La peste suina
(cronaca di un disastro annunciato)
di Flavia Cellerino
(pubblicato sul suo profilo facebook il 19 gennaio 2022)
Chi segue le cronache cittadine genovesi sa che è ormai un rituale la fotografia della famigliola di cinghiali o porcastri (molto più prolifici) che si aggira sul greto del Bisagno, su quello del Polcevera, nei viali dell’Ospedale san Martino, presso i cassonetti dell’immondizia sulle alture urbane e sulle spiagge cittadine, con tanto di bagno salutare in mare.
Che l’Appennino sia sovrappopolato da cinghiali (e non solo) è cosa nota, segno di uno dei tanti squilibri ambientali che l’abbandono progressivo dei nostri monti ha generato.
Boschi incolti, sentieri spariti, villaggi abbandonati che fanno tanto poesia, ma che sono la prova evidente di quanto, in questa Italia non si sia fatto nei decenni, per tentare almeno in parte di arginare il progressivo e incontenibile esodo dei contadini verso le città e la pianura.
Perché la comparsa della peste suina è, ancora una volta, la prova di una mancanza di progettualità e di visione sul territorio, e non è la sciagura improvvisa per gli escursionisti e per chi pratica attività outdoor, che in questo momento, tra basso Piemonte e Liguria, tra Savona e Recco si trovano, improvvisamente, a non poter più effettuare escursioni di vario genere. O meglio non è solo questo.
L’emergenza per la peste suina mette in evidenza una serie di temi che non si traducono solo nella necessità di salvaguardare quel poco di vita sociale ed economica che ancora sopravvive nelle nostre vallate.
Mette in evidenza la cronica incapacità di armonizzare in una visione di sistema integrato il territorio e di risolvere in (non) conflitto tra “città” e “campagna”, tra pianura e monte.
Partiamo da qui: dalle motivazioni addotte per giustificare il divieto. Per salvaguardare gli allevamenti di suini, soprattutto quelli intensivi che si trovano nelle nostre pianure padane, e non solo: cioè per salvaguardare un modello industriale di produzione alimentare inevitabilmente confliggente con il sistema di allevamento tradizionale, parcellizzato, familiare che nelle aree interne, montuose, può essere praticato.
E’ una vecchia storia, che si ripresenta. Si pensi alla questione dei formaggi di malga sottoposti agli stessi protocolli sanitari dei formaggi prodotti negli stabilimenti, e che non possono più essere commercializzati…
In questi ultimi anni in Italia si è iniziato a capire, grazie ad alcuni soggetti illuminati che amano veramente le aree interne e le aree alpine, che il nostro Paese non è fatto solo di grandi, storiche città, ma di piccoli borghi, meravigliosi, spesso spopolati, incistati in aree non facilmente raggiungibili, in cui i servizi (dai trasporti alla sanità) latitano, in cui usare il computer o lo smartphone è una impresa, in cui persino gli uffici postali stanno chiudendo e le banche si guardano bene dall’aprire uno sportello.
In questo “luogo di delizie” con volontà pervicace alcuni soggetti hanno tentato di invertire il processo: penso al modello di Ostana, un borgo della Valle Po, penso ai sindaci e amministratori che, in controtendenza, hanno inventato offerte turistiche e culturali attente all’ambiente e al territorio, penso a quei giovani che sono rimasti nelle aziende di famiglia sopravvissute nelle aree interne o addirittura sono tornati a reimpiantarle, con tutte le speranze e difficoltà del caso.
Il tutto, in generale, nel disinteresse medio di una politica e di amministrazioni, che nelle migliori delle ipotesi non ostacolano, nelle peggiori remano contro.
L’arrivo della peste suina, arrivo prevedibile e previsto, mette a nudo ancora una volta il farraginoso, lento, sistema di governo e controllo del territorio: un sistema sul quale non si è mai veramente investito, perché non ci si è mai veramente creduto. Mancano i geologi per monitorare i versanti delle valli che franano (e strade sono chiuse), mancano i forestali, mancano tutti i presìdi che dovrebbero essere in grado di intervenire prima che certi danni si verifichino.
La peste suina, è , ancora una volta, la prova di una cronaca incapacità di progettare e prevenire: perché in Italia, non importa in quale settore, si opera sempre e solo in un clima emergenziale: strappandosi le vesti e litigando sulle bare e sui disastri, spesso con toni esasperati in cui solo prevale l’emozione sulla razionalità.
Un Paese in perenne emergenza, che spende il doppio, il triplo di quanto necessario per operare, che insegue i problemi, ma di fatto non li risolve mai.
