Dopo ben più di due secoli di storia, nel rapporto etico, sportivo e turistico uomo-montagna, spicca oggi una problematica assai forte: è giusto accettare, e magari anche promuovere, l’apertura al pubblico di altre vie ferrate in montagna?
Dopo le prime esplorazioni a carattere quasi scientifico, le vette delle Alpi hanno visto susseguirsi nel tempo molti atteggiamenti diversi dell’uomo che le avvicinava e le saliva: alla conquista romantica ha fatto seguito l’epopea eroica del sesto grado e ad un successivo artificialismo degli anni ’50 e ’60 si è sostituita l’attuale cosiddetta arrampicata libera con tutte le sue varianti.
Ciò non ha impedito che nei singoli periodi in cui dominava un’ideologia fosse presente e ogni tanto emergesse qualche isolata ribellione, qualche atteggiamento contrario. Ci sono sempre state discussioni, polemiche e diatribe molto accese e prolungate. Tanto per citarne qualcuna, l’uso o meno dei chiodi all’inizio del ‘900, le manovre di corda e il tecnicismo nell’epoca d’oro del sesto grado, il rifiuto dell’artificiale spinta e delle super direttissime fiorito già alla fine degli anni ’60. E poi, ancora, processi alle corde fisse, allo “stile spedizione”, ecc.
In ultimo, ecco apparire lo spit, imputato numero uno degli anni ’80 e ’90: qualcuno vorrebbe eliminare totalmente questo strumento per lui mistificatorio, altri lo considerano necessario come il guard rail dell’autostrada. Ricordo qui che lo spit è l’evoluzione del vecchio chiodo ad espansione, ancoraggio quindi fisso e duraturo, che altera permanentemente la superficie rocciosa e ne condiziona comunque la scalata.
Presi dalla stessa passione, magari punti nel vivo da qualche riferimento a se stessi, gli alpinisti si sono sempre gettati con accanimento a difendere le proprie posizioni e, in questo, tutto il mondo è stato paese, dall’Europa all’America. Ognuno cercava di dimostrare, con i migliori argomenti a sua disposizione, che si aveva diritto a fare questo e quest’altro, che si aveva torto a fare questo e quest’altro. Qualcuno assumeva posizioni intermedie, altri ci facevano sopra dell’ironia.
L’arrampicata sportiva, i cui contorni hanno incominciato a delinearsi con precisione dopo la breve stagione del free climbing (cioè “arrampicata libera” in senso stretto), più o meno agli inizi degli anni ’80, non si è rivelata diversa sostanzialmente: anche qui infatti le discussioni non sono mancate e non mancano, anche se l’etica di comportamento non vuol più essere misurata in un confronto con la montagna, bensì in un confronto tra atleti.
Ma cos’è una via ferrata? È un percorso attrezzato in maniera permanente per raggiungere una vetta o per traversare da una località ad un’altra. Spesso ricalca vecchie vie alpinistiche, ma altrettanto spesso segue un itinerario del tutto nuovo che, assai illogicamente, va a passare esattamente dove il vuoto è più sensibile e la verticalità è maggiore. Perché, se all’inizio della storia delle vie ferrate lo scopo era quello di far percorrere con una logica ed un risparmio di ferro ciò che era impossibile al turista, oggi al contrario il ferro si spreca proprio perché il gioco consiste nel percorrere precipizi e strapiombi il più emozionanti possibile.
Non voglio affrontare le problematiche relative alle ragioni per cui sono state costruite tante vie ferrate: qualcuno ha certamente avuto il suo interesse, come a suo tempo è successo per i bivacchi fissi che oggi cadono a pezzi da soli.
