Il Cervino

Il Cervino
di Gian Piero Motti
(pubblicato in La storia dell’alpinismo) (GPM-SdA-08)

1865: un anno di grandi realizzazioni
L’attività alpinistica di Whymper conobbe i migliori successi prima della tragedia del Cervino, quando il celebre inglese ancora non aveva raggiunto i 25 anni. E fu proprio nel 1865 che Whymper raggiunse l’apice della sua carriera: nello spazio di un mese portò a termine tre imprese eccezionali, che segnarono in un certo modo la fine di un’epoca della storia dell’alpinismo, quella della conquista delle grandi vette alpine. Già l’anno precedente, nel 1864, Whymper aveva colto un magnifico successo nel massiccio del Delfinato, ancora sconosciuto e poco esplorato, ma forse più grandioso e selvaggio del Monte Bianco. La vetta conquistata era la più alta del massiccio, la bella Barre des Écrins, oggi una delle montagne più salite di tutte le Alpi. Fu sostanzialmente una vittoria inglese, infatti accanto a Whymper vediamo i già noti Horace Walker e Adolphus Warburton Moore. Anche le due guide sono ormai nomi famosi: Michel-August Croz di Chamonix e Christian Almer di Grindelwald.

Ma veniamo al 1865 e al gruppo del Monte Bianco. Tra tutte le vette che fanno corona al massiccio, forse l’unica che può rivaleggiare con il Bianco vero e proprio per grandiosità e difficoltà dei suoi versanti è quella delle Grandes Jorasses. Montagna magnifica e tipicamente occidentale, sulle cui pareti la storia dell’alpinismo ha scritto pagine fondamentali. Da ogni versante appare difficile e dirupata: nessuna cresta, nessuna parete da l’idea della facilità o della banalità, a differenza del Bianco, che, visto da Chamonix, non appare poi così terribile. Caratteristica delle Grandes Jorasses sono i ghiacciai tormentati e sospesi, che si aggrappano ai versanti rocciosi, incuneandosi tra rossi pilastri di granito, che sembrano sorreggere i bacini glaciali al di sopra delle cascate di seracchi. Le Grandes Jorasses erano una meta assai ambita, un’impresa che a Whymper non poteva sfuggire.

Un tratto della salita sulla cresta dell’Hörnli

L’impresa ha un tono quasi epico e leggendario, ha un sapore d’altri tempi che desta persine un po’ di nostalgia. Infatti il 24 giugno 1865 il gruppo formato da Whymper e dalle guide Michel-August Croz, Christian Almer e Franz Biner, se ne parte in piena notte dal fondovalle e dopo una lunghissima marcia ininterrotta, prima lungo le ripide morene, poi sul ghiacciaio tormentato dai seracchi, dopo sulle rocce del cosiddetto “Reposoir” (dove la cordata si concesse infatti un meritato e più che comprensibile riposo!), infine lungo le rocce che ora portano il nome di Whymper, raggiunge poco dopo mezzogiorno la seconda vetta del monte, che oggi appunto porta il nome del grande alpinista inglese. Già in serata il gruppo era di ritorno a Courmayeur.

Il modo in cui quest’impresa venne realizzata, fa veramente riflettere e ci porta a porci la giustificata domanda se effettivamente, a fianco di una inconfutabile evoluzione, non vi sia stata anche una certa involuzione nel campo alpinistico. E soprattutto imprese come queste esigono un esame più lucido ed obiettivo di tutta la storia dell’alpinismo: troppo sovente abbiamo esaltato le imprese dei contemporanei, certamente più impegnative dal punto di vista tecnico, ma molto lontane dalla semplicità e dalla determinazione con cui certe imprese dei pionieri venivano portate a termine.

