Il cinema di montagna nella Germania tra le due guerre

Il cinema di montagna nella Germania tra le due guerre
di Ledo Stefanini ed Emanuele Goldoni
[tratto da Atti e Memorie dell’Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze, Lettere e Arti, Nuova serie Volume LXXXVII (2019), ciclo di conferenze Cultura e Alpinismo dal 15 febbraio al 10 maggio 2019, Mantova, Sala Ovale]

1. Introduzione
Uno dei protagonisti del film di grande successo di Quentin Tarantino, Inglorious Basterds (Bastardi senza gloria, 2009), nella scena ambientata nella taverna, fingendosi tedesco, dichiara di essere nato in un villaggio «sotto il Pizzo Palù». Anzi racconta che lui e suo fratello hanno partecipato alle riprese del film La tragedia del Pizzo Palù, in programmazione in uno dei cinema della Parigi occupata dai tedeschi, nel quale, nella finzione cinematografica, avverrà l’attentato al Führer.

La citazione di Tarantino è rivolta ad uno dei film di montagna più importanti della storia del cinema, Die weiße Hölle vom Piz Palü, un film muto del 1929, diretto da Arnold Fanck e Georg Wihlelm Pabst, e interpretato da Leni Riefenstahl (destinata a diventare una famosa regista al servizio del partito nazista) e da Ernst Udet, asso dell’aviazione della Prima Guerra Mondiale. La tragedia del Pizzo Palù – questo il titolo nella edizione italiana – è una delle opere più importanti di quel filone cinematografico che si sviluppò, quasi esclusivamente in Germania, in parallelo alla parabola storica del nazismo. Film di puro intrattenimento, che si possono dividere in due categorie: quella dei film tragici (di cui Die weiße Hölle vom Piz Palü è il più degno rappresentante) e quello delle commedie, la più famosa delle quali è Liebesbriefe aus dem Engadin di Luis Trenker, del 1938. Opere cinematografiche nelle quali straordinari virtuosismi delle riprese si sostengono su canovacci estremamente deboli ed improbabili; ma nelle quali sono evidenti le correnti culturali diffuse in Germania negli anni in cui si preparava l’avvento del nazismo.

Fig. 1 – Un fotogramma di Bastardi senza gloria, 2009

Sarebbero state dimenticate se un prestigioso intellettuale ebreo tedesco, Siegfried Kracauer, studioso dei movimenti culturali che aprirono la strada alla presa del potere da parte dei nazisti, non si fosse occupato di questa nicchia culturale in un importante saggio, pubblicato nell’immediato dopoguerra (1). La sua tesi è che i film di montagna tedeschi, tramite i parametri ideologici propagandati e, soprattutto, utilizzando un raffinato linguaggio cinematografico, abbiano preparato il terreno all’avvento del socialnazionalismo, tanto da qualificarli con l’etichetta di proto-nazismo. L’accusa, lanciata quando gran parte degli autori e degli attori erano ancora viventi (e tra tutti, basti ricordare Leni Riefenstahl, che venne processata) ebbe il merito di mantenere vivo il ricordo di queste opere e attirare l’attenzione di altri studiosi, che ne diedero interpretazioni diverse.

(1) Siegfried Kracauer, From Caligari to Hitler: A Psychological History of the German Film, Princeton University Press, 1947, Trad. italiana, Da Caligari ad Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, a cura di Leonardo Quaresima, Torino, Lindau 2001.

2. Registi e attori
Arnold Fanck
Arnold Fanck è considerato l’inventore del genere ‘alpinistico’ della produzione cinematografica. Tedesco di Frankentahl, brillante laureato in geologia, con alcuni amici nel 1920 fondò una «Berg und Sportfilm GmbH Freiburg», con sede a Friburgo, per riprese cinematografiche in montagna.

Con l’operatore Allgeier, realizzò diverse riprese in quota, in Engadina, Zermatt, Monte Bianco e Pizzo Palù. I suoi film più noti sono Der Berg des Schicksals (1920), Der heilige Berg (1926), Die Weiße Hölle vom Piz Palü (1929), Stürme über dem Montblanc (1930) e S.O.S. Eisberg (1933).

Tutti con Leni Rieferstahl come protagonista. L’uscita di quest’ultimo film avvenne nell’anno dell’ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista.

I rapporti di Fanck con Goebbels, onnipotente Ministro della Propaganda, che esercitava un ferreo controllo sulla produzione cinematografica, non furono sempre agevoli. Le difficoltà si manifestarono già dall’anno successivo, quando iniziò la lavorazione di Der ewige Traum/Der König vom Mont-Blanc che aveva come protagonista tre ginevrini (Balmat, Paccard e De Saussure) ed era prodotto da un finanziere, Gregor Robinowitsch, di origine ebraica. Le difficoltà economiche che ne seguirono indussero Fanck ad accettare la proposta del ministro della cultura giapponese per girare un film co-prodotto. La sua adesione al Partito Nazionalsocialista avvenne solo nel 1940; ma questo bastò ad attirare la proscrizione delle sue opere nel dopoguerra, per cui si rassegnò a fare il taglialegna. Solo la presentazione, al Festival della Montagna di Trento, nel 1957, del film Der ewige Traum, lo riportò alla notorietà, riproponendo il valore artistico delle sue opere di montagna. Morì a Friburgo nel 1974 all’età di 85 anni.

Nel 1922 Fanck girò Im Kampf mit dem Berge, che si può considerare il primo lungometraggio sul rapporto fra l’uomo e la montagna.

Un film con uno sviluppo drammatico ed un protagonista, interpretato da Hannes Schneider, famoso sciatore del tempo. Vi erano stati in precedenza altri film sulla montagna, alcuni dei quali girati dallo stesso Fanck, ma avevano solo finalità documentaristiche. Un’altra caratteristica del film è il fatto che, pur essendo muto, la proiezione era prevista con un accompagnamento musicale di una grande orchestra, composto espressamente a tale scopo dal grande musicista tedesco Paul Hindemith (1895-1963).

A Schneider, campione di sci, si deve la tecnica di sciata nota come Tecnica Arlberg che espose in un manuale, redatto in collaborazione con Fanck che godette di grande diffusione (2).

Ne parlò anche Dino Buzzati, appassionato sciatore fin dagli anni ’20, in un articolo per il Corriere della Sera del 21 novembre del 1933, dedicato alle diverse tecniche sciistiche, con riferimento alla Tecnica Arlberg, descritta dallo stesso Schneider in un saggio di Lunn dedicato alla storia dello sci (3).

Fanck e Schneider diedero un importante contributo alla diffusione delle attività sciatorie con diversi film, il più importante dei quali fu Der Weisse Rausch, del 1931, che fu il primo film sonoro sulle gare di sci alpino. La protagonista femminile era Leni Riefenstahl, non ancora trentenne, nella parte di un’affascinante apprendista sciatrice che, dopo alcune lezioni, si trasforma in un’abilissima ‘volpe’ che quaranta provetti sciatori inseguono, tra spettacolari acrobazie, sulle nevi di Sankt Anton am Arlberg (Austria). Accanto a lei Gustav Lantschner, un grande campione dello sci degli anni ’30.

(2) Hannes Schneider, Arnold Fanck, Die Wunder des Schneeschuhs, ein System des richtigen Skilaufens und seine Anwendung im alpinen Geländelauf, Hamburg, Gebrüder Enoch 1925.
(3) Arnold Lunn, A History of Skiing, Oxford University Press, H. Milford 1927, Cap. 8.