Diverso dalla via ferrata è il sentiero attrezzato. La Via delle Bocchette in Brenta, come il Sentiero degli Alpini di Val Fiscalina e tanti altri hanno valide ragioni storiche, culturali e quindi anche turistiche per essere stati realizzati e mantenuti in ordine. Le opere fisse sono ridotte al minimo, il percorso ha una sua logica geografica e storica, quindi una sua precisa giustificazione. Mi spingo perfino ad affermare che anche i vari “sentieri dei cacciatori” che affollano le Alpi hanno una loro idea di fondo: i percorsi della selvaggina sono certamente i più logici di tutti e come tali vanno apprezzati, non solo dai cacciatori ma anche da tutti coloro che vogliono capire come sono “fatte” le montagne e vogliono respirarne a fondo la tridimensionalità.
La via ferrata di Castel Drena (Valle del Sarca)
Il fenomeno delle vie ferrate nasce già alla fine dell’800 (vedi i casi del Cervino e del Dente del Gigante), ma è soltanto dagli anni ’60 in poi che assistiamo ad un impressionante moltiplicarsi di itinerari più o meno attrezzati. Specialmente nelle Dolomiti, ma anche nelle prealpi calcaree trentine, venete e lombarde, si fa ormai fatica a tenere un catalogo aggiornato. Anche in Germania ed Austria il fenomeno ha preso piede, ma con maggiore moderazione. I tedeschi hanno infatti preferito riversarsi sulle nostre vie ferrate, a tal punto da loro ben conosciute da riconoscercene l’invenzione: “via ferrata” è infatti il termine da loro usato nel linguaggio corrente, al posto del meno frequente ma più autoctono klettersteig.
Non è da ieri che si è cominciato a discutere sulla liceità dell’apertura al pubblico di simili percorsi: però le discussioni non hanno quasi mai assunto forme polemiche o rissose. Infatti i convegni ne hanno sempre trattato in modo marginale, le riviste hanno dato all’argomento praticamente solo lo spazio di qualche lettera di indignati, nulla comunque al confronto delle pagine e pagine di itinerari proposti dalle riviste stesse.
Probabilmente nelle dissertazioni relative alle vie ferrate non sono mai stati coinvolti l’onore e la fama di nessun grande alpinista. Lo scontro delle idee c’era, ma non caratterizzato da nessun nome particolare, non quindi degno di faziose prese di posizione o di alcuna tifoseria.
Ma da qualche tempo è chiaramente emerso il pericolo che le vie ferrate, crescendo smisuratamente di numero e di spettacolarità, possano nuocere non solo ai “puristi” della montagna ma anche all’ambiente stesso.
Ciò che voglio dire è che se Paul Preuss, Enzo Cozzolino o Reinhold Messner avevano a cuore l’integrità e la nobiltà della montagna, che quindi doveva essere difesa dalle aggressioni del materiale ferroso, nella rigida difesa di un territorio che doveva rimanere “impossibile”, la discussione sulle ferrate oggi ha spostato i termini: non basta conservare un margine di “impossibile” per il futuro, anche il “possibile” dev’essere conservato tale, in rapporto alle rispettive capacità dell’individuo e alle singole maggiori o minori volontà di impegno.
È importante riuscire a far “passare” il concetto che, rispetto ai sentieri e alle vie normali delle montagne, lo scegliere di dedicarsi alle ferrate non è “qualcosa in più di prima” (come oggi normalmente tutti pensano), ma è invece “qualcosa in meno”. Svalutare cioè la salita su opere artificiali nei confronti della vera esperienza.
postato il 22 aprile 2014
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A mio avviso il problema di fondo sta nella “concezione mentale” della ferrata, che è stata travisata nel corso degli anni portandola da mero mezzo per raggiungere un fine (che può essere un’escursione ad anello di ampio respiro, o il raggiungimento di una cima, o una spettacolare traversata, o ancora il ripercorrere vecchie vie di guerra) ad essere IL fine stesso dell’uscita, generando certe porcherie inutili, talvolta a quote insulse (3/400 metri slm) senza logica e senza senso, per il solo fine di tornare a casa dicendo “HO FATTO LA SCIMMIA SULLA FERRATA XYZ” e non “HO FATTO UN GRANDIOSO ANELLO DEL MONTE X” o “SONO ARRIVATO ALLA CIMA DEL MONTE Y E MI SON GODUTO PANORAMI DA URLO”.