Un Paese privo di memoria: basterebbe guardare alla solida storia del territorio e di come è stato gestito dalle comunità nei secoli, attraverso armoniche disposizioni giuridiche e sociali per mettere a punto modelli attuali, flessibili e in grado di coniugare eccellenze tecnologiche e snellezze burocratiche. E invece no: la farraginosità e la complessità burocratica impediscono qualunque azione, la subordinano a una serie di veti, controlli, balzelli che tutti coloro che operano hanno ben sperimentato.
Va detto una volta per tutte: Il controllo del territorio va devoluto alle comunità che lo vivono e lo conoscono. Il centralismo qui non può funzionare, perché non ha mai funzionato.
Compito della politica è armonizzare interessi opposti, allungare lo sguardo e cogliere le necessità di progetti integrati ed armonici in cui gli interessi tra le parti non siano in perenne conflitto, ma puntino nella stessa direzione.
Quindi l’arrivo della peste suina ha messo in evidenza, ancora una volta, il modello di intervento tipico:
– si attende che esploda il problema
– si interviene con enfasi
– si organizzano tavoli e riunioni
– si invoca la soluzione a breve
– si danno tempi: 6 mesi
– la situazione si cronicizza
– i tempi slittano
– e gli italiani si abituano al divieto.
La peste suina è l’emergenza del momento, ma è la vita di sempre. Un film già visto. E sappiamo anche come andrà a finire.
A meno che… a meno che in un sussulto di cittadinanza, di orgoglio, di volontà e coraggio, non la si usi come laboratorio per sperimentare un nuovo modo di co-gestire il problema, in cui tutti possiamo fare la giusta parte, e in cui non si operi solo attraverso divieti di stampo dirigista.
In cui ci si accorga, finalmente, che il retroterra appenninico non è il luogo delle scampagnate, ma un territorio portatore di istanze economiche e sociali, di risorse preziose, di futuro vero.
E credo che spetti a chi ama veramente il nostro Paese, e ha a cuore il suo futuro e non solo miseri interessi di parte, investire le sue energie migliori per non trasformare la questione della peste suina nell’ennesima guerra tra poveri, ma in una occasione di studio e di approfondimento e di azioni di risposta convincenti.
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Quella che l’ibridazione renda confidenti è una fake. Se una cagna si accoppia con un lupo alleva i cuccioli come cani. Se una lupa di accoppia con un cane alleva i cuccioli come lupi. L’ibridazione fa danni alla razza lupo perché ne modifica il genoma.
Dall’Informatore agrario.it
“Lo spettro a lungo temuto si è materializzato. Alla data del 28 agosto sono 3 i focolai di Psa accertati dai controlli sanitari dell’Ats Lombardia in altrettanti allevamenti di suini, tutti dislocati in provincia di Pavia”.
Dall’articolo risulta inoltre che un allevatore ha inviato al macello in 3 diverse regioni i suoi maiali sopravvissuti, dopo che 400 capi erano morti, omettendo di segnalarlo alle autorità.
Pare che stiamo facendo il possibile per farci del male.
“
Solo per informare che un lupo di 40 kg ieri è stato investito da un’auto in Carnia. Nella stampa locale vi sono foto dell’animale ucciso e della zampa confrontata ad una mano. La gente del posto protesta per la sicurezza poichè la forte “ibridazione” porta gli animali a non avere più paura dell’uomo e quindi ad avvicinarsi pericolosamente alle case.
Interessanti e chiare le FAQ di Piemonte Parchi. Grazie per la segnalazione. Mi ha colpito la dimensione economica della filiera suinicola e in particolare gli 8 miliardi del comparto salumi. Si capiscono certe preoccupazioni. Sarebbero interessante anche approfondire il tema del “come” si può fare per evitare il disastro e quali sono le possibili strategie di contenimento “qui ed ora”.
La natura stessa ci viene incontro.
Evviva il LUPO.
Alla faccia di quelli che lo vorrebbero sterminare.
Grazie Amministratore, comunque condivido Benassi e Pasini per richiesta approfondimenti post Casanovi.
Per chi volesse approfondire l’argomento “peste suina” http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php?option=com_k2&view=item&id=5037:la-peste-suina-spiegata-bene&Itemid=289
che la materia sia difficile e possa essere di difficile comprensione per chi non è del mestiere va bene.
Ma se è questa la motivazione per non dare spiegazioni, informazioni, chiarimenti, non va altrettanto bene.
Un pò di cultura non fa male a nessuno. Aiuta a capire, a tenere i comportamenti giusti con consapevolezza e non solo perchè ti vengono imposte delle regole con la minaccia di ritorzioni.
