nella “più alta ferrata d’Europa” e vantarsene pure, come fanno i miei amici valdostani.

    Nel libro “Tutti i 4000” (che ho scritto io al 95%) Karl Blodig racconta della sua salita al Dente; Coolidge respinse la sua scalata perché dichiarò di “non avere mai avuto una predilezione particolare per la ginnastica e non si può chiamare scalata in montagna l’arrampicarsi sull’ago roccioso assicurato con ferri e corde”.

    In occasione dei ricchi, costosi e folli festeggiamenti (illuminazione, frecce tricolori, ecc.) per il 150° del Cervino, è per lo meno strano che nessuno abbia sollevato questo problema, osservando che il Cervino è oggi troppo facilitato (quanti lo salirebbero se si togliessero le corde che lo imbrigliano?) e ciò nonostante è, a parer mio, la montagna che conta il maggior numero di incidenti mortali al mondo.

    E quando mai tra i paladini della protezione dell’ambiente montano (tra cui pongo anche il sottoscritto) qualcuno ha “osato” fare obiezioni al riguardo? E ci si scandalizza per qualche protezione posta sul percorso da me suggerito sul Goûter mirato a salvare vite umane?

    In conclusione ribadisco che da sempre sono un difensore dell’ambiente naturale, al punto che pur essendo un cattolico praticante, toglierei dalle vette delle montagne anche le croci e le statue di Madonne e Santi, assieme agli altri vari orpelli, e non dico cosa mi hanno detto quando queste cose ho osato scriverle o dichiararle in pubblico!

  4. leggendo l’ultimo commento è ancora più evidente che il problema sono le persone e dove ci fermeremo…
    Il problema che ci si pone è di fattibilità tecnica, non che non si dovrebbe intervenire con altre strutture che portano solo ad addomesticare ulteriormente una montagna che ha già: tanti rifugi, funivie, elecotteri, trenino, itinerari completamente attrezzati per la discesa in doppia.

  5. Io ho provato a salire ancora piu’ a sinistra, su una cresta che poi diventa il pianoro del Gouter. Non ho trovato particolari difficolta’ ad eccezione del fatto che la via, non essendo preparata, risultava essere leggermente sporca. Secondo me un progetto di sistemazione della via potrebbe costare poco e garantire molto maggiore sicurezza. Non credo nella soluzione del tunnel in quanto sarebbe troppo difficile scavare quella roccia cosi’ friabile, anche il ponte avrebbe problemi di ancoraggio, per non parlare della funivia che non si saprebbe dove costruire la stazione a monte: un conto e’ un rifugio, una funivia e’ ben altra cosa.

  6. infatti, con tutto il rispetto per il signor. Ratto sicuramente animato da buone intenzioni, io vorrei complimentarmi con i sindaci e le autorita` francesi che, non vietando o limitando solo temporaneamente l’acesso alla via in casi estremi, hanno dimostrato di non essere influenzati dai risvolti psicologici di un pubblico irrazionale.

  7. Beh se ragioniamo in termini di probabilità il conto è presto fatto perché dai numeri elencati non si arriva nemmeno allo 0,1%. Gli effetti collaterali dei farmaci in circolazione risultano, percentualmente parlando, ben più letali. Ma è il solito discorso, riconducibile ad un effetto psicologico, lo stesso in base al quale un incidente aereo fa molto più scalpore di una sfilza di incidenti automobilistici e a nulla valgono i numeri attestanti la superiore sicurezza del volo.
    Purtroppo o per fortuna viviamo una passione dai risvolti psicologici impressionanti, tali dal portarci a fare delle scelte, e a prendere delle decisioni, spesso e volentieri prive di buon senso.
    E’ vero, il problema sono le migliaia di persone che attraversano il canalone, quest’ultimo fa semplicemente il suo dovere, né più nè meno di tanti altri assai meno frequentati.
    Recentemente, su Montagne 360 di novembre, ho letto un articolo di Italo Fasciani intitolato “Salire un Ottomila è un sogno alla portata di chiunque sia abbastanza allenato e determinato”. Ora, io non voglio mettere in dubbio le affermazioni dell’alpinista in questione, anche perché su un ottomila non sono mai stato, però un titolo così mi lascia leggermente perplesso. Proviamo a vederla nell’ottica del “mito” citato prima da Fulvio Turviani, non emerge una considerevole sproporzione di vedute?
    Cioè, siamo passati da commenti aventi il sapore di un racconto medievale, relativamente alle imprese di Bonatti, alla mera constatazione che per salire un ottomila basti essere allenati e determinati e, si badi bene, neanche poi più di tanto! Quindi ci meravigliamo se poi sul Bianco salgono migliaia di persone?
    Allora, io non voglio dire che si debba gridare al lupo al lupo però risulta alquanto evidente come l’alpinismo venga sovente banalizzato dagli stessi praticanti, col risultato che per molti l’avventura viene vissuta come una semplice alternativa al cinema o alla gita fuori porta. Che si fa domenica? Andiamo bene a far due passi sulla vetta del Bianco, tanto se per fare un ottomila basta un po’ d’allenamento su un quattromila si va a zoppo galletto! Alla faccia del mito.

