La parete nord della Seekarlspitze

La parete nord della Seekarlspitze
(l’incantesimo della “Y”)
di Mathias Rebitsch

Tra le montagne del Rofan, una parete rocciosa si innalza per oltre 400 metri: la parete nord del Seekarlspitze. Il suo terzo inferiore è delimitato da una cengia orizzontale di detriti. E questa parte inferiore, una lastra sporgente alta 130 metri, parzialmente a strapiombo, a blocco unico, è solcata da una fessura sottile che si biforca sotto la cengia in due rami formando una gigantesca “Y” nella lastra di pietra liscia. Vistosa, tagliente, come se fosse stata intagliata con l’accetta. Il più delle volte, l’acqua di fusione scorre attraverso questa fessura fino all’estate. Striature nere di acqua filtrata scendono dai rami obliqui della “Y” e gli conferiscono un aspetto ancora più repellente. Raramente su altre pareti ho visto una fessura da arrampicare così spaventosa, così scoraggiante, scivolosa e così incredibilmente verticale. E la “Y” era già stata salita! Solo una volta, e da Hans Fiechtl, uno dei migliori rocciatori del suo tempo, con l’esperto numero uno del Rofan, Ernst Schmid di Brixlegg. Avevano realizzato l’audace impresa subito dopo la prima guerra mondiale (1923!). Con suole manchon usurate e corde di rigida canapa, senza chiodi a pressione né ganci, ovviamente. Un atto audace. La mia ammirazione per loro era illimitata. 

La parete nord della Seekarlspitze (Rofan) con la famigerata “Y”. Foto: A. Pfannenschwarz.

Avevo già visto la “Y” dalla conca di Ampmoos, impressionante, mi era bastato. E avevo divorato l’emozionante resoconto della prima salita di Ernst Schmid. Ero terrorizzato. Quindi era il massimo di ciò che era possibile su roccia: scarse possibilità di piantare chiodi, e quei pochi sempre insicuri, dunque assicurazione problematica, uso di doppia corda (a quel tempo la tecnica “più moderna”), drammatici intrecci di corda. Hans Fiechtl, uno dei miei idoli dell’alpinismo (una guida alpina nativo nella contadina Zillertal) sulla “Y” era al limite delle sue forze e sul punto di cadere. Il primo di cordata, ma anche il secondo, non devono cadere nell’obliquo della “Y”, altrimenti si ritroverebbero a penzolare impotenti nel vuoto. Senza poter raggiungere la roccia, senza che il compagno possa aiutarlo! (Nel 1923 i nodi “prusik” e altre diavolerie non erano ancora completamente nel bagaglio tecnico). Una ritirata in corda doppia era quasi impossibile a causa dell’inclinazione e dello strapiombo della fessura. Un gioco a rischio “di vita o di morte” – secondo la descrizione di Schmid. Sono saliti due volte, sono riusciti ad avanzare, ma hanno dovuto bivaccare e sono poi usciti traversando la parete per la cengia orizzontale.

Fiechtl ha descritto la “Y” come la sua via più difficile e rischiosa! Da allora erano passati nove anni. Nessuno osava ripeterlo. E presto aveva assunto l’aureola di un corridoio roccioso, dove non si poteva tornare indietro, ma solo “vittoria o morte”. Quella era la parola chiave giusta per me in quel momento. L’ultima auto-conferma potrebbe essere ottenuta lì … Uno strano fascino emanava quindi da questa spaccatura poco raccomandabile per me, poiché non l’ho mai più sperimentato con tanta forza. E anche dalla designazione “Y”, da questo segno strano e mistico, qualcosa di misterioso è stato trasferito a questa lacrima coraggiosa, la Sfinge di Rofan. Mi sono ritrovato – un giovanissimo alpinista – proprio nel mezzo dello “Sturmund Drangzeit”, dilaniato avanti e indietro da una lunga serie di sentimenti e pulsioni che appartengono a questa fase della vita.

l’obiettivo della vita. E ovviamente anche la Bella Addormentata ha avuto un ruolo. Forse sarebbe più facile sbarazzarsi di un audace eroe della montagna se in suo onore – invece di uccidere uno dei draghi purtroppo non più tangibili – si conquistasse un muro altrettanto pericoloso. . . La “Y” è stata creata per questo. È diventato il mio incubo e ha iniziato a svolgere un ruolo importante nella mia vita interiore. E così ho cospirato con lui, come fanno i veri eroi della montagna, secondo la letteratura. Beh, io non c’ero. E se io – oltre alle toppe rattoppate e alla corda sfilacciata – avessi avuto qualcos’altro da lasciare in eredità, avrei sicuramente fatto testamento.