Solo cinque giorni dopo, Whymper, instancabile, è a Chamonix, fermamente intenzionato a conquistare un’altra vetta magnifica e difficile, rimasta ancora inscalata: l’Aiguille Verte. Montagna superba ed elegante, caratterizzata da creste lunghissime ed affilate, irte di torri rocciose a volte, altre volte nevose e sottili come lame di coltello. I fianchi sono vertiginosi e tipicamente a carattere «misto», solcati da canaloni di ghiaccio profondi e battuti dalle scariche di sassi. È il terreno occidentale per eccellenza, dove il valligiano si pone in evidenza per il suo “fiuto” naturale nello scegliere il passaggio più sicuro e meno difficile tra i molti possibili. È anche il terreno dove conta molto “il piede”, ossia il procedere con sicurezza su un terreno infido e ghiacciato; una sicurezza che giunge soltanto dopo una lunga e paziente esperienza su pareti di questo genere.

Se la si paragona alle altre vette precedentemente conquistate, l’Aiguille Verte è sicuramente più difficile e complessa, tanto che la conquista rappresentò un vero e proprio passo in avanti nella storia dell’alpinismo. Non per nulla i francesi quando parlano dell’epoca pionieristica dicono: “Prima il Monte Bianco, poi l’Aiguille Verte ed infine il Dru”, volendo così sintetizzare tre epoche ben definite, ognuna delle quali fu caratterizzata dalla conquista di queste tre vette.

Whymper giunge a Chamonix e vorrebbe accordarsi ancora con Croz, ma la guida francese è già in parola con altri clienti inglesi e molto lealmente rifiuta l’offerta. Ma Whymper non è uomo da attendere e tanto meno di lasciarsi “soffiare” una salita. Con le guide Christian Almer e Franz Biner, il 29 giugno 1865 porta a termine l’impresa, salendo dal versante Talèfre lungo un itinerario difficile e complesso, tuttora via normale di salita alla montagna (pur con la variante del couloir, aperta più tardi). Pochi giorni dopo, esattamente il 5 luglio, Croz si rifa ampiamente e sale alla vetta dell’Aiguille Verte lungo un itinerario forse più difficile ed ancora più elegante, la bella cresta del Moine, guidando un nutrito gruppo di inglesi: George Christopher Hodgkinson, il reverendo Charles Hudson (che ritroveremo al Cervino), il famoso Thomas Stuart Kennedy, instancabile esploratore di ogni angolo della catena alpina. Come guide e portatori gli sono accanto Michel-A. Ducroz e Peter Perren.

È dunque con animo da conquistatore che Whymper giunge al Cervino. Il suo morale doveva essere altissimo, dopo i magnifici successi conseguiti, ed anche il suo “allenamento”, se vogliamo parlare in termini moderni, doveva essere perfetto. Il Cervino era l’ultima grande vetta rimasta inscalata. Whymper già più volte l’aveva tentato ed era fermamente convinto che si potesse scalare, anche se molte guide non erano dello stesso parere e cercavano di dissuaderlo dall’impresa. Così, pochi giorni dopo la salita dell’Aiguille Verte, Whymper raggiunge la bella Valtournenche, che si stende ai piedi del Cervino, convinto di sferrare l’attacco decisivo proprio da quel versante. Ma…

Whymper e Carrel, rivali per il Cervino
A differenza del Monte Bianco, che è caratterizzato da un vasto massiccio dove si individuano numerose vette secondarie, il Cervino è montagna inconfondibile. Da qualunque lato lo si osservi, appare sempre molto ardito ed elegante, con la ben nota struttura piramidale che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Quattro creste che delimitano quattro pareti regolari, una gigantesca piramide che da lontano appare compatta e perfetta. Purtroppo in realtà gli scisti cristallini di cui è composto il Cervino sono assai disgregati dall’erosione e dal gelo, tanto che raramente gli itinerari di salita al monte offrono tratti di arrampicata entusiasmanti ed atletici, come quelli che sempre si incontrano sullo scabro protogino del Monte Bianco. Il fascino del Cervino sta nelle sue forme e nel suo magnifico isolamento. Eppure Whymper quando lo vide lo trovò persine brutto, assolutamente non paragonabile in bellezza ad un altro gigante del Vallese, il Mischabel, che effettivamente è una splendida e difficile montagna.

