Il 15 febbraio 2016 il Parco Nazionale del Pollino ha pubblicato sull’Albo Pretorio la Disciplina provvisoria delle attività di arrampicata e alpinismo nel territorio del Parco Nazionale del Pollino (PNP).
Diciamo subito che l’ostacolo del burocratese si oppone subito a una facile comprensione di quanto decretato. I più, già dal titolo, si chiedono perché “provvisoria”. Se si legge attentamente la Premessa, impariamo che già nel D.P.R. 15 novembre 1993, istitutivo del Parco Nazionale del Pollino, le allegate misure di salvaguardia sono definite anch’esse “provvisorie” (art 3, comma 1): dopo 23 anni l’unica cosa a non decadere rimane la provvisorietà!
Le misure di salvaguardia di allora sono evocate oggi per via della disposizione per la quale nell’area protetta vige il divieto di cattura, di uccisione, di danneggiamento e di disturbo della fauna selvatica, ad eccezione di quanto eseguito per fini di ricerca e di studio previa autorizzazione dell’Ente Parco.
Nessuno discute la priorità, ribadita in Premessa, che l’Ente Parco Nazionale del Pollino ha tra le sue finalità principali la conservazione, per le generazioni presenti e future, del territorio, dell’ambiente, degli ecosistemi e del paesaggio del territorio del Parco, atteso il loro elevato contenuto in biodiversità, valore ecologico, scientifico, storico e culturale.
Lo stesso Ente riconosce, sempre in Premessa, che le attività di arrampicata e di alpinismo rappresentano, se praticate nella corretta maniera, uno dei modi migliori e privilegiati per la fruizione del Parco.
Siamo altresì d’accordo quando il Parco precisa che le stesse (attività) tuttavia vanno effettuate con le dovute attenzioni per l’ambiente nel quale si svolgono al fine della tutela e della conservazione di ecosistemi, habitat e specie all’interno del territorio del Parco.
Non è dunque nella Premessa che troviamo motivi di profondo disaccordo con questo provvedimento.
In arrampicta nel Parco del Pollino
Al paragrafo 1 leggiamo le Definizioni. E qui ci scontriamo subito con un’attribuzione di significati alle parole arrampicata e alpinismo che non dà alcuno spazio, grazie all’evidente confusione e conseguente inesattezza, alla veridicità di quanto affermato nelle prime righe della Premessa, cioè che la presente disciplina provvisoria, (sia) scaturita da un procedimento partecipato con tutti i soggetti interessati e portatori di interessi.
Se davvero i soggetti interessati fossero stati presenti, un casino del genere a livello lessicale non sarebbe stato possibile! Forse erano presenti soltanto i portatori di interessi…
Dando per buoni i nuovi significati lì esposti, apprendiamo che sostanzialmente si parla di “arrampicata” quando ci sono protezioni fisse e si parla di “alpinismo” quando queste non siano permanenti.
A sinistra, la Falconara; a destra, la Timpa di San Lorenzo
Saltiamo il paragrafo 2, quello dei Divieti generali, dove giustamente tra l’altro si sottolinea che è vietato scavare appigli artificialmente, e passiamo al paragrafo 3 (Disciplina generale), diviso in otto punti.
Nel primo sono elencate le aree dove sono vietate sempre e comunque le attività, sia di “alpinismo” che di “arrampicata” (intesi nel nuovo significato di cui si serve l’ordinanza). L’impressione che ne deriva è che ci sia stata molta avarizia di zone concesse. Nel secondo l’impressione si accentua, perché si specifica che nella zona A della zonizzazione del Piano per il Parco adottato dall’Ente e in fase di approvazione alla Regione, le attività di “arrampicata” sono praticabili esclusivamente dal 1 settembre, fino al 31 dicembre.
Il terzo punto stabilisce che non si può fare “alpinismo” alla Timpa Falconara dal 1 gennaio al 31 agosto.
Quarto punto: “Nei siti indicati ai punti precedenti, nella Riserva Naturale Orientata Gole del Raganello e nella Riserva Naturale Orientata Valle del Fiume Argentino vige altresì l’ulteriore divieto di attrezzatura permanente delle pareti”.
