Le perplessità nate dal titolo scelto per il concorso Clean Climbing (Mountain Wilderness e CAAI)
Ben Kiessel sul tetto della Arrowhead Spire, prima ascensione clean. Valley of the Gods, Utah.
Il concorso a premi Clean Climbing 2013, organizzato da Mountain Wilderness e dal Club Alpino Accademico Italiano, appena concluso e appena nominati i vincitori, ha suscitato perplessità nel mondo degli arrampicatori per via della probabilmente non chiara filosofia alla base del concorso stesso.
Il bando del concorso infatti ammetteva l’uso sporadico di qualche spit, purché sistemati in arrampicata dal basso.
Ora, più d’un arrampicatore ha sollevato giustamente il quesito. Come si può parlare di clean climbing se si usano, e ovviamente si lasciano sul posto, degli spit?
L’accademico Maurizio Oviglia, invitato a partecipare alla giuria, ha preferito a suo tempo declinare, proprio perché non condivideva per nulla il titolo del concorso, più che la sostanza. Per lui “intitolare un riconoscimento al “clean climbing” e poi ammettere le vie con qualche spit è ridicolo” e probabilmente avrebbe esposto gli organizzatori al pubblico ludibrio degli inglesi.
Come si può infatti proporre un’iniziativa sul clean climbing e poi parlare di “prevalenza” di protezioni mobili? Allora vuol dire che è lecito anche usare altro! A Oviglia non era sembrata una buona maniera per partire, e per promuovere questa filosofia: e per questo non aveva ritenuto opportuno partecipare.
In effetti, in sede di definizione del bando, la cosa era stata dibattuta, non tutti erano d’accordo. Poi si è concluso che, quando le cose vengono dichiarate con chiarezza, tutto si può fare, almeno in questo tempo in cui si fa veramente fatica ad affermare l’esistenza di altre forme di arrampicata accanto allo stradominio dello spit e dell’arrampicata sportiva. Si è accettata la presenza dei chiodi, perché altrimenti si sarebbe eliminata tutta la regione dolomitica dal range delle partecipanze. Inolte si è preso atto che su tutto l’arco alpino e prealpino vi è abbondanza di vie a chiodatura tradizionale con la presenza qualche spit. Basta che nessuno si sogni di parlare di trad o di clean climbing per quelle vie, cosa c’è da obiettare?
A questo punto conviene andare a consultare Wikipedia per capire la differenza tra clean climbing e trad climbing. Non credo che Wikipedia abbia alcuna autorità in generale, ma in questo caso, date le definizioni, direi che sono state espresse sicuramente da persone competenti.
Traditional climbing, o trad climbing, è uno stile di arrampicata su roccia nel quale un arrampicatore o un gruppo di arrampicatori sistema il necessario materiale per proteggersi dalle cadute, per poi rimuoverlo dopo il passaggio. La definizione di trad climbing distingue dallo sport climbing (arrampicata sportiva), nel quale tutte le protezioni e gli ancoraggi sono fissati in antecedenza, di solito con calata dall’alto…
Comunque, gli spit usati sono anch’essi considerati “traditional”, se e solo se piantati in arrampicata dal basso e da capocordata, specialmente nel contesto di placca granitica.
Prima dell’avvento dello sport climbing negli Stati Uniti negli anni ’80, e probabilmente anche prima in Europa, lo stile usuale di arrampicata libera era ciò che noi oggi chiamiamo “traditional”. Con delle differenze: nel trad climbing il capocordata sale la lunghezza di corda piazzando lui stesso i suoi dispositivi di protezione, ma prima degli anni ’70 questi dispositivi si limitavano ai chiodi, quando invece oggi per lo più consistono nell’uso combinato di dadi e di friend, e l’uso del chiodo è molto meno frequente.
Ben Kiessel su Serendipity, prima ascensione clean. North Tower, Valley of the Gods, Utah.
Clean climbing è l’arrampicata su roccia che teorizza e mette in pratica le tecniche e l’attrezzatura che gli scalatori adottano allo scopo di non danneggiare la roccia. Queste tecniche risalgono almeno in parte agli anni ’20 e ancor prima in Inghilterra, ma il termine fu coniato negli anni ’70 solo quando si diffuse l’uso dei blocchetti da incastro (stopper, exentric) al posto dei chiodi da piantare con il martello, una pratica davvero dannosa per la roccia. La sostituzione, anche se non integrale, in Nordamerica si verificò nel giro di neppure tre anni.
A causa dell’evoluzione successiva di materiali e tecniche, il termine clean climbing si è trovato a occupare un ruolo non più centrale, certamente differente, nelle discussioni a carattere arrampicatorio, specie se lo paragoniamo al periodo di quattro decadi fa.
