Riceviamo e pubblichiamo la relazione di Agostino Da Polenza, capospedizione della spedizione K2-70.
K2-70: la relazione del capospedizione
di Agostino Da Polenza
(9 agosto 2024)
Le fotografie appartengono all’archivio K2-70 (salvo diversa menzione)
Dal punto di vista umano, la mia più bella spedizione al K2.
Silvia Loreggian, Federica Mingolla, Cristina Piolini e Anna Torretta, nella estrema diversità di personalità e motivazione, ce l’hanno messa tutta e hanno onorato, sempre con il sorriso sulle labbra, l’impegno di celebrare degnamente gli uomini di quella fantastica “vittoria” sul K2 del 1954. Anche quando hanno aiutato prima Samina Baig, colpita da una polmonite che l’ha fatta rientrare a un centro ospedaliero dopo le cure intense di Lorenza Pratali, e poi dato una mano alle sue compagne, Samana Rahim e Nadeema Sahar, sono rimaste al K2, il cui divario tecnico però si è presto dimostrato insormontabile in una stagione alpinistica molto, troppo, influenzata dall’instabilità meteorologica e per questo particolarmente severa e pericolosa.
Il 27 giugno 2024 siamo arrivati al nostro campo base, parzialmente attrezzato da Ali Durani, il trentaquattrenne fortissimo alpinista che mi segue da sempre, e dai suoi tre amici Portatori d’Alta Quota. Ali era già salito a campo 1 posizionando una tenda e 1000 metri di corde fisse: un vantaggio incomparabile nei confronti delle circa 20 spedizioni commerciali nepalesi, che di solito attrezzano per prime per poi chiedere il pedaggio. Cosa che non hanno potuto fare accettando che da lì in su avrebbero battuto loro la pista e attrezzato la parete fino al “Collo di Bottiglia”, attorno agli ottomila metri (il Collo di Bottiglia è situato tra gli 8300 e 8400 m, NdR), oltre avremmo provveduto tutti insieme. Così è accaduto. Nessun pedaggio per nessuno, abbiamo cancellato questa pratica indegna.
Vento, sempre vento e bufera sopra, l’ABC, il campo base avanzato. A metà luglio tutte le spedizioni erano ancora a campo 2, che sembrava una barriera invalicabile. Solo Benjamin Vedrines, giovane fuoriclasse francese, l’aveva violata salendo di corsa a campo 3 da dove aveva preso il volo con il parapendio per il “base”.
In questo periodo, Cristina è salita a campo 1 più volte passandoci più giorni, dovendo anche dare una mano alle ragazze pakistane. Esperienza che le ha pesato molto, anche fisicamente. Anna ha sperimentato i venti del K2 e, con Cristina, sino al Campo 2 anche la quota.
Silvia è sempre stata la più in forma e con Federica in un nuovo assetto della spedizione, determinato dal perdurare del cattivo tempo che concedeva solo delle mezze giornate di tregua, che includeva organicamente anche Marco Majori e Federico Secchi (e i loro sci), hanno formato una unica cordata della nostra spedizione del settantesimo. In tre giornate memorabili per la velocità e l’energia profusa, i quattro alpinisti hanno raggiunto i campi inferiori con le ragazze davanti e Marco e Federico a seguire con gli sci a spalla. Poi i 7000 metri, dove in una rotazione di acclimatamento, insieme ad Ali Durani, hanno lasciato il materiale per i campi superiori. Li seguiamo continuamente con la radio e i dromi dei nostri amici operatori. Con noi al Base ci sono sempre stati Eric Tornaghi, operatore di Massimiliano Ossini, Riccardo Selvatico, operatore delle imprese polari del CNR e di Evk2CNR, ed Ettore Zorzini, operatore specializzato in riprese con il drone al seguito di Marco e Federico. In certi momenti nei cieli del nostro campo base tre droni volteggiavano con i loro occhi puntati sul K2. Splendida collaborazione con tutti e tre. Immagini spettacolari che presenteremo in autunno.
Con l’arrivo dei clienti delle grandi agenzie nepalesi, la “Seven Summit” di Dawa Sherpa in primis, e con il lavoro di Ali e dei suoi 3 collaboratori, si è depositato al campo 3, a 7350m, quanto necessario per il campo 4. Tutti gli occhi erano puntati sulle previsioni meteo, quelle internazionali e le nostre dell’Aeronautica militare. La data del 28 luglio si è pian piano definita come il “summit day”. La finestra “tradizionale” di bel tempo di fine luglio, che di solito dura da 4 a 7 giorni, quest’anno è stata più un pertugio stretto e turbolento, ma con il vento in calo.
