Pensieri vecchi e sparsi

Pensieri vecchi e sparsi
[da Un Alpinismo di Ricerca, 2a edizione (1983), salvo diversa indicazione]

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)

ALPINISMO CORALE, 1973
Molta strada, o poca se si vuole, ho fatto da quando ritenevo il mettere piede su una cima anche modesta una piccola conqui­sta. Ho capito da allora, e c’è voluto tanto tempo e l’aiuto di al­cune persone, che ogni vittoria non vale assolutamente nulla se riposa solo dentro se stessi, a parziale recupero di ciò che non si riesce a realizzare nella vita. Ho ricercato quindi la soluzione del mio alpinismo in una visione più corale di esso, nell’accet­tazione di far parte di un movimento più totale e costruttivo. E dopo ancora ho compreso che vi erano dei limiti anche in ciò: l’alpinismo come ricerca di vittorie e sublimazioni anche corali, non ha senso ugualmente.

Ed è in questo momento che entra finalmente in causa l’uomo. Non parlo dell’alpinista, che percorre con maggiore o minore a­bilità creste e pareti, inseguendo la soluzione delle sue frustra­zioni, non parlo dello scienziato che fa l’anatomia delle rocce e delle forme di vita, non parlo ancora dello zuccheroso turista che si bea della montagna e dei suoi ruderi umani come ritorno alla semplicità di una volta. Parlo del montanaro che ha sempre vis­suto su quelle terre aspre, che ha sempre strappato a quelle val­li il suo sostentamento. Parlo di colui che per secoli ha mante­nuto ciò che noi oggi chiamiamo equilibrio ecologico e cioè i prati verdi, i boschi sani, l’acqua pulita. Di chi con sudore ha dovuto piantare le patate, difendersi dalle valanghe, abbattere a volte un camoscio, far legna e costruire mulattiere.

GIUDIZI, 1974
La spedizione inglese alla parete sud dell’Annapurna fu una splendida dimostrazione di come si possa, nell’ambito di un sa­no fair play britannico, affrontare i problemi più difficili senza disumanizzarsi e perdersi negli esasperati individualismi…

Gli slavi ci insegnano come accanto ad un amore innato per la natura (che noi non abbiamo innato) possa coesistere una ma­turità sportiva radicata nel senso della comunità priva di indi­vidualismi: maturità per cui il vincitore di una gara o in gene­rale chi ha avuto successo si sente migliore in quel momento e solo per la sua specifica abilità alpinistica, senza l’implicazione di valori morali aggiunti o di una estensione ad infinitum del suo titolo (tipo «il più grande alpinista di tutti i tempi” e simili)…

Gabbiano

Il boom alpinistico degli ultimi anni in Giappone è natural­mente da inquadrare nell’enorme balzo economico, industriale e politico, sebbene le radici dell’alpinismo dell’estremo oriente siano più che altro nell’amore che questo popolo ha sempre avu­to per la natura e per le attività fisiche e spirituali ad essa con­nesse… Mentre il nostro buon senso comune respinge l’alpinismo come attività pazzesca e contraria alla morale dei diritti e dei doveri, in Giappone ognuno, anche il più integrato degli impie­gati, è in grado di capirlo, perché l’educazione generale e quindi quella impartita ai bambini è rivolta a vedere e “sentire” la natura come sacra ed il ritorno ad essa una necessità insopprimi­bile… Laggiù la superficialità del nostro alpinismo domenicale non può neppure essere concepita, e così non vi è neppure quel­l’individualismo spinto, quella mania di isolamento, quella ten­sione all’eroismo e ascetismo che caratterizza così tristemente il nostro «amore» per la montagna… una sensibilità che determi­nerà certamente nei prossimi anni direzione e dimensioni del «nuovo» alpinismo.

BIOGRAFIE, 1974
Il pensiero di Guido Rey fu elitario, improntato a signorile dignità e sobria dirittura… ma non possiamo sopportare più né la pretesa superiorità di questo «umanista sincero, alpinista, scrittore, patriota» né il suo antistorico imbroglio dell’«Arte, Lavoro Fede» così simile nella sostanza, se non nella forma, ad altri credo fasulli, come «Credere, Obbedire, Combattere» e simili.

La condanna di Eugen Guido Lammer al «mercato» e alla «vita filistea», il preteso rifugio nella montagna, la ricerca dell’uomo “più”, sono le tre fasi di cui oggi, dietro al loro luccicante ed allettante splendore, non si è ancora finito di rigettare la più grave, l’ultima.

BIOGRAFIE, 1977
… e perché i defunti non devono essere giudicati alla stessa maniera di quando erano vivi?