Fig. 2 – Un fotogramma di Der Weisse Rausch di Franck, 1931

Der Weisse Rausch era una commedia leggera e gioiosa, che non si poneva altro scopo che di mostrare le bellezze dello sci (fuori pista). Ma il film che aveva decretato il successo di Fanck presso il grande pubblico era stato Der Berg des Schicksals (La montagna del destino, 1924) che racconta la storia di un montanaro, interpretato da Hannes Schneider, ossessionato da un picco dolomitico – nel film la Guglia del Diavolo – di cui cerca di raggiungere la vetta e che in un estremo tentativo cade, perdendo la vita.

Possiamo imputare alle stranezze del destino il fatto che la Riefenstahl e Lantschner siano diventati convinti nazisti, mentre Hannes Schneider, dopo aver trascorso un periodo in galera, in seguito all’Anschluss, a causa delle sue idee anti regime, si trasferì negli Stati Uniti dove contribuì ad addestrare la Decima Divisione di Montagna dell’esercito americano.

Arnold Fanck viene ricordato soprattutto per Die weiße Hölle vom Piz Palü, un film muto del 1929, diretto con Georg Wihlelm Pabst, e interpretato da Leni Riefenstahl, Gustav Diessl ed Ernst Udet, famoso e spericolato aviatore. Il film uscì nel novembre del 1929 e nelle prime quattro settimane di programmazione fu visto da più di 100 mila spettatori solo a Berlino. L’anno successivo venne distribuita, su scala internazionale, la versione sonorizzata del film in inglese. La versione sonora in tedesco entrò in distribuzione nel 1935. I film di Fanck furono il trampolino di lancio per la carriera della sua attrice prediletta, Leni Riefenstahl.

Leni Riefenstahl
Nata a Berlino nel 1902, iniziò come ballerina; ma una particolare fragilità alle giunture le impedì di progredire nella carriera. Nel 1920 assistette alla proiezione di Der Berg des Schicksals di Fanck e ne rimase affascinata.

Intraprese allora un lungo viaggio nelle Dolomiti, con l’intento di conoscere il celebre regista e la segreta speranza di poter interpretare uno dei suoi film. Conobbe invece Luis Trenker, originario della Val Gardena, che già aveva lavorato con Fanck e la presentò al regista. La sua carriera di interprete dei film di Fanck iniziò nel 1926 con Der Heilige Berg che la trasformò rapidamente in una star del cinema tedesco, grazie al fascino femminile unito a spiccate doti atletiche. Nel 1930 si propose a Josef von Sternberg come interprete di Der Blaue Engel, ma il regista le preferì Marlene Dietrich. La Riefenstahl divenne celebre, soprattutto come regista, per alcuni documentari tesi a testimoniare ed esaltare il regime nazista.

Aderì senza riserve al Partito e mantenne un rapporto di stretta amicizia e stima con Adolf Hitler, basato principalmente sulla condivisione dei parametri estetici nazisti. Il questo campo, le sue opere più importanti sono Triumph des Willens dell’anno successivo alla presa del potere, dedicato alla grande adunata di Norimberga, e Olympia prima parte – Fest der Völker e Olympia seconda parte – Fest der Schönhei del 1938, dedicati alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Alcuni contrasti con il ministro della propaganda Josef Goebbels ebbero come conseguenza un progressivo abbandono del suo ruolo di aedo del regime. Nonostante la condanna che gravava sul suo passato nazista, continuò a lavorare come documentarista e fotografa. Girò il suo ultimo film nel 2002, Impressionen unter Wasser, dedicato ai fondali marini. Morì a Pöcking, in Baviera, all’età di 101 anni.

Nei film di Fanck, generalmente, la Riefenstahl faceva la parte di una ragazza selvatica che osa scalare i monti che altri – i «maiali di fondo valle» – evitano; personaggio che venne via via sviluppato. Come regista, la Riefenstahl diresse sei film. Il primo, uscito nel 1932, era un altro film di montagna: Das blaue Licht, di cui fu anche interprete, in una parte simile a quella impersonata nei film di Fanck per i quali era stata grandemente ammirata da Adolf Hitler e dalla sua corte; enfatizzandone le allegorie gotiche del desiderio ardente, della purezza e della morte. Al solito, la montagna vi viene rappresentata come estrema sintesi di bellezza e rischio, la forza maestosa che attira all’estrema affermazione di sé e, nel contempo, all’estrema fuga da sé, verso la comunione fraterna del coraggio e della morte.

Luis Trenker
Luis Trenker nacque nel 1892 a Ortisei in Val Gardena da un artigiano di lingua tedesca. Si laureò in architettura a Graz nel 1924 e aprì uno studio a Bolzano. Ma già era entrato nel mondo del cinema nel 1921, ingaggiato da Fanck che aveva bisogno di un esperto e fascinoso alpinista per il film Berg des Schicksals. Constatato che il protagonista scelto in precedenza era uno scadente rocciatore, il regista offrì a Trenker il ruolo principale. Recitò ancora con Fanck in Der heilige Berg (1926) e in Der große Sprung (1927). Con i registi italiani Mario Bonnard e Nunzio Malasomma fu interprete di Der Kampf ums Matterhorn (1928) e di Der Ruf des Nordens (1929).

Seguirono in breve tempo altri film, inizialmente come attore e, dal 1928, anche come regista. In questi Trenker è stato spesso protagonista, regista ed autore nello stesso tempo. Nel 1927 rinunciò al suo studio di architettura e lavorò solamente nel cinema e nella pubblicistica. I cavalieri della montagna (Der Sohn der weißen Berge) (1930) fu la sua prima opera in collaborazione con Mario Bonnard. La sua abilità di sceneggiatore, regista e attore, venne confermata da Montagne in fiamme (Berge in Flammen, 1931), tratto da un romanzo dello stesso Trenker, diretto in collaborazione con Karl Hartl. Più che un film di alpinismo, è un film sulla guerra combattuta in montagna, con riferimenti biografici e storici.
La vicenda evoca infatti quella della grande mina del Castelletto della Tofana.

Tornò al suo tema prediletto con Der Berg ruft (1938) che racconta, romanzandola, la prima salita del Cervino. In Italia uscì con il titolo: La grande conquista. Vasta fama gli diede un film girato insieme a Werner Kingler nel 1938: Liebesbriefe aus dem Engadin, uscito in Italia con il titolo: Lettere d’amore dall’Engadina, che racconta, con tecnica superlativa, una storiella leggera, ambientata nel periodo della diffusione dello sci fra le classi agiate.

Walter Schmidkunz
Walter Schmidkunz, nato a Kiel nel 1887, fu scrittore di montagna, giornalista ed editore. Con i suoi libri popolari, raccolte di racconti e articoli di giornale, grazie anche alla collaborazione con alcuni noti alpinisti, attori e registi, come Luis Trenker, dominò a lungo il mercato della pubblicistica di montagna e dell’alpinismo.

Scalatore entusiasta (nella sua carriera alpinistica scalò più di 2500 vette), nel 1910 fondò una casa editrice (Die Scholle, la zolla), che pubblicò manuali e guide per alpinisti e sciatori. Partecipò alla Grande Guerra combattendo sull’ Adamello e sull’Ortles.

Zwischen Himmel und Erde (Tra cielo e terra), un volume di Schmidkunz del 1925, fu la prima raccolta di una serie di racconti di alpinismo di grande successo. Svolse il ruolo di ghostwriter per alcuni libri di Luis Trenker, sempre di argomento alpino. Collaborò con il gardenese anche alla sceneggiatura e alla realizzazione di alcuni film di grande successo, come Der Sohn der weißen Berge (1930); Berge in Flammen (1931), Der Rebell (1932). Nel 1933 curò l’edizione di Junger Mensch im Gebirg (Giovani in montagna), lascito morale dello sfortunato alpinista Leo Maduschka, perito sulla Nord-ovest della Civetta nel settembre del 1932.