Casanovi. Sono convinto come dice lei che il tema sia molto complicato. Però non impossibile da spiegare anche a noi profani ma interessati per vari motivi al problema e disposti a fare un po’ di fatica per capire. Perché non scrive lei un pezzo o ci indica dopo possiamo trovare informazioni adeguate? Internet è una selva oscura, si può anche esplorare da soli, ma avere una buona guida aiuta. Grazie in anticipo. Penso molti le sarebbero grati.
L’articolo di Flavia Cellerino non trasmette le informazioni necessarie. Al riguardo dei virus delle pesti suine (classica e africana, perché in realtà sono due ben distinte e diverse), occorre inquadrare le problematiche dei suidi selvatici in Italia, degli allevamenti di suidi domestici, delle regole per la produzione e commercio nazionale, intra e extracomunitari dell’agroalimentare della filiera suina (tipo Prosciutti di Parma, San Daniele, ecc.ecc.), nonché la legislazione europea e mondiale sugli scambi di prodotti di origine animale e infine il ruolo delle attività venatorie, la storia dei ripopolamenti di cinghiali in italia, la normativa sulla gestione faunistica e sanitaria delle popolazioni di selvatici e i recenti tentativi (abortiti sul nascere qui da noi in Toscana) di cambiare in meglio questa gestione cronicamente passiva, remissiva e attendista anche davanti a gravi problematiche economico-sanitarie o enormi danni all’ambiente dovuti al sovrannumero di selvatici sul territorio.
La Peste suina Africana è completamente un’altra cosa e va spiegata per quel che è e per i danni che farà a breve su un territorio (la pianura padana) privo di barriere naturali o artificiali capaci di fermare la diffusione di un virus che sa vivere 180 giorni nell’ambiente a 4 gradi, molti mesi nei residui alimentari contenenti carni di suidi, anni a temperature inferiori allo zero…
L’informazione su questo tema è difficile da dare ai profani, impossibile da capire per chi non conosce i termini della questione (malattie infettive, zootecnia e filiere agroalimentari, regole sanitarie nazionali, comunitarie e mondiali) e non è con la banalizzazione e/o con la disinformazione generica che si creano i presupposti per capire e cercare di dare input sui modi di superare l’attuale situazione (di cui vediamo solo la punta dell’iceberg, come quelli del Titanic…).
Parola di veterinario-contadino di montagna!
Buisognerebbe mandare i lupi a scuola, cosi’poi fanno i compitini solo sui cinghiali…e “si fanno il palato “solo su quelli.
L’incremento esponenziale dei cinghiali non penso c’entri con l’abbandono di zone rurali. Sono tanti perchè nessuno può abbatterli e perchè prolificano in maniera esponenziale e praticamente non hanno nemici: o sbaglio? Che poi ci sia l’abbandono di zone montane è nei numeri.
C’e’anche la peste canina in citta’.Nonostante leggi e regolamenti, buona parte dei padroni di cani li fa svuotare e non raccoglie. Certi sadici del mio paese li fanno pisciare davanti a vetrine di negozi e pure defecare nell’aiuola di 2 monumenti ai Caduti e davanti a ingresso di scuole di ogni ordine e grado. Chi raccoglie con le suole..porta dentro negozi e aule. Come per le grida manzoniane, sulla carta multe consistenti, poi a memoria locale mai nessuno ne ha dovuto pagare una. Quindi anche per il provvedimento antipeste ..esercizio certosino di legalese raffinato , poi chi mai controllerà??Nel primo lockdown del 2020, gli scialpinisti evitavano le forche caudine di attraversamenti stradali e parcheggi ai passi e attraverso percorsi clandestini raggiungevano le distese di neve, sbirciando col binocolo le pattuglie su strada provinciale. Troppi regolamenti = impossibilita’ statistica di sanzionare.
