Alce Nero parla:
Amico, ti racconterò la storia della mia vita, come tu desideri; e se fosse soltanto la storia della mia vita credo che non la racconterei, perché che cosa è un uomo per dare importanza ai suoi inverni, anche quando sono già così numerosi da fargli piegare il capo come una pesante nevicata? Tanti altri uomini hanno visssuto e vivranno la stessa storia, per diventare erba sui colli.
È la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare, di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi; perché son tutti figli di una stessa madre e il loro padre è un unico Spirito (Alce Nero parla, John Neihardt).
Siete mai stati nei Bauges? La Riserva Integrale dei Bauges è una macchia di verde e di gigli martagoni nel cuore delle Prealpi francesi del Nord. Il gruppo non spicca per l’altezza media delle sue cime, che è comunque rispettabile, ma si caratterizza con le sue foreste, fitte e ripidissime che, abbarbicate a versanti di montagna estremamente ostici, cedono malvolentieri luogo ai prati e alle rocce delle zone più alte.
Le Prealpi dei Bauges, Savoia
Solo una volta mi sono diretto verso queste montagne che dominano il corso dell’Isère, proprio di fronte alla Vanoise. Mi trovai nella notte a partire da solo da Nant Fourchou sotto un’acquerugiola fine e insistente. Dopo una foresta bellissima e scura, salita con innumerevoli serpentine spesso ostruite da alberi caduti, eccomi a vagabondare nella nebbia sotto al Grand Roc, che solo dopo un bel po’ di ricerche tra aspre rupi, genziane di Koch e cardi blu riesco a salire per un percorso non proponibile.
In cima al Grand Roc erano le sette di mattina, non vedevo a dieci metri per la nebbia, c’era però la consolazione delle buone previsioni del tempo. Infatti, dopo due ore di meditazioni forzate, qualche squarcio si aprì qua e là, sufficiente per farmi capire che era dappertutto bellissimo meno che sui Bauges, il massiccio più umido della Savoia.
Dopo altre quattro ore di attesa, avevo perso ogni speranza di salvare la giornata. Così mi diressi a valle, per scoprire, quasi arrivato in fondo, che stava diventando sereno e magnifico. Salii così ad una meta secondaria, una bella radura un po’ oltre l’Oratoire de St. Bernard, una cappelletta immersa in una splendida foresta di latifoglie sulla verticale del paesino di École.
Grandi esemplari ascetici crescono su un terreno umido, scuro e molliccio che sembra provvisorio su lastre di roccia liscia raccolte a pagine di libro: è una visione veramente “selvaggia”, è il regno vegetale dei Bauges.
Qui Dante Alighieri avrebbe potuto ambientare qui l’inizio della Divina Commedia. Una “selva oscura” che non accetta alcuna “diritta via”.
E Alce Nero oggi non parla più. Gli uomini si sono definitivamente “persi nell’oscurità dei loro occhi”. Ma se abbiamo ancora un ambito morale, bisogna includervi le piante di ogni specie. Alcuni grandi alberi godono di un rispetto quasi religioso, come le vecchie querce, le sequoie, i cedri del Libano: ma sono eccezioni totemiche. La maggior parte del mondo vegetale non è vissuta come degna del nostro più profondo rispetto.
Per contro, gli alberi sono considerati valore-legname, le piante possono essere officinali, i fiori oggetto di venerazione morbosa; interi boschi possono essere dati alle fiamme per gioco o per speculazione.
Entrare in una foresta e aggirarsi senza scopo è come visitare un tempio alla ricerca di ciò che siamo e di ciò che ci circonda. Purtroppo, molti frequentatori sono altrettanti rapinatori che arraffano per sé quel che il bosco esprime, ciò che loro chiamano i “prodotti”.
La Crête de la Belle Étoile, Bauges
Così si incidono tronchi per scrivere sciocchezze, così sono asportate giovani piante di abete per avere un albero di Natale. Si strappano piante, rami, foglie. I fiori sono colti a mazzetti per essere poi gettati via; si rischia la vita per una stella alpina che poi rimarrà per sempre ad ingiallire nelle pagine di un libro. Anche le radici sono strappate assieme alla pianta.
Ecco allora che occorre disincentivare le narcisate sociali, evitare di piantare chiodi nei tronchi per sorreggere i panni da stendere o le amache. Se un fiore è stato dichiarato “protetto” ci saranno delle buone ragioni tecniche. Ma evitiamo di attribuirgli per conseguenza un maggior “valore”, non incoraggiamo la tentazione di coglierlo e di vantarci poi della rarità conquistata.
Se la raccolta dei funghi fosse uno sport di massa (come lo è in alcune zone italiane), sarebbe un vero disastro. Impariamo quindi a percorrere il bosco senza meta; se vediamo un fungo particolarmente bello e appetitoso, lasciamolo lì a concludere il suo ciclo: se in seguito qualcun altro lo coglie sarà comunque a nostra insaputa e intanto il fungo avrà sparso le sue spore. Se proprio non resistiamo al richiamo gastronomico, ricordiamoci di non strapparlo brutalmente ma di reciderne il gambo a filo del terreno.
Evitiamo di prendere a calci o distruggere i funghi che non conosciamo, anche quelli certamente velenosi: provocheremmo dei gravi danni all’ecosistema del sottobosco, ma soprattutto eserciteremmo una violenza del tutto inutile.
Non insegniamo ai nostri bambini il saccheggio del bosco. Castagne, fragole, ribes, mirtilli, lamponi sono lì apposta perché qualcuno li colga, ma i bambini meritano un insegnamento più profondo dell’acchiappa e fuggi con il sacchetto di plastica pieno.
È quasi sempre inutile accendere fuochi. Fa parte di un ben vivo rituale da giovani esploratori, con la forza di migliaia di scene di film o di fumetti “western”. Tutti gli uomini duri, nella notte del deserto all’urlo del coyote o nelle nevi dello Yukon tra gli ululati di branchi di lupi, fanno piani per il domani o si raccontano tra di loro le storie del passato. Peccato che non si veda mai come si siano procurati la legna.
Meno eroicamente, qualcuno accende fuochi solo per per cucinare qualcosa alla brace. Ma se non si è disposti a rinunciare alle salsicce è bene ripiegare su un’accogliente trattoria tipica. Un tempo il fuoco era un vero rito e una necessità, perché allontanava le belve e i cattivi spiriti. Oggi che questi sono ormai dentro di noi, spesso il fuoco è solo un dannoso divertimento senza molta fantasia.
In certi periodi di siccità anche la foresta più umida è esposta al pericolo dell’incendio. Il fuoco può covare sotto la cenere per ore e basta un soffio di vento per farlo divampare.
Ci hanno ripetuto alla nausea che il mozzicone di sigaretta spento male può essere un pericoloso innesco per gli incendi: però questi continuano a devastare aree enormi e non tutti sono dolosi quindi le prediche sono ancora utili. Se non riusciamo ad evitare di fumare in un bosco, almeno spegnamo bene le sigarette e non gettiamole.
postato il 21 aprile 2014
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