Ma il Cervino, forse per il suo aspetto vertiginoso, ancora non era stato scalato ed era certamente questo l’aspetto che più interessava Whymper. Vi erano già stati tentativi di salita da entrambi i versanti, alcuni certi, altri un po’ leggendari. Comunque si sa che già fin dal 1857 le guide di Valtournenche erano partite decise alla salita. Come si spiega questa volta un’iniziativa del tutto valligiana?

Due figure riuscirono ad animare i montanari. La prima è quella del dottissimo canonico Georges Carrel, amante e studioso della sua bella Valtournenche. Il canonico aveva ben compreso che la salita del Cervino, se realizzata dai montanari di Valtournenche, avrebbe “fatto notizia» e molti alpinisti sarebbero accorsi per ripetere l’impresa. Ciò, in termini concreti, equivaleva a possibili guadagni per i valligiani in un periodo in cui a Chamonix già si facevano affari d’oro con gli alberghi e nel guidare i “touristes” sul Bianco. In Valtournenche, che pure è così bella ed offre montagne difficili, ancora i “touristes” non si erano visti. Ma certo non fu molto facile convincere i montanari a tentare la salita. Fortunatamente il messaggio fu raccolto dai Carrel, cacciatori di camosci e camminatori instancabili. Ma accanto a loro agì il secondo uomo che servì da sprone, il sacerdote Aimé Gorret, personaggio straordinario, montanaro di pura razza, ma assai colto ed erudito. Gorret fu forse il primo e l’unico a credere veramente nella possibilità di salire il Cervino. Egli stesso era un camminatore eccezionale, conosceva ogni angolo della sua valle, che amava al di sopra di ogni cosa. Pare che il primo tentativo fu proprio di Gorret, Jean-Antoine ed il più vecchio Jean-Jacques Carrel, che si portarono fino alla Testa del Leone, armati unicamente di un’ascia

per tagliare il ghiaccio. Il versante italiano era stato giudicato «impossibile» dai fratelli inglesi Parker; infatti la Cresta del Leone da lontano appare molto ardita, con tratti esposti e verticali. Ma nel 1858 i due Carrel riuscivano a giungere fin sotto la Gran Torre. Tuttavia il loro tentativo venne ripreso nel 1860 da Johann-Joseph Bennen e da John Tyndall, scienziato inglese che svolse un’attività di primissimo piano sulla catena alpina. Tyndall restava però ancora assai attaccato al filone scientifico, anzi non riusciva ad accettare una forma d’alpinismo che non muovesse da seri intenti scientifici. Certamente, nella sua epoca, fu l’ultimo rappresentante significativo di questa corrente. I due salirono ancora più in alto, raggiungendo la grande spalla triangolare posta sotto l’ultimo tratto a piramide, la famosa “testa” del Cervino.

Dopo entra in scena Whymper, il quale subito individua l’uomo migliore cercando di accordarsi con Jean-Antoine Carrel il Bersagliere. Tra i due non vi fu mai buon accordo, anzi pare che Carrel non sia mai riuscito a tollerare il modo di fare un po’ superbo e scostante dell’inglese. Il Bersagliere doveva avere un carattere tutt’altro che facile, era un uomo forte e coraggioso, orgoglioso. Lo scontro con Whymper era inevitabile. Eppure i due uniti avevano tutte le carte in regola per condurre a termine l’impresa. Whymper di certo ammirava quest’uomo, anche se mai glielo dichiarò apertamente; ma Carrel più volte non agì con lealtà, anzi in diverse occasioni sembrò far di tutto per boicottare gli intenti di Whymper. Alcuni vedono nel comportamento di Carrel una magnifica ribellione montanara al rapporto un po’ umiliante che gli inglesi avevano instaurato con il denaro. Tuttavia non si riesce a comprendere esattamente fino a che punto Carrel agì di sua iniziativa: le pressioni del canonico e l’interesse del Club Alpino Italiano, presentatosi molto ambiguamente come “distintissima famiglia”, giocarono indubbiamente la loro parte. Comunque il 28 agosto 1861 Whymper è al Breuil e cerca guide per tentare la salita. L’accordo con i Carrel non è raggiunto; anzi, questi ultimi decidono di partire per conto loro e si spingono sulla Cresta del Leone fino alla caratteristica “Arête du Coq”, dove il Bersagliere incide le sue iniziali nella roccia.