Qui uno comincia a domandarsi: ma quando si decidono a concedere qualcosa? La risposta, per esclusione, viene data al quinto punto: “Fatte salve le aree indicate ai precedenti punti del presente paragrafo nel resto del territorio del parco le attività di “arrampicata” e di “alpinismo” sono consentite sulle vie esistenti e in particolare quelle indicate nel catasto dei sentieri dell’Ente Parco e sulle vie che saranno identificate nell’ambito del catasto delle vie di arrampicata e alpinismo nel PNP di cui al successivo paragrafo 4”.
Al sesto punto: “Nell’intero territorio del parco, fermo restando i divieti di cui ai precedenti punti del presente paragrafo, l’eventuale apertura di nuove vie e percorsi attrezzati è soggetta all’autorizzazione dell’Ente Parco, con le modalità indicate al successivo Paragrafo 5”.
Al settimo punto si obbliga il frequentatore a comportamenti etici nei confronti della natura. Finalmente, all’ottavo punto si stabilisce che nel PNP ogni attività di bouldering è liberamente praticabile.
Il paragrafo 4 (Catasto delle vie di arrampicata e alpinismo nel PNP) è un capolavoro d’intralcio burocratico alla libera attività, perché obbliga le Associazioni ed i Soggetti interessati a “indicare le vie ed i percorsi esistenti entro sessanta giorni dall’approvazione della presente disciplina”. Il che equivale a dire che se nessuno si prenderà la briga, a puro titolo di volontariato, di compilare il catasto allora nessuna delle attuali vie presenti sarà percorribile!
E ciò vale pure per i nuovi itinerari: “rientrano nel catasto anche le nuove vie alpinistiche o di arrampicata, autorizzate dall’Ente secondo quanto previsto dal successivo paragrafo 5”.
Per comodità ora riporto per intero il paragrafo 5.
Paragrafo 5 – Autorizzazioni per apertura nuove vie
1. Nelle aree ove l’attività di arrampicata- alpinismo è consentita è necessario che i soggetti interessati, che intendano predisporre pareti attrezzate e vie di arrampicata/alpinistiche, richiedano l’autorizzazione all’Ente Parco;
2. La richiesta deve contenere:
a) rappresentazione cartografica del tracciato, almeno in scala 1:10:000
b) lunghezza, descrizione del percorso e delle modalità di avvicinamento/accesso
c) modalità di attrezzatura (n° prese etc..)
d) relazione tecnico-descrittiva
3. In ordine alle modalità di attrezzatura di pareti e vie si dovranno tenere in conto le seguenti indicazioni:
i. Per il superamento delle difficoltà tecniche si possono utilizzare delle metodologie di assicurazione finalizzate a prevenire incidenti che compromettano l’incolumità personale, senza modificare l’ambiente.
ii. Oltre al materiale di assicurazione tradizionale possono essere utilizzati chiodi a espansione per l’attrezzatura delle soste. Per evitare danni alla roccia con le continue chiodature e schiodature; il numero di ancoraggi tra le soste deve restare limitato al minimo indispensabile.
iii. L’adattamento delle vie esistenti con le metodologie moderne per il mantenimento delle condizioni di sicurezza non deve comportare un deterioramento ambientale e paesaggistico, deve salvaguardare l’interesse sportivo, senza denaturare o sminuire l’aspetto e l’interesse storico delle vie.
iv. Gli itinerari sono attrezzati in maniera da ridurre al minimo il rischio di incidenti in caso di caduta che, per le difficoltà elevatissime che si cerca di superare, ha una elevata probabilità di verificarsi.
4. L’Ente Parco, verificata la mancanza di presupposti ostativi, procede al rilascio della autorizzazione entro 60 gg, in presenza di motivi ostativi rigetta la richiesta.
5. Nella Riserva Naturale Orientata Gole del Raganello e nella Riserva Naturale Orientata Valle del Fiume Argentino non è in ogni caso consentita l’apertura di nuove vie alpinistiche e di arrampicata.
Il paragrafo 6 (Interdizioni) precisa che è facoltà del parco l’interdizione, temporanea o indeterminata, a qualunque sentiero o via (di arrampicata o di alpinismo); precisa pure che a detta eventuale chiusura può esservi deroga a beneficio di gruppi limitati di turisti (a numero limitato), esclusivamente se accompagnati da Guide Alpine o Accompagnatori di Media Montagna o da Referenti del Club Alpino Italiano o Stranieri o da Guide Ufficiali ed esclusive del Parco Nazionale del Pollino, previa autorizzazione dell’Ente Parco.
