Ricordo di Renato Casarotto

Ottobre 1978, Alagna Valsesia: comincio a conoscere più da vicino Renato, in occasione delle preselezioni al corso aspiranti guida. In seguito, metà dicembre, ci ritrovammo in riunione con Messner per programmare la Magic Line al K2. Lì scoprii che anche Renato aveva paura di non superare la parte di corso relativa allo scialpinismo: in effetti le nostre tecniche di discesa erano ab­bastanza approssimative… Decidemmo di allenarci assieme, per non sfigurare. Andammo così a Courmayeur qualche giorno a farci sgrezzare da Renzino Cosson e poi anche in Valle Stura di Demonte da un comune amico maestro di sci. Facemmo dei bellissimi fuori pista nella neve fresca e nello stesso tempo ci esercitavamo a stare insieme, perché pensavamo che al K2 così tutto sarebbe sta­to più facile. Gli ultimi ritocchi alla preparazione e all’equi­paggiamento ce li demmo a Champoluc, in occasione delle ultime gite prima del corso di Bormio.

Renato Casarotto al corso Guide, aprile 1979

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Una volta giunti là ebbi l’im­pressione che tutti pensassero a Casarotto come il primo della classe. Lui non faceva niente per esserlo, conscio com’era dei suoi limiti in quella specialità. Eppure l’impressione era quel­la. Sembrava che Renato dividesse la vita in momenti normali (che gli interessavano poco) e in momenti veri: sciare bene per lui faceva parte dei primi. Ma quando si trattava di bivaccare fuori in un igloo e poi di battere pista in salita sulla neve fresca e con gli sci sulle spalle, Renato si trasformava completamente e tutti avevamo chiara idea del perché gli riuscisse così bene fare le grandi imprese. Chi è un po’ invidioso, chi vorrebbe ma non può, travisa facilmente la discrezione naturale e la grande tena­cia, pensando che siano superbia ed eccessiva ambizione. Così tutti lo rispettavano, ma pochi capivano come Renato realmente fosse.

Parlando con Messner prima di partire per la spedizione avevo a­vuto l’impressione che anche Reinhold fosse tentato di attribuire a Renato una parte di questi aspetti negativi di carattere. Sem­brava quasi che ne cercasse conferma da me, che lo conoscevo me­glio e che avrei fatto vita comune con lui per quasi tre mesi. Il rispetto che avevamo entrambi per l’imponente quanto cristallina attività alpinistica di Renato ci impedì di parlarne chiaramente subito: e così al primo confronto importante le cose non si mise­ro bene. Ancora scossi per la morte di un portatore, il 13 giugno 1979 ci trovammo nella tenda mensa del campo base a discutere per la prima volta se era il caso di insistere con il progetto Magic Line. Nella sostanza ci trovammo d’accordo, e qui non è il caso di ricordarne le ragioni, di abbandonare quell’idea e di concentrarci sulla salita in stile semi-alpino dello Sperone A­bruzzi. Tutti d’accordo, meno Renato. Alla spedizione interessava il successo quasi sicuro, a Renato premeva il confronto con una grande idea, con una grande montagna molto più forte di noi. Sa­peva anche lui di non avere ancora quell’esperienza himalayana per poter essere certo dei suoi sentimenti, ma se fosse stato per lui bisognava partire a testa bassa per la Magic Line.

Da quel momento iniziò il graduale autoestraneamento dai nuovi o­biettivi della spedizione. Partecipò ai lavori, ma poi si dovette arrendere alla mancanza di motivazione interiore. Ricordo come dal campo II guardava con intensità quello che poi nel 1983 sa­rebbe diventato il suo sperone all’Anticima nord del Broad Peak. Sognava ad occhi aperti una salita solitaria, senza nessuno con cui dover prendere delle decisioni in comune. Questo me lo con­fidò in una notte di bufera, ma io l’avevo già capito. I rapporti tra Reinhold e Renato si diradarono, anche se la cosa lì per là passò quasi inosservata a causa di altri problemi più gravi tra Messner e Schauer. Eppure al campo base la convivenza proseguiva serena, il disaccordo non degenerò mai. Nei giorni di brutto tem­po Renato si preoccupava molto del suo essere in ordine, soprat­tutto curava i suoi capelli, terrorizzato com’era di essere sulla via di perderli.

Renato Casarotto

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Al ritorno dal Pakistan, poche settimane dopo, ero con lui nella stessa stanza dell’Hotel Bagni di Màsino, per il corso di ghiaccio e misto. Mi disse di volere a tutti i costi tornare al K2 per fare la Magic Line da solo ma mi pregò di non dirlo a nessuno. Era chiaro che aveva riflettuto a lungo e che non condivideva minimamente le motivazioni alpinistiche di una qualunque spedizione a più elementi. Reinhold invece mi mostrò in seguito dei ritagli di giornale di provincia in cui, secondo il giornalista, Renato dava tutta la colpa a Messner per il mancato successo alla Magic Line del K2. Ero amareggiato, e sapevo che come al solito ba­sta dare alla stampa un mignolo perché ti prendano tutto il braccio.

