La montagna e io

La montagna e io
di Giorgio Anghileri
Questo articolo è apparso per la prima volta sulla Rivista del CAI, set-ott 1997, in seguito ancora sulla rivista Uomini e Sport, n. 14, marzo 2014.
Giorgio lo scrisse sei anni prima del suo tragico incidente, quando nel maggio 1997 fu travolto con la sua bicicletta da un TIR nei pressi di Lecco. Aveva 27 anni.
Il 1991 è stata una stagione irripetibile per Giorgio Anghileri. Qui lui ce la racconta, senza citare altre salite come la solitaria della strepitosa via Paolo Fabbri 43 in Val Qualido.

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Non so perché ho fatto tutte queste grosse cose in montagna, tutte insieme nell’estate di questo 1991. E neppure so perché adesso mi metto scrivere di me, nei miei rapporti con la montagna e l’alpinismo: forse una e l’altra cosa sono da mettere in relazione al fatto che tra poche settimane, in dicembre, partirò per il servizio militare. Fare il militare di leva oggi come ieri, anche se oggi non è impegnativo e tremendo come dicono che fosse ieri, significa rompere un po’ con il passato, cambiare certe abitudini e modi di pensare.

Tutto questo deve avermi indotto a fare il punto sulla mia situazione di ragazzo tutto preso da una passione incontenibile per la montagna, risalendo alle sue origini per proiettarla in un futuro che è sempre difficile prevedere.

A casa mia la montagna è presente da sempre, divenuta intimamente una componente di vita: alpinista il nonno Adolfo e papà Aldo, corre sulle nostre orme anche Marco, il fratello minore. Già a 13/11 anni arrampicavo da primo di cordata in Grigna e al Resegone, a 16 anni cercavo traguardi più impegnativi in Dolomiti. Fino a 18 anni mi alterno al comando della cordata, ed i miei compagni a volte sono mio padre o qualcuno dei suoi amici, a volte dei miei coetanei. La passione diventa sempre più forte, la voglia irrefrenabile. Non si limita più al fine settimana: ogni momento libero è un pretesto per arrampicare.

Col passare del tempo le vie che affronto sono sempre più impegnative, i programmi più ambiziosi: ma tutto questo lo vivo e condivido con i miei compagni, con i quali mi lego con un’amicizia che dura tuttora.

La montagna per me non è solo luogo di arrampicata, ma è l’ambiente che mi suggestiona e mi si pone come elemento di riflessione. Dalle Grigne alle Dolomiti, misurarsi con la montagna diventa più difficile, perché bisogna prepararsi a problemi di diversa natura che richiedono prestazioni non comuni: però è sempre montagna, e tutto mi piace e mi affascina. Assaporo la tranquillità che si prova nel sentirsi fuori dal traffico, dai rumori assordanti, dalle convenzioni, dal tempo che stringe e che ti stressa e preoccupa: mi trovo bene a contatto con la natura, con il movimento fisico, con l’azione, con sensazioni ed emozioni intense e profonde. Anche la montagna può far soffrire, ma, dopo aver superato le difficoltà, ti senti fiero di quello che hai fatto e che puoi raccontare agli amici, mentre ti prepara ad affrontare prove maggiori. Anche in montagna, come quando inghiottito dal traffico cittadino, sei in coda, ti soffermi a pensare: ma con quale diversa predisposizione d’animo e condizione di spirito! Uno dei limiti di noi uomini è quello di volersi impadronire del tempo: ma solo quando si è immersi nel silenzio delle vette solitarie, dove il tempo è scandito dalla luce del giorno, si capisce il senso della vita e della sua durata.

Giorgio Anghileri durante la 5a ascensione e 1a invernale della via Casarotto-Radin allo Spiz di Lagunàz (27-31 dicembre 1989)giorgio0004

I pensieri ti assalgono sia al bivacco all’addiaccio sia per strada alla guida di una autovettura confortevole: ma cambiano gli obiettivi e le sensazioni, ed alla rabbia fa posto l’allegria. Mi piace in montagna esprimermi su ogni terreno di azione, perché ritengo riduttivo arrampicare sempre su vie simili ed in ambienti conosciuti.

