Il K2 d’inverno rimane inviolato – 3 (3-3)
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort***, disimpegno-entertainment***
Il tentativo solitario
Il 24 febbraio giunge al mondo alpinistico che Denis Urubko è partito da solo per tentare di arrivare in cima senza il permesso del capospedizione. A comunicare questa azione è l’ufficio stampa della spedizione polacca. La motivazione: Urubko vuole a tutti i costi raggiungere la vetta prima della scadenza del suo inverno, il 28 febbraio.
Adam Bielicki e Denis Urubko. Foto: Denis Urubko
La notizia è di quelle che spaccano, appare evidente la divisione definitiva tra personalità non più disposte alla convivenza in nome del team e dell’onore di squadra.
Quanto all’onore non c’è solo quello del team, fino a prova contraria c’è anche quello individuale che, represso ieri e represso oggi, domani non ci starà più.
Sapevamo tutti che aveva accettato l’invito a far parte della spedizione perché stimava con affetto l’anziano e saggio comandante della brigata Krzysztof Wielicki, degno rappresentante ancora vivente della gloria polacca di tante imprese durissime di uomini come Jerzy Kukuczka, Wojciech Kurtyka, donne come Wanda Rutkiewicz e tanti altri.
Scrive Agostino Da Polenza: “Krzysztof, per amore di un’impresa alpinistica formidabile come la prima salita invernale del K2, ha gestito la strategia di questa spedizione esattamente come lo si faceva negli anni ‘60 e ‘70, imbrigliandola con la stessa filosofia e tecnica, con l’aggravante di dover rispondere via satellite a burocrati politico-alpinistici seduti in Polonia. Quasi un tradimento della storia alpinistica degli ultimi 20 anni”.
L’innesco dell’esplosione era solo questione di tempo, stava maturando dentro la testa di Urubko “soldato obbediente” come lui stesso si è definito sul suo sito web.
Noi, seduti al calduccio davanti alle nostre scrivanie, ce lo vediamo Denis che esce come un ladro dalla sua tenda. E’ l’alba, nessuno lo vede o forse tutti fanno finta di non vederlo. Ma tutti sanno dell’insanabile divergenza di idee che lo divide dal capospedizione. Personalmente non so cosa darei per avere il racconto di ciascuno degli altri partecipanti, quello sincero, dico. Vorrei sapere se in cuor loro speravano in un successo di Urubko, quel successo che avrebbe parzialmente mitigato la colpa cosciente di essere soldati di un esercito che va incontro alla disfatta per eccessiva obbedienza.
Urubko incontra al C1 Kaczkan e Bedrejczuk: si rifiuta di parlare con il capospedizione e di prendere una radio offerta dai due alpinisti polacchi. Poi prosegue per bivaccare in una truna a 6500 m sotto al camino Bill.
Il 25 febbraio giunge uno stringatissimo comunicato di Wielicki: “Condizioni atmosferiche buone. Marcin Kaczkan e Maciej Bedrejczuk vanno a C2. Marek Chmielarski e Artur Małek sulla strada per C1”. Urubko, l’insubordinato partito il giorno prima, non viene neppure nominato.
L’alpinista russo non ha con sé il satellitare (sapremo in seguito che non aveva credito: per questo non lo aveva portato con sé nella salita…), ma nemmeno la radio per comunicare con il campo base. Non ha una tenda e neppure bombolette di gas, perché “nei campi già predisposti ne è pieno”.
Urubko prosegue la sua salita solitaria e raggiunge il campo 3, a 7200 m.
A parziale sostegno del russo è il comunicato dalla Polonia del manager della spedizione, Janusz Majer: “Urubko è un membro della nostra spedizione, è nostro obbligo proteggerlo nel suo tentativo… La sua determinazione è arrivare in vetta prima della fine di febbraio”, quando secondo Denis termina l’inverno.