In genere, questo escamotage a favore di gruppetti in qualche modo titolati è accompagnato da motivazioni di “sicurezza” che qui mancano. In altre realtà si pensa di ridurre la frequenza turistico-arrampicatoria con la scusa che ciò andrebbe ad aumentare la sicurezza in generale. La mia opinione è che chiunque ha diritto di andare dove vuole: non esiste un titolo di demerito relativo a quanto uno può essere esperto, tutti siamo esperti fino a prova contraria e non può essere un parco a stabilire chi agisce in modo sicuro e chi invece è imprudente. Se invece la motivazione è la pura e semplice riduzione del numero dei frequentatori, senza alcun riferimento alla sicurezza, allora a maggior ragione è totalmente ingiusto e impugnabile che la restrizione non valga per chi va accompagnato da un professionista o per chi è intruppato sotto l’egida di qualunque Club e valga invece solo per i privati cittadini che nella natura hanno predilezione per l’essere “cani sciolti”.
In arrampicata sulla Falconara, via Thor
Altre considerazioni
Faccio miei alcuni commenti apparsi su facebook.
Emanuele D’Amico si domanda: “Per il punto 2c, ma che significa numero prese??? Penso sia sufficiente la descrizione dell’itinerario no?!
E per il punto 4, i tempi chiaramente sembrano lunghetti, bisognerà pensarci un bel po’ prima di aprire una via… uno se la programma in estate per andare poi in autunno??”.
Marco Rigliaco osserva che rappresentare una via, per esempio di 200 m di sviluppo, necessita di un disegno di almeno 10 cm di altezza, dunque la scala dev’essere di “almeno 1:2.000” e non di “almeno 1:10.000”. Giustamente conclude che “questi amministratori non sanno neanche cosa stanno regolamentando e vietando”.
Giuseppe Popi Miotti ipotizza che chi ha redatto il documento, al comma c) del punto 2, per “prese” intendesse dire ancoraggi. E continua: “Il punto 4 è un po’ fantasioso nel senso che se io dovessi aprire una via dovrei prima scendere al Pollino, vedere dove farla, inoltrare richiesta e poi attendere fino anche a 60 giorni per poi riscendere (potrei anche fermarmi lì ma…) e aprire. Si tratta del solito documento burocratico che a mio avviso dovrebbe essere chiarito per bene perché la burocrazia è o troppo ottusa o troppo acuta, in ogni caso potenzialmente esiziale in quanto incapace di elasticità”.
Franco Formoso giudica che “questo è, né più e né meno, il modo per tagliare le gambe all’arrampicata e all’alpinismo nel parco, perché come si fa a descrivere lunghezza, in modo preciso, numero di prese e cosa mettere se uno prima non l’ha provata… che io sappia si decide nel momento in cui si sale cosa mettere e in base a quello che si trova!! poi bisogna fare la relazione e aspettare 60 gg. per la risposta???”. E continua: “Ma è assurdo!!! e tutto ciò nelle poche aree dove è consentito?? Bah… io vorrei sapere se chi ha redatto questa disciplina conosce il significato di arrampicata e alpinismo e se ha una vaga idea di cosa sia aprire una via alpinistica!”.
Stefano Ardito: “Pastrocchio tipico di enti e leggi italiani. Si inizia con un principio positivo, riconoscendo che l’alpinismo è un modo per godere della natura, e che le vie sono un patrimonio del Parco. Se pensiamo ai Sibillini, alla Majella, al Cònero, alla Riviera di Ulisse (Gaeta) e a decine di altri posti dove alpinismo e altre attività di avventura sono appena tollerati, questo è un passo in avanti importante. Poi prende il sopravvento la burocrazia, e il buon principio lascia il posto a un inverecondo pastrocchio, quasi certamente inapplicabile. Numero prese? Tracciato preventivo? Due mesi per una risposta? Finirà che l’estensore del regolamento andrà a raccogliere applausi in giro, e che le vie continueranno a essere aperte come sempre. Salvo acchiappare e multare un milanese o un tedesco di passaggio…”.