K2 Messner Expedition, 1979

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Un mo­mento molto bello vissuto ancora assieme fu la salita della plac­ca di Nuova Dimensione in Val di Mello. Allora quella salita di pura aderenza su placca liscia di granito, senza alcuna protezio­ne valida per il capocordata e con soste dubbie, era considerata una realizzazione nuova e provocatoria dei Sassisti. Renato se la cavò egregiamente, ma non fu una passeggiata. Ricordo come, a dieci metri da me che lo “assicuravo”, si dondolava sulle suole lisce delle EB, senza decidersi a fare l’ulteriore passo. E la mangiata di mirtilli che ci facemmo dopo Luna Nascente chiude le immagini serene: dopo non ebbi più modo di seguirlo così da vici­no nei suoi grandi exploit verso il tragico epilogo del suo de­stino.

Gian Carlo Grassi, Renato Casarotto e Gianni Comino al rifugio Monzino

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Per informazioni su Renato Casarotto: http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Casarotto

postato il 26 maggio

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Ricordo di Renato Casarotto ultima modifica: 2014-05-26T07:10:03+02:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Ricordo di Renato Casarotto”

  1. Invio questo ricordo di Renato Casarotto con cui ho “fatto” l’Apostolo, mi pare nel 1972 (sotto la pioggia e con gli anfibi riciclati che usavo abitualmente al Buso della Rana, da suo scadente “allievo”).
    L’intervista con Eugenio De Gobbi era stata pubblicata nel 2006 (per il 20° anniversario) sul vicentino “La Voce dei Berici” settimanale locale, ma forse, a ormai 30 anni dalla tragedia, è ancora interessante. Soprattutto per chi non lo ha conosciuto.
    GS

    UN RICORDO DI RENATO CASAROTTO
    Nel 1986, mentre attraversava un ghiacciaio himalaiano, perdeva la vita il vicentino Renato Casarotto, in quel momento uno degli alpinisti più noti non solo in ambito nazionale. Ne Abbiamo parlato con Eugenio De Gobbi, presidente del CAI di Vicenza e rappresentante all’assemblea dei delegati.
    D. Come hai saputo della morte di Renato? Era un’eventualità a cui avevi pensato in precedenza?
    R. L’ho saputo un paio di giorni dopo l’incidente, incontrando per strada suo cognato. Goretta dal campo base aveva informato un loro amico, Claudio Fadiga, che ha avuto l’ingrato compito di informare la famiglia.
    La notizia mi giunse inaspettata. Ormai, come tutti gli amici del Cai, mi ero abituato a vederlo partire per le sue imprese, sapendo che ci saremmo rivisti. Naturalmente in montagna il rischio è sempre presente, ma nel suo caso sembrava alquanto improbabile; era prudente, molto esperto…Poi, ripensandoci, mi sono detto che in effetti, passando e ripassando sui ghiacciai, una cosa del genere poteva accadere…Era un solitario, stava ritornando per la “normale” da un tentativo sul K2. Era pomeriggio; in quel punto al mattino erano passati altri alpinisti e non era accaduto nulla; ma i ghiacciai si muovono, forse quel “ponte” si era indebolito e ha ceduto, si è rotto…
    D. E’ stato possibile ricostruire la dinamica dell’incidente?
    R. Nel suo libro l’alpinista Kurt Diemberger racconta che, mentre osservava il ghiacciaio dal campo base, aveva visto “un puntino” che scendeva…e che poi era scomparso. Aveva subito pensato che potesse essere Renato. Allora era andato da Goretta chiedendole se lo aveva sentito per radio. Non era ancora l’ora dell’appuntamento, ma aveva acceso…e così aveva comunicato di essere caduto nel crepaccio. I soccorsi erano partiti immediatamente; i soccorritori si calarono nel crepaccio e sono riuscirono ad estrarlo. Renato è morto dopo circa venti minuti.
    D. E non lo hanno riportato al campo, mi pare…
    R. Infatti, lo hanno deposto nel ghiacciaio. Due-tre anni fa è stato ritrovato e sepolto nella morena, accanto ad altri alpinisti.
    D. Tu lo hai conosciuto anche fuori dall’ambiente del CAI.…
    R. Soprattutto era un amico; abbiamo lavorato insieme per molti anni in ferrovia. Venne assunto negli anni settanta come operaio, poi seguì dei corsi di specializzazione per infermiere, restando sempre a lavorare in ferrovia. Ha lasciato il lavoro al momento di andare in solitaria sull’Huascaran, in America Latina, una delle sue prime imprese a livello internazionale. Prima era stato sul Nevado Huandoi con Agostino Dapolenza…
    D: Avete anche arrampicato insieme?