In salita sullo Sperone degli Abruzzi
Con il passare delle ore i media costringono Wielicki a sbottonarsi: “Conosco Denis da molti anni, siamo amici. Non pensavo sarebbe arrivato a tanto. Sopra ogni cosa, la cosa che mi dispiace di più è stata la sorpresa nel sapere che Denis non ha voluto parlarmi quando, arrivato a campo 1, è stato fermato dai suoi compagni. Mi ha ferito personalmente… D’altra parte, un po’ lo capisco, anche io ho vissuto alcune situazioni simili e ho fatto delle cose da solo. Ma qui, tuttavia, eravamo una squadra e lui è stato invitato nella spedizione, avrebbe dovuto seguirne le regole e il modo in cui viene gestita”.
Veniamo a sapere che c’erano state grandi discussioni tra Urubko e gli altri sul termine dell’inverno, ma le insistenze del russo per un tentativo ancora in febbraio non hanno trovato buona accoglienza, anche perché è prevista una finestra di bel tempo proprio ai primi di marzo.
Un’ulteriore dichiarazione di Majer è consolante: “I nostri ragazzi stanno salando secondo il piano d’azione, ma a questo si è aggiunto un nuovo elemento: hanno deciso di proteggere l’azione solitaria di Denis, nonostante abbia deciso questa cosa arbitrariamente”.
Ma la notizia della rinuncia di Urubko arriva già lo stesso 26 febbraio, probabilmente i venti forti lo hanno fatto desistere dal suo tentativo. E non si sa a quale quota sia arrivato. Il rientro al campo base non deve essere stato tipo figliol prodigo, perché già a fine pomeriggio (per noi primo pomeriggio) ecco la comunicazione ufficiale di Wielicki: “Denis Urubko, in accordo con le sue convinzioni riguardo la fine dell’inverno, ha deciso di lasciare la spedizione invernale al K2. Questa decisione è stata accettata dai partecipanti, che non vedono ulteriori possibilità di collaborare con Denis dopo il suo tentativo indipendente di arrivare in vetta“.
Momenti sullo Sperone degli Abruzzi
Intanto le operazioni sulla montagna continuano: Kaczkan e Bedrejczuk, che avrebbero dovuto raggiungere campo 3, sono a campo 2, con loro Chmielarski e Małek. Ma sembra che domani ci sarà un ritorno generale al campo base, perché è previsto maltempo.
Di fronte a questa situazione di lampante litigio, sul quale non si può tacere perché la montagna non è più isolata come un tempo, ci sono i pareri più diversi.
Daniele Nardi, intervistato da Montagna.tv, il 27 febbraio dice: “Urubko aveva tutti i numeri per fare una salita di questo genere. Bisogna però dire che sarebbe stata una vera solitaria solo da campo 3 dato che i campi precedenti erano già stati prefissati e c’erano alcune corde. Se voleva però avere qualche possibilità di successo doveva esserci bel tempo e in questi giorni le previsioni non erano a suo favore… Oggettivamente erano davvero poche le chance di andare in vetta: c’era brutto tempo ed era stanco sia per la precedente uscita, ma anche perché sono più di due mesi che stanno fuori ed ha fatto il salvataggio sul Nanga Parbat”.
Nardi poi dà un colpo alla botte e uno al cerchio dicendo che in una spedizione come quella, visto che si era preso l’impegno, Urubko ha sbagliato a disobbedire, ma nello stesso tempo ammira che il russo abbia obbedito alla sua etica. E conclude dicendo: “Secondo me ha dato un esempio di come lo stile possa spingere gli uomini a intraprendere belle avventure in inverno. Quel guizzo che lui ha fatto mi fa pensare a un alpinismo di altri tempi, un alpinismo fatto di avventura, di voglia di mettersi in gioco, di superare i propri limiti. Una bella sensazione! Finalmente qualcuno che ci fa sognare con un alpinismo vero”.
