Metadiario – 244 – La scommessa della Marmolada – 2 (2-2) – (AG 2002-005)
(tratto da Rifiuti verticali, di Alessandro Gogna e Mario Pinoli, AlpineStudio, 2012 + aggiornamenti)
continua da: https://gognablog.sherpa-gate.com/la-scommessa-della-marmolada-1/
L’1 agosto 2001, Marco Preti, Mario Pinoli e io, eravamo scesi ancora una volta nel Canalone del Gigio per fare un film per una possibile sponsorizzazione da parte della Luxottica. Avevamo constatato che il fondo del canale era invaso da decine di metri cubi di neve residua che avrebbe impedito qualunque asportazione di materiale sottostante. Inoltre, da alcuni mozziconi di sigarette, ci accorgemmo che qualcuno era sceso nel canale, non sappiamo se l’anno prima: probabilmente uomini del Soccorso Alpino. Questo voleva dire che i tempi erano maturi: forse avevo la possibilità di vincere la scommessa che avevo fatto con me stesso tredici anni prima.
Era quello il momento di avviare la lunga e costosa operazione di bonifica del Canalone del Gigio. Quell’atto finale non sarebbe servito solo a dare lavoro agli specialisti: sarebbe stato un primo passo, un esempio sopratutto per altre strutture turistiche che, ben sappiamo, avevano fatto buona compagnia ai misfatti della funivia della Marmolada.
Luca Grigolli (della Tequila ProAd) doveva darsi da fare e convincere la Luxottica che quella era davvero una splendida iniziativa. Il 21 settembre, ad Agordo, ci fu la presentazione ufficiale del progetto. Cominciava qui anche l’importante lavoro di Mario Pinoli (di Montana srl), un’accurata tessitura di relazioni pubbliche e private che ci avrebbe permesso di mandare avanti l’operazione: infatti i rapporti che intercorrevano tra la gestione delle funivie, il comune di Rocca Piétore, la provincia, Mountain Wilderness, il CAI, il Soccorso Alpino e tutti coloro che avevano lavorato nel 1999 e 2000 erano così delicati da rischiare che il nostro improvviso inserimento facesse saltare in aria le buone volontà di tutti. Solo Mario Richelieu Pinoli poteva garantire il successo nella mediazione.
La bonifica del Canalone del Gigio
A fine giugno 2002 volevo sapere quanta neve residua era al fondo del canalone. La bonifica era stata programmata di lì a qualche giorno e non volevo andare inutilmente. Con i binocoli osservai la base del canale dal solito Ciamp d’Arei e vidi che il nevaietto era proprio piccolo e ben distaccato dalle pareti rocciose del canalone.
Quindi tutto andava avanti come previsto. La Luxottica ci aveva finanziato una quindicina di giorni di lavoro per quattro persone. Secondo i miei calcoli sarebbe bastato.
Assieme a Lorenzo Merlo, guida alpina di Milano, e a Pascal van Duin, guida alpina di Mello in Valtellina, avevamo passato parecchio tempo a pensare come agire. Calarsi in quel posto comportava armonia, idee chiare. Diversamente ogni momento sarebbe stato buono per alzare i rischi d’imprevisto. Si poteva ipotizzare un intervento pesante, con tanto di cavo d’acciaio. Ma alla fine prevalse l’idea di scendere leggeri, anche considerato che il canalone non dava spazio a tante persone contemporaneamente. Sapevamo che già il semplice movimento di un singolo metteva a rischio l’incolumità dei sottostanti, figuriamoci un singolo che menava picconate. E questo sia a causa dell’instabilità dei rifiuti, sia a causa della roccia talvolta friabile e della ghiaia onnipresente sul fondo.
Le misure del canalone, da me prese con il GPS nei primi giorni, confermavano una prudenza davvero obbligatoria. La base del Canalone del Gigio era situata a 2055 m, 46° 26’ 137 N di latitudine e 11° 53’ 942 E di longitudine; l’inizio della discesa, nei pressi della Stazione del Banc del Gigio, è situato a 2331 m, a 46° 26′ 089 N di latitudine e 11° 53′ 860 E di longitudine. Il dislivello è quindi di 276 metri, lo sviluppo esatto 298 m, con una pendenza media di 68°.
Il 6 luglio 2002 arriviamo a Malga Ciapela: con noi è il quarto della squadra, il geologo e alpinista Luca De Franco, già mio compagno nella bonifica del Ghiacciaio delle Platigliole allo Stélvio nel 2001. Siamo ancora in tempo per prendere contatto con il direttore tecnico delle funivie, Luciano Sorarù, e con il sindaco di Rocca Piétore, Maurizio De Cassan. Il clima