    R. Soltanto in Dolomiti, oltre che sulle nostre Prealpi. Ricordo la via “Buhl” della Cima Canali (Pale di San Martino), la “Costantini Apollonio” sul pilastro della Tofana di Rozes…
    Con lui hanno sicuramente arrampicato di più altri alpinisti vicentini come Adriana Valdo, Giacomo Albiero, Diego Campi, Ugo Simeoni, Pierino Radin; una delle sue prime vie fu con Piero Fina…
    Abbiamo tenuto insieme alcuni corsi-roccia del CAI, mi pare nel ’75 e nel ’76…
    D. Com’era da alpinista?
    R. Era una persona molto sicura, decisa, determinata, con una forza eccezionale. Si muoveva con grande sicurezza e comunque era sempre lui il “capo cordata”.
    Ricordo che fu il primo ad allenarsi in modo sistematico, non solo in vista della “stagione estiva”. Non beveva vino, controllava la dieta…negli anni settanta era un’eccezione. In questo è stato un anticipatore, soprattutto sul metodo. Arrivava in “Gogna” (palestra di roccia nda) di corsa, arrampicava e se ne tornava a casa correndo. Che io sappia è stato il primo vicentino (uno dei pochissimi, comunque) a diventare alpinista di professione…prima di lui c’era stata soltanto qualche guida alpina.
    D. E in compagnia?
    Era allegro, simpatico; sempre molto determinato nelle cose che doveva fare, ma socievole. All’inizio quando presentava le sue diapositive in qualche serata, poteva sembrare non troppo “brillante” (anche perché a lui interessava l’impresa alpinistica, non le fotografie), ma poi era molto migliorato, anche grazie alla moglie Goretta.
    D. Qualche anno prima era già andato sul K2, con una spedizione guidata da Messner. So che ci furono dei contrasti, me ne aveva parlato Sandro Gogna che prese le parti di Renato…
    R. La prima volta sul K2 era in programma “MAGIC LINE” via su uno “sperone”, vicino a quella che poi tentò di realizzare nel 1986. Messner sosteneva che non era fattibile, mentre lui avrebbe almeno voluto provare.Comprese però che Messner non avrebbe mai permesso a qualche altro membro della “sua” spedizione di tentare; da quel momento si è sentito messo da parte. Inoltre entrambi avevano un contratto con la stessa marca di attrezzatura alpinistica; è possibile che anche questo abbia influito.
    D. A Renato Casarotto è stata dedicata la pista ciclabile che da Vicenza porta a Debba e a Longare. Non pensi che si potrebbe fare qualcos’altro per la sua memoria?

    R. In effetti almeno una via, la città di Vicenza potrebbe dedicargliela. E’ stato uno dei più grandi alpinisti. A parer mio, per la sua epoca, Renato è stato fuori da ogni parametro. Le sue spedizioni, lui e la moglie, una tendina e nient’altro, sono “anomale” anche nella prospettiva dei nostri giorni. Sul Fitz Roy, quando salì in solitaria il “Pilastro Goretta” (ormai diventato per gli alpinisti “Pilastro Casarotto”) dovettero resistere per tre mesi, a causa del maltempo. All’inizio erano in quattro, ma gli altri due “mollarono”. Saliva un tratto, poi doveva rientrare per il cattivo tempo. E restare in tenda, al campo base, in attesa di una schiarita per poi risalire un altro pezzo della via…Sicuramente aveva una grande stabilità emotiva e quando prendeva una decisione era un “carro armato”. Tornando alla tua domanda, è encomiabile che gli alpini di Arcugnano abbiano dedicato a Renato Casarotto la sezione locale dell’ANA.
    D. Dovendo consigliare qualche lettura a chi volesse saperne di più?
    R. C’è il libro scritto da Renato, “Oltre i venti del Nord”, con prefazione di Walter Bonatti. E poi il libro scritto dalla moglie “Goretta e Renato Casarotto, una vita tra le montagne”, ancora con la prefazione di Bonatti, dove la sua personalità, sia come uomo che come alpinista, emerge con nitida precisione.
    (Gianni Sartori)

  2. mi permetto, tardi, dopo aver letto la sollecitazione importante che Alberto Peruffo ha affiancato a quanto sopra proprio in questi giorni, di scrivere per dirvi che proprio su Renato, sulla sua vita così normale e così incredibilmente irraggiungibile, sulla indissolubile complementarietà emotiva di Goretta, ho, con alcuni amici (professionisti della parola e del teatro ma, prima di ogni altra cosa amici), prodotto uno spettacolo teatrale dal titolo “DUE AMORI; STORIA DI RENATO CASAROTTO”. Non uso questo post per pubblicizzarlo ma per invitarvi a vederlo, ad essere lì perché, ma è solo un mio modesto parere, di immaginario, di emozioni e di storia umana ce ne è moltissimo. Credo che sia un contributo prezioso al ricordo, non retorico, di Renato.