Cristina è partita per prima il 26 luglio con Nasir. Purtroppo, sotto campo uno il riacutizzarsi del suo dolore alla schiena e poi una scarica di sassi, per fortuna evitata a costo di una ulteriore torsione del dorso, la costringono a rientrare al campo base. Le vanno incontro Mohammad Khan e Riaz. Il nostro medico Lorenza si prende subito cura di lei in modo intensivo. Il giorno dopo gli elicotteri sono impegnati nel tentativo di recupero di due alpinisti giapponesi precipitati sulla parete ovest del K2. Nel frattempo, Federica in quei giorni deve prendersi un antivirale per una infezione che la colpisce.
Il 26 sera, alle ore 20.00, Silvia e Federica partono con Marco e Federico, una splendida cordata, per raggiungere campo 4 e la vetta. Sono carichi di motivazione e anche di zaini. Il programma è procedere in modo continuativo verso campo 4 prendendosi dalle 3 alle 5 ore di sosta nei campi raggiunti. Infine, tentare la vetta. Davanti a loro Ali Durani e i suoi. Il 28 il bel tempo incombe.
Benjamin s’aggira per i campi base per caricarsi e prendere l’ispirazione e il volo e per il tentativo record. La sua lancetta dell’acclimatamento è la più alta, avendo toccato due volte campo 3. Partono per tentare la vetta anche Matteo Sella e Tommaso Lamantia, ormai diventati habitué del nostro campo.
I nostri raggiungono campo 3 faticando molto, qualcosa non funziona nel loro fisico e a quel punto qualcosa si rompe, Federica Mingolla ha ancora farmaci antivirali da smaltire e Silvia accusa fatica e dolori allo stomaco, che le rendono difficile respirare (anche lei ha preso dei formaci che incidono sullo stomaco). Prima Loreggian rinuncia, poi riposa e si riunisce a Marco e Federico, ci prova ancora. Infine, molla la presa. Avrebbero potuto usare l’ossigeno da campo t3, ma decidono di no e si fermano, scendono.
Dei nostri rimangono sullo Sperone degli Abruzzi Marco, Federico e tre portatori d’alta quota. Ali Durani sarà davanti, sul “Collo di Bottiglia”, con gli Sherpa di Dawa ad attrezzare e battere la pista. Mi ha chiesto se potesse proseguire verso la vetta con loro facendomi vedere le bandiere (italiana, pakistana e del CAI) che si è infilato nella tasca interna del piumino. “Certo, Ali, sarà di nuovo un onore per noi”.
Ali alle 9 del mattino del 28 è in vetta, utilizzando per la prima volta una bottiglia di ossigeno. La sera lo abbiamo festeggiato al campo base.
Il 29 il tempo si è mantenuto stabile al mattino, meno nel pomeriggio, ma il vento si è attestato su livelli accettabili, attorno ai 20 kmh. Due nostri portatori alle 7.30 del mattino salgono in vetta. Marco Majori la sera prima mi aveva chiesto se potessero farlo. Avevo risposto che per me andava bene e che fossero saliti con loro di farsi aiutare a portare gli sci. Avevo suggerito a Marco di lasciare gli sci sulla “Spalla” a campo 4 e di salire in cima al K2. Lo avevo quasi supplicato, sapendo che il loro peso avrebbe molto inciso sulla loro prestazione e sapendo che le condizioni meteo avrebbero certamente limitato, se con impedito, di sciare il K2. Ma i ragazzi sono testardi e a volte i sogni sono più forti della realtà.
I nostri 2 pakistani a campo 4 sono partiti e arrivati in vetta molto presto. I nostri con gli sci in spalla invece molto più tardi. Alle 16, orario critico per il ritorno in sicurezza, Federico era sul dosso terminale; lo vediamo con il drone, ne ha ancora nelle gambe per gli ultimi metri verso la vetta. Lo incito a proseguire, a non attendere Marco. Vetta che raggiunge alle 17; è lassù da solo, il drone di Ettore gli gira attorno, lui saluta.
La spedizione ha raggiunto di nuova la vetta con Federico Secchi. La festa al campo base è piena di apprensione. Marco, 150 metri sotto, è ormai lentissimo e combattuto. Prendo la radio e gli dico che se sale morirà e che non avrà altra scelta che girarsi e scendere. Cosa che saggiamente fa e che probabilmente lo ha salvato. Federico, seguito e fotografato con i droni in vetta, alle 18 ha iniziato la discesa con gli sci, ma la neve impossibile e la nebbia lo fanno propendere quasi subito per rimetterli a spalla e raggiungere Marco, che lo ha preceduto a campo 4. I portatori avevano lasciato una tendina e poco altro, convinti che i due sarebbero scesi con gli sci dalla via Česen. Il giorno dopo la discesa a campo 3 è stata drammatica. Prima si perdono a causa della nebbia, poi Marco si infila in un “buco” della cresta. Ne esce miracolosamente, ma con una spalla lussata e il fisico debilitato. Federico sta ancora bene e lo aiuta e lo assiste. Il tempo peggiora.