Mentre penso a quanti insubordinati abbia visto e ammirato la storia dell’alpinismo, rivedo Karl Maria Herrligkoffer alle prese prima con il mitico Hermann Buhl, poi 17 anni dopo con gli indomabili fratelli Reinhold e Günther Messner. Rivedo Renato Casarotto alle prese con la democratica decisione di abbandonare il progetto della Magic Line al K2; e magari anche Camillo Pellissier che sale da solo il Kanjut Sar il 19 luglio 1959 senza avere il permesso del capospedizione Guido Monzino ; e magari tanti altri che ora non mi vengono in mente. Ma uno s’impone su tutti, il Walter Bonatti che si ribella agli ordini di Ardito Desio: tecnicamente non disobbedisce, ma segue il suo cuore e agisce secondo la sua etica.
La rottura definitiva
Il 27 febbraio 2018 Denis Urubko parla con il giornalista di TVN24 Robert Jalocha, che si trova al campo base: “Non penso di dover chiedere scusa, è stata l’occasione per me di fare qualcosa e non stare semplicemente seduto al campo base. Ho tentato la vetta e sono molto soddisfatto. Se non lo avessi fatto, sarei furioso”. “Nemmeno loro sono degli angeli – aggiunge con riferimento agli ex-compagni – mi hanno ignorato. Wielicki mi aveva concesso di andare al terzo campo e poi mi ha fatto scendere senza motivo. Siamo uomini, himalaysti. Questa non è una situazione per cui chiedere scusa e nessuno di loro si è scusato per i propri errori”. Qui si dà una motivazione per l’interruzione della salita di Urubko e Bielicki del 20 febbraio: per ordine del capospedizione. E questo finora non si sapeva.
Wielicki: “Denis non mi ha parlato, non si è scusato, non mi ha dato la mano. In qualche modo dovrò superarlo perché l’ho invitato io nella nostra squadra… ma se Urubko avesse deciso di rimanere, sarebbe stato comunque mandato a casa”.
Il comfort di una notte sul K2 d’inverno
Majer: “Penso che la partenza di Denis rafforzerà e consoliderà la squadra. Ora abbiamo un team e abbiamo un obiettivo. Il fatto che Urubko non abbia voluto prendere la radio con sé e parlare con il capospedizione è stata una decisione molto irresponsabile. Quando l’ho saputo, non potevo credere che un alpinista tanto esperto potesse decidere una mossa del genere, soprattutto con quel vento e le previsioni meteo sfavorevoli”.
Maggiore dettagli si vengono a conoscere circa il tentativo solitario. Urubko è arrivato a 7600 metri e ha rinunciato per il maltempo e la visibilità nulla: “Era una situazione rischiosa: l’unica decisione corretta era scendere”.
Il portale mountain.ru pubblica che con il ritorno di Urubko al campo base Wielicki ha cambiato la password per l’accesso al wifi, con ciò impedendo al russo di comunicare con il mondo e con la famiglia.
Wielicki: “L’informazione comparsa sul web che non sto permettendo di utilizzare il wifi a Denis è vera, il motivo è che ha mandato informazioni critiche sulla spedizione e sui suoi partecipanti ai media e non vedo una ragione per cui lui debba continuare a utilizzare il suo sito web. Non è vero invece che ho impedito a Denis di contattare la famiglia e i suoi cari, gli è stata infatti data l’opportunità di fare chiamate (gratis) e lui ha personalmente avvisato la moglie circa il suo ritorno e ha ricevuto assistenza da parte della nostra Agenzia per i biglietti e la partenza“.
Il parere di Hervé Barmasse
Il 27 febbraio alle ore 20.45 Hervé Barmasse pubblica un bellissimo pezzo sul suo profilo facebook, in verità ripreso da molti organi d’informazione perché davvero meritevole:
“Denis Urubko è un fuoriclasse, non un pazzo.
Ci sono gli alpinisti, e poi ci sono i fuoriclasse. Per esserlo si devono esprimere qualità fisico-atletiche al di sopra della norma, coerenza con i propri ideali, rispetto di valori, etica e soprattutto la capacità di gestire da soli scalate che molti ritengono impossibili ad una squadra.