Ma Whymper non si diede mai per vinto. Negli anni successivi, dando dimostrazione di una tenacia eccezionale, ritornò più volte all’assalto, con le guide e senza le guide, anche da solo, saggiando le possibilità lungo i diversi versanti. Il Cervino sembrava averlo stregato. Stranamente i suoi tentativi furono rivolti al più difficile versante italiano. Lungo la cresta svizzera dell’Hörnli va ricordato un tentativo solitario di Thomas Stuart Kennedy, effettuato addirittura in pieno inverno!

Sempre nell’estate 1862 Whymper, al fianco di Carrel, giunge ad un soffio dalla vittoria, lungo la cresta italiana. Era la giornata ideale, tutto sembrava favorire il successo, ma improvvisamente il Bersagliere si rifiutò di proseguire, adducendo giustificazioni che non convinsero mai l’inglese a fondo.

Tuttavia Whymper credeva ancora in Carrel e non immaginava che, a sua insaputa, quest’ultimo stava allacciando accordi in un altro senso, con quella “distintissima famiglia” del Club Alpino Italiano che non intendeva lasciarsi portar via la salita da un inglese…

E veniamo dunque al 1865. La sera del 10 luglio fu molto amara per Whymper. Egli era giunto al Breuil sicuro di trovare Carrel pronto alla salita e rispettoso degli accordi fatti. Invece il Bersagliere lo aveva tradito e se ne era partito per conto proprio il giorno stesso per tentare la salita lungo la cresta italiana. Ben presto la ragione ebbe vittoria sulla rabbia istintiva e Whymper pensò freddamente che tutto non era ancora perduto: il gruppo italiano, formato da quattro alpinisti montanari, era molto lento. Whymper conosceva bene il Bersagliere e sapeva che non era arrampicatore veloce. L’inglese pensò di andare subito a Zermatt, di reclutare un gruppo di forti guide locali e di tentare di raggiungere gli italiani lungo la Cresta del Leone. Così a Zermatt incontrò un suo compatriota, appassionato di ascensioni, lord Francis Douglas, il quale in breve riuscì a convincerlo a tentare lungo la più facile cresta svizzera, studiata a lungo dalla sua guida Peter Taugwalder. Whymper non ha alternative: se rinuncia è la resa totale. Si decide infine (forse non del tutto convinto) alla salita: il gruppo è numeroso, troppo numeroso per un’impresa del genere. Un errore che si rivelerà fatale. Infatti oltre a Whymper e Douglas, vi sono altri due inglesi, il reverendo Charles Hudson ed il giovane Roger Hadow e le guide Taugwalder padre e figlio affiancate da Michel-August Croz di Chamonix, sicuramente l’elemento più valido del gruppo intero insieme a Whymper.

Frattanto, sul versante opposto, la cordata rivale, ignara del tentativo di Whymper, sta salendo. È composta da Jean-Antoine e César Carrel, Charles Gorret e Jean-Joseph Maquignaz. Nel corso del fatidico 14 luglio essi giungono oltre il Pie Tyndall e scrutano il breve e difficile tratto che li separa dalla vetta. Si accende una discussione: César Carrel e Gorret non intendono proseguire. Il Bersagliere rinuncia sentenziando: «O tutti o nessuno». Ma proprio mentre iniziano la discesa, scorgono sulla vetta degli uomini e li sentono gridare: è il gruppo di Whymper, arrivato in cima lo stesso 14 luglio.

La salita era stata più facile del previsto, soprattutto nella prima parte della cresta. Più in alto, in un tratto particolarmente scabroso e ghiacciato, il forte Croz era riuscito a trovare il cammino aprendosi la strada sui pendii orridi e vertiginosi che si affacciano sulla parete nord della montagna.

