Il cuore dell’utopia

Esattamente trent’anni fa a Punta Helbronner si svolgeva la prima manifestazione ambientalista di montagna, un evento gravido di significati, e oggi ancora di più.

Metadiario – 146 – Il cuore dell’utopia (AG 1988-002)
(scritto nel 1988)

Nel 1986, nel duecentenario della conquista del Monte Bianco, si fece un primo passo ufficiale: alcuni tra gli alpinisti più famo­si d’Europa firmarono un manifesto che chiedeva, per la salva­guardia del Monte Bianco, il primo parco inter­nazionale europeo. Era la prima volta, dopo tanti anni di colpevole silenzio. Il 1987 vide la nascita di Mountain Wilderness, un movimento di alpinisti che, in autonomia da qualunque confine, univano le idee e le forze per la conservazione mondiale della montagna.

Reinhold Messner in traversata verso il Col du Toula, alla base del Grand Flambeau. 15 agosto 1988

15 agosto 1988. Reinhold ed io siamo comodamente seduti al bar del golf a parlare con Maurice Herzog, il conquistatore dell’An­napurna, il primo Ottomila salito dall’uomo. Sorbendo una bibita, Reinhold evade la domanda sul perché della sua presenza lì. Se solo sapesse, il grande e anziano alpinista, cosa siamo venuti a fare nella sua Chamonix! Da qualche battuta di sondaggio, ab­biamo capito subito quali sono le sue idee: lo sviluppo non va fermato!

Messner era arrivato in incognito a Courmayeur, ma tutti sapevano che nell’aria c’era qualcosa. Senza farci notare abbiamo traver­sato il tunnel, per poter anda­re sul posto senza ostacoli.

A Courmayeur, la mattina della manifestazione, i carabinieri a­vrebbero inutilmente presidiato la stazione della funivia.

Prendiamo l’ultima corsa per l’Aiguille du Midi e senza fretta ci dirigiamo, traversando l’alto bacino della Vallée Blanche e il Glacier du Géant, alla base occidentale del Grand Flambeau 3566 m. Là troviamo i nostri amici, che nel pomerig­gio erano saliti da Cour­mayeur e ora ci stavano lasciando la tendina montata con viveri e fornellino. Ci scambiamo le informazioni: tutti a Courmayeur e al Rifugio Torino sanno che la pentola bolle, ma nessuno ha ancora capito cosa vogliamo fare! Al crepuscolo ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il matti­no dopo.

16 agosto 1988. Alla luce delle pile frontali e carichi come asi­ni, Reinhold, Roland, Giampiero ed io saliamo in vetta al Grand Flambeau, dove ero stato poche settimane prima a misurare il dia­metro delle funi d’acciaio che sostengono il pilone aereo della teleferica.

Messner calato verso il pilone aereo, 16 agosto 1988

Più di cinque chilometri con tre campate collegano l’Aiguille du Midi con la Pointe Helbronner: è la traversata aerea più audace delle Alpi, un capolavoro di ingegneria. Mentre il pilone verso la Midi è un classico traliccione appoggiato sulle rocce del Gros Rognon, il pilone verso l’Italia, non potendosi appoggiare sul ghiaccio, è sostenuto da una serie di tre funi perpendicolari al­la teleferica e ancorate al Grand e Petit Flambeau, in discesa verso quest’ultimo. 70 metri in verticale dividono il cosiddetto “pilone aereo” dal ghiacciaio, mentre neppure 200 metri è la di­stanza tra la vetta del Grand Flambeau e il pilone aereo.

Roland Losso e Alessandro Gogna salgono con i jumar al pilone aereo, 16 agosto 1988