E anche se non condivido lo stile himalayano usato dalla spedizione polacca sul K2 in questi mesi freddi, come in genere sugli 8000, ritengo Urubko, un fuoriclasse d’altri tempi. Potrei spingermi a dire il nuovo Jerzy Kukuczka, per citare un altro dei grandi alpinisti himalayani. E non solo ho rispettato la sua scelta di partire da solo ma in cuor mio speravo andasse a buon fine. Perché Denis insegue l’impossibile, fa sognare e rende affascinante un alpinismo oramai troppo spesso enfatizzato dagli stessi protagonisti e da molti giornalisti. Riguardo invece all’inizio e alla fine dell’inverno, ancora oggi leggo persone che si divertono a schernirlo per la sua idea che reputa valido il calendario nepalese (1 dicembre – 28 febbraio) e non quello europeo (21 dicembre- 21 marzo). In difesa di Denis, anche per la coerenza delle sue azioni, ci terrei a sottolineare che non è una sua invenzione, come letto più volte negli ultimi giorni. E il team polacco che oggi prende in giro il kazako con l’ironia della password internet negatagli (vedi il post di Sandro Filippini con cui curo i DVD sul Grande Alpinismo di RCS), lo sa meglio di tutti. Denis, come altri fuoriclasse della storia dell’alpinismo Himalayano (cito ad esempio, tra i tanti, Jean Troillet, P-A Steiner ed Erhard Loretan), hanno sempre sostenuto che la data del calendario invernale segue quello delle regioni in cui le grandi montagne sorgono. Date (1dic/28feb) che furono messe in discussione quando, per l’edizione del Pilotet d’Or 2005, fu nominato il solitario francese Christophe Lafaille per la prima invernale sullo Shishapangma 8027 m ( maggiori info sul link http://www.mountain.ru/eng/climb/2005/piolet.shtml). Il 24/25 febbraio 2005 ero al Piolet d’Or come spettatore e conduttore di Qui Montagne, e il presidente della giuria, Krzysztof Wielicki (che guarda caso è lo stesso Wielicki capo spedizione al K2), pose un deciso veto negativo sul considerare invernale la salita di Lafaille avvenuta l’11 dicembre 2004. Prima invernale poi riconosciuta alla cordata italo/polacca (Moro e Morawski) per la salita avvenuta a gennaio 2005. Questi sono fatti che pongono Denis e Krzysztof decisamente su posizioni differenti, e rendono ovvio lo scontro tra i due grandi alpinisti. Ma vedere preso in giro uno scalatore del calibro di Denis, da chi fa finta di non conoscere la storia dell’alpinismo o non la conosce affatto, devo essere sincero mi ha profondamente deluso. Anche perché se esiste una persona genuina e sincera nel nostro mondo di “conquistatori dell’inutile”, quella è proprio Denis. Oggi gli interessi sono così grandi per via di sponsor e primati che tutto viene messo in discussione attraverso l’informazione spesso superficiale e approssimativa che viaggia veloce su internet. Nessuno ha più voglia di informarsi a dovere. Ma al di là delle ragioni dei protagonisti di questa vicenda, per uno come me abituato a pensare che la montagna unisca le persone e non le divida, oggi ne esco sconfitto e amareggiato. L’alpinismo da sport nobile rischia di trasformarsi in spazzatura”.
Denis Urubko e Krzsztof Wielicki al campo base del K2
Il ritorno di Urubko e la rinuncia dei polacchi
Il 28 febbraio Urubko si congeda dal campo base. “Non avrei mai immaginato che tutto sarebbe finito in questo modo. Molto non è dipeso da me, è un fatto”.
E conclude con una battuta tipica del suo umorismo, che sa essere ben tagliente quando vuole: “Buona primavera!” (rivolto ai suoi ex-compagni).
Con lui, nel cammino di ritorno attraverso il Baltoro che terminerà ad Askole il 4 marzo, c’è anche Amin Ullah, alpinista locale che ha salito tutti gli Ottomila pakistani e che nella spedizione polacca aveva il ruolo di portatore d’alta quota. E’ affetto da oftalmia e ha bisogno d’essere curato, ma non è in gravi condizioni.