Fig. 3 – Preuss, Emmy Eisenberg e Schmidtkunz in Val Gardena nel 1911

Collaborò anche con l’operatore prediletto da Leni Riefenstahl e abilissimo cineasta alpino Hans Ertl, sul quale pubblicò Berg-Vagabunden. Ein Hans-Ertl-Buch, nel 1937.

Schmidkunz, prima della guerra, aveva frequentato anche Paul Preuss, considerato il principe dell’alpinismo su roccia, che aveva solo un anno più di lui. Erano divisi dalla nazionalità, essendo l’uno tedesco e l’altro austriaco; ma soprattutto dalla cultura: Preuss era di origini ebraiche.

Una bella fotografia li riprende nel 1911 in Val Gardena, abbracciati ad Emmy Eisenberg, anche lei ebrea. Non si sapeva ancora che, negli anni ‘30, Schmidtkunz avrebbe entusiasticamente aderito al nazionalsocialismo e avrebbe rivelato l’animo di un feroce razzista. La morte prematura di Preuss, nel 1913, gli risparmiò le atrocità della ‘soluzione finale’. Schmidkunz morì a Neuhaus nel 1961.

3. Opere
Im kampf mit der berge, Arnold Fanck, 1921 (4)

Il film descrive, attraverso imponenti immagini, una impegnativa e rischiosa escursione alpinistica compiuta da Hannes Schneider insieme alla guida alpina Ilse Rohde alla conquista del Felikjoch (Colle Felik sul Monte Castore a quota 4068 m).

Entrambi i protagonisti della spedizione sono interpreti del film, il cui suggestivo scenario è costituito dalle più impervie e grandiose montagne alpine del versante svizzero-vallese: Cervino, Breithorn, Lyskamm e i picchi del Rosa. Il film è stato considerato perso per decenni. La pellicola originale, infatti, è stata distrutta nel 1940 per ricavarne una versione sonora più breve.

(4) Im Kampf mit dem Berge di Arnold Fanck: https://www.youtube.com/watch?v=uz3rmWyfPIw

Fig. 4 – Manifesto pubblicitario di Kampf mit dem Berge, 1925

Solo negli anni ’70, in un archivio di Mosca venne scoperta una copia della versione originale (muta). Oltre al suo valore tecnico e intrinseco, per la grandiosità delle riprese in alta quota, il film è importante anche per l’accompagnamento musicale, opera di Paul Hindemith. Per la prima volta, la musica è strettamente legata alle immagini, a tal segno che la partitura di Hindemith è servita come riferimento nel lavoro di restauro della pellicola.

Der Berg des Schicksals (La montagna del destino), Arnold Fanck, 1924 (5)
Notevole anche il cast di questo film: Hannes Schneider nella parte del padre che perde la vita nel tentativo di scalare la Guglia del Diavolo, Luis Trenker nella parte del figlio che realizza il sogno del padre e, nella parte di un anonimo scalatore, Werner Schaarschmidt, noto per essere stato compagno di Hans Dulfer in numerose imprese alpinistiche.

Il film racconta la storia di un montanaro, interpretato da Schneider, ossessionato da un picco dolomitico di cui cerca di raggiungere la vetta e che nell’ultimo tentativo cade, perdendo la vita. Naturalmente nella casa, che sorge ai piedi della Guglia, lo attendono la madre, la moglie e un bambino. A quest’ultimo, diventato adulto (interpretato da Luis Trenker), spetterà il compito di portare a termine l’impresa, realizzando il sogno paterno. Dopo aver ammesso che la storia ha le caratteristiche scarsamente credibili del classico melodramma cinematografico e che particolarmente inverosimile appaiono la (lussuosa) dimora e la famiglia, è necessario riconoscere che le scene di arrampicata sono girate in maniera mirabile, tanto da conservare il loro fascino a distanza di quasi un secolo. La scena della caduta dell’alpinista – free climber con il cappello di feltro – è tra le più emozionanti mai realizzate. A questo proposito forse qualche merito è da attribuire alla collaborazione di Schaarschmidt.

(5) Der Berg des Schicksals di Arnold Fanck https://www.youtube.com/watch?v=Ae4AOI5I8Hg.

Fig. 5 – Locandina di Der Berg des Schicksals, 1924

Qualcuno ha voluto riconoscere nella storia narrata da Fanck un richiamo a quella di Nino Pooli che, guidando Garbari in un tentativo al Campanil Basso nel 1897, superò la prima parete (che porta il suo nome), ma che dovette arrendersi all’ultima che sovrasta il «terrazzino Garbari».

Dopo un periodo trascorso lontano dall’Italia come emigrato, Pooli tornò al Campanile nel 1904 e aprì l’uscita diretta verso la cima. Una storia che dimostra come la febbre dell’arrampicata su roccia non avesse (ancora) connotazioni ideologiche, né di censo e neppure nazionalistiche. Queste, hanno fatto la loro comparsa in un periodo successivo.

Il film ha come interpreti alcuni attori che si erano messi in luce in precedenza, pur senza raggiungere la notorietà: la bella Erna Morena, il rude Luis Trenker e Hannes Schneider, Werner Sachaarschmidt, tutti di casa nell’ambiente alpino. La trama, improntata al più vieto melodramma, segue i sentieri delle passioni forti e prive di sfumature, con forti richiami ai valori di base, come l’amore, l’amicizia e la lealtà. Non in questi risiede quindi il valore dell’opera nella storia del cinema di montagna, ma piuttosto nella spettacolarità delle riprese e nella capacità di drammatizzazione in un ambiente che poneva forti limiti alle tecniche narrative. Va riconosciuto a Fanck di avere, con questo film, compiuto un ulteriore passo in avanti nella definizione di strumenti narrativi cinematografici, tuttora utilizzati nei più recenti film ambientati in montagna.

Il giudizio di Kracauer sulla Frankfurter Zeitung fu stroncante per quanto riguardava la storia narrata; ma elogiativo circa le immagini presentate: L’operatore Arnold Fanck, che ha diretto il film, merita tutta l’ammirazione, poiché è stato costretto sempre a seguire le vicende “in parete”, per realizzare le riprese. Le scalate in camino e in parete, col sole e con la neve fresca, sono perfettamente rappresentate. L’abilità dell’alpinista risalta dal punto di vista estetico; ma chi pratica l’alpinismo è ancor più in grado di cogliere il fascino della roccia.

Auguriamo al film di essere visto da un pubblico numeroso; mostra l’appassionato legame tra uomo e natura da un punto di vista molto originale. (6)

Der heilige berg (La montagna sacra), Arnold Fanck, 1926 (7)
Diotima è una ballerina scritturata per esibirsi in un Grand Hotel di montagna. Due giovani, Karl e Vigo, la vedono e ne restano colpiti. Durante una passeggiata, la ballerina incontra Karl, reduce da una scalata. Alla sua domanda «Che cosa cerchi lassù?», risponde «Me stesso» e, alla domanda ripetuta, «La bellezza». Diotima promette a Vigo che, nel caso vincesse una grande gara di sci, potrebbe avere una speranza verso di lei.