In discesa, la cordata vittoriosa si lega ad una sola corda: sicuramente un’imprudenza gravissima che crea i presupposti per una terribile tragedia, una delle più tristemente note della storia dell’alpinismo, anche per le circostanze del tutto eccezionali in cui si verificò. Hadow, che era uno degli elementi più deboli di tutta la cordata, probabilmente già molto provato, perde l’equilibrio e cade travolgendo Croz e trascinandolo con sé. In un attimo anche Hudson e Douglas vengono trascinati nella caduta e sembrano sparire nell’abisso inghiottiti dal vuoto. Whymper, che stava dietro ad un grosso blocco di roccia, non vide la scena terrificante, ma comunque insieme a Taugwalder cercò di bloccare la corda. Purtroppo la stessa si tranciò tra Taugwalder e Douglas: Hadow, Croz, Hudson e Douglas precipitarono nel vuoto orrido della parete nord, mentre i tre rimasti non potevano che guardare impotenti e terrorizzati.

La tragedia ebbe un’eco enorme in tutta Europa. Non solo Whymper, ma tutto l’alpinismo fu messo sotto accusa. Soprattutto in Inghilterra le reazioni furono violente ed appassionate: si pensò addirittura di proibire l’alpinismo ai sudditi inglesi, si scrissero articoli di protesta, interi fiumi d’inchiostro vennero versati in difesa dei valori umani e contro l’alpinismo, accusato di essere un’attività dove «si versava inutilmente il miglior sangue inglese». Furono fatte inchieste, Whymper fu assai duramente accusato di imprudenza.

I risultati di questa campagna in un certo senso furono anche positivi: per la prima volta si cominciava a riflettere sui reali pericoli che l’alta montagna offriva e per la prima volta si cominciava a capire che gli stessi pericoli venivano affrontati con troppa leggerezza, quando non con vera imprudenza. Purtroppo toccò a Whymper fare le spese di quest’ostracismo. La tragedia lasciò il segno nel suo pur forte carattere: in seguito l’inglese compirà ancora molte ascensioni sulle Alpi e al di là delle Alpi, ma non più così difficili come il Cervino o l’Aiguille Verte. Bisogna anche pensare che Whymper al tempo della tragedia non aveva che 25 anni. Eppure ancora la Engel, nella sua analisi storica, dice: “Whymper non era certo tipo da nutrire sentimenti amichevoli per la sua guida o per chiunque altro, del resto. Dopo la tragedia, come aveva annunciato, rinunciò alle grandi scalate, almeno in Europa, ma non certo per disperazione o per rimorso: la disperazione non era nel suo carattere e non gli pareva il caso di provare rimorsi. La sua rinunzia si deve probabilmente alla scossa che provò sentendo i suoi quattro compagni precipitare vertiginosamente verso la morte sui precipizi della parete nord. È una reazione frequente tra i sopravvissuti di una spedizione colpita da una tragedia (Claire- Éliane Engel, Storia dell’alpinismo, pag. 115)”.

Lo storico passo della Scala Jordan (Cresta del Leone), evitato nel corso della seconda ascensione al Cervino

Imprese che segnano la fine di un’epoca
Lo stesso giorno della tragedia del Cervino, sul vicino Monte Bianco quattro inglesi dell’Alpine Club, al fianco di due guide eccellenti, aprono un magnifico itinerario di salita alla vetta lungo il grandioso versante della Brenva. È un’impresa di notevolissimo valore. Sul Cervino si cerca ancora una via di salita alla vetta, qui ormai si cercano nuovi itinerari di salita più difficili, in uno spirito nuovo che presto diverrà dominante in tutto l’alpinismo. Di tutti i versanti del Bianco, quello della Brenva è certamente il più «himalayano» per la sua struttura glaciale ed imponente: i ghiacciai si riversano in stretti ed orridi canaloni, rompendosi in seraccate gigantesche che paiono cascate sospese nel vuoto. Sovente tutto il versante è spazzato da valanghe enormi, originatesi in seguito al crollo delle masse glaciali sospese, che rendono questo versante estremamente pericoloso, ma anche decisamente affascinante per gli amanti del rischio. Caratteristica di questo versante sono alcuni speroni rocciosi e ghiacciati in rilievo nel cuore della parete, che permettono una salita relativamente sicura tra i canali ed i seracchi sospesi.