Siamo tutti in grande apprensione e i messaggi che riceviamo sull’inReach sono contraddittori. Federico chiede aiuto. Le radio non funzionano o sono scariche. Silvia, al campo base, mi avverte che l’amico Benjamin e il suo compagno fotografo Sébastien Montaz-Rosset sono, in tenuta leggera, al campo 2 per portare giù la loro roba. “Digli di salire, per favore al C3 a prendere Marco e Federico”. Benjamin è un fenomeno della interazione tra uomo e montagna, la sua naturalezza e confidenza nel muoversi sul K2 sono arte. Benjamin in due ore e mezza sale a campo 3, seguito dal suo fotografo Sebastien con una bombola di ossigeno. È la svolta. I quattro riescono a ripararsi in una “truna” riempita con i teli delle tende distrutte dal vento.
Al mattino iniziano a scendere lungo lo Sperone. Al base si organizza un grande movimento di soccorso con una ventina di persone tra italiani e francesi. Silvia sale a campo 2 con altri 5 alpinisti, Federica a campo 1 e Anna al campo base avanzato per organizzare il trasporto di Marco.
Nel tardo pomeriggio sono tutti al Campo Base. Lorenza, che ha rinviato in accordo con Cristina e con me la sua partenza in elicottero con Piolini, che voleva accompagnare personalmente all’ospedale di Skardu, prende in carico Marco e lo rimette in sesto, anche se rimane sofferente per la spalla e l’ingiuria dell’alta quota e del volo nel” buco” fatto sopra campo 3.
Cena con tutti i volontari, con Benjamin come principale festeggiato, oltre al K2: è il 31 luglio, il giorno del settantesimo. Il mattino successivo più elicotteri trasporteranno Cristina, Marco, Federico e Lorenza a Skardu, da dove raggiungono l’ospedale locale.
Oggi, 9 agosto 2024, Federica, Anna, Silvia e Federico sono all’EURAC di Bolzano. Sono sbarcati tutti ieri a Malpensa e, anziché andare a casa, dedicano ancora due giorni alla ricerca medico fisiologica.
Il CAI, che ha promosso e supportato questo progetto per celebrare il K2 e far conoscere l’alpinismo d’alta quota, lo ha fatto con convinzione e determinazione, e di questo va ringraziato, affidando a EVK2CNR l’organizzazione tecnica della spedizione. La comunicazione, complessa soprattutto nella componente italiana, è stata penalizzata anche dall’estrema difficoltà di disporre della banda garantita dall’azienda Thuraya, specializzata in comunicazioni internazionali. Pare un vizio congenito a quest’azienda di Dubai il vendere molte più connessioni rispetto alla banda disponibile. In generale, alla fine si è riusciti a inviare, sacrificando le notti, immagini e video.
Sul campo base sono costantemente sventolate le bandiere italiane, pakistane, del CAI e delle olimpiadi. A momenti le abbiamo guardate con commozione, altri con gioia e con orgoglio. A chi dice che non è più tempo di sentirsi italiani, vorrei dire che noi lo siamo, orgogliosi di esserlo, e che anche le nostre giovani alpiniste e alpinisti sono state orgogliosi e degni di ricordare e rappresentare la grande spedizione del 1954 e tutti gli uomini che la composero. Il K2 è l’apice geografico di un grande paese complesso, il Pakistan, che ci stima e ci ammira. Siamo orgogliosi di aver ricordato l’impresa del 1954 dando il massimo e raggiungendo la vetta. Siamo lieti di essere stati ospiti del Central Karakorum National Park, che Evk2CNR ha contribuito a realizzare, il sogno di Desio di un’area dedicata all’ambiente e alla scienza sotto il K2.
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Da quanto se ne sa, Carlo ha conosciuto sua moglie al CAI e lí ha numerosissimi amici.
Sparare una battuta malevola, a vanvera, contro una persona (“tutti e due?”) rivela soltanto meschinità, per di piú con la protezione pusillanime dell’anonimato.
Carlo Crovella ha detto:
28 Agosto 2024 alle 13:13
[…] Direi che quasi tutti i miei amici di montagna, anzi direi proprio tutti, si sono sposati attraverso conoscenze avvenute nell’ambite delle attività del CAI.[…]
tutti e due?