(6) Siegfried Kracauer, Frankfurter Zeitung, 9 aprile 1925.
(7) Der heilige Berg di Arnold Fanck, https://www.youtube.com/watch?v=A8mSFJDf_7U

Karl propone a Vigo di scalare insieme la parete nord della Montagna Sacra, nonostante il tempo sfavorevole. Bloccati su una cengia dalla tempesta, i due discutono di Diotima e, impulsivamente, Karl dà una spinta a Vigo che precipita; restando appeso alla corda. Un gruppo di sciatori va alla loro ricerca, al lume delle torce, in una spedizione notturna di soccorso, sotto la bufera.

Appeso alla corda trattenuta da Karl, Vigo gli urla di tagliarla, per salvarsi almeno lui: ma Karl rifiuta. In questa situazione, Karl sogna di sposare Diotima in un gigantesco palazzo di ghiaccio. All’alba, ambedue i giovani precipitano, legati. Alla fine, Diotima, vestita di nero, danza davanti alla Montagna Sacra.

Il giudizio sul film pubblicato da Siegmund Kracauer sulla Frankfurter Zeitung il 4 marzo 1927 ne coglie acutamente pregi e difetti Questo film, realizzato da Arnold Fanck in un anno e mezzo, è una colossale composizione di fantasie sulla cultura del corpo, cretinerie astrali e sproloqui cosmici. Perfino il professionista navigato, ormai indifferente alle chiacchiere vuote sui sentimenti, in questo caso, rischia di perdere il suo atteggiamento equilibrato. Forse in Germania ci sono piccoli gruppi di giovani che tentano di contrastare ciò che genericamente viene chiamata meccanizzazione, attraverso un’ossessiva voluttà per la natura, una fuga panica nelle nebbie del vago sentimentalismo.

Fig. 6 – Luis Trenker in un fotogramma di Der heilige berg, 1926

Fig. 7 – Il manifesto di Der heilige Berg, 1926

Considerato come espressione del loro modo di vivere, il film è un capolavoro […] Le inquadrature di paesaggi, in funzione delle quali queste stramberie sono pensate, sono talvolta meravigliose. Mai prima d’ora il mare aveva brillato così sullo schermo. Una gara di sci è filmata con incredibile efficacia, le tracce degli sci si stagliano come linee magiche. Il tema della sciata notturna alla luce delle fiaccole proposta da questo film è una novità: una vaga superficie luminosa si forma lontano nell’oscurità, e poi si frantuma rapidamente in fiamme fugaci. Anche il fluttuare dei banchi di nuvole è mostrato in maniera magistrale.

Purtroppo, lo spirito maligno dell’intreccio si ritrova anche in alcune immagini (8).

Il film venne presentato a Hitler – nel suo Berchtesgaden – che lo dichiarò «il più bel film che abbia mai visto sullo schermo» (9).

Der Kampf ums Matterhorn (La grande conquista), Nunzio Malasomma e Mario Bonnard, 1928
Tratto da un’idea di Fanck, con Trenker nella parte di Carrel e Peter Voß in quella di Whymper, e distribuito in Italia come La grande conquista, racconta, in maniera romanzata, la conquista del Cervino da parte di Edward Whymper (inglese) e, qualche giorno dopo, di Jean-Antoine Carrel, nel 1865.

La vicenda storica è nota. Di fronte all’atteggiamento dilatorio della guida Carrel di Valtournanche, Whymper si spostò a Zermatt, dove ingaggiò la guida Michel Croz. La carovana – come allora si diceva – formata da sette persone, salì per la cresta svizzera e raggiunse la vetta prima di Carrel che, nel frattempo tentava la scalata per la cresta italiana. Nel corso della discesa, la cordata guidata da Whymper subì un terribile incidente che provocò la caduta di quattro dei componenti. L’inglese si salvò e, insieme ai due altri superstiti, raggiunse Zermatt.

L’impresa fece scalpore e innescò interminabili polemiche (Carrel raggiunse la vetta del Cervino alcuni giorni dopo), tanto che Whymper venne accusato di aver tagliato la corda per salvarsi. Nel film, venuto a conoscenza del fatto che Whymper è stato mandato sotto processo, Carrel sale in solitaria il Cervino per la via italiana, giunge in vetta (dove trova la bottiglia col messaggio lasciato da Whymper), scende nella bufera per la via svizzera e recupera lo spezzone di corda, evidentemente strappato e non tagliato. Con questo in mano irrompe nell’aula del tribunale dove, grazie alle nuove prove, i giudici assolvono l’inglese.

(8) Siegfried Kracauer, Frankfurter Zeitung, 4 marzo 1927.
(9) Hilmar Hoffmann, Und die Fahne führt uns in die Ewigkeit, Fisher Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, 1988, trad. inglese di Broadwin e Berghahn, The Triumpf of Propaganda: Film and National Socialism, Vol. 1, 1996, p. 130.

Il successo del film fu tale che, sei anni dopo, venne corredato di effetti sonori e commento parlato. L’opera si caratterizza per la rappresentazione negativa della figura di Whymper, presentato come un inglese ricco di soldi e di disprezzo per gli altri popoli; ma, sostanzialmente, povero di capacità alpinistiche e risorse di carattere. Claire-Éliane Engel, nella sua Storia dell’alpinismo esprime un giudizio lapidario: Tutto il film rappresenta un vero e proprio insulto a Whymper, in quanto lascia capire che egli, nel corso dell’ascensione del 1865, avesse tagliato la corda (10).

Die Weisse Hölle vom Piz Palü (La tragedia del Pizzo Palù), Arnold Fanck, 1929 (11)
L’opera fondamentale, quella che diffuse il cinema di montagna presso il pubblico internazionale è del 1929: Die weiße Hölle vom Piz Palü, girato da Fanck nel massiccio del Bernina, avendo come aiuto-regista Geog Wilhelm Pabst, destinato ad una luminosa carriera cinematografica.

Anche gli interpreti sono di prim’ordine: Gustav Diessl nella parte del protagonista (il cupo dott. Krafft), Ernst Petersen in quella del geloso deuteragonista (Stern, pericoloso per sé e per gli altri) e Leni Riefenstahl in quella della giovane e graziosa moglie di Stern. Nel fatto che nel film si sia trovato spazio per Ernst Udet, un leggendario aviatore della Grande Guerra, già allora membro delle Sturmabteilung e che nel film interpreta sé stesso, si può leggere un sintomo di cedimento all’ideologia politica montante in Germania.

(10) Claire-Éliane Engel, Massimo Mila, Storia dell’alpinismo, Milano, Mondadori 1969.
(11) Die Weiße Hölle vom Piz Palü di Arnold Fanck, https://youtu.be/gJ8B4VH-5gk

Fig. 8 – Locandina di Die weiße Hölle vom Piz Palü, 1929

La trama si basa sulla dolorosa vicenda del dott. Krafft, morbosamente attratto dal Pizzo Palù sul quale, dieci anni prima, ha perduto la giovane moglie. In rifugio incontra Karl e Maria, freschi sposi, che insistono per unirsi a lui nella scalata della parete Nord. Nel corso dell’impresa, per una colpevole leggerezza di Karl, il dott. Krafft si frattura una gamba e i tre restano bloccati su una cengia in attesa di soccorsi. Vengono individuati grazie all’intervento dell’asso dell’azione Udet, ma quando arrivano i soccorsi, trovano solo i due sposini: il generoso Krafft, dopo aver ceduto ai due i suoi vestiti, si è ritirato in una caverna di ghiaccio, dove si è lasciato morire per assideramento.