Da alcune telefonate riusciamo ad apprendere altri particolari sul tentativo solitario. La notte del 25 ha dormito a 7200 m in un’altra truna, con l’intenzione di riposarsi qualche ora in attesa di sferrare l’attacco decisivo alla vetta. C’è maltempo, ma “come al solito, non mi scoraggio”, scrive Denis.
Il russo parte alle 3.30 del mattino e inizia a salire. “Sul pendio c’è pericolo che si distacchino valanghe. Con successo attraverso i crepacci e incurante mi porto sotto la Spalla, probabilmente sono a 7600 metri. Non c’è sole, ma lo sapevo. Niente di niente, solo una tempesta fortissima”.
In queste condizioni, Denis riceve l’avvertimento finale: gli si spacca un ponte di neve sotto ai piedi e precipita per cinque metri in un crepaccio. Dopo esserne uscito, decide che è ora di tornare indietro, ma il maltempo imperversa, la visibilità è assente, tutto è bianco. “Ora hai bisogno di un miracolo!” si dice, ma Urubko ha “il sesto senso nel sangue” e dopo un paio di ore torna al campo 3 e poi giù sulle corde.
Il 5 marzo arriva il comunicato ufficiale della rinuncia della spedizione. Dell’indebolimento progressivo dello “squadrone polacco” vediamo quali possono essere state le cause:
a) la scelta sbagliata della via Česen è costata settimane perse e grande dispendio di energia. L’eccezionale bel tempo “speso” in questo modo non si è certo ripetuto in febbraio;
b) l’incidente per caduta di sassi prima a Bielecki poi a Fronia, costretto a rientrare in Polonia;
c) i giorni impiegati per il soccorso alla Revol e l’abbandono nei ghiacci di Tomek Mankiewicz;
d) la dipartita di Urubko sarà stata anche un bene per l’onore del gruppo ma di certo ha eliminato la sua più grande possibilità di successo;
e) di certo la discordia non ha lasciato indifferenti e sicuramente ha minato un morale già compromesso dalla lunga permanenza e dalle fatiche affrontate;
f) la dipendenza burocratica dall’organizzatore in patria, Janusz Majer.
La consultazione degli alpinisti ha concluso che dal 5 al 21 marzo ci sarà solo una finestra meteo disponibile ma non sufficiente; che le corde in parete vengono ricoperte dalla neve come peraltro accade anche d’estate; che tutti si sentono stanchi, a parte forse Bielicki, e che quindi un tentativo alla vetta sarebbe un azzardo; e infine che le valanghe sono un reale pericolo con 80 cm di neve fresca.
Adam Bielecki scrive via twitter: “Sfortunatamente quest’anno la montagna si è mostrata davvero difficile e noi eravamo indeboliti. Qualche giorno di nevicate ha seppellito le corde e il vento ha distrutto le tende dell’Advanced Base Camp e assai probabilmente anche quelle ai campi superiori. Ora le condizioni sono troppo pericolose e ci manca il tempo per aspettarne di migliori. Ma ci torneremo, perché il K2 d’inverno è ancora lì da salire”.
La prima intervista
Il 6 marzo Urubko arriva a Islamabad. Nella prima intervista, quella al Pakistan Mountain News, Urubko dice subito che la spedizione è fallita a causa della mancanza di spirito di gruppo. Molto interessati anche i futuri progetti alpinistici invernali, che comprendono vette mai scalate, il K2, ma anche il Broad Peak, che, essendo stato scalato il 5 marzo, per lui è ancora inconquistato nella stagione fredda.
Di seguito l’intervista video e la trascrizione in italiano.
Pakistan Mountain News: Come è stata nel complessivo l’esperienza della spedizione invernale al K2? La squadra era fiduciosa di raggiungere la vetta?