Alla fine dell’agosto 1932 la “Y” si fece seria. Insieme allo studente di medicina di Innsbruck Adi Meusburger. Quest’anno avevamo già alle spalle la roccia più difficile delle aree di arrampicata tirolesi: Toten-kirchl-Westwand, Fleischbank-Südost-Wand, Schüsselkarspitze-Südwand (Her -zog-Fiechtl) e la seconda salita del Lalidererwand (Schmied-Krebs) . Non abbiamo sentito tanto rispetto per nessuno di questi viaggi quanto per il famigerato strappo della forcella. Ma ora non c’era più evasione. Adi è stato un ottimo alpinista, allo stesso tempo una persona e una compagna estremamente raffinata e di gran lunga superiore a me in termini di esperienza in montagna. Avevo imparato molto da lui. Abbiamo passeggiato dal Bayreuther Hütte attraverso i pascoli alpini nell’Ampmoosboden. È il paradiso segreto del Rofan, uno dei luoghi più affascinanti del Tirolo. Sono tre km di montagne in cui l’escursionista, il rocciatore raffinato e tutti quelli che cercano la solitudine non potrebbero cercare nulla di più.

Arrampicata libera sulla via Fiechtl-Schmid della parete nord della SeeKarlspitze. Oggi si darebbe scandalo con questo modo pericoloso di legarsi.

La parete nord della Seekarlspitze, fiore all’occhiello del Rofan, è sullo sfondo. Ci eravamo fermati all’Ampmoosalm, sotto la Seekarlwand, che qui è così vicina e incombente che sembra volerci cadere sopra. L’amico Simmerl, il forte pastore e capo delle guardie forestali, ci aveva servito una padella piena di gnocchi al formaggio gocciolanti di lardo – il mio piatto preferito – e un boccale pieno di latticello. In breve, abbiamo trangugiato tutto per sdraiarci poi sul fieno profumato con lo stomaco bello pieno. Ma il foraggio era un po’ umido e ci faceva il solletico, perciò il sonno era agitato. Inutile dire che gnocchi e latticello iniziarono a lottare tra loro nel nostro stomaco, nonostante la loro stretta parentela. A turno uscimmo in fretta e furia, si sentivano rumori terribili dall’esterno che irridevano alla nobile pace della montagna e non erano affatto in armonia con il suono limpido dei campanacci. Non so se quel tumulto intestinale fosse la continuazione dei miei pensieri agitati, magari il complesso “Y”, fino ad allora represso, cercava di uscire dai regni subliminali con poca fatica. In effetti mi tormentavano alcune fantasie violente. La “Y” mi sembrava “minacciosa”, agitando i suoi rami come braccia nel sogno. Al mattino tutto ciò che coltivava dentro di me sentimenti eroici era molto appannato, anzi nutrivo nelle mie più nere profondità pensieri altamente corrosivi del significato e del valore dell’arrampicata. La parete era fredda, cupa e liscia sopra di noi. La “Y” era scura e minacciosa come se al suo interno fosse comandata da una bacchetta magica. Avevo paura del mio stesso aver avuto coraggio e cercavo di alzarmi in piedi imponendomi esempi eroici tratti dalla letteratura, anche per evocare lo spirito di Fiechtl. Ma non aiutava molto. E’ stato più efficace un bagno rinfrescante per il corpo nel freddo lago alpino. Che ha anche rinfrescato un po’ la mente. I gnocchetti avevano distrutto Adi ancora più di me e lui si sentiva spossato. Quindi avrei dovuto andare avanti sempre io sulla “Y”. Da un lato, trovavo che questo fosse un premio, dall’altro mi sentivo piuttosto a disagio. Ma la paura di essere considerato codardo da Adi era ancora maggiore di quella determinata dalla stessa sconsiderata avventura sconsiderata, il cui esito, dopo tutto ciò che di raccapricciante avevo letto al riguardo, mi sembrava piuttosto incerto.