Nonostante le trovate poco credibili (Krafft che spezza sul ginocchio il manico della piccozza per steccare la gamba fratturata), l’interpretazione è coinvolgente e la descrizione dell’«inferno bianco», cui fa riferimento il titolo, veramente impeccabile, grazie alla superba fotografia di Hans Schneeberger, un maestro delle riprese in ambiente alpino.

Stürme über dem Montblanc (Tempesta sul Monte Bianco), Arnold Fanck, 1930 (12).
Sull’onda del successo della Tragedia del Pizzo Palù, nell’estate del 1930 Fanck realizzò Stürme über dem Mont Blanc, interpretato da Leni Riefenstahl, con il campione di sci Sepp Rist e la partecipazione ancora dell’asso dell’aviazione Ernst Udet.

Hannes (Rist), addetto ad una stazione meteorologica d’alta quota sul M. Bianco, trasmette telegraficamente i dati raccolti a varie stazioni in valle. La Riefenstahl è Hella, figlia di un astronomo dell’Osservatorio di Chamonix e appassionata sciatrice, in contatto solo telegrafico con Hannes, in quanto riceve i suoi bollettini. Un giorno, l’aviatore Udet la invita a fare un volo sul suo aereo e con quello sorvolano la stazione meteorologica e lanciano ad Hannes un piccolo albero di Natale. Trascorso il Natale, Hella convince Udet a portare lei e il padre alla piccola stazione custodita da Hannes, col quale stabilisce un rapporto affettivo. Purtroppo, mentre Hella compie un’ascensione con Hannes, suo padre, incautamente spintosi ad esplorare i dintorni, precipita e muore sotto lo sguardo impotente dei due giovani.

(12) Stürme über dem Montblanc di Arnold Fanck, https://www.youtube.com/watch?v=B_ NMOFNL6FI

Dopo la discesa a valle di Hella, sulla montagna si scatena una violenta tempesta e Hannes, rimasto solo, rischia la morte per assideramento; riuscendo tuttavia ad inviare un segnale di SOS. Essendosi convinta che la squadra di soccorso non può raggiungere la stazione, a causa della quantità di neve caduta, Hella prende contatto con Udet, facendogli presente che solo un soccorso aereo può salvare il povero Hannes. L’abile pilota riesce a raggiungere (su un piccolo aereo che porta il nome italiano ‘Scintilla’) la postazione e a prestare i primi soccorsi al custode semi-assiderato, ma, nel frattempo, anche Hella e la squadra di soccorso, dopo una pericolosa salita, giungono a prestare aiuto, per cui la vicenda si conclude con la salvezza di tutti e, presumibilmente, con un matrimonio.

Si tratta quindi di un drammone che funge da pretesto per presentare gli aspetti più difficili dell’alta montagna ed esaltare la forza che deve appartenere a coloro che affrontano questi rischi, enfatizzandola fino all’eroismo.

Kracauer lo definisce «uno di quei polpettoni fra il monumentale e il sentimentale in cui era maestro», anche se non manca di riconoscerne alcune qualità artistiche: Effetti sonori di grande efficacia si aggiungono alla splendida fotografia: frammenti di Bach e Beethoven provenienti da una radio abbandonata sul Monte Bianco penetrano a tratti nella bufera che infuria, dando un senso ancora più astratto e inumano alle cupe vette. Per il resto Stürme über dem Montblanc ricalca Die weiße Hölle von Piz Palü con i mirabolanti voli di Ernst Udet, la furia degli elementi e l’inevitabile squadra di soccorso (13).

Der Sohn der weissen Berge, Das Geheimnis von Zermatt, Trenker e Bonnard, 1930 (14)
Der Sohn der weissen Berge uscì in Italia sotto il titolo I cavalieri della montagna. Trenker lo diresse insieme a Mario Bonnard su soggetto dello stesso Trenker e di Walter Schmidkunz.

(13) Siegfried Kracauer, Da Caligari a Hitler, a cura di Leonardo Quaresima, Torino, Lindau 2001, p. 319.
(14) Der Sohn der weissen Berge di Luis Trenker e Mario Bonnard, https://www.youtube.com/ watch?v=tmTG28bR5qg

Fig. 9 – Locandina di Stürme über dem Montblanc, 1930

Il film racconta la storia di tre amici campioni di sci (i tre moschettieri) uno dei quali, interpretato da Trenker, guida alpina, viene accusato di aver assassinato un cliente. Il protagonista riesce a scovare il cliente che si era finto morto affinché la moglie riscuotesse l’assicurazione sulla vita stipulata a quello scopo. Il tutto entro le 24 ore che il commissario di polizia gli aveva concesso per dimostrare la sua innocenza; appena in tempo per essere presente al via di un’importante gara di sci a cui il protagonista giunge, gioiosamente trainato da una motocicletta.

Der weisse Rausch. Neue Wunder des Schneeschuhs, Arnold Fanck, 1931 (15)
Nel 1931 Arnold Fanck propose ancora il volto gioioso della montagna.
A interpretare Der weisse Rausch (L’estasi bianca) il regista chiamò la stessa Leni Riefenstahl e tre campioni di sci: Hannes Schneider, Guzzi Lantschner e Walter Riml. Ambientato a Sankt Anton am Arlberg, rinomata località sciistica tirolese, il film è una commedia leggera su fatiche e gioie dello sci, il nuovo sport che si andava diffondendo fra le classi medio-alte. Il successo era affidato soprattutto alle magnifiche scene d’ambiente e all’ottimismo del messaggio, in un periodo storico di gravi difficoltà economiche e politiche per la Germania.

(15) Der weisse Rausch di Arnold Fanck https://www.youtube.com/watch?v=rycn6-z4bpk

Fig. 10 – Locandina di Der Sohn der weissen Berge, 1930

Fig. 11 – Locandina di Der weisse Rausch, 1931

Si racconta dell’apprendistato sciistico di una giovane montanara (la Riefenstahl) che si propone di imparare la tecnica della sciata e del salto con gli sci, sotto gli insegnamenti di un esperto, interpretato da Schneider.

Come in ogni film leggero, il compito di far ridere è affidato a due sprovveduti, in realtà campioni di sci, Riml e Lantschner, che fanno la parte di due carpentieri di Amburgo che si recano ad Alberg allo scopo di imparare a sciare studiando su due diversi manuali di sci.

Uno dei due manuali porta come titolo Arlbergtechnique e il secondo Allerneuste Möeglich keiten im Skilauf (16). Ne parlava anche Dino Buzzati, appassionato sciatore fin dagli anni ’20, in un articolo sulle diverse tecniche sciistiche, per il Corriere della Sera, in riferimento alla tecnica Arlberg, nella recensione di un saggio dedicato alla storia dello sci (17).

Das blaue Licht, Leni Riefenstahl, 1932
Si tratta del primo film diretto da Leni Riefenstahl. In questo recitò ella stessa, in una parte simile a quelle interpretato nei film di Fanck per i quali era stata così tanto apprezzata dalle alte gerarchie del partito; di più, aspirava a rappresentare allegoricamente i temi oscuri del desiderio ardente, della purezza e della morte trattati in maniera meno esplicita da Fanck. Come sempre, la montagna vi viene rappresentata come sommamente bella e pericolosa, come la forza numinosa che invita all’estrema affermazione di sé e al proprio straniamento; verso la comunione fraterna del coraggio e la morte.

(16) H. Schneider, A. Fanck, Die Wunder des Schneeschuhs, ein System des richtigen Skilaufens und seine Anwendung im alpinen Geländelauf, Hamburg, Gebrüder Enoch, 1925.
(17) A. Lunn, A History of Ski-ing, cit., in D. Buzzati, Povero Telemark, «Corriere della Sera», 21 novembre 1933.