La voglia di misurarsi su difficoltà sempre più elevate è giustificata dal desiderio di conoscere il limite personale. Non svolgo preparazioni ginniche specifiche e non uso sistemi scientifici. Solo l’arrampicata mi diverte, mentre ogni schema da assimilare mi appare come una riduzione alla mia voglia di divertirmi. Non sento attrazione particolare per l’arrampicata sportiva di preparazione, perché questa per me rappresenta solo un mezzo per prepararsi ad affrontare le vie sulle grandi pareti della montagna, e quindi non deve essere fine a se stessa. Trovo anche che per me il limite non deve essere rischio senza senso, perché bisogna saper valutare le proprie capacità e percepire fin dove si può arrivare, senza osare oltre. Trovo bello parlare di come ho superato certe difficoltà nell’ambito del mio ambiente, al Gruppo Gamma, e confrontare con i miei amici le valutazioni, le sensazioni, le emozioni. Anche questo è un aspetto che mi piace dell’alpinismo, anche se rimane un fatto marginale e non indispensabile. Una bella via rimane tale se la affronti preparato, altrimenti diventa una sofferenza.

La preparazione psicologica è importante come quella fisica. La ricerca di una via, la preparazione della scalata, la conoscenza delle difficoltà da superare, mi prendono, mi avvincono fino a togliermi il sonno e a darmi la giusta carica. Tutto questo è un repertorio personale che fa parte integrante e non è disgiunto dalla salita. È solo dopo aver fatto una salita rincorsa, a lungo sognata, quando dopo qualche giorno il ricordo si stempera, che quasi ti sembra di non averla effettuata, perché non vivi più lo stato propositivo e ti scarichi. Per me l’alpinismo comunque, pur rappresentando una grande passione, resta solo un aspetto della vita. Non arrivo a concepire l’alpinismo come unica avventura: l’uomo deve realizzarsi in tutti i sensi, non solo con le sue passioni, ma anche nell’impegno del lavoro e della famiglia. Non vedo un futuro senza certezze, e allora voglio avere un lavoro, per potere poi divertirmi in montagna senza altre preoccupazioni. Solo per una spedizione extraeuropea, impresa che mi manca, prenderei in esame l’eventualità di trascurare per poche settimane il lavoro. Quando in montagna mi vedevo respinto dalle difficoltà, ci ho sempre riprovato per convincermi che la parola definitiva non era ancora stata sentenziata. E proprio per avere una risposta di questo tipo, quest’anno ho voluto tentare esperienze ai massimi livelli, su montagne con caratteristiche diverse, come la salita in solitaria dello spigolo nord-ovest della Cima Su Alto in Civetta, la via nuova (via Luca Cereda) sulla Lastìa di Gardes (Quinta Pala di San Lucano), la ripetizione della via del Pesce in Marmolada e della Nord dell’Eiger. Desideravo mettermi alla prova in situazioni diverse, sperimentare impressioni profondamente nuove, ma soprattutto capivo che la montagna avrebbe potuto contribuire alla formazione del mio carattere, a migliorarmi in modo completo, ad infondermi una sicurezza di uomo prima ancora che come alpinista.

Prepararmi ad affrontare la solitaria alla Su Alto è stata una cosa molto impegnativa, anche sotto il profilo psicologico. Affrontare passaggi di libera estrema, rimanere per 10 ore a tu per tu con la parete richiede un notevole dispendio di risorse, e solo la convinzione di aver superato in solitaria test probanti mi davano assoluta persuasione. Sono comunque sensazioni provvisorie, transitorie, che mutano più volte e che non hanno riscontro in altre attività. Sulla Su Alto ho provato sensazioni profonde, che comunque non possono essere paragonate, perché del tutto diverse, a quelle vissute nel superamento della via nuova, sempre di quest’estate, alle Pale di San Lucano. Qui le difficoltà della via erano tutte da scoprire e poi non ero più solo, potendo contare sulla compagnia di Manuele Panzeri. Insieme abbiamo affrontato 16 ore di arrampicata per superare grandi fessure, 500 metri di dislivello, difficoltà di VII/A2/A3. Con Manuele mi trovo bene da sempre: ci conosciamo dagli anni dell’adolescenza, siamo stati ammessi insieme nel Gruppo Gamma, e con altri ragazzi della nostra età, alcuni figli d’arte, trascorriamo gran parte del nostro tempo libero. Arrampicare con Manuele mi diverte e, anche di fronte alle difficoltà, il nostro umore rimane inalterato, sempre rivolto verso l’allegria.