Sempre agitati, eravamo lì, ormai legati con una corda di canapa da 12 mm di spessore e con una da 14 mm, sotto alla nostra parete di 130 metri e alla diabolica fessura. Larga come una mano, ci sembrava liscia e lucida. Al di sopra, prima della biforcazione, la roccia ha un rigonfiamento tale da imporre di piegare la testa all’indietro per poter seguire la fessura con lo sguardo. Lì  sembrava proprio scivolosa, ricoperta da fanghiglia nerastra. Era orribile. Per tutta la lunghezza non si poteva vedere modo di fermarsi a una qualche sosta. Non devo pensare che presto sarò appeso lassù! Il primo tiro, ancora con una forte sensazione di oppressione allo stomaco, è su una placca poco appigliata e moderatamente ripida che porta a una cengia sotto a un largo risalto, marcio.

Nella famigerata “Y” della parete nord della Seekarlspitze. Lo scalatore è già al di sopra della cengia sbarrata dai tetti. Foto: Ernst Schmid.

Nell’angolo sinistro c’è un chiodo arrugginito e traballante, sempre di Fiechtl e Schmid. Pessima assicurazione in mezzo a quelle tegole sovrapposte, che permettono di superare a sinistra lo sbalzo del rigonfiamento e giungere all’inizio della fessura “Y”. Ora le cose si fanno serie, in un’esposizione paurosa. Dal rifugio si sente uno yodel prolungato. Sembra una presa in giro, un applauso ironico dalla panchina fuori del rifugio. Ma quello era solo l’ouverture. Perché all’improvviso ecco un suono lusinghiero sopra il tranquillo Ampmoosboden, dai toni impetuosi, ma dolci e pieni. Il nostro Simmerl suona per noi con il suo strumento. Ci sembra essere davvero un astuto psicologo del profondo, perché ha la vaga idea di che genere di Sturm und Drang mi serva ora. Spazia su un ampio registro, dal maggiore al minore. Prime marce andanti e vigorose polka da bettola che mi guidano i piedi e che cercano di indurmi a scalare a quel ritmo. Ma poi anche pezzi malinconici, oh così belli, tristi, che piangono di genziana e giunco ​​alpino, in amore, angoscia e dolce morte all’alba…

La tensione della prima lunghezza di corda è scomparsa. Grazie allo Zauberquetsch’n di Simmerl, l’arrampicata diventa una frenesia di movimento, una danza sulla roccia. Il nostro rapporto di affinità da discendenza, un po’ imbarazzante, con certi animali bravi ad arrampicarsi non può essere completamente negato. Sembra che in me siano scoppiati istinti atavici. Da dove veniva, così d’improvviso, tutta quella disinibizione, quel piacere completamente scevro da ogni timore? Salgo con movimenti fluidi non tanto controllati dalla mente superiore, quanto invece più dettati dall’istinto. Abbastanza innaturale, questa sicurezza cela comunque in profondità un agguato potenzialmente mortale. Salgo fluido e sicuro più in alto nella fessura. Non è né superficiale né liscia né lucida come appariva dal basso. È affilata, ha prese dure come il ferro e ruvide, una grattugia tipo calcare del Wetterstein. Sono al top della forma. È un’arrampicata insolitamente difficile e più equilibrata con un’esposizione non diminuita; il sogno dell’arrampicata sportiva con stile. Sporgendo la parte superiore del corpo dalla fessura, i piedi sono costretti a premere la suola di manchon sulle ruvidità, quasi mordendole.

I chiodi mi pendono dai fianchi ma sono quasi inutili. Solo raramente pianto qualche chiodo come assicurazione intermedia dentro alla fessura. Seguendo il consiglio di Schmid, su ognuno di loro aggancio a catena due o tre moschettoni a ciascuno. In questo modo, le corde scivolano più facilmente tenute all’esterno della fessura a dispetto del peso dei moschettoni. Adi mi segue, tutto fila liscio.