  8. il problema non e` il canalone, sono le migliaia di persone che lo attraversano ogni anno. La via non e` particolarmente pericolosa, ha i suoi pericoli oggettivi come le altre, vanno conosciuti e prevenuti per quanto possibile. Se si puo` attrezzare una via piu` sicura a sinistra benissimo ok, ma se non e` mai stato fatto forse ci sono dei motivi. Il pericolo della via e` limitato ad un punto delimitato e ben conosciuto, sulla via dei tre colli il pericolo e` molto piu` subdolo ed esteso ad una area maggiore, valanghe e caduta seracchi. Il monte Bianco e` probabilmente la montagna dove si verificano piu` incidenti al mondo, sempre per lo stesso motivo, la frequentazione, vogliamo scoraggiare l’ascensione al Bianco per questo ? impariamo a pensare in termini di probabilita` e non di numeri assoluti.

  9. Fulvio sono completamente d’accordo con te. Dove ci fermeremo….??

    L’alpinismo non è vittima di se stesso, ma della la gente che vuole l’avventura, ma la vuole sicura, senza rischio. Quindi una falsa avventura.
    Non ci sono varie categorie di alpinismo. L’alpinismo è uno! E senza rischio non esiste, perchè l’apinismo è pericoloso. I pericoli sono insiti nell’ambiente stesso e si rischia più o meno anche in base alle scelte che si fanno. Se decidiamo di entrare in un certo ambiente per godere della sua grandezza, ne dobbiamo anche accettare i pericoli.
    I pericoli stessi fanno grande un ambiente. I ghiacciai, i crepacci i seracchi fanno grande il Monte Bianco. lo fanno grande anche perchè sono pericolosi.

    Il monte Bianco non è un “parco avventura” dove si gioca a fare i duri in massina sicurezza.

    Il problema è che la gente vuole il parco avventura, con la conseguenza che sminuiremo e umilieremo sempre più la montagna con nuove e sempre più impattanti attrezzature.

  10. Se la salita diretta è fattibile senza stravolgere il grado di difficoltà della salita, qual è il motivo per cui ad oggi si continua ad attraversare il canale?
    In ogni caso la domanda da porsi è forse un altra. Può davvero esistere l’alpinismo senza rischio? Valutiamo i pericoli, decidiamo come affrontarli, lo riduciamo ai minimi termini, ma dove ci fermiamo?
    Dopo aver certificato il materiale, pretenderemo la certificazione delle vie? Delle previsioni meteo? Della nostra o altrui prestazione fisica e sportiva?
    Non sto ignorando il problema. Ma l’alpinismo in questi casi è vittima di se stesso. Del suo mito e di cosa lo ha creato. È il rischio fa parte di quel mito. Se esiste una via alternativa si fa bene a suggerirla e nel caso ad attrezzarla, ma probabilmente sposteremo solo il problema.
    Reso più sicuro il canale, saranno ancora di più a salire al Gouter e probabilmente aumenteranno i morti sulle Bosses. A quel punto cosa si fa? Si metterebbe un bivacco ogni 400 mt? Una stazione di soccorso fissa alla Vallot?
    Capisco e comprendo che la più alta cima delle Alpi, inevitabilmente sia desiderio di milioni di persone. Non credo nemmeno si possa impedire e forse è giusto offrire una via sicura e preferenziale. Solo mi chiedo dove ci si deve fermare.

  11. Ho fatto il calanalone per la prima volta a 13 anni e me lo ricordo ancora. Voterei anch’io per la salita diretta per la costola di sinistra.

  12. Io sono per la via diretta sulla costola di sinistra del canalone ma senza ferrata: con le soste per la salita in cordata e le catene (separate di qualche metro) per la discesa in doppia. Il terreno mi sembra comunque poco solido. In questo caso con questa barriera si riduce l’affollamento degli aspiranti salitori al Bianco.