Avanzate pure le legittime critiche, ma senza quel tono che, più o meno imp,licito, sa di scandalo per quello che fa il CAI, o il singolo PG o la sezione o l’istruttore ecc. nessuna realtà è esente da errori, contraddizioni, cose incim oprnsibili ecc. ognuno deve valoutare se si trova bene o meno nel sua realtà di socio. tra l’altro si parla genericamente di CAI, come se fosse una cosa uguale in tutta Italia, ma in realtà le situaizoni contingentui variano moltissimo da sezione a sezione, addirittura nella stessa città dove ci sono due sezioni, ci sono persone che si trovano 2bene” in una e “male” nell’altra. Nessuno vuole “sbattere” fuori, dico che se vi sentite così infastiditi dalla realtà del CAI, non vi trovoi intelligentui a insistere nel rimanere soci. A differenza di decenni fa, oggi esistono infiniti altre ipotesi associative (UISP; FASI, singole ASD) dove ognuno può trovare la sua collocazione ideale. oppure se uno è un tipo 2individualista2, può fare benissimo della montagna a titolo personale senza obbligatoriamente esser socio del CAI o di altre istituzioni. Circa il diritto di critica dei soci, se davvero volete esser concreti, anziché limitarvi a strillare, dovete (come già detto milioni di volte) andare in assemblea dei delegati, iscirvere il vs intervento nell’odG, perorare la vs idea, impegnarvi in un battaglia assembleare, vincerla e poi attuare la proposta nel concreto. Ma nessuno di voi, neppure choi è socio da decenni e si dichiara scontento del CAI, si tira su davvero le maniche per cambiarlo. E allora non resta che andarvene, non perché sbattuti fuori, ma perché una persona razionale dice “lì sto male, cerco un altro posto dove stare meglio.”. tutto questo, poi, che cappero c’entra con la spedizione? io sto bene nel CAI, mi sento a casa mia, lì ho i miei amici (tantissimi), faccio le cose che mi piacciono, ma tutto ciò è indipendente dalla spedizione. Se fossero arrivate in vetta, la mia posizione sul CAI non sarebbe più entusiasta, così come non sono deluso dal CAI perché non sono arrivate in vetta. Il più delle volte si sputa veleno sul CAI a prescindere dal tema sul tavolo, ma per una infelicità personale di fondo verso il mondo istituzionalizzato.
Che c’entra l’ironia? Fai discorsi seri! il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi
@crovella
vuoi ridere? sono socio CAI anch’io!
Ah, già… dimenticavo! Tu non sai ridere.
A tal proposito, se hai il dubbio che uno usi l’ironia, la satira o cose del genere… ecco: chiedi a degli amici prima di rispondere.
Michele, è tutta ideologia autoritaria:
non sei d’accordo? Te ne vai!! Ti togli da romperci le scatole.
Questo è il rispetto che hanno certe persone delle opinioni altrui.
Ma questa cosa che bisogna dissociarsi o andarsene dal Cai se alcune cose non stanno bene dove l’avete imparata? Sapete vero che, all’interno di un’associazione, è possibile criticare e accettare le critiche in modo maturo e democratico. Se ritengo sbagliate alcune scelte di questa presidenza, e per me ce ne sono parecchie, posso liberamente farlo presente e discuterne. Anche perché le presidenze (fortunatamente) passano, il Cai resta. Quindi non servono buttafuori da tastiera che, senza sapere a chi si rivolgono, invitano a stracciare la tessera. Il Cai è un’associazione di appassionati che conta 350.000 soci, centinaia di sezioni e 160 anni di storia, probabilmente alcuni l’hanno scambiato per San Siro e adottano atteggiamenti da ultras che si innervosiscono se gli tocchi la squadra del cuore.
Grazie per la spiegazione di “caiano”.
Vedi Crovella la tua arroganza si vede anche dai termini che usi:
– disprezzo.
non c’è nessun disprezzo caso mai critica.
-irrilevanti.
Nessuna persona è irrilevante, anche se numericamente in netta minoranza
-Romperci.
Si chiama diritto di critica, di denuncia.
-invidia e gelosia.
Ma di cosa???
Fonte?
Il tuo circolo di conoscenti?
dei quasi 350.000 soci CAI, un piccolissima schiera continua a esser socio pur disprezzando il CAI. Se togliamo questi ultimi, che sono numericamente irrilevanti, i soci CAI sono complessivamente felici di far parte del CAI. sarà una autoillusione? non credo, ma anche fosse, lasciateci vivere tranquilli e non continuate a romperci con le vostre esternazioni che sono solo manifestazioni di invidia e di gelosia perché i caiani sono felici di stare a casa loro, cioè nel CAI.
Grazie Riky, vengo in salopette Trabaldo e cintura da sub coi piombi.
@33
posso avanzare l’ipotesi che crivella sia un “caiano”
vedi tu se trarre la definizione dal Devoto-Oli o dallo Zingarelli
ps: tutti quelli (quelle) che erano in zona k2 non erano “caiani” ma la spedizione temo lo fosse.
egr. Crovella: a lei la prossima
egr. Cominetti, i miei più cordiali saluti, la attendiamo con ottime libagioni e tiri ottimamente chiodati per tutti i palati
Crovella, come te non c’è nessuno.