Il Monte Sellaro
Pino Calandrella: “Esaminando il testo mi sembra chiaro ed evidente che si voglia impostare il discorso sul burocratese, tanto più è difficile e complicato farlo tanto più sarò scoraggiato a farlo. Prendendo atto di quanto già hanno fatto notare gli altri, vorrei offrire una sfumatura leggermente diversa. Scendendo nel dettaglio, due elementi mi sembrano rilevanti: il punto IV del comma 3, “Gli itinerari sono attrezzati in maniera da ridurre al minimo il rischio di incidenti in caso di caduta che, per le difficoltà elevatissime che si cerca di superare, ha una elevata probabilità di verificarsi”, e il Comma 4 “L’Ente Parco, verificata la mancanza di presupposti ostativi, procede al rilascio della autorizzazione entro 60 gg, in presenza di motivi ostativi rigetta la richiesta”. Quest’ultimi, l’uno sulla scorta dell’altro, puntano il dito sul concetto di rischio, che di fatto, salvo su vie sportive, non è completamente riducibile. Tradotto: le vie sportive potrebbero essere troppo impattanti e l’alpinismo per la sua stessa natura potrebbe non essere mai autorizzato dall’Ente Parco.
Se ci sarà l’opportunità di fare dei ricorsi al Tar propongo una raccolta fonti via internet per coprire le spese, poiché si tratta di un modo di procedere che, se possibile sul piano legale, va arginato sul nascere.
Un decreto di questo tipo, in Italia, scatena anche lo scetticismo generale (vedi il commento di Stefano Ardito poco sopra): per Francesco Bevilacqua “E’ una “cagata mostruosa”, come direbbero Fantozzi e il rag. Filini. Andiamo ad arrampicare dove vogliamo. Tanto questa roba è inapplicabile. Oltre che illegittima. Si presta a un bel ricorso al TAR (per il ricorso al TAR è anche Nino Abbracciavento)”; per Giuseppe Popi Miotti, “Fra un paio d’anni nessuno, neanche fra chi deve controllare (vorrei vedere come fa) si ricorda più di ‘sta roba qui. Resta il fatto che esiste e che penderebbe come una spada di Damocle a colpire magari qualche ignaro turista/apritore o qualche sfortunato scalatore di… frodo. So di essere sempre un bastian contrario ma io francamente lascerei scivolare la cosa nell’oblio e spenderei le mie energie per continuare a scalare”.
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Ma non esiste un osservatorio sulle libertà in montagna?
Non sarà certo il torrione a difesa degli alpinisti ma se esiste faccia sentire la sua voce… e magari ricorra… qualche sponsor ci sarà pure no…?
Come al solito chi ha scritto il regolamento, ha mischiato le carte e confuso i fruitori, basterebbe vietare l’ attività nei periodi di nidificazione.
Non mi intendo abbastanza di Tar, ma credo che il termine per ricorrere sia di 60 gg (?) dalla pubblicazione dell’atto. Quindi, se c’è un alpinista-avvocato intenzionato, occorre che vada oltre le nostre chiacchiere e che stenda invece subito il ricorso (da notare però che c’è sempre il rischio di perdere e vedere affermare principi contrari).
Con il testo di questa Disciplina i Melted Dogs ci farebbero un bel rap! Ridicoli….
Ma che aspetta la gente di questo nostro paese ad incazzarsi ed a buttare giù dalle poltrone questi personaggi che ci comandano
Aggiungerei che al Par3, punto 1 si recita: “Le attività di arrampicata ed alpinismo sono vietate (quindi qui è vietato tutto e sempre; nda) nelle aree indicate nella cartografia allegata alla presente (Allegato I) … fatto salvo l’itinerario storico della Via delle Capre” – Questo itinerario “viaggia” per + di 1km su cengia a 3/4 della interamente vietata ed enorme parete Ovest della Timpa del Demanio e si trova molto vicino alla vietatissima via Dyabolyka, la cui traccia è stata riportata qui sopra da alessandro Gogna – Quindi si ottiene il risultato assurdo di ammettere e consentire il transito durante un anno di decine e decine di persone sulla Via delle Capre e si vieta in modo ferreo alle 3 cordate di media annuale frequentanti la limitrofa Dyabolyka – Boh!
c) modalità di attrezzatura (n° prese etc..)
numero delle prese…ma quelle di resina sono compatibili con l’ambiente?? E di che colore devono essere?
Non so se ridere o piangere. Ma in che mani siamo?
2. La richiesta deve contenere:
a) rappresentazione cartografica del tracciato, almeno in scala 1:10:000
questa è veramente bella…..