  13. Mi pare giusto urgente attrezzare una via sulla costola destra orografica del canalone (1a ipotesi Ratto). Le altre ipotesi sono fantasiose. Fantasiose come quella che vorrebbe affidare tutto alla sola responsabilità degli Alpinisti. Per le vie normali è tempo perso proporre di tornare alla purezza orginale. Troppa gente le vuol fare. Costa meno metterle in sicurezza che andare a soccorrere la gente.
    Carlo Pucci, da facebook 26 novembre 2015 alle ore 10:05

  14. A questo punto credo che le alternative siano due.

    O si smonta l’astronave del Gouter, (insisto perchè chiamarlo rifugio è un offesa per il termine rifugio), e in questo modo si disincentiva il grande afflusso, perchè è l’eccessivo afflusso che aumenta di tanto il rischio in una zona effettivamente pericolosa . Naturalmente sono coscente che questa è un’ utopica soluzione irrealizzabile, visto il giro di soldi.

    Oppure come propone Alessandro, s’ingolla il rospo, e si crea un accesso più diretto sulla costola di sinistra del canale. Sempre che anche questa non si una catasta di piatti.

    Le altre soluzioni proposte, alcune mi sembrano assurde, altre troppo impattanti. Già c’è l’astronave…..

  15. Non è che i salitori del 1786 siano stati più capaci di quelli odierni, molto probabilmente hanno avuto una buona dose di culo (che in montagna non guasta mai). Se ragioniamo in termini percentuali il numero di persone morte e ferite è infinitesimale rispetto al numero di coloro che affrontano l’ascensione (mi son messo a fare due conti e, stando dalla parte dei bottoni, non raggiungiamo lo 0,1%). Pertanto, sulla scorta di questi numeri è impossibile capire se uno sia capace o meno (queste sono valutazioni che si possono fare solo sul campo) perché in presenza di pericoli oggettivi chiunque può passare a miglior vita.
    Si tratta semplicemente di ragionare se sia giusto ed opportuno apportare delle modifiche all’attuale situazione ambientale e qui, come sempre accade, si scontrano visioni anche diametralmente opposte.
    Personalmente, pur non essendo un amante di certi manufatti, sono d’accordo con Alessandro in merito alla ferrata. Per quanto concerne invece il resto credo che le osservazioni di Alberto siano molto concrete.

  16. Avendo salito il Bianco da pochi mesi e avendo valutato la pericolosità del luogo, non posso che essere d’accordo sulla realizzazione della via attrezzata sulla costola della destra orografica del couloir. Non dimentichiamoci però che gli incidenti avvengono spesso per la frequentazione della via, in percentuale al numero di alpinisti gli incidenti sono per assurdo pochi! E’ come se cadessero delle pietre su un’autostrada piuttosto che su una stradina di montagna. La probabilità di colpire qualcuno cambia di molto. Inoltre non si accenna al fatto che anche l’altra via normale francese è altrettanto pericolosa anche se con una caratteristica differente: pochi eventi all’anno , ma gravissimi (con anche decine di morti ciascuno).
    Marco Oddone, da facebook 26 novembre 2015 alle ore 9:14

  17. Grazie Luciano Ratto, ora ho capito bene che da qualsiasi parte si voglia salire sul Bianco si corrono dei rischi, è pericoloso!
    Aggiungo che grazie alla tua esperta analisi mi sono convinto sia pericoloso salire anche le altre montagne.
    Forse se si salisse da una via di roccia tipo quelle dei piloni si rischierebbe di meno?
    Dato che non si può chiudere il Bianco alla massa che spensierata lo vuole salire si potrebbero costruire delle funivie su ogni versante.
    Oppure fare una galleria che esca sulla vetta e ai rifugi così non si rischierebbe nemmeno il brutto tempo.
    Ognuna delle due soluzioni che propongo creerebbe un bel giro d’affari, magari con un bell’albergo sulla sommità.
    E tutti, ma proprio tutti, sia normo dotati che no, potrebbero “conquistare”, come tu dici di aver fatto più volte, la cima più alta delle Alpi.

  18. “Si deve invece scoraggiare nel modo più incisivo possibile la frequentazione di quella via “normale”: con video, cartelli e agitando ogni possibile spettro di paura e di morte. Aumentando le tariffe del trenino, dell’accompagnamento guida e dei pernottamenti in rifugio.”

    Con sopra quella mega faraonica astronave, (chiamarla rifugio è un offesa) con tutto quello che è costata e che costa, credo proprio Alessandro che questa tua proposta te la puoi proprio scordare.

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