Il tutto è relativo. Per i detrattori del CAI il termine caiano viene usato come dispregiativo, a volte con ironia a volte senza, poco rileva. Costoro assumo che in assoluto il termine caiano non possa che aver un sottofondo di negativo. Io invece, che mi trovo bene nel CAI, come il.99% dei circa 350.000 soci, ho rivoltato la frittata, già da tempo, e uso il termine caiano dandogli una connotazione positiva. Chi sta bene nel CAI, chi si sente a casa sua, chi è felice di esserne socio non deve vergognarsi di essere caiano, anzi. Sono gli altri, gli invidiosi, i gelosi, gli infelici che, vedendoci contenti di far parte del CAI, “mangiano chiodi” (tipica espressione torinese, chi vuole capisce il significato).
Ricky
#35: grandiosa la tua definizione, leggera e direi quasi venata d’affetto, manca però di una particolare caratteristica: il vero Caiano DOC è assolutamente tetragono all’umorismo e all’ironia (il che risponde anche al tuo #37).
Ci sono esempi di Caiano Minore dotati di ironia e umorismo e si distinguono dal Caiano DOC perché:
1) ricoprono solo cariche sociali minori
2) vanno in montagna e ci vanno bene e talvolta molto bene
Ricordo a riguardo un bel filmato su Youtube di istruttori di una nota scuola torinese su lockdown e alpinismo.
@crovella
mutuo da un pessimo giornalista :
TOCK TOOOOCK, c’è qualcuno in casa?
Ma ti hanno mai parlato dell’ironia?
Ma quando guardi Zelig cosa fai? Spacchi il televisore?!?
Dai, sinceramente….
Poi l’amico del commento ha chiesto cosa vuol dire “caiano”.
In maniera (spero) simpatica credo di averli dato una risposta corretta.
Chi ti da del “caiano” pensa a questa cosa qui (con magari qualche sfumatura diversa, ma in soldoni…)
@33: il35 è la solita versione sbeffeggiativa e irriverente per gettare discredito. Può darsi che alcuni risvolti siano anche fondati, ma non tutti e in ogni caso non in tale intensità. Sicuramente è infondata l’affermazione che il caiano non crea coppia con la caiana, perché il CAI è un’efficiente agenzia matrimoniale… In oltre 50 anni da socio, oltre ad aver incontrato mia moglie nel CAI, posso testimoniare in merito a decine e decine di coppie formatesi grazie alla comune frequentazione del CAI. Direi che quasi tutti i miei amici di montagna, anzi direi proprio tutti, si sono sposati attraverso conoscenze avvenute nell’ambite delle attività del CAI. Ma questo è un risvolto collaterale, che cito solo per sottolineare che chi usa il termine caiano in senso dispregiativo è in realtà roso da invidia e gelosia, da infelicità e frustrazioni personali.
Per me caiano ha un significato positivo, ovvero io attrobuisco al termine un significato positivo e intendo uno che ha una mentalità per cui, genuinamente e senza forzature, “sta” bene nel CAI, è felice di farne parte, lì si sente a casa, l^ svolge le mansioni che lo rendono felice (ciascuno ha la sua, dal bibliotecario all’istruttore), lì ha trovato i suoi amici di montagna e continua a frequentarli magari dopo decenni e decenni di amicizia.
Maggiori delucidazioni sull’essere caiano (in positivo) nell’articolo: https://gognablog.sherpa-gate.com/caiano-sara-lei/
@32
Caiano:
aggettivo
ca-ià-nò
Dicesi con accezione dispregiativa ma non troppo per descrivere un frequentatore della montagna di scarso valore, rigorosamente tesserato CAI. Si muove a piccoli gruppi, di solito tra i 4 e i 10 individui spesso distinguibili per gerarchia.
“ero in falesia poi è arrivata un’orda di caiani”.
Solitamente innocuo per gli altri, il caiano può essere letale durante il CORSO, durante il quale i caiani si riuniscono in branchi talvolta numerosi sperando di apprendere qualcosa e magari accoppiarsi nottetempo.
Indottrinato ed educato da figure di casta diversa, gli ISTRUTTORI,
principalmente gli aspiranti caiani cercano di sopravvivere nella trasformazione dalla teoria alla pratica di manovre di corda, spesso fatte con l’uso di tecnologie e materiali databili alla Grande Guerra.
Storicamente vestito Montura, il caiano diventa quindi un onesto frequentatore delle discipline della montagna nelle quali non solo non eccelle, ma sovente è estremamente scarso. Si distingue dai frequentatori non caiani per la disciplina e la precisione con le quali svolge tutte le manovre di progressione e sicurezza. Sempre attrezzato anche per il diluvio universale, perde più tempo a organizzare una calata che a salire il tiro, commentando in seguito con i compagni le terribili vicissitudini delle manovre.
Il ciano prima e dopo il corso non ha diritto di parlare all’istruttore.