I quattro inglesi sono tutti alpinisti di prim’ordine, che ormai hanno una consumata esperienza sulla catena alpina: A.W. Moore, Frank ed Horace Walker e George Mathews. Al loro fianco è il celebre Melchior Anderegg, una guida assai forte proprio sul ghiaccio. L’impresa è rimarchevole, se si pensa che il gruppo non poteva certamente conoscere l’uso dei ramponi. Lo sperone presenta un tratto cruciale proprio all’uscita, dove la cresta di neve va a morire contro il muro dei seracchi terminali: ancora oggi il passaggio può dare filo da torcere agli alpinisti più agguerriti e attrezzati di piccozza e ramponi. Tra l’altro, da fonti attendibili risulta che nel 1865 i ghiacciai fossero in pessime condizioni.

Moore fu l’ideatore e l’animatore dell’impresa, infatti oggi lo sperone porta il suo nome; la salita è uno degli itinerari più classici ed eleganti dell’intera catena alpina.

Solo due giorni dopo il tragico successo di Whymper, il Bersagliere torna alla carica sul suo Cervino ed è pronto alla rivincita: parte dal Breuil con Jean-Baptiste Bich, Jean-Augustin Meynet e l’abate Aimé Gorret. Nel tratto finale, per ragioni di sicurezza, Gorret, forse a malincuore, si ferma ed assicura in discesa Bich e Carrel (1). I due raggiungono la vetta, aprendo finalmente la via di salita al Cervino lungo la bella ed elegante cresta italiana o del Leone. Anche oggi l’itinerario della Cresta del Leone (agevolato da numerose corde fisse), seppur più difficile di quello lungo la cresta svizzera, è preferito dagli alpinisti per la migliore qualità della roccia e per la bellezza dei passaggi.

Abbiamo già accennato al massiccio del Delfinato in occasione della prima salita compiuta da Whymper sulla Barre des Écrins. Ma vi era anche un’altra magnifica montagna che aveva attratto gli alpinisti: la Meije. Alta quasi 4000 metri, si presentava problematica da ogni versante ed era certamente ben più difficile della vicina Barre des Écrins. La Meije è una montagna veramente magnifica e completa: offre pareti di roccia eccellente, compatte e levigate, creste affilate e turrite che si slanciano in pieno cielo con linee straordinariamente eleganti, pareti glaciali degne del Monte Bianco, solcate da canaloni profondi e vertiginosi. Ogni versante pone il problema della difficoltà: non vi è una sola via di salita alla montagna che possa definirsi facile o banale. La stessa cresta, detta del Promontoire, lungo la quale si svolse la prima ascensione, viene oggi giudicata come la più bella “via normale” delle Alpi. Si tratta infatti di un itinerario magnifico e vario, una serie ininterrotta di passaggi aerei su roccia eccellente, con difficoltà di tutto rispetto.

Anche se gli inglesi (e soprattutto Coolidge) fecero una corte spietata alla Meije, il successo toccò invece ai francesi, ed è la prima volta che essi compaiono alla ribalta della storia alpinistica. Protagonisti dell’impresa sono due uomini, un cittadino ed un valligiano. Il cittadino è un giovane da molti giudicato un po’ temerario, Emmanuel Boileau de Castelnau, che a soli vent’anni ha già al suo attivo Cervino, Finsteraarhorn, Dent Bianche, Monte Bianco, Gran Paradiso. Si dice che fosse un arrampicatore eccezionalmente dotato, munito di una dose di coraggio non indifferente. Di certo fu lui il vero realizzatore dell’impresa, durante la quale si rivelò superiore allo stesso Gaspard che doveva guidarlo. L’altro uomo è appunto un valligiano, una figura quasi leggendaria di guida: Pierre Gaspard, che legò il suo nome all’esplorazione e alla conquista del Delfinato. I tentativi furono innumerevoli, ma va detto che già nel 1870 Coolidge (con l’intrepida miss Brevoort) aveva raggiunto la vetta centrale della Meije, che però non è la più elevata.