È ancora notte fonda quando cominciamo a calare Reinhold sulla fune centra­le. Appeso ad una ruota da boscaioli e trattenuto da una semplice corda che gli filiamo lentamente, Messner arriva al­la struttura metallica del pilone aereo, dove sono le serie di ruote di scorrimento delle funi traenti. Per radio ci comunica di essere pronto a recuperare la corda che è servita per calarlo. Una manovra delicata, ma alla fine ci saranno due corde fisse per poter salire dal basso. Noi tre scendiamo veloci al Col des Flam­beaux, ormai c’è il primo sole. Una trentina di amici hanno por­tato un enorme e pesante striscione giallo con la scritta in francese Mountain Wilderness, NON a la télécabine de la Vallée Blanche. Nel frattempo passano comitive di alpinisti che hanno dormito al Rifugio Tori­no, si fermano a naso in su a commentare. Roland ed io saliamo affannosa­mente le corde fisse per i 70 me­tri, poi assieme a Reinhold issiamo il pesante stendardo, che do­po un’altra ora di lavoro finalmente è sistemato a 20 metri di distanza dal pilone aereo, ché non intralci e non sia pericoloso per i vagoncini.

La folla sotto è ormai grossa, variopinta e rumorosa, la gente salita da Courmayeur con le prime corse è tutta qui sotto a vo­ciare. Scoppiano litigi tra le due fazioni. Noi intanto scendiamo e cerchiamo di spiegare il nostro gesto.

Perché di dimostrazione si è trattato e non di “blocco” della fu­nivia. Gli addetti prudentemente avevano fermato i “trenini” di tre piccoli vagoni, ma questi tecni­camente avrebbero potuto viag­giare senza intralcio. E su questo punto la Gen­darmerie Française ci ha dato ragione.

La nostra è stata la prima azione dimostrativa al mondo, senza provocare danno alcuno, contro la colonizzazione e lo sfruttamen­to della montagna cui ormai nessuno poneva più freno. Abbiamo preso ad esempio la funivia più inutile delle Alpi, quella tecno­logicamente più avanzata, proprio per far discutere su quanto si voglia procedere per questa strada. Lo smantellamento non è im­portante, non è un problema di inquinamento estetico. Anzi, una volta disatti­vato, questo impianto sarà un bellissimo monumento.

A noi interessa che si prenda coscienza del capitale montagna e wilderness. Ci siamo spinti troppo avanti ad intaccare quel capi­tale che ci era stato consegnato intatto dai nostri predecessori. Inoltre vogliamo privilegiare la vera Esperienza, quella aperta a tutti ma per tutti difficile: il Monte Bianco venduto al su­per­mercato è una finta esperienza.

Siamo stati accusati soprattutto di egoismo: tutti devono poter usufruire della bellezza della montagna e della libertà di fare esperienze anche finte. Ma la traversata a piedi è alla portata di tutti e chi vuole soltanto guardare può già farlo con soddi­sfazione dalla Midi e dall’Helbronner. Non siamo un’élite di pazzi utopisti che vogliono per loro i bei giardini. Ma è da por­re un limite, e questo è il primo altolà a chi toglie delle li­bertà di base in nome di alcune nuove libertà superflue.

Le discussioni su questo gesto sono continuate per anni, ancora oggi talvolta se ne parla. Segno che è stata un’azione che ha scosso la coscienza degli appassionati della montagna, comunque poi la pensino al riguardo. Allora ci sembrava una specie di maggio 1968 dell’alpinismo. Ma ora questo paragone mi preoccupa: quante idee, quante utopie sono state calpestate, anche da noi! Eppure, quando mi rivedo cauto sulle travi d’acciaio del pilone aereo, ogni mossa assicurata con le corde, ogni gesto coordinato con gli altri, sento che una tale carica di ribellione creativa difficilmente potrà svanire in me con il tempo. Non è facile salire al Grand Flambeau, ma là non c’è solo un panorama: c’è il cuore ferito dell’utopia.

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Il cuore dell’utopia ultima modifica: 2018-08-16T02:58:13+02:00 da GognaBlog

12 pensieri su “Il cuore dell’utopia”

  1. 12
    Renzo Martinello says:

    Condivido anch’io la protesta fatta a suo tempo, (e comunque credo, altre verranno fatte) non si può “violentare” continuamente le montagne con funivie , ferrate, e quant’altro per far salire masse di popolo in cima, (con scarpe da ginnastica). Le cime si devono conquistare a vari livelli, se c’è capacità, oppure se le guardano in cartolina. Starò facendo un discorso egoistico forse, ma non me ne frega niente. Già ci sono gli oggetti descritti sopra in giro nella catena montuosa Alpina, bastano e avanzano, cordialità.