Il caiano non ha nessuna speranza di accoppiarsi con la caiana.
Crovella, ma davvero?
Ma che sia stata una semplice provocazione non ci arrivi?
Vorrei sapere cosa significa essere “caiani” e avere quindi una mentalità “caiana”. Grazie a chi mi risponderà seriamente.
Con tutto il rispetto per la Torretta, le affermazioni in fondo all’articolo del commento 27, sono anacronistiche.
L’acrimonia con la quale si insiste su un’iniziativa col senno di poi un po’ raffazzonata, è del tutto indipendente dall’iniziativa in sé. C’è una pletora di gente, che sfoga la propria frustrazione e infelicità contro tutti i totem del sistema istituzionale. Il CAI è uno di questi (ovviamente per chi bazzica nel giro della montagna), tutto qui. I dettagli tecnici della spedizione sono irrilevanti. certo, col senno di poi andava preparata meglio 8vedi mie considerazioni al punto 6), ma non è un dramma e guardiamo al domani: il CAI ha altri obiettivi che stare a macerarsi sulla spedizione in quesitone. Invece chi “odia” il sistema istituzionale nel suo complesso, per definizione detesta anche il CAI, che di tale sistema è espressione esplicita. Ma ho già detto milioni di volte che il CAI non è la casa di tutti, bensì la casa dei caiani. Chi non ha la mentalità per cui si trova bene, genuinamente, nel CAI, è STUPIDO se insiste nel volerci stare, criticandolo a prescindere. C’è tutto il mondo da perlustrare, vada per i fatti suoi.
@26 MAI detto che la spedizione al K2 sia stata una “gita sociale”. L’estratto è riferito ad altro tema, molto diverso dall’attuale, cioè quello del messinese che ha difficoltà economiche ad andare in Dolomiti. Affermo (fondatamente) che nelle sue iniziative a favore dei soci, il CAI NON ha l’obiettivo di erogare sostegni finanziari ai singoli per uscite individuali, ma al massimo il CAI organizza delle gite sociali, che, abbattendo grazie al numero di partecipanti, i costi individuali, possono essere strumenti che vanno indirettamente incontro alle esigenze economiche dei singoli. Ma questa affermazione (fondata) non c’entra un fico secco con le spedizioni organizzate dal CAI, che sono un altro ramo di attività, completamente indipendente dalle gite sociali a favore dei soci. mescolarle vuol dire avere un minestrone in testa da non capire nulla della realtà in cui si vive. Circa il K2, ho espresso la mia analisi in un precedente intervento, mi pare al punto 6, magari rileggi più attentamente e, forse, capirai meglio.
Domanda, non retorica: Alessandro Filippini ha mai salito il K2?
E la risposta di Filippini.
https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/spedizione-femminile-k2-70-alessandro-filippini-risponde-anna-torretta.html
Il punto di vista di Anna Torretta:
https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/anna-torretta-risponde-polemiche-spedizione-femminile-k2-70.html
Ma tanto Crovella ha detto che quella al K2 è stata una gita sociale…
fermateli, prima che organizzino CT-70 nel 2029
anche se in questo caso, il probabile fallimento, è la giusta celebrazione
CT ovvio è Cerro Torre
Questa “relazione” va benissimo per il caiano medio. Per chi, socio Cai, si pone delle domande e va anche poco oltre l’accettazione supina di tutto quanto gli venga propinato, lascia un po’ di stucco.
E non è che dissociandosi dal Cai queste cose non possano più accadere. Quindi la proposta di farlo è fuori luogo e soprattutto NON è un argomento.
Le ragazze non hanno colpe (spero tanto che le abbiano pagate) se non sono arrivate in cima. Avranno avuto i loro buoni motivi.
Fa solo “tenerezza” un racconto che cerca di salvare la faccia, quando si sa che i fallimenti in montagna sono cose di ordinaria amministrazione . L’importante è sempre riportare la pelle a casa e questo per fortuna è successo. Ed è il vero successo!
Una cosa è certa: di gente arida ed invidiosa il mondo è pieno e le “riflessioni” di chi ha parlato (spesso a sproposito) in questi giorni ne sono la conferma. Non vi va bene il CAI? Dissociatevi. Non vi bene l’Italia? Andate pure in un’altra nazione ma basta, per favore. Basta.
Questo comunicato è per idioti.
Sintesi del resoconto: “A chi il K2? A noi! Vincere, e vinceremo!
Una spedizione sponsorizzata tutta al femminile che come capo spedizione ha un uomo è la cosa
Una spedizione sponsorizzata tutta a femminile che come capo spedizione ha un uomo è la cosa più maschilista che di poteva fare!