Finalmente, nel 1877, Boileau de Castelnau giunge al successo con Gaspard padre e figlio: in numerosi tratti si trova a condurre lui stesso la salita, risolvendo dei passaggi chiave ed incitando i due Gaspard che davano segni di cedimento.

Ed è questa l’ultima grande vetta delle Alpi a essere conquistata. D’ora in poi l’alpinismo cambia volto. L’azione si dirige alla ricerca di vie nuove e più difficili su montagne già salite lungo l’itinerario più facile e naturale. Potremmo ancora citare la prima salita del Dru, ma preferiamo inserire l’impresa nel contesto successivo, in quanto il Dru può anche essere considerato come una spalla dell’Aiguille Verte e non come vetta a sé stante.

Malgrado i «divieti» proposti in patria, gli inglesi continuavano tranquillamente a frequentare le Alpi e a compiere le loro ascensioni. Al proposito Doug Scott, nel suo volume Le grandi pareti, dice: “La sfortunata impresa di Whymper sul Cervino (1865) non servì ad arrestare la crescente popolarità dell’alpinismo. Ci fu in effetti una diminuzione nel ritmo delle salite effettuate nei cinque anni seguenti la disgrazia, ma la causa di questo è da ricercarsi più nella difficile situazione che portò alla guerra franco-prussiana del 1870 che non nella paura della montagna. Nonostante le preoccupazioni del Times, Tuckett, Freshfield, Moore, Walker, Mathews ed altri continuarono le loro peregrinazioni tra picchi e ghiacciai. L’attività alpinistica nel 1875 era stata così intensa che Leslie Stephen fu così portato a lamentarsi: “Il numero di imprese ancora da compiere è così esiguo che può essere contato sulle dita di una mano…» (Doug Scott, Le grandi pareti, pag. 56, Il Castello, 1976).

Abbiamo nominato Leslie Stephen. Prima di chiudere l’analisi di questo periodo, è doveroso ricordare la figura di questo eccezionale alpinista britannico. Fu una delle figure più eminenti in seno all’Alpine Club, dove espresse un’attività culturale universalmente apprezzata. Fu anche esploratore assiduo di tutta la catena alpina, che amava in ogni suo aspetto. Esplicò la sua attività soprattutto nell’Oberland Bernese che percorse in ogni stagione, realizzando anche escursioni notevolmente difficili.

Nota
(1) L’abate Gorret calò i due compagni in un colatoio sotto la parete terminale sacrificandosi per il successo dell’impresa.

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Il Cervino ultima modifica: 2022-08-19T05:47:00+02:00 da GognaBlog

6 pensieri su “Il Cervino”

  1. 6
    AndreaD says:

    Avevo letto che Hudson faceva da tutore a Hadow. L’autore precisava che quest’ultimo, allora 17enne, non era indipendente come Douglas di un anno più anziano. 

  2. 5
    Fabio Bertoncelli says:

    Sul Cervino l’errore maggiore fu di accettare Hadow: era inesperto, non all’altezza dell’impresa.
    Perché Whymper lo accettò? Lo accettò perché sapeva che gli italiani stavano tentando la Cresta del Leone e non voleva perdere la possibilità di precederli in vetta.
    Perché Hudson lo accettò? Non si sa.
     
    E la corda poco resistente? Altro errore. Ma se non si fosse spezzata quasi certamente i morti sarebbero stati sette, considerando come si stava muovendo la cordata in quel momento (altro errore).
    … … …
    Tuttavia sul Cervino nel 1865 c’era Edward Whymper, non Fabio Bertoncelli. Io avrei saputo fare di meglio?