Urubko: “Sì, ero convinto al 100% che questa volta saremmo riusciti a raggiungere l’obiettivo, prima della partenza dalla Polonia, il progetto era enorme: c’erano così tanti nomi famosi e alcuni miei amici come Adam Bielecki e Marcin Kaczkan. All’inizio andava bene, ma poi le cose sono peggiorate. Normalmente nelle situazioni difficili le persone fanno sforzi comuni, sfortunatamente però al K2 li stavamo facendo separatamente senza fare lavoro di squadra e senza passione. Ho quindi deciso di andare da solo per tentare la vetta: sono arrivato a 7600 metri e sono miracolosamente sopravvissuto. Ora le previsioni sono ottime, ma la squadra non funziona. Il nostro desiderio di vincere questa partita si è scontrato con diversi problemi e complessità”.
Pakistan Mountain News: nel tuo blog e nei tuoi commenti hai espresso la tua preoccupazione per la lentezza delle operazioni sul K2, cosa è andato storto?
Urubko: “In un articolo ho espresso alcune riserve perché c’erano alcune opinioni che secondo me erano strane. Poiché al campo base si è all’interno di tende coperte di neve, alcune persone preferiscono stare lì seduti in buone condizioni climatiche, piuttosto che agire sulla montagna. C’erano alcune criticità e, a mio modesto parere, ho provato a esprimerle in modo propositivo per ottenere l’obiettivo, ma non ho visto nessuna reazione, quindi ho scritto nel mio blog, ma l’ho fatto in modo propositivo. La spedizione è stata organizzata bene secondo gli standard del campo base, ma sfortunatamente non eravamo uniti, guardavamo in direzioni diverse e ho dovuto affrontare molte critiche”.
Pakistan Mountain News: quali sono i tuoi piani futuri per il K2?
Urubko: “Grazie per questa bella domanda. Mentre tornavo dal campo base sono stato accompagnato dall’alpinista pakistano Amin Ullah che mi ha raccontato storie molto belle sulla valle di Hunza, sul Rakaposhi e sulle persone. Mi ha mostrato delle belle foto mentre tornavo a Skardu. Vorrei tornare e visitare di nuovo questi bellissimi paesaggi. Il famoso alpinista Nazir Sabir mi ha appena detto che il Rakaposhi è da 20 anni che non viene salito. Per me sarà un obiettivo interessante visitare quel paradiso, dove tutti quelli che incontri sono alpinisti. Hussain di Askole mi ha raccontato storie molto interessanti su Askole e la valle di Braldu, sui rapporti tra le persone dei diversi villaggi e il loro modo di comunicare. Anche mia moglie è una montanara e vorrebbe visitare di nuovo il Pakistan, insieme proveremo alcuni progetti alpinistici tecnici, soprattutto sulle montagne non scalate in inverno. Mi piacerebbe provare ancora il Broad Peak e il K2 in inverno”.
Considerazioni
La sera del 12 marzo incontro l’amico Denis Urubko a Bergamo, in occasione della proiezione del Banff Mountain Film Festival. Ci abbracciamo, è un po’ di anni che non ci vediamo. C’è anche un altro vecchio amico, Mario Curnis. Sono emozionato, parliamo così, senza una logica.
“La visione dell’inverno è la mia visione, ma partecipavo alla spedizione polacca e quindi avrei agito con loro fino al 21”.
“Ero orgoglioso di essere stato invitato a questo progetto, quindi non me ne sarei andato a fine febbraio, ma durante la spedizione ci sono stati molti problemi con la gestione, i membri del team, che si sono accumulati, fino a scoppiare”.
L’arrivo di Urubko in Italia. Foto. Paolo Valotis
“Quando sono arrivato al campo base dopo il mio tentativo solitario, sono andato da Wielicki e gli ho detto: Buona sera, va tutto bene, sono qui”.
Non riesco a farmi dire cosa gli è stato risposto.
“Non potevo più sopportare, mi sono voltato immediatamente ed ho chiesto ai due trekker che erano al campo base e che se ne stavano andando se fosse possibile scendere con loro l’indomani. Hanno risposto di sì e così ho lasciato la spedizione”.