La comunicazione è mancata fin da subito, il gruppo è apparso eterogeneo e inesperto da molto prima. Parlare di alpiniste bravissime e fortissime quando sono arrivate, vomitando e con la nausea e il mal di testa strapiene di farmaci a fatica a C3 con una tattica che con l’acclimatamento non ha nulla a che vedere mi pare un pò fantasiosa come spiegazione. Forse una era acclimatata e avrebbe potuto farcela, ma è stata messa da parte a favore di nomi più blasonati e inesperti.
Si vocifera che le guide alpine fossero pagate,ma solo.le guide alpine..fosse vero sarebbe davvero assurdo!
“Ci siamo divertite”
Come ae fosse il leit motive di tutto.
Davvero un modo molto semplicistico di descrivere una spedizione finanziata con soldi dei contribuenti e soci CAI e con più ombre che luci.
Ma di Lamantia non parla (quasi) nessuno? Tutto il clamore mediatico sul carrozzone by CAI e CNR fa passare in secondo piano l’impresa del team biellese.
Spedizione totalmente anacronistica, che tentava di rinnovare (a parole) il giocattolo in un modo che sembrerebbe proprio parafrasare il Tancredi:«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Non posso giudicare l’operato di Da Polenza: il suo curriculum parla per lui e credo che ci siano poche persone in Italia in grado di guidare una spedizione sul K2. Quindi, al di là di tutto, complimenti. Certo la retorica che trasuda dal suo scritto non mi piace per nulla, ma credo che per poter leggere qualcosa di diverso in seno al CAI ci sarebbe voluto ben altro coraggio. Peccato!
Io non seguo l’acrimonia verso il Cai e piuttosto mi pongo un’altra domanda : queste quattro alpiniste sono DONNE , e nella societa’ attuale e’ assolutamente obbligatorio promuovere le loro iniziative , dire che sono 3 volte migliori degli uomini e 12 volte piu’ intelligenti.
.
Siccome le testimonials scelte sono certamente fra le migliori possibili , e’ stato sbagliato l’obiettivo , oppure c’e’ qualcos’altro che e’ andato storto ?
Nives Meroi che ha fatto una spedizione per i 50 anni con Lottomatica come sponsor?
Grandi valori!
@michele
Semblicemente non capisco le sue perplessità ovvero:
Quali sono le questioni organizzative taciute?
I costi esorbitanti sono 400 mila€?
Una valanga di soldi spesi per una spedizione praticamente commerciale, senza raggiungere l’obiettivo iniziale, per sentirsi poi dire….abbiamo conosciuto i valori della fratellanza ….. l’attuale direttivo del Cai dovrebbe dimettersi dopo una figuraccia del genere. Trovo giustissime le parole ed il pensieto di Nives Meroi che ha si raggiunto la cima del K2 assieme al marito Romano Benet ma in modo molto più corretto dal punto di vista alpinistico e senza tutta sta prosopopea messa in atto dal Cai.
@10 Classico esempio di un “non caiano” che si incaponisce a stare nel CAI in cui non si riconosce… Ma c’è tutto il mondo da esplorare, perché insistere sul CAI che, per definizione, ha una mentalità completamente diversa da costui?
@lucanardi
A me pare che i dubbi espressi dal giornalista Filippini fossero leciti e non abbiano ricevuto risposte adeguate. Si è ammessa in parte la natura “anacronistica” della spedizione, i costi esorbitanti e altre questioni organizzative sottaciute. Possiamo almeno ammettere che la comunicazione non sia stata delle migliori, come in altre occasioni? Possiamo o è lesa maestà? Comunque, basta leggere le risposte, se per lei sono ok e la convincono, va bene. A me no. Se per lei questa presidenza è il meglio per il Cai, va bene uguale, le lascio ogni convinzione. Per me assolutamente no e non devo essere io a “rinnovare” la mia mentalità. Excelsior!
@michele
Quali sarebbero le risposte raffazzonate?
E comunque anche il Cai spera in un rapido rinnovamento della mentalità di alcuni soci 🙂
Credo sia l’ennesima figuraccia della presidenza del Cai. Confermata anche dalle risposte raffazzonate date dal presidente e pubblicate da Il Dolomiti in merito ad alcuni dubbi sulla spedizione. Altro che innovazione, mi pare che il Cai negli ultimi anni abbia fatto tanti passi indietro. A questo punto spero anche io in un rapido rinnovamento… dei vertici del Cai.
Ma che ricorrenza sono i 70 anni?
In un’ottica celebrativa, l’idea non era male: festeggiare i 70 anni del K2 con una spedizione tutta al femminile, un tocco di 2modernità di pensiero” (che io personalmente trovo un po’ tirata per i capelli, ma che oggi fa figo). Nulla c’entra la capacità alpinistica delle donne coinvolte, tutte bravissime.