Il secondo tiro nella fessura è terminato. Ma non trovo una sosta. Un magnifico chiodo forgiato a mano canta fino all’occhiello nella roccia. C’è un minuscolo appoggio solo per il piede sinistro, per il piede destro è necessario utilizzare un cordino agganciato al chiodo. La manovra di cambio è piuttosto macchinosa. Sopra di me c’è il punto dove la muraglia fa pancia, lo strapiombo della fessura, il punto temuto, nero, “scivoloso” che già dal basso preoccupava parecchio.

Hias Rebitsch al tempo dello Sturm und Drang.

Ma oggi è asciutto e per niente scivoloso. Molto lentamente mi spingo un po’ più in alto, con cautela. Lo strapiombo mi spinge fuori decisamente, ma ho a disposizione appigli buoni e solidi. Ho già suddiviso mentalmente i prossimi metri in appigli e appoggi, ma per puro rispetto per le difficoltà che anche il grande maestro Fiechtl ha dovuto affrontare, mi sono abbassato al chiodo e ho raccolto tutte le forze. Ricomincio, supero la fessura strapiombante in profondità un po’ umida. Un altro passo di equilibrio a destra, bilanciato su appigli laterali, riesco a fare attrito e a raggiungere una buona sosta alla biforcazione della fessura. Il punto chiave della “Y” è caduto. Si prosegue su una rampa liscia e ripida, poi una traversata su lista detritica e infine un diedro aperto a placche. Abbiamo raggiunto la grande cintura di ghiaia della Seekarlwand. La seconda salita della tanto temuta “Y” è alle nostre spalle. Il suo incantesimo è rotto. Non è stata una salita “al limite di caduta”; certo, è necessario che la roccia sia asciutta e una buona tecnica di uso della corda. L’attrito e l’incastro delle corde di canapa bagnate, la roccia invasa dall’acqua e la fine della stagione (1 novembre!) sono i motivi delle gravi preoccupazioni di Fiechtl e Schmid. Oggi questa salita è valutata solo V+. Ma finora ha solo dieci salite, è sempre rimasta un’arrampicata temuta ed evitata e ha perso solo poco della sua primitiva luce sinistra. La consiglio vivamente, ma non posso garantire che quella musica che ha accompagnato noi ci sia ancora…

Seguiamo la grande cengia a destra e, alternandoci al comando, attacchiamo la via Schmid fino alla vetta. Siamo sdraiati sull’erba soffice, rilassati, adagiati in una completa sensazione di felicità. La grande prova è stata superata. Il drago è sconfitto. Se ne parlerà. Se ne accorgerà anche la Bella Addormentata.

*

Con la mia descrizione sono tornato indietro in un passato di 35 anni, nello scatolone delle memorie ammuffite. C’è più di una generazione in mezzo. Ma quando a volte oggi ripenso ai miei tempi “estremi” e guardo con un lieve sorriso il mio atteggiamento nei confronti dell’arrampicata di quel tempo, allora nessuna delle altre mie vie di roccia mi sembra così romantica, così idealizzata come questa ripetizione della “Y”, così ricca di esperienza.

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La parete nord della Seekarlspitze ultima modifica: 2021-02-14T05:29:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “La parete nord della Seekarlspitze”

  1. Hias Rebitsch un fuoriclasse dell’arrampicata.
    Un sacco di dubbi, di timori, prima della salita. Ma poi la classe viene fuori e :

     La seconda salita della tanto temuta “Y” è alle nostre spalle. Il suo incantesimo è rotto. Non è stata una salita “al limite di caduta”; certo, è necessario che la roccia sia asciutta e una buona tecnica di uso della corda.

  2. Quando l’alpinismo riempie l’esistenza. 
    E siamo arrivati alla traversata del Fitz Roy in solitaria da parte di Sean Villanueva, senza clamore, senza grancassa battuta prima, durante e dopo. Eppure anche Sean vive di alpinismo, ma ha sponsor che fanno della discrezione la loro arma silenziosa e… badano solamente alla sostanza. Null’altro. 

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