Finché non si risolverà questo grande equivoco che porta i percorsi ad estraniarsi dal loro ambiente, rischieremo di assistere al proliferare di certe schifezze…
PS ho percorso parecchie ferrate con estrema soddisfazione (e le ripercorrerei volentierissimo) ma si tratta di itinerari con una certa logica che considero un mero “pezzetto” di un’escursione ad ampio raggio, alla pari di un ghiaione da attraversare o di una semplice mulattiera o di qualche roccetta di I/II non attrezzata, tipo la coppia Vandelli + Berti che permettono l’anello del Sorapiss o l’abbinamento Roghel + Cengia Gabriella + Strada degli Alpini che permettono uno spettacolare aggiramento del Popera.
Accettare e promuovere ancora altre vie ferrate credo sia profondamente sbagliato, ve ne sono già tante alcune Storiche che si possono Conservare in sicurezza. Chi ne vuole di nuove lo fa esclusivamente per motivi di ordine economico turistico, non pensando che è il principio stesso della ferrata che è sbagliato. Non si deve addomesticare tutto alla nostra portata chi non è in grado di salire una parete si può accontentare di guardarla dal basso, si devono accettare i nostri limiti in ogni situazione della vita e nel rapporto con la montagna in maniera particolare. Spesso l’idea che è una ferrata porta degli escursionisti a mettersi in situazioni che non sanno gestire, vanno nel panico e deve partire il Soccorso Alpino per riportarli a terra, venendo a mancare momentaneamente uno strumento che può salvare delle vite in caso di incidenti in parete molto più seri del semplice “panico” per impreparazione. Basta con “cantieri” di Ferraglia in Montagna, Bastano e avanzano le Croci talvolta esagerate sulle Cime Montane e Tutti gli impianti di risalita che nascono come funghi, deturpano la montagna danno pochi posti di lavoro a chi vive in Montagna, sono finanziati con soldi Pubblici e vengono gestite da consorzi privati che si prendono gli incassi, lasciando gli oneri dei costi di gestione sulla spalle della collettività.
non è una ferrata apuana,io sono di quelle zone,e si riconosce dal territorio e dalla morfologia,poi conosco tutte le ferrate apuane.Con tutto questo sono contrario alle ferrate,meglio un bel sentiero impervio e un po esposto,
magari poco segnato.Se non ci credete:cresta degli uncini sull’altissimo,insieme ai mufloni e guardando il mare a 1500 metri di altezza.
Bah… non so cosa dirvi. Una volta ero d’accordo con le vie ferrate, ma vedendo gli scempi di adesso, ad esempio Mori con un dispendio di soldi pubblici di 300.000 euro, comincio ad avere dubbi.
“Anche certe vie di oggi, date in arrampicata libera, le potremmo considerare delle vere e proprie vie ferrate….” ha ragione Alberto, e invece sul fatto delle “ferrate” mi trovo un po’ confuso, sì perché a volte vado in ferrata, lo faccio per divertirmi, per guardarmi intorno, per… non so bene il perché, ma certe ferrate, e parlo di quelle fatte bene, con logica e non totalmente forzate, sono carine, servono alle guide per “lavorare”, al semplice dilettante o appassionato per “usare” una giornata diversa, sfidando se vogliamo in “sicurezza” certe pareti a loro precluse… non sono del tutto contrario, poi giusto ieri ho visto “scalatori” molto più “ferrosi” che una ferrata salire in modo poco “sicuro” una linea sopra casa… magari un giro in ferrata con tanto di attrezzatura adeguata, farebbe sicuramente meglio… l’alpinismo, l’alpinista, l’andare per monti è vario… e tra il sì e il no… io ci sono sempre!
http://ivoferrari.blogspot.it/2014/04/le-ferrate.html
Anche certe vie di oggi, date in arrampicata libera, le potremmo considerare delle vere e proprie vie ferrate….
prima foto ferrata sulle Apuane, ma siete sicuri??