Col senno di poi, l’impressione è che l’idea sia emersa troppo tardi. Occorreva partire molto prima, per esempio: già nel 2022 mettere insieme un primo abbozzo della squadra, fare ripetuti stage in quota (sulle Alpi) nell’inverno-primavera 202/23, nell’estate 2023 fare una prima spedizione himalayana su una montagna meno impegnativa (un 7000 o un 8000 più facili), in tale spedizione 2023 verificare e oliare tutti i meccanismi, le compatibilità o meno fra le persone, l’adeguatezza o meno (anche fisica) di certe persone alle alte quote himalayane, poi fare ancora una serie di ulteriori stage (Alpi) nell’inverno-primavera 2023/24, poi infine la spedizione principale. A quel punto partici con tutto a posto, ora si è partiti quando si era ancora “in prova”…
Il fatto che si commettano errori nelle attività che NON riguardano la stragrande maggioranza dei soci CAI (ma chi ha mai pensato, a titolo individuale, di andare in cima al K2? Qualcuno sì, ma saranno quattro gatti in croce, molto capaci alpinisticamente, ma solo quattro di numero), nulla pregiudica sul piacere dei soci “normali” di far parte del CAI. A me piace far parte del CAI mica perché organizza le spedizioni himalayane, ma per quello che ci faccio “dentro” e quello che ne traggo e le persone che ho conosciuto e che continuo a frequentare. questo è il senso del Club, di un qualsiasi “club”. Come dico sempre, il CAI non è la casa di tutti, ma è solo la casa dei caiani: infatti solo chi ha una certa mentalità (“caiana”) si sente a suo agio dentro all’associazione. Per gli altri… c’è tutto il mondo da perlustrare, non stiano sempre a rompere il CAI qui, il CAI l’, il CAI deve controllare i prezzi nei rifugi, il CAI deve portare tutti in montagna, ma lasciare che ciascuno ci vada come gli va….ecc ecc ecc. Non vi piace il CAI? Aria!
Di Agostino Da Polenza ho apprezzato:
1) L’esortazione a Federico Secchi di proseguire verso la vetta.
2) Il consiglio a Marco Majori di rinunciare, pena la morte.
3) La richiesta a Benjamin Védrines e a Sébastien Montaz-Rosset di prestare assistenza nella discesa dal campo 3.
Sono decisioni degne di un capospedizione.
P.S. Come si faceva quando non esistevano le radio? Si faceva senza!
Il CAI resta ancora un vecchio carrozzone che va avanti per inerzia grazie alle glorie di un tempo. Condivido pienamente quanto detto da Nives Meroi. Per quanto riguarda la Mingolla e la Loreggian, fortissime alpiniste che certo non avevano bisogno di questa “spedizione forzata”.
Sono comunque encomiabile questi tentativi del CAI di sortita dalla sua ridotta muffosa e sbrecciata, difesa dalle truppe zuave dei vari caporali crovella e commilitoni.
Conquistare posizioni nell’attuale campo aperto dell’outdoor è però difficilissimo, tenerle sarà impossibile.
Gli aquilotti non si capisce se sono usciti dal nido,vse formano una squadra unita o volacchiano per conto loro.
Diciamo che il tentativo di formare un gruppo senza una coesione o progetto autonomo ma sotto tutoraggio è destinato al fallimento. Insomma continueremo ad avere, ragni, scoiattoli, ma non anatroccolo.
Aspettiamo il 2034: 80 anni di k2. Che spedizione si inventeranno?
In sintesi:
1) La spedizione K2-70 era stata presentata ufficialmente come femminile, composta da quattro italiane e quattro pachistane.
2) In realtà dalla relazione si apprende che, di fatto, ne faceva parte anche l’alpinista pachistano Ali Durani.
3) Trattandosi di una spedizione pesante, c’erano anche portatori d’alta quota, pachistani.
4) La vetta è stata raggiunta da:
– Ali Durani, alle ore 9 del 28 luglio, con l’ossigeno.
– Due anonimi portatori d’alta quota, alle ore 7.30 del 29 luglio. Si ignora se con l’ossigeno. Non se ne conoscono i nomi, taciuti nella relazione.
5) La cima è stata raggiunta anche dall’alpinista italiano Federico Secchi, alle ore 17 del 29 luglio. Pare di capire che questi fosse membro di un’altra spedizione, anche se Agostino Da Polenza informa che “organicamente” era diventato parte della K2-70.
N.B. Non ho assolutamente nulla contro le ragazze della spedizione K2-70. Però detesto le grancasse mediatiche, specie quelle anticipate.
Non ho letto tutta questa cronaca di un fallimento annunciato:narrazione di saliscendi senza anima simile a mille altre e in piu impastoiata in una retorica patriottarda.
Mi ha colpito il finale “grande spedizione del 1954 e tutti gli uomini che la composero”
Gli uomini che la composero come genere sono spariti dell’orizzonte travolti da un furore ideologico imbarazzante.