  3. 4
    AndreaD says:

    Motti ha scritto queste pagine in una “storia dell’alpinismo” quindi penso che sia stato costretto ad essere sintetico. Dal 2000 in poi ho visto uscire diversi libri specifici sul Cervino, alcuni li ho anche letti, che ovviamente aggiungono molti particolari.
    In uno di essi sta scritto che Lord Douglas era sì giovane, aveva 18 anni, ma non scarso. Alla sua età aveva all’attivo molte montagne importanti e si muoveva autonomamente con le sue guide. Essendo di famiglia benestante o ricca, era stato mandato il giro “per conoscere il mondo per dominarlo” secondo la mentalità dell’Inghilterra vittoriana. Tuttavia pochi giorni prima la sua cordata era stata molto imprudente sull’Ober Gabelhorn, dove non si erano accorti che la vetta era una cornice, e Taugwalder era stato salvato dalla seconda guida mentre stava precipitando.

  4. 3
    Angelo says:

    Fare le pulci nientemeno che a Motti circa il suo scritto sul Cervino forse può essere un po’… impertinente. In effetti questa sua breve storia della conquista del Cervino, dato l’ambito nel quale era inserita, non poteva certo essere esaustiva. Tuttavia qualche osservazione mi sembra giusto farla. Motti cita il velleitario tentativo invernale di Kennedy, ma assai più importanti e non citati erano stati i due fatti dai fratelli Parker che giunsero a quota 3600 m sulla cresta dell’Hörnli e che invece non hanno suggerito la giusta via ad altri.
    Afferma Motti che nella cordata della conquista gli unici elementi validi siano stati Croz e Whymper. Invece non era inferiore a Whymper il rev. Hudson, primo salitore della Dufour del Rosa, autore di una nuova via al M. Bianco senza guide, salitore dell’Aiguille Verte con Croz dieci giorni prima del Cervino e molto altro ancora. E non era inferiore a Whymper il diciannovenne Lord Douglas che l’anno prima in Dolomiti aveva compiuto la terza asc. dell’Antelao, preceduto da Grohmann, e compiuto una delle prime ascensioni della Punta Rocca, ma non la vetta della Marmolada perché la sua guida P. Pellegrini non se l’era sentita nonostante le insistenze del giovanotto e che pochi mesi dopo fu salita da Grohmann. Pochi giorni prima del Cervino Douglas aveva scalato per via nuova l’Obergabelhorn.
    Il vero punto di svolta della vicenda è l’incontro di Whymper con Douglas che non avviene a Zermatt come scrive Motti, ma al Breuil. Qui Douglas era venuto per cercare Carrel da affiancare a Taugwalder, che non riteneva sufficiente per salire il Cervino per la cresta dell’Hörnli come lo stesso Taugwalder gli aveva proposto. Ovviamente non riuscì a trovare Carrel, ma incontró Whymper che era ormai senza speranza, abbandonato dalle guide e che non sapeva che fare, non avendo mai preso in seria considerazione la salita per la cresta svizzera, anche se più volte ci era passato sotto, l’ultima meno di un mese prima quando tentò di salire per un canalone vicino alla Furggen.
    Saputo delle intenzioni di Douglas, Whymper fu ben felice di aggregarsi. A Zermatt trovarono Croz e Hudson il cui obbiettivo era proprio la cresta dell’Hörnli.
    Per concludere sarebbe ora di dare il giusto merito a Hudson e Lord Douglas, quelli che avevano le guide e sapevano dove andare! Si sa che la storia la scrivono i vincitori sopravvissuti, in questo caso Whymper. Ma non è mai tardi per correggerla.

  5. 2
    Fabio Bertoncelli says:

    Quando la passione brucia, quando il cuore batte piú forte, allora la penna corre quasi da sola sul foglio.
     

  6. 1
    Giorgio Daidola says:

    Pagine stupende, che si rileggono tutte d’un fiato. Questo significa saper scrivere.

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