“Boschi incolti, sentieri spariti, villaggi abbandonati che fanno tanto poesia, ma che sono la prova evidente di quanto, in questa Italia non si sia fatto nei decenni, per tentare almeno in parte di arginare il progressivo e incontenibile esodo dei contadini verso le città e la pianura”
Gia’alle spalle di Genova l’entroterra mostra gli inequivocabili segni dell’abbandono e in barba al passato qualche vecchio sentiero e’ stato recuperato per percorsi di trial e mountain bike pittosto che per gli usi rurali originari. Mancando la gestione tradizionale contadina del teritorio si e’ giunti nella fauna, ad esempio, al proliferare dei cinghiali e dei porcastri, nella vegetazione e nel territorio all’abbandono del bosco addomesticato da secoli di pratiche di coltura e governo degli alberi e delle acque (basti pensare ai problemi causati dall’intasamento a monte dei rivi affluenti torrenti come il Bisagno nelle recenti alluvioni genovesi…). La montagna ligure non offre vita facile a chi la vuole abitare e neppure economia turistica “green” in grado di creare un indotto di valore oltre alla mera sussistenza ( penso ad esempio allo sci di fondo nella foresta del Monte Penna e ai gestori del pugno di rifugi locali). Vedo tuttavia una via d’uscita nel ritorno ad un agricoltura montana di qualita’, che valorizzi quei prodotti oggi omologati ( si pensi alle decine di tipi diversi di castagne che venivano coltivate nei nostri boschi o alla varieta’ di mele che ormai inselvatichite si incontrano lungo le fasce collinari). Qualche giovane coraggioso c’e, forse un ‘altro modo di vivere “outdoor” e’possibile’…
SEGUE QUI: https://www.efsa.europa.eu/it/topics/topic/african-swine-fever
Tanto per capirci:
La peste suina africana è una malattia virale dei suini e dei cinghiali selvatici, solitamente letale. Non esistono vaccini né cure. È per questo che la malattia ha gravi conseguenze socio-economiche nei Paesi in cui è diffusa. Gli esseri umani non sono sensibili alla malattia.
I segni tipici della peste suina africana sono simili a quelli della peste suina classica e per distinguere l’una dall’altra occorre una diagnosi di laboratorio. I sintomi tipici includono febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei, emorragie interne con emorragie evidenti su orecchie e fianchi. Può verificarsi anche la morte improvvisa.
I ceppi più aggressivi del virus sono generalmente letali (il decesso avviene entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi). Gli animali infettati da ceppi meno aggressivi del virus della peste suina africana possono non mostrare i tipici segni clinici.
SEGUE
Visto allevamento di polli con spaccio ,che mette all’ ingresso un affossamento profondo pochi centimetri ,cementato, ricolmo di acqua e candeggina tale da immergere l’intero battistrada delle ruote dei veicoli entranti ed uscenti, vieta l’ingresso ai clienti nella zona recintata dove si allevano le bestiole ed a terra cosparge calce. Quindi si potrebbero frequentare le zone, con l’accortezza poi di lavare le suole degli scarponi con acqua e candeggina .o cospargerle di polvere virus killer….o no??La scienza che dice?? stiamo arrivando al punto per cui tutto cio’che non e’permesso, e vietato. L’estensione del controllo del super green pass a banche e poste..e’ una formidabile spinta a e-banking, card , conti correnti.
Ad ogni modo il problema lo hanno creato le associazioni venatorie con le immissioni… Ci vuole una gestione scientifica della fauna selvatica, non per venireincontro ad interessi ludici o seguendo le fantasie animaliste. La peste è la normale risultante di una sovrappopolazione di cinghiali dovuta all’uomo. Sbagliato anche che per venire incontro alle esigenze degli allevatori intensivi debbano pagare altri fruitori o lavoratori delle aree interne dove esiste il problema…
Parlaci anche del presente.
Si ma…… viste e giudicate le \misure draconiane\ o \scelte scellerate\ e’ mai possibile porco demonio che nella patria del diritto non si possa fare rispettare il diritto dei cittadini a non essere angariati oppressi rinchiusi? Cosa vogliamo fare andare in piazza a fare prendere aria alle bandiere? Temo che la nostra cultura\abitudine alla sottomissione faccia altrettanti danni che la propensione all’arbitrio ed alla irresponsabilita’ di chi ha un ruolo di potere. E se e’ cosi’ il futuro e’ nero.
Carissimi. Mi astengo da qualunque forma di giudizio in merito perchè non mi ritengo sufficientemente preparato per darne e, tuttavia, vorrei segnalare questa iniziativa che ha a che fare con quanto argomentato nell’articolo:
(Il “prima”) – https://www.montagna.tv/186865/via-dalla-citta-dalla-regione-piemonte-contributi-per-trasferirsi-in-montagna/
(Il “dopo”) – https://www.montagna.tv/192862/vado-a-vivere-in-montagna-il-bando-piemontese-e-un-successo/
Magari c’è qualche lettore del blog che ne sa di più e può dirci cosa ne pensa. Saluti!
SOTTOLINEO !!!!