“Certo mi spiace di essere arrivato “solo” a 7600 metri, ma la quota più alta raggiunta durante questa spedizione, poco sotto a quella massima mai toccata nella storia delle invernali al K2: i 7650 metri cui sono arrivato in cordata con il polacco Piotr Morawski nel 2003”.
Noto una certa fretta di Denis di tornarsene a casa, in Val Seriana, perciò lo lascio andare.
Mentre torno a casa mia, in autostrada, rimugino a quanto sia davvero curioso che a dissentire dal tentativo solitario sia stato proprio Wielicki, un uomo che in passato è stato fulgido esempio proprio di quell’alpinismo che invece adesso ha condannato (ma forse è stato costretto dall’establishment).
Mi risuona ancora la frase pronunciata da Denis, con quegli occhi limpidi che si ritrova: “Wielicki non è più lo stesso uomo del 2003 e dei suoi anni ruggenti. Al K2 ho conosciuto un altro Wielicki”.
Krzysztof Wielicki al campo base del K2. 68 anni il 5 gennaio 2018
E visto che non si può fare la storia con i se e con i ma, mi esercito a elencare le tre altre ipotesi di realtà che potevano sostituire ciò che invece è successo:
a) Urubko non ci prova, rimane con gli altri fino alla fine della spedizione. Risultati: spedizione fallita e rancori che esplodono comunque. Il mondo dopo qualche settimana dimentica;
b) Urubko ci prova e ritorna vittorioso. Risultati: spedizione riuscita, rancori seppelliti nel generale riconoscimento del valore di un Hermann Buhl redivivo e 4.0. Il mondo esulta e acclama;
c) Urubko ci prova, tocca la vetta ma in discesa soccombe alle condizioni terribili o a un incidente. Risultati: spedizione riuscita, festival de “io l’avevo detto”, rancori che esplodono. Il mondo oscilla tra diverse opinioni, ma i fatti stimolano le curiosità, anche quelle più morbose, e così vengono scritti libri e prodotti film su questa pazzesca storia.
Da quello che ho capito tranne i due, tutti gli altri erano meno che mediocri alpinisti. Era stata una scelta politico/economica che ha impedito un qualsiasi successo. La stanno ripensando diversamente.
Ps: bisogna avere una bella presunzione per criticare Urubko, dato che pochissimi possono avvicinarsi alla sua classe e alle sue capacità.
Secondo il mio modesto parere, per giudicare negativamente il grande Urubko bisognerebbe stare al suo livello. Personaggi importanti come R. Messner, W. Bonatti e D. Urubko non possono sottostare alla rigida burocrazia dei capospedizione. L’unica colpa che do ad Urubko é quella di avere accettato l’invito di Wielicki
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In montagna, se fai parte di un gruppo, la regola numero uno è l’altruismo, la solidarietà, lo stare insieme, il condividere, il rispettare gli altri. Non puoi stare in una squadra coltivando il tuo egoismo.
Ho letto tutte le tre puntate, su questa storia del K2 in invernale, e per prima cosa ti ringrazio. Interessante e coinvolgente, come dai tempi de “Le mie montagne”. Credo che questi tre post appartengano alla serie di quelli per cui tu, Alessandro, ti saresti aspettato maggiore corrispondenza.
e quale sarebbe la prima regola dell’alpinismo?
Comportamento inqualificabile e ingiustificabile. Ha sbagliato e di grosso. Ha violato la prima regola dell’alpinismo.
Riconosco ..”Denis ” nelle sue parole , il suo carattere ..la sua classe, un grande Alpinista che credo non abbia bisogno , di essere comandato…forse non è stata la scelta giusta, questa spedizione……Saluti..
Urubko è un fuoriclasse e come tale non poteva stare alle regole di tipo militare di quella spedizione. Troppo macchinosa. Penso abbia sbagliato da subito a unirsi a questa spediazione, la sua mentalità, la sua visione alpinistica, è sicuramente troppo diversa da quella del resto del gruppo.