Giorgio sulla via “Anghileri-Gogna-Lanfranchi-Ravà” sulla parete sud della Terza Pala Lucano, prima invernalegiorgio0003

Manuele è in cordata con me anche in Marmolada sulla via del Pesce, che superiamo in 15 ore, e dove affronto i massimi livelli di difficoltà come esperienza personale. La prova è ardua, anche per le condizioni atmosferiche esasperatamente sfavorevoli e perché, su alcune delle difficoltà, il limite si presenta invalicabile, con l’incertezza di poter sia “scoppiare” che vincere. Ecco, su questi livelli diventa determinante avere un compagno, tanto è intensa la prova che sostieni, mentre ogni situazione deve essere superata tenendo sempre sotto controllo numerosi fattori. La certezza di poter contare su un amico che segue i tuoi movimenti, che può aiutarti, che può sostituirti, che può intervenire è un conforto incalcolabile che ti sprona a tirare fuori tutto quello che hai in corpo. Questi frammenti di ricordi e considerazioni non sono semplici nostalgie o sentimentalismi, ma sono forze reali dello spirito, frutto di conquista, che formano l’uomo e lo aiutano a combattere gli ostacoli, a credere in se stesso, a credere nel valore dell’amicizia, a non arrendersi mai. Mi introduco così all’ultima, in ordine di tempo, scalata di rilievo della stagione, quella che ho affrontato in compagnia del “ragno” Lorenzo Mazzoleni. Con lui il 15 settembre ho superato in 15 ore la Nord dell’Eiger, una delle grandi pareti che con il Cervino e la Walker alle Jorasses in particolare, mi hanno sempre affascinato. La mia rincorsa alla ricerca di sensazioni nuove, impressioni suggestive, valutazioni oggettive di diverso tipo non poteva che completarsi nell’arco della stagione con la Nord dell’Eiger, una grande parete per i… miei giorni grandi. Su Alto, Nord dell’Eiger, Lastìa di Gardes, via del Pesce alla Marmolada: ci ripenso, e già questa magica stagione mi sembra un sogno. Forse è giusto che ogni grande passione, quando viene ripensata, prenda l’aspetto di un sogno, perché la realtà è fatta di cose più grandi ed importanti. Sento che ogni esperienza, anche questa immensa esperienza dell’alpinismo, deve servire a rendere più valida la vita. È per questo che montagna ed alpinismo, così importanti per me, non arriveranno mai a possedermi in modo ossessivo: saranno l’espressione concreta e personale del mio modo di affrontare la vita, per viverne con gioia gli aspetti più positivi.

Alla base dello spigolo nord del Pizzo Badile, prima solitaria invernalegiorgio0001

Mario Valsecchi: “Un’immagine che ho sempre del Giorgio è quando è arrivato ai Piani dei Resinelli in una giornata super piovosa, noi con birra e pizza dalla Cornelia, Lui in maglietta, calzoncini e scarpe da  ginnastica. Da dove arrivi?  Non sapevo cosa fare, ho fatto la Gogna in Medale e sono venuto in su!!! Era Troppo Forte...”.