  3. L’ultima foto è impressionante. Questi tre grandi non ci sono più. Adesso qualcuno… mi dirà: ne è valsa la pena?

    Non lo so! Loro hanno fatto quello che ritenevano giusto fare. Quello che si sentivano di fare. Al resto ci pensa qualcun altro…

  4. Ho conosciuto Renato nel ’78. Io avevo appena iniziato ad arrampicare e sognare le montagne attraverso i libri di Rebuffat, Desmaison, Bonatti mentre lui faceva parte di questi grandi alpinisti. Lo avrei capito qualche anno dopo, quando la mia esperienza mi portò a comprendere di più gli uomini di montagna e le loro imprese. Ho avuto la fortuna di scalare con lui a Lumignano salendo in cordata la sua via sullo spigolo dove avevo aperto una piccola variante diretta che apprezzò per l’esposizione. Ne fui felicissimo. Fu il primo a chiodare una linea futuristica con la mentalità di innalzare il livello tecnico dell’arrampicata in falesia (e nello stesso periodo in montagna nel gruppo dell’Antelao). Quella linea su di una pancia grigia e inizialmente strapiombante l’aveva protetta con sole 3 protezioni su 18 metri di cui la prima a 7/8 metri dalla partenza e dopo un passo che ancora oggi richiede un bel blocco… ecco ci aveva aperto gli occhi a dimostrazione che l’arrampicata non era solo muscoli ma autocontrollo. In quelle condizioni dovevi partire sicuro di farcela altrimenti erano guai seri. Devo dire che avendo iniziato a scalare con i Galibier di cuoio e avendo avuto maestri alpinisti come Radin, Albiero, ecc. non eravamo di certo quelli di soli muscoli e poco cervello, ma quella via servì per dare inizio alla mia ricerca verso l’Alpinismo con una nuova visione. In seguito vidi Renato al ritorno dalle sue imprese o nei periodi in cui si allenava per le solitarie e scoprii in lui una energia unica che gli permetteva di andare al limite e alle volte anche oltre. Ora a distanza di trentanni, con un lavoro, una famiglia, dei figli, delle passioni, dove le energie vengono suddivise, incomincio a capire che le scelte di certi super-uomini non siano state per niente facili a dimostrazione di una parte di “fragilità” dell’essere umano.

  5. Alessandro fra le tante cose di cui avrete parlato magari avrete chiacchierato anche delle Pale di San Lucano: montagne a tutti e due molto care. Il gran diedro dello Spiz di Lagunaz da lui salito con Piero Radin anche a te non sarà certo passato inosservato.
    Il nome di Renato Casarotto è legato a tutta una serie di imprese una più incredibile e grande dell’altra. Tutte in un continuo crescendo. E’ impossibile e credo anche sbagliato fare una scelta una classifica.
    E’ stato sfortunato Renato ad incontrare sulla sua strada a pochi passi dal campo quel crepaccio. Forse era stanco molto stanco per rendersi conto del pericolo. O forse oramai vicino al campo, dopo essere sceso dallo Sperone della Magic Line tra mille pericoli, aveva solo allentato la guardia.
    O forse quel crepaccio era li che lo aspettava….

  6. Un ricordo personale che, magari non del tutto, ma certamente dà un grosso spunto, riesce a mettere in luce ciò che era soltanto intuibile a chi non si fosse fermato alle comuni versioni, dettate dall’incomprensione del diverso.
    Essere diversi non è cosa facile, ma la massa ti depersonalizza, la diversità ti esprime!

  7. Scrivere “grande, immenso, unico, ecc, ecc” sarebbe riscrivere il già scritto… io invece mi soffermo a volte sul personaggio “Uomo”, rimango sempre perplesso dalla sua naturale “potenza”, ma da sempre la cosa che più mi lascia confuso è l’Amore di Goretta per il suo Uomo, un amore che supera di gran lunga la forza di Renato, ore e ore, giorni e giorni con l’ansia dentro mentre lui si “divertiva con la sua passione”, mi sembra come l’altra faccia della medaglia, sicuramente una scelta di vita… ma che vita? Da anni cerco la risposta!

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