Fig. 12 – Copertina del manuale di Schneider e Fanck

È ambientato in un villaggio posto alle pendici del Monte Cristallo (che non va necessariamente identificato con quello che si specchia nel lago di Misurina). Nelle notti di luna piena, una misteriosa luce blu irradia dalla cima del Monte, richiamando i giovani montanari a tentare di scalarlo.

I genitori cercano di tenere i figli in casa dietro le imposte chiuse, ma i giovani vengono trascinati come sonnambuli e precipitano dalle rocce.

Il ruolo che Riefenstahl riservò a se stessa è quello di Junta, una creatura primitiva in comunicazione con una misteriosa potenza distruttiva: solo questa sorta di strega del villaggio, è capace di raggiungere incolume il luogo in cui ha origine la luce blu. Junta va incontro alla morte, non a causa dell’impossibilità del fine simboleggiato dal monte, ma per lo spirito prosaico e materialista dei paesani invidiosi ed il cieco razionalismo di un turista benestante proveniente dalla città.

La ragazza sa che la luce blu proviene da un deposito di pietre preziose; ma viene emessa da una creatura di puro spirito che si rivela nella bellezza dei gioielli, indipendentemente dal loro valore materiale. All’origine della tragedia è l’amore che Junta concepisce per un pittore in vacanza in quella località, e ingenuamente gli confida il segreto che lui si affretta a diffondere tra i paesani, che scalano la montagna, rimuovono il tesoro e lo vendono. Quando Junta, con la luna piena successiva, comincia la sua ascensione, non c’è più la luce blu a guidarla e, di conseguenza, cade e muore.

Der ewige Traum, Der König des Mont Blanc, Arnold Fanck, 1934 (18)
Di notevole valore artistico e spettacolare, Der ewige Traum racconta la storia della prima salita del Monte Bianco da parte di Balmat e Paccard, ingaggiati e sostenuti dallo scienziato ginevrino De Saussure, nel 1786. Nonostante alcune palesi incongruenze storiche, le immagini girate in quota conservano un grande potere evocativo dell’ambiente dell’alta montagna, alle quali si unisce un uso molto efficace del sonoro.

(18) Der ewige Traum di Arnold Fanck, https://www.youtube.com/watch?v=pvfUpK2hV3A

Fig. 13 – Locandina di Der ewige Traum, 1934

Il fatto che ciò di cui tratta sia la prima salita al Monte Bianco giustifica il timore che il film trasmette per l’ambiente dell’alta quota, con la furia in- 274 LEDO STEFANINI – EMANUELE GOLDONI contenibile delle sue tempeste. Si può anche osservare che il tema del film – l’impresa storica dei ginevrini Balmat, Paccard e De Saussure – non era tale da incontrare il favore dell’onnipotente ministro della propaganda del Reich, Joseph Goebbels.

Der Berg Ruft, (La grande conquista), Luis Trenker, 1938 (19)
Il tema della conquista del Cervino era di tale presa sul pubblico che Trenker decise di riprenderlo nel 1938, con l’intenzione di diffonderlo sul mercato anglofono. Poiché la rappresentazione dell’inglese Whymper nel film era volutamente odiosa, in quanto lo si dipingeva come un danaroso gentiluomo inglese corroso dall’ambizione, ma privo di reali competenze alpinistiche; e quindi improponibile per il mercato inglese, vennero girate in maniera diversa, con un altro attore (Herbert Dirmoser), le scene in cui compariva il personaggio di Whymper. Si ottenne così il risultato paradossale che, mentre nel film del ’28 Whymper era presentato come un rappresentante della «perfida Albione», in quello del ’38, vigilia della guerra, lo stesso personaggio ispira simpatia, anche al valdostano Carrel.

Liebesbriefe aus dem Engadin, (Lettere d’amore dall’Engadina), Luis Trenker, 1938 (20)
Il film più famoso di Trenker, girato nel 1938, è Liebesbriefe aus dem Engadin, uscito in Italia come Lettere d’amore dall’Engadina. Si tratta di una commediola leggera che racconta di un albergatore dell’Engadina che utilizza il fascino di un maestro di sci (interpretato da Trenker) per attirare la clientela femminile.

(19) Der Berg Ruft di Luis Trenker, https://www.youtube.com/watch?v=zffr8WuSGz0
(20) Liebesbriefe aus dem Engadin di Luis Trenker, https://youtu.be/iB0VKE3eMvA oppure https://www.youtube.com/watch?v=iB0VKE3eMvA

Fig. 14 – Locandina di «Der Berg ruft!», 1938

Lo spettatore non viene privato, comunque, di un episodio drammatico come il recupero del protagonista caduto in un crepaccio, che fornisce l’occasione per magnifiche riprese notturne di nevi e ghiacci illuminati dalla luce delle torce. Le scene più entusiasmanti sono quelle di una interminabile discesa di un gruppo di spericolati sciatori e dell’inseguimento di un treno da parte del protagonista con gli sci a lato della strada ferrata, che conduce al prevedibile happy end.

4. Sul messaggio ideologico dei film di montagna
Il Nazismo vide nel cinema una delle armi di propaganda di maggiore efficacia, sia per l’indottrinamento che per il controllo delle masse attraverso l’evasione. Fra i principali propositi di Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, vi era quello di fare di Berlino una sorta di Hollywood tedesca.

Lo studio più completo sul ruolo che il cinema tedesco ebbe nell’opera di condizionamento delle masse popolari, in Germania e all’estero, uscì nel 1988 per merito di Hilmar Hoffmann, uno dei più prestigiosi studiosi tedeschi di sociologia culturale (21). In questo lavoro Hilmar mette in evidenza le tecniche utilizzate dalla possente e sinistra macchina propagandistica nazista per esercitare il suo fascino sulle masse.

Il giudizio di Hilmar sull’intera produzione alpinistica tedesca è di assoluta condanna: La rappresentazione lirica delle Alpi raggiunse il suo culmine ben prima dell’avvento del Terzo Reich. Il mondo venne iniziato al cinema dell’alpinismo da Arnold Fanck. Fu lui a indicare i monti come espressione simbolica di una visione del mondo e a creare un nuovo tipo di film che combinava una trama con il documentario.

(21) Hilmar Hoffmann, Und die Fahne führt uns in die Ewigkeit, cit.

Fig.15 – Locandina di Liebesbriefe aus dem Engadin, 1938

È sorprendentemente facile estendere l’orizzonte dei significati mediante la vista panoramica dalla vetta di una montagna. Con film come Wunder des Schneeschuns (1920), Der Berg des Schicksals (1924), Der heilige Berg (1926) o S.O.S. Eisberg (1933), Fanck promosse la confusa filosofia della natura nazista, come fece anche Luis Trenker (22). L’altro riferimento obbligato degli studiosi di storia del cinema tedesco è l’opera di Siegfried Kracauer (Frankfurt am Main, 1889-New- York, 1966), il cui nome viene solitamente associato alla cosiddetta Scuola di Francoforte. Lasciò la Germania nel 1933, in seguito all’ascesa al potere del Nazismo e si stabilì prima in Francia e infine negli Stati Uniti (23) L’opera di Kracauer, considerata la più approfondita indagine psicologica dell’ideologia sulla quale si regge il filone del cinema di montagna tedesco, non risparmiava (nel 1947) pesanti rilievi alla produzione di Fanck: L’insorgenza di tendenze favorevoli al nazismo, durante il periodo che ha preceduto la presa del potere da parte di Hitler, non potrebbe essere meglio confermata se non dall’aumento e dall’evoluzione specifica dei film di montagna.

