Soltanto un’evoluzione del classico!
di Stefano Michelazzi
Trad, clean, free… anglofonie di ciò che qui da noi ci “sforziamo” di eseguire in alpinismo da sempre…
Certo l’Italia, non è il Paese delle scoperte, delle invenzioni, del nuovo, dell’evoluzione.
No, “qui da noi” scopriamo, inventiamo ed evolviamo ciò che i nostri connazionali fanno all’estero…
Eleonora Lavo su Il gheppio e l’aquila
Chissà perché, poi, accade ciò? Quale razionale motivazione si può dare a tutto questo, che abbia un senso…?
Sarà forse che l’italia sembrava fatta, ma in realtà mai lo è stata e che gli italiani i quali restavan da fare, scelgono l’”esilio” piuttosto dell’oblio?
Forse anche sì…!
Ma… restiamo in alpinismo, forse di qualcosa si riesce a venire a capo…
“Classico è bello!”, bella salita sul Sass de Ciampac di Rossin, Festi e Sarti dell’estate 1990, nel dolomitico gruppo del Puez, ma ancor più bello per me, come definizione di uno stile alpinistico che molto mi rappresenta.
E’ da poco che mi è stato assegnato il primo premio a quel concorso indetto da Mountain Wilderness e CAAI, relativo allo stile Clean climbing grazie alla quasi o totale assenza di protezioni fisse nelle mie realizzazioni su roccia.
Considerazione delle mie salite che, devo ammetterlo, mi ha dato una bella soddisfazione, specie nell’era dello spit e della “SICUREZZA” a ogni costo.
Ma Clean climbing che cosa significa?
Lo so che le mie salite, e di conseguenza il mio fare alpinismo, derivano principalmente da una “filosofia” datata primi del ‘900 e imputabile a Paul Preuss, esempio umano sicuramente particolare, il quale influenzò e, come comprensibile almeno nel mio caso, influenza ancora ciò che è il salire le pareti.
Quindi il Clean climbing, almeno in Dolomiti, non è storia recente!
Aumentano le capacità, grazie a equipaggiamento e tecnica, e deve di conseguenza aumentare il livello delle salite!
Almeno io la penso così…
ERGO…:
Se in alcuni casi “infierisco” sulla roccia, piazzando protezioni atte a tutelare la mia incolumità e di conseguenza la mia “incapacità” ad assumermi rischi, per me, troppo grossi, devono questi ultimi essere maggiori di quelli che furono per colui che considero un Maestro di stile, altrimenti non avrei posto in essere alcun avanzamento, anzi, mi sentirei di aver barato…
E’ con queste considerazioni che tento di portare avanti, faticosamente a volte, ciò che per me significa salire le montagne.
Stefano Michelazzi in apertura su Il gheppio e l’aquila
Ed è con queste considerazioni che pochi giorni fa, l’8 maggio 2014, assieme alla mia compagna di vita, la quale mi ama alla follia (altrimenti mi avrebbe già mandato a espletare le mie necessità fisiologiche sulle ortiche…), risalgo il bellissimo sentiero che conduce sotto alle pareti del Monte Carone, una cima ben visibile dalla strada della Gardesana occidentale, la quale un paio d’anni fa aveva attratto il mio interesse alpinistico ma che, finora, aveva “resistito” a causa di vari impegni, i quali mi avevano impedito di tentare una qualsivoglia forma di salita.
Una prima ispezione alle pareti (parliamo di un’estensione di circa 700/800 metri), si era attestata su di una torre dalla linea logica e a “goccia d’acqua”, con una tipologia di roccia molto simile a quella che si può trovare in Verdon…
Immaginate l’eccitazione e la voglia di “farla mia”… considerando anche che nessuno fino ad ora ci ha mai messo le mani… Insomma una chicca!!!
La giornata è abbastanza bella, il sole risulta solo momentaneamente coperto dalle nubi, la quota di circa 1400 metri e l’esposizione a sud fanno sì che la neve ormai se ne sia andata via tutta, perciò un “assalto” sembra quasi dovuto…!
Risaliamo il sentiero fin sotto alle pareti e da qui, abbandoniamo il battuto per addentrarci nella “wilderness”, che appare abbastanza semplice da percorrere e pure abbastanza breve.
Insomma dopo 10 minuti passati a superare qualche ghiaioncello e a trovare il giusto passaggio tra gli alberi e gli arbusti, mai troppo intricati, raggiungiamo il piede della parete e l’attacco della nostra “idea meravigliosa” (niente a che fare con Cesare Ragazzi e i suoi capelli…).