PARTE TERZA
Ma tornando alla questione fondamentale, i gravi rischi di infezione degli allevamenti, come si può vedere dai documenti linkati si possono drasticamente abbattere, con le procedure di prevenzione indicate, senza per questo creare altri allarmismi e produrre divieti. Non a caso in Belgio hanno eradicato la malattia in due anni (2018-2020).Questo provvedimento lo vedo piuttosto come un continuum su quelle scelte scellerate di boicottaggio nei confronti delle libertà individuali che stiamo vivendo da due anni.Non è un bel futuro quello che ci aspetta
PARTE SECONDA
La mala gestione credo sia evidente a tutti, anche quella relativa ai grandi predatori i quali sarebbero estremamente utili alla riduzione della popolazione dei cinghiali ma… risposta da me ricevuta da un cacciatore bresciano: “e dopo cosa cacciamo noi?”Quindi se la gestione delle aree rurali e montane non brilla certo per eccellenza, anzi, anche la mentalità di chi abita queste aree non brilla per ciò che si potrebbe definire presa di coscienza del territorio. Di conseguenza manca l’humus culturale che possa cambiare lo stato di cose che vede lo spopolamento della montagna.In verità, almeno dalle mie parti, si sta notando un cambio di tendenza da parte di giovani cittadini che stanno emigrando in zone rurali, riaprendo verso gli antichi mestieri e soprattutto agricoltura ed allevamento.
PARTE PRIMA
Che questo articolo denunci il malessere italiano nei confronti di una Pubblica Amministrazione poco o niente consona al suo ruolo appare evidente, Appare però anche eviente il distacco del cittadino dai ruoli e dagli iter della stessa P.A. .Non è certo la centralizzazione al vertice il problema, anche perché questa non sussiste in questo ambito. Le Regioni sono sovrane sul territorio per ciò che concerne la Sanità (è sempre lo stesso settore del covid…) non a caso l’ordinanza di chiusura al “traffico turistico” è stata concertata tra ministro della salute e presidente di Regione, come previsto dai ruoli ex art. 117 Costituzione.
La peste suina è conosciuta da oltre un secolo e la variante africana ovvero quella per cui si alzano ora grida di allarme, dal 1978, quando venne rilevata in Sardegna. Dall’isola pare non sia mai uscita e gli allevamenti in libertà continuano senza problemi.
In Lombardia esiste un piano di prevenzione su decreto regionale dal 2018 (DECRETO N. 16743 Del 16/11/2018) e fino a qualche giorno fa questo documento: https://www.ats-brescia.it/peste-suina-africana?fbclid=IwAR0yvUiElEuTQBuSbyBLwjXVO-_p1MtndmncUUiyxZNXSLWQUcvlkvq0oZkriportava dati piuttosto tranquillizzanti sul fatto che allo stato attuale non si conoscano infezioni ad allevamenti, oggi hanno cambiato un pelino il testo… purtroppo non credevo potesse servire e non ho fatto uno screenshot…In ogni caso i dati riportati non sono certo allarmanti se non fosse per il rilievo del ritrovamento piemontese della carcassa infetta, che sta scatenando la reazione che sappiamo.
Articolo interessante che non parla della peste suina ma la usa per dire altre cose.
@albert : Aneddoto molto interessante
e infatti… che probabilità ha un frequentatore di boschi liguri poi di andare a seminare gli escrementi calpestati fino alla pianura Padana?
Racconto di mio padre nato nel 1922.Ne fece pure una copia dattiloscritta per il nipotino schizzinoso.Negli anni della guerra imperiale e poi civile , col razionamento vigente e tessere, in borgo isolato di campagna …due maiali vennero dichiarati infetti da peste suina.Il veterinario ordino’ il loro abbattimento, seppellimento della carcassa cosparsa di calce viva e assitette a tutte le fasi. I magri allevatori chiesero se la peste fosse contagiosa e letale per gli uman.”NO; PERO’…si trasmette agli altri suini” .Se i maiali fossero stati sani, sarebbero stati confiscati comunque, e utilizzati da cerchia ristretta di “capoccioni “graduati.(.al popolo solo cotenna e interiora ..e sanguinaccio cotto con cipolla e ossa per un brodaccio ).Dopo alcune ore , a veterinario andatosene, lo dissepellirono, tolsero la cotenna ed il resto della carne e grasso lo consumarono ben cotto in pentoloni ..nel giro di una settimana fini’. Giravano ben altri pericoli, tra cui i mitragliamenti e bombardamenti aerei e i rastrellamenti di renitenti alla leva. Dopo il 25 aprile i parenti e i vicini di casa del piccolo borgo si rifecero con vera carne di cavalli da tiro germanici , alcuni gia’ traforati da raffiche nella avanzata oltre Po delle truppe inglesi, altri macellati con un colpo di una qualche arma whermacht abbandonata dagli arresi e racattata aumma aumma.