TRA GABBIANI E AQUILE, 1981
(da Mezzogiorno di Pietra, 1982)
Mi sono domandato spesso cos’è il fascino di una montagna, o di una zona montuosa e selvaggia; mi chiedevo perché una conformazione mi «prendesse» più di un’altra e quali fossero le cause di un maggior interesse o di un più vistoso accredito estetico. Il problema investe certo quello più vasto del perché si va in montagna o del perché si arrampica: ciò nonostante la curiosità al riguardo di questo interrogativo non ha mai avuto completa soddisfazione.

Forse si può intuire qualche spiegazione da ciò che si può leggere su una zona montuosa. Ho notato infatti che alcune monografie nel trattare una regione si attengono strettamente a criteri soltanto geografici e alpinistici, mentre altre pubblicazioni mescolano tutto ciò con l’ambiente, sia naturale sia umano. In genere sono queste le regioni più ricche di fascino: quelle meno ricche di bibliografia e soprattutto quelle povere di bibliografia tecnica, quindi meno conosciute, meno documentate, più misteriose e seducenti. Purtroppo il genere letterario in cui gli elementi più diversi mal si amalgamano spesso annoia e non raggiunge quella fusione cui aspirerebbe, tranne rari casi: vedi a esempio gli innumerevoli capitoli sugli usi e costumi degli sherpa o di altri indigeni, ormai quasi obbligatori prima del racconto tecnico-avventuroso di una qualunque spedizione extraeuropea. Ma questo tipo di letteratura rimane comunque un lodevole tentativo di riunire in un qualcosa di unico due momenti di un’esperienza che generalmente si vivono abbastanza separati, e questo in ossequio all’universale esigenza di considerare un qualunque avvenimento importante dal punto di vista della totalità. Se un francese attraversa il tunnel del Monte Bianco e va a scalare sulla cresta sud dell’Aiguille Noire de Peuterey lo fa di certo per il suo piacere personale, che è probabilmente sport e avventura, ma è assai improbabile che durante l’azione il suo pensiero volga al folclore valdostano o ai fiori rari della Valdigne quali elementi essenziali al godimento spirituale dell’arrampicata stessa. Al contrario, se lo stesso francese si recasse in Corsica, ci sono buone possibilità che diventi quasi un piccolo naturalista. Se si è disposti a vivere poeticamente una brughiera, lo si è meno nei confronti dei giardini pubblici dove si fa lo jogging.

Aquila reale sul Gennargentu

La differenza consiste, credo, nei ben diversi livelli di conoscenza delle due zone. Il Monte Bianco è descritto metro per metro da dozzine di guide tecniche e parecchi libri a carattere illustrativo e naturalistico. Avventura, rischio e impresa sportiva rimangono, ma il fascino decresce. Invece altre regioni sono un mondo più «sconosciuto», anche in assenza d’alte quote, anche fosse soltanto perché non essendo uno sfondo «eroico» non c’era alcuna necessità di vincerlo e assoggettarlo tramite strepitose imprese, morbosi servizi giornalistici, poster plateali o minuziose monografie storico-descrittive. Frequentando la montagna umile ma selvaggia si sente ben viva quella sensazione che comunicano i montanari locali: l’essere loro ancora strettamente legati alla terra, alla vita quotidianamente semplice e dura che noi, assieme ai valligiani delle grandi stazioni turistiche e sciistiche alpine, abbiamo da tempo dimenticato o mai vissuto.

Tra le tante regioni della Terra cui si addice questo discorso c’è anche la Sardegna, un’isola abbastanza grande da essere una regione, abbastanza piccola per racchiudere squarci di natura o di storia naturale e archeologica unici al mondo. Non esiste letteratura alpinistica, non esistono guide alle escursioni. C’è il turismo delle coste, c’è un gruppo di alpinisti locali che ha svolto una buona attività sui principali rilievi; squadre di speleologi hanno scoperto ed esplorato grotte profondissime e difficili, isolate cordate di arrampicatori hanno percorso qua e là qualche itinerario di bella roccia.

Eppure il fascino di quest’isola, così poco nota all’interno come sui litorali più dirupati, è carico di emozione e di intimità con le forze naturali e con la solitudine del vento.

Pensieri vecchi e sparsi ultima modifica: 2018-04-26T05:29:14+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Pensieri vecchi e sparsi”

  1. Infatti, Alberto: sono pensieri, come dice il titolo, vecchi (di 35 anni…).

  2. Mi sembra che quei valligiani legati alla terra oggi non esistano più o mantengano un’esistenza precaria che si avvale di politiche pubbliche di sostegno finanziario. I loro sistemi di lavoro sono notevolmente cambiati, si avvalgono di costosi macchinari ed impattano in modo completamente nuovo sull’ambiente alpino. Andarne alla ricerca dell’originale, non è dissimile dall’osservazione naturalistica delle specie rare.

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