  2. 11
    Alberto Benassi says:

    Oggi ci va tutto bene. Abbiamo perso la voglia di protestare, la forza di combattere e di difendere i nostri diritti. Ci hanno rimbecillito per bene.

    Siamo capaci di fare casino solamente allo stadio per 22 imbecilli, pagati d’oro, che vanno dietro ad un pallone .

  3. 10

    Quello che oggi manca, rispetto a 30 anni fa, é la voglia di ribellarsi. Le BR lo hanno fatto, per esempio eclatante. Hanno usato la violenza, sbagliando di certo, ma lo spirito per manifestare il proprio disappunto non mancava sicuramente. Oggi siamo delle merdacce col suv.

  4. 9
    GIOVANNI BRESCHI says:

    Ricordo benissimo l’azione del 1988, avevo pensato che servisse a far riflettere su certe opere da Luna Park, che violentano in maniera molto forte l’ambiente, ma così non è stato. Continuo ad andate al Monte Bianco, la funivia è utile ma solo per arrivare al rifugio Torino, poi procediamo con le nostre capacità e volontà.

    Io non ho mai fatto ne farò la traversata con la funivia, è una mia decisione che fa parte del mio modo di amare la montagna.

     

  5. 8
    Monica Savonitto says:

    Un grazie a tutti gli alpinisti e simpatizzanti della montagna e più in generale dell’ambiente che non si occupano solo di primati e superamento di se stessi, ma di rispetto e conservazione dell’ambiente.

    Equilibrio, bellezza, contatto autentico con la Natura sono sicuramente cardini anche di un migliore sviluppo economico.

     

  6. 7
    Mariana says:

    Racconto entusiasmante! Penso ci siano ancora dei giovani che credono nelle utopie… Anzi ne sono certa!

  7. 6
    Nicola Pech says:

    Grazie per avere condiviso questo ricordo. Quella foto, quello striscione, sono fonte di grande ispirazione anche per chi, come me, non c’era.

  8. 5
    Lusa says:

    in 30 anni (1988 – 2018), l’ambiente purtroppo ha subito ancora molte aggressioni.

    (2018 – ….)  Permanenti aggressioni.

  9. 4
    GognaBlog says:

    Caro Roberto Francesconi, è molto semplice rispondere alla tua domanda. 30 anni fa nessuno di noi voleva lo smantellamento delle due funivie che rispettivamente da Courmayeur e da Chamonix portano in quota alla Punta Helbronner e all’Aiguille du Midi. Dunque ce ne siamo tranquillamente serviti. Ciò che volevamo era porre all’attenzione critica della gente l’inutilità e l’invasività della tratta centrale, quella che unisce appunto Midi a Helbronner, nel punto che è il cuore selvaggio del Monte Bianco. Chiedere lo smantellamento di tutte le funivie sarebbe utopistico e inutilmente estremistico. Quanto alla decisione dove intervenire e dove no, crediamo che questa debba essere materia di discussione pubblica, nessuno può delineare un limite preciso per proprio conto, neppure un’associazione o un governo. La virtù sta sempre nel mezzo… di un’assemblea pubblica, se vogliamo ancora la democrazia.

  10. 3
    Roberto Francesconi says:

    Solo una domanda, da non prendere con spirito polemico ma solo per curiosità: perchè non siete saliti a piedi da fondovalle invece che in funivia, senza prima usare il tunnel artificiale e magari arrivandoci a piedi o in bici? Sarebbe stato più coerente con l’idea di protezione e rispetto dell’ambiente, non l’avete preso in considerazione? In pratica, secondo voi, dove finisce una cosa e dove inizia un’altra?

  11. 2
    agh says:

    Quello che osservo io, e preoccupa, è ormai una indifferenza generale. Sembra che a nessuno freghi niente di qualsiasi cosa. Figuriamoci dell’ambiente

  12. 1
    Luciano pellegrini says:

    Ero presente anch’io quel giorno. Alloggiavo a Planpincieux dove trascorrevo ogni anno le ferie. Giampiero mi comunicò che c’era anche lui…non poteva essere assente. in 30 anni (1988 – 2018), l’ambiente purtroppo ha subito ancora molte aggressioni.

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