Dunque ha ragione Oviglia: occorre distinguere tra quella che è l’arrampicata tradizionale, come noi l’abbiamo conosciuta e sempre fatta sulle Alpi, e il clean climbing puro, termine un po’ vecchiotto anche se sempre valido. Si potrà perdonare a Mountain Wilderness la licenza di averlo usato, accettando che questa associazione privilegia i diritti delle rocce a quelle degli arrampicatori? C’è da aggiungere che, mentre la definizione di Wikipedia riporta che lo spit piantato dal basso non è ammesso nel clean climbing ma lo è nel trad, qualcuno ritiene che questo non sia vero: Maurizio Oviglia lo prova riferendo che oggi si comincia a parlare di “new trad”, la nuova etica per la quale lo spit, proprio sui muri e sulle placche più lisce e avare di fessure, non è ammesso. Il “new trad” è davvero inglese, parte da Pete Livesey: solo se si accettasse pienamente questo nuovo termine si potrebbero accostare i significati di “new trad” e clean climbing alla John Bachar.
Dunque il titolo del concorso probabilmente era erroneo, o almeno non chiaro in un alternarsi di filosofie vecchie e nuove. Comunque le vie di Stefano Michelazzi, lo scalatore che ha vinto, non hanno neppure uno spit: almeno nella premiazione quindi MW e CAAI hanno preso una posizione precisa, e lo si può leggere nella motivazione. Se ci sarà una prossima edizione questo equivoco dovrà scomparire. O cambiare il titolo o cambiare il bando.
postato il 5 gennaio 2014
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Enhance the effect of an elliptical machine as a 24hr fitness
trainer, by deciding upon a machine that also capabilities handlebars for
a incredibly effective total human body exercise. Think about the demographic of the user, the size of
the space and of course the budget. table tennis fitness components, table tennis fitness
components.
I termini moderni
Che cosa è “arrampicare clean”? Che cosa è arrampicare in modo tradizionale, sportivo, in libera, ecc.? Oggi esiste una grande varietà nel concetto di alpinismo e anche ormai nel concetto di arrampicata. Ci si concentra speso sulla prestazione, sulla sicurezza, a volte sul divertimento o anche nella sfida dell’avventura. Molto meno si prende in considerazione il concetto estetico, come pure l’arte di usare il chiodo o lo spit. Ancor meno il concetto di armonia tra roccia e via, tra l’ambiente e il rocciatore.
I criteri della prestazione o della sicurezza non sostengono il concetto dell’arte e dell’armonia. Del concetto clean non si può dire che sia sempre estetico e anche lo stile tradizionale può impedire il progresso quando viene usato in modo molto rigoroso.
“Clean” vuol dire fatto senza chiodi, solamente con dadi e friend. Vuol dire che le vie di Gino Soldà e Hias Rebitsch non sono clean perché hanno usato i chiodi. Ma le vie di Soldà descrivono grandi imprese e le vie di Hias Rebitsch mostrano linee perfette: con l’uso discreto del chiodo.
Quanto più Soldà e le sue linee esemplificano l’arte di arrampicare nelle zone selvagge, come ad esempio sulla sua via al Campanile Nord del Sassolungo, e mostrano un’anima di grande forza, di coraggio e d’indipendenza, tanto più le vie di Rebitsch mostrano un carattere moderno nell’elaborazione della via, nell’uso del chiodo e nell’intelligenza di “formare” un’idea.
Soldà era clandestino durante la guerra, mentre Rebitsch era filosofo e professore di chimica. Le vie di Soldà e Rebitsch sono veri esempi per la storia e anche per la tradizione, ma non sono la sola tradizione, sono esempi per la tradizione.
La tradizione è il risultato o l’eredità dei differenti grandi personaggi della storia. In generale la tradizione significa uno spirito collettivo. La singola individualità che ha lasciato un’impronta nella storia diventa anche una parte della tradizione. Oggi la tradizione significa spesso uno spirito collettivo in cui le grandi esperienze della singola individualità si dissolvono. Oggi non è possibile imitare un Hias Rebitsch o un Gino Soldá.
Secondo me dobbiamo studiare le esperienze, i sentimenti, l’atteggiamento, la lotta delle persone del passato. Assistiamo a come le prestazioni nelle competizioni d’arrampicata mostrano la loro inconsistenza, perché sono senza radici. Quando invece ci riesce di fare un approfondimento delle esperienze che hanno vissuto i nostri „padri dell’alpinismo“, progrediamo non solo nello spirito collettivo ma superiamo differenti limiti in noi stessi, e secondo me possiamo mettere in rapporto uno spirito moderno con un bel senso tradizionale.
Quando avrò un po’ di tempo posso raccontare alcune storie della tradizione in Germania e in Austria e se c’è l’interesse posso provare a descrivere le modalità di come si possano trovare la storia e i valori della storia dietro la superficie. Secondo me esistono due parti della storia: una si vede, si può studiare con tutti gli avvenimenti. L’altra non si vede, non si può raccontare come un’avventura, ma esiste nello sfondo. Le due parti insieme, le avventure e la profondità della storia creano un’unità. Lo studio delle due parti può aprire una nuova finestra per la tradizione e anche per i progressi e le possibilità del futuro.
Heinz Grill