Rocco Ravà: “Quello che mi ha sempre colpito era l’istintività e l’estro nell’arrampicare; estro, fantasia e originalità che erano tratti salienti del carattere  di Giorgio, nel bene e nel male. In montagna aveva tanta maturità ed esperienza (che andavano enormemente al di là della sua età cronologica), quanto poteva essere cazzone quando si stava sull’orizzontale. Non ho conosciuto nessun’altra persona così spontanea e originale, capace di interagire con chiunque.
Abbiamo avuto un rapporto e un legame molto profondo, che gettava le sue radici ai tempi dell’infanzia, con delle similitudini caratteriali che ci hanno sempre unito (sua mamma Marinella diceva che eravamo così amici perché avevamo due caratteracci). Giorgio sotto sotto era una persona molto sensibile, e io ho avuto il privilegio di poter conoscere questi suoi lati un po’ nascosti: credo che questa sia stata la particolarità del nostro rapporto.
L’inesauribile voglia di fare scherzi è l’immagine che ricordo di più insieme alla capacità di sdrammatizzare anche nelle situazioni più difficili. Naif, capace davanti a una pizza di farsi venire in mente e proporti di partire per la Nord delle Droites il giorno dopo, grande e coraggioso trascinatore. Nella mia stanza ho una foto insieme a lui, scattata all’uscita del Pesce, uno dei più bei ricordi che ho con lui in montagna:  era uno dei nostri sogni su roccia, e fin dalla prima volta che ci eravamo ritrovati a scalare dopo l’infanzia diceva: “El pese l femm a less” (il pesce lo facciamo lesso); dopo la discesa abbiamo iniziato a festeggiare… quel giorno la trovata era di farlo secondo la ricetta di Piussi: a pestoni di vino rosso e gazzosa; ubriachi siamo riusciti a raggiungere Cortina sani e salvi pur avendo tagliato per prati tre o quattro tornanti del Falzarego“.

Anghileri, Giorgio attività

postato il 2 agosto 2014

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La montagna e io ultima modifica: 2014-08-02T08:00:08+02:00 da GognaBlog

9 pensieri su “La montagna e io”

  1. Tristezza per lui e suo fratello Marco. Che tragico destino per due bravi ragazzi e grandi alpinisti!!!

  2. Ho tanti ricordi di Giorgio, la cosa più inaspettata è stata vederlo comparire bagnato come un pulcino con “Guanaco ” il suo compagno di arrampicatala la sera dell’ultimo dell’anno al rifugio Piedra del Fraile, in Patagonia. Il Cerro Pier Giorgio li aveva respinti e ci siamo ritrovati
    attorno ad un saporito asado. La sera dopo tutti al Chalten, è sbucato anche il Miro, un’altra serata in allegria con gli amici di casa ma ben lontani. Ciao Gio.

  3. Ricordo ancora la discesa in auto dai Resinelli e tutte le curve fatte con il freno a mano tirato….a vomito!! Era venuto a prendere Marco e me per portarci a Lecco. Grande uomo!

  4. grazie per il post…mi ha riportato al ricordo di un amico , di un grande alpinista . Ricordo il sorriso , la voglia di scherzare . solare e positivo . ho avuto la fortuna di averlo conosciuto e condiviso alcune arrampicate nel finalese e sulle dolomiti di brenta , anche in quel 1991 . Un talento puro ed elegante in arrampicata .

  5. Ricordo una moto parcheggiata alla prima galleria che si incontra dopo Bondo… in pieno inverno, noi carichi come muli diretti verso un sogno mai realizzato… verso il rifugio incontriamo un ragazzo “ciao, dove andate?”… “al Badile”… “io ci sono appena sceso state attenti perché ho incontrato tracce di lupi”…

    Sono fermo ad una sosta del Medale, passa in velocità una cordata “Ciao, come è andata al Badile?”… erano Giorgio e compagno, un grande concatenamento che solo gli amici conoscono.
    Gironzoliamo nelle viette di Agordo, “domani andiamo a fare la Bellenzier alla Cima d’Alleghe”… Giorgio entra in un negozio e noi fuori ad aspettare “Ragazzi, domani andiamo, però io stasera vado a pattinare con un’amica appena conosciuta in negozio”… UN ISTINTIVO PURO!

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