Beh… non voglio annoiare nessuno con racconti che nulla hanno di adrenalinico, perché la salita scorre regolare, i passaggi, seppure abbastanza impegnativi, li superiamo senza grossi problemi oggettivi e arriviamo in cima verso le 5 della sera avendo scalato una parete stupenda, che ci lascia dentro il gusto di aver scoperto un posto nuovo e, nel contempo di esserci divertiti su di una roccia fantastica e aver utilizzato lo stile classico, malgrado uno spit su di un passaggio al primo tiro e su due soste, ma questo come dicevo prima, fa parte dell’evoluzione…
Roccia bellissima, ambiente stupendo, godimento assicurato! L’ambiente è unico e magico, il panorama è unico, la discesa facile e molto caratteristica… che volere di più?
Appunto, che volere di più? La parete è tutta da esplorare… quindi riceverà sicuramente da parte mia ancora diverse visite…
La torre l’abbiamo battezzata “Torre del Muezzin”, perché quello sembra e la via l’abbiamo dedicata a due amici, i quali ci han fatto compagnia tutta la giornata.
Buona salita a chi verrà da queste parti!
Torre del Muezzin (Monti del Garda – Monte Carone)
Il gheppio e l’aquila
Stefano Michelazzi ed Eleonora Lavo, 8 maggio 2014
130 m. circa
VII+/A1 (VIII-)
NdR
Volendo proprio dare un nome di moda al sistema di protezione usato in questa salita, non è clean climbing (che non ammette i chiodi), bensì trad (che perfino ammette lo spit purché piantato dal basso). Questo senza voler nulla togliere alla gloriosa esperienza italiana di salita su roccia rispetto a quella inglese… Vedi a questo proposito il post Clean climbing, trad climbing e new trad .
postato il 6 giugno 2014
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evviva l’ alpinismo “classico”.
Per Massimo Bursi
Premetto che, come già si può capire dal racconto, non amo particolarmente l’assorbimento da parte dell’alpinismo, di terminologie e stili che non lo riguardano minimamente, essendo nati in contesti completamente diversi.
Non a caso per la via qui descritta non parlo di “Trad” ma di “Classico” e considero l’uso dello spit piantato a mano dal basso un’evoluzione dello stesso stile.
Certamente è una considerazione etica, apprezzabile o criticabile, evolutasi negli ultimi trent’anni, senza regole scritte, che fa parte del mio personale modo di vivere l’arrampicata. L’ha ben evidenziata quest’etica, Maurizio Giordani all’incontro “Trad climbing: una nuova etica in alpinismo?” a Trento il 27 aprile scorso.
Lo stile “Clean” invece, malgrado la terminologia anglosassone, nasce in alpinismo come detto, ai primi del ‘900, definito da quella ferrea etica senza compromessi che fu determinata da Paul Preuss. La salita della Torre Preuss (Cima Piccolisima di Lavaredo) lungo le fessure nord-est nel 1911, della cordata Preuss-Relly, è il primo esempio di questo stile in quanto tutta la salita fu eseguita senza alcun chiodo, nemmeno alle soste, superando difficoltà per l’epoca estreme (5°+). Oggi anche qui l’evoluzione c’è, se si pensa che Preuss non poteva utilizzare altri sistemi di protezione che non fossero i chiodi (i cordini per spuntoni e clessidre allora non erano ancora in uso), mentre oggi è ammeso ed anzi, usuale l’utilizzo di protezioni veloci quali stoppers e friends.
Gli inglesi son costretti ad inventare ogni tanto qualcosa di nuovo,perché non è che abbiano tutta ‘sta materia prima a disposizione, perciò, cambiano le regole del gioco utilizzando gli stessi campi e credo sia umanamente comprensibile e pure ammirabile sotto molti aspetti.
Questa condizione e l’utilizzo dello spit in modo non seriale vengono ben evidenziate dal filmato presentato dal Banff Italia “Spice girl -Reel rock” (http://www.banff.it/video/spice-girl-reel-rock-8/).
Non a caso quindi ho intitolato il racconto “Soltanto un’evoluzione del classico!”, proprio per evidenziare che probabilmente non c’è bisogno di nuove regole dove già queste esistevano da tempo…
Bella salita e complimenti a Stefano Michelazzi.
Ho visto nel suo intervento e letto anche in un intervento di Alessandro Gogna che il trad ammette lo spit purché piantato dal basso. Ma è proprio così? Secondo il trad non dovrebbe ammettere lo spit.
I premi, in generale , sottintendono una sorta di competizione con regolamenti che possono generare equivoci, specialmente quando si parla di alpinismo. Personalmente sono indifferente a queste discussioni… l’alpinismo preferisco praticarlo che parlarlo. Comunque un bravo a Michelazzi