Arnold Fanck, il padre incontestato di questo filone, proseguì lungo la strada che egli stesso aveva tracciato. Dopo una piacevole commedia, Der weisse Rausch (1931), in cui Leni Riefenstahl viene iniziata ai segreti dello sci, realizzò Stürme Über dem Monblanc (1930), una di quelle zuppe mezzo monumentali e mezzo sentimentali in cui era maestro. film ancora una volta rappresenta gli orrori e le bellezze dell’alta montagna, questa volta con particolare riguardo per la maestosità delle formazioni nuvolose. (Che nella sequenza di apertura del documentario nazista Triumph des Willens (Il trionfo della volontà) del 1936, simili masse nuvolose circondino l’aereo di Hitler nel suo volo su Norimberga, rivela l’ultima fusione del culto della montagna e di quello di Hitler (24). Il giudizio di Kracauer venne pienamente condiviso da Susan Sontag in un articolo del 1975, scritto in occasione dell’uscita di un volume di fotografie di Leni Riefenstahl: i sentimenti veicolati dal pop-wagnerismo di Fanck, tramite la Riefenstahl, non erano solo “intensamente romantici”. Nessuno dubita che questi film non fossero portatori di messaggi politici quando furono girati; ma visti a distanza di anni, come ha indicato Siegfried Kracauer, sono un’antologia di sentimenti proto-nazisti.

L’alpinismo dei film di Fanck era una irresistibile metafora di una irresistibile aspirazione verso l’alto fine mistico, nello stesso tempo bellissimo e terrificante destinato a concretizzarsi nell’adorazione del Führer.

(22) Ivi, p. 128.
(23) Siegfried Kracauer, From Caligari to Hitler: A Psychological History of the German Film, Princeton University Press, 1947, Traduzione italiana, Da Caligari ad Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, a cura di Leonardo Quaresima, Torino, Lindau 2001.
(24) Ivi, p. 319.

A distanza di 70 anni, possiamo affermare che il duro giudizio di Kracauer, condizionato com’era dalla sua dura esperienza personale di ebreo, costretto alla fuga dalla natia Germania nel 1933, non teneva in debito conto l’ambito culturale (prevalente su quello meramente politico) in cui l’autore si era trovato a lavorare. La narrazione della montagna conforme alla cultura germanica, in campo alpinistico cominciò ad affermarsi all’inizio del secolo, in opposizione a quello inglese.

Non può infatti sfuggire il fatto che il fenomeno dei führerless era peculiare dell’alpinismo di lingua tedesca e rappresentò un punto di nonritorno nei confronti di quello di stampo inglese, canonizzato dall’Alpine Club di Londra. In questo contesto sono fondamentali alcune date. La prima è quella della pubblicazione, nel 1922, del libro autobiografico di Guido Lammer, Fontana di giovinezza (25), che ebbe grande diffusione e rappresentò un riferimento culturale nobile su cui fondare un alpinismo che già esisteva in Austria e Germania e che si rifaceva, se pur confusamente, ad alcuni motivi della filosofia di Nietzsche e al mito del superuomo.

Una seconda data è quella della scalata (7 agosto 1925), per opera di Emil Solleder e Gustav Lettenbauer, ambedue di Monaco, della parete nord-ovest della Civetta, che ha rappresentato l’evento di definitiva rottura con la concezione classica dell’alpinismo. Infine, la vittoria sulla parete nord dell’Eiger (26) (Heckmair, Vörg, Kasparek, Harrer, 21-24 luglio 1938) rappresenta nello stesso tempo il punto più alto raggiunto dall’alpinismo tedesco tra le due guerre e, nel contempo, il suo definitivo assoggettamento alla propaganda del regime totalitario insediatosi in Germania cinque anni prima.

Il periodo storico dell’alpinismo compreso fra la scalata della Nord-ovest della Civetta (1925) e quella della Nord dell’Eiger (1938) viene definito ‘eroico’ proprio perché si afferma una poetica dell’alpinismo dominato dai tedeschi, nel quale il rischio della vita fa parte del gioco e che ha trovato numerosi adepti sia in Italia che in Francia. D’altra parte, di fronte al nuovo verbo, gli alpinisti inglesi sono completamente assenti.
Eppure non si tratta solo di nazionalità.

(25) Eugen Guido Lammer, Jungborn: Bergfahrten und Höhengedanken eines einsamen Pfadsuchers, Vienna, Österreichischer Alpen-Klub 1922.
(26) Anderl Heckmair, Die drei letzten Probleme der Alpen, München, Bruckmann 1949; Heinrich Harrer, Parete Nord, Milano, Mondadori 1999.

Gli alpinisti dell’inizio del secolo erano generalmente gentiluomini di larghe disponibilità economiche, che ingaggiavano per lunghi periodi le guide più famose, che spesso incaricavano di esplorare, in loro assenza, la possibilità di nuove vie di scalata. Erano anche persone di alta cultura, che pubblicavano accurate descrizioni delle loro avventure alpinistiche.

Tali erano gli austriaci fratelli Mayer con Dibona, il barone ungherese (e le baronessine) Von Oetvös, gli italiani Leone Sinigaglia e Guido Rey, musicista il primo, scrittore il secondo. La Grande Guerra segnò anche un mutamento profondo nella poetica dell’alpinismo. Potremmo chiamare ‘inglese’ quella a cui si ispirò in prevalenza l’alpinismo fino alla Grande Guerra, praticato da esponenti delle classi elevate, che si servivano (ed il verbo è quanto mai adatto) di guide che potevano anche raggiungere la fama (e quindi lauti prezzi d’ingaggio) solo al costo di grandi rischi. Ma il rischio non faceva parte della cifra alpinistica dei gentiluomini ed era anche considerato di cattivo gusto parlarne troppo diffusamente.

Del resto, coloro che scrivevano di alpinismo erano solo i ‘signori’; non certo le guide e i portatori. L’introduzione del rischio come carattere essenziale di un alpinismo praticato rigorosamente führerless, ebbe luogo con la mutazione sociale della comunità alpinistica di lingua tedesca. Neppure è lecito porre alla radice di tale mutazione l’opera di Guido Lammer, se pur esaltò il rischio come requisito essenziale dell’alpinismo. Se mai, la sua concezione dell’alpinismo rappresentava l’esito ultimo dell’alpinismo romantico classico. D’altra parte, basta mettere a confronto l’estrazione sociale dei clienti delle grandi guide dell’inizio del secolo con quella degli alpinisti tedeschi che tracciarono gran parte delle vie dolomitiche negli anni ’20, per rendersi conto dell’enorme trasformazione di mentalità.

Ci limiteremo alla figura di Emil Solleder che, nel 1925 e 1926, aprì le vie più difficili del tempo: parete nord della Furchetta, parete nord-ovest della Civetta e parete est del Sass Maòr, che sono tuttora un banco di prova impegnativo per i migliori alpinisti. Una buona fonte di informazioni è rappresentata da Scalatori, una antologia di scritti uscita per l’editore Hoepli nel 1939 (27). La mentalità sulla quale si reggeva l’alpinismo della Scuola di Monaco era molto più laica di quella di Lammer, fondata com’era, sull’abilità tecnica nell’arrampicata.

(27) Scalatori, a cura di Attilio Borgognoni e Giovanni Titta Rosa, Milano, Ulrico Hoepli Editore 1939.

Non ci riconosciamo, pertanto, nelle parole del grande George L. Mosse, quando scrive: La mistica della montagna s’era imposta dapprima nelle nazioni alpine, in Austria e in Italia. Ma dopo la guerra, e nella condizione della disfatta, la gloria della montagna si diffuse anche in Germania (28)”.

Non furono gli alpinisti austriaci e italiani ad esportare il nuovo verbo alpinistico; ma gli alpinisti tedeschi a diffonderlo in tutta Europa. La Grande Guerra (e la pace che ne era seguita) aveva sconvolto nel profondo anche la struttura sociale della Germania e la diffusa Weltanschauung, per cui alla montagna si avvicinarono le classi subalterne, che imposero un gioco più duro e rischioso. La nuova mentalità alpinistica venne gradualmente cooptata nell’ambito dell’ideologia nazista; ma era radicalmente differente da quella, sostanzialmente romantica, che fungeva da substrato dell’alpinismo classico. L’appropriazione ricevette il suo crisma ufficiale nel 1938, dopo la scalata alla Nord dell’Eiger, quando Heckmair, Vörg, Kasparek e Harrer, vennero ricevuti e decorati dal Führer.

Ciò non significa che i quattro valorosi alpinisti fossero motivati, nella loro sfida, dai benefici che ne conseguirono: la motivazione vera risiedeva in una cultura che aveva rinnovato il rapporto con la montagna.

D’altra parte, il partito nazionalsocialista aveva preso il potere in Germania nel 1933, e gran parte del cinema di montagna tedesco risaliva agli anni precedenti. E neppure è lecito affermare che la sua cifra fosse il nazionalismo.

(28) George L. Mosse, Le guerre mondiali, Bari, Laterza 2002, p. 127.

Fig. 16 – I vincitori della Nord dell’Eiger, premiati dal Führer (24 luglio 1938)

Nella produzione si possono distinguere due filoni: quello eroico e quello leggero. Quest’ultimo sembra rispondere ad una richiesta di storie amorose, ambientate in luoghi inaccessibili alla gente comune: alberghi di alta montagna, le vette, lo sci. Lo spettatore è portato ad identificarsi con le guide alpine e i maestri di sci; che sono al servizio dei ‘signori’, ma ne sono di gran lunga superiori in fatto di risorse fisiche e morali. Un filone cinematografico che possiamo considerare speculare è quello detto «dei telefoni bianchi», in Italia, in anni in cui solo una minoranza godeva del privilegio del telefono e ancora meno erano quelli che potevano andare a sciare.

A proposito delle commedie alpinistiche, tenuto conto dell’epoca e dell’esilità delle storie, è necessario riconoscere che avevano una finalità di richiamo turistico; ma il loro scopo principale era quello di alimentare la dimensione onirica dello spettatore. Le commedie e le tragedie cinematografiche avevano in comune due caratteristiche: l’esaltazione del montanaro come uomo forte e semplice, sprezzatore delle mollezze e dei vizi che caratterizzano la vita dei ricchi, e le magnifiche riprese delle rocce e dei panorami innevati. In questo risiede prevalentemente la novità del linguaggio cinematografico.

Le riprese in alta quota di immacolati pendii di neve, dell’interno di crepacci, di (vere) bufere e di (vere) cadute in arrampicata richiedevano, con i mezzi del tempo, abilità tecniche straordinarie. Una delle scene che non manca quasi mai è quella degli uomini del paese che, al lume delle torce, effettuano una ricerca sul ghiacciaio o prestano soccorso ad un infortunato.

Riprese significative sia dal punto di vista simbolico, in quanto trasmettono il senso di solidarietà della comunità, sia da quello estetico, in quanto i riflessi della luce sul nevaio o sulle pareti di un crepaccio sono altamente suggestive.

Nella contrapposizione fra il mondo del villaggio alpino, ispirato ai nobili ideali della frugalità e della solidarietà, e quello delle classi medioalte della città, fondato su meschini interessi materiali, è possibile distinguere un filone vagamente politico, quando la si voglia leggere come una vera e propria contrapposizione di classe, che, sia in Italia che in Germania, caratterizzò il fascismo delle origini. Anche il sentimento della Heimat, specialmente vivo nelle opere di Trenker (forse risonanza di quello che caratterizzava le comunità del Tirolo, la sua terra d’origine) esclude qualsiasi possibilità di lettura razzistica del messaggio trasmesso dal cinema di montagna dell’epoca precedente all’entrata in scena della guida occhiuta e fanatica di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich. Le opere dirette da Leni Riefensthal (Triumph des Willens, Unsere Wehrmacht e Olympia) non solo hanno soggetti diversi dalla montagna; ma sono state realizzate in un’epoca che è, ideologicamente, altra.

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Il cinema di montagna nella Germania tra le due guerre ultima modifica: 2021-03-28T05:23:00+02:00 da GognaBlog

6 pensieri su “Il cinema di montagna nella Germania tra le due guerre”

  1. 6
    albert says:

    Nle 1973   apparve di Jodorowski :”La montagna sacra”  V.m.18..sala cinema cittadina senza un posto libero..amanti della montagna e pure del mare e della campagna..poi nel 1982 di Zinnermann .”5 giorni  un’estate”..con famoso triangolo ( non quello della progressione a triangolo”)

  2. 5
    albert says:

     A gusto personale  metto tra i preferiti   Eastwood Clint:”Assassinio sull’Eiger”. Guilty pleasure :
    Un piacere colpevole è qualcosa, come un film, un programma televisivo o un brano musicale, che si gode nonostante si capisca che non è generalmente tenuto in grande considerazione, o è visto come insolito o strano. Ad esempio, una persona può segretamente apprezzare un film, ma ammetterà che quel particolare film è fatto male e / o generalmente visto come “non buono”.
    Appunto come una porcata mangiata , ma che gusto.

  3. 4
    Matteo says:

    Da rileggere con calma.

  4. 3
    Paolo Gallese says:

    Non è un articolo, è un vero saggio. Davvero interessante. 
    Da rileggere con calma. 

  5. 2
    albert says:

    Meno male che negli anni’30 apparve anche  Vitale Bramani, meno sceneggiatura retorica-eroica-sentimental e meno spreco di pellicola  e piu’ sostanza pratica…che ancora  prosegue.Notevole sempre anni’30 un’idea “dell’alpinista (e ingegnere) INGLESE   O. Eckenstein  si recò con il suo disegno progettuale dal miglior fabbro di Courmayeur, Henry Grivel e se li fece produrre. Vista la grande efficacia dimostrata dall’attrezzo, ci vollero pochi anni perché si diffondesse rapidamente il suo utilizzo”.I registi carrieristi  invece facevano  film propagandistici per ingraziarsi i gerarchi panzoni o flosci e far carriera.

  6. 1

    Articolo estremamente interessante, anche se un po’ lungo e inspiegabilmente ripetitivo. L’argomento è di quelli da non perdere sicuramente. 
    Va notato che in quasi tutte le pellicole, le scene di roccia sono state girate alle 5 Torri sopra Cortina, già note per la loro comodità e bellezza estetica dei numerosissimi scorci panoramici. Location ancora oggi utilizzata da numerose produzioni da Fantozzi a Stallone.
    Nel romanzo e poi film di Trenker (entrambi splendidi) Berge in Flammen la cima su cui è ambientata la Grande Guerra credo che sia più verosimilmente quella del Lagazuoi e non quella del Castelletto di Tofana, anche se è possibile che Trenker, che combattè realmente contro gli Alpini in quell’area,  avesse attinto da fatti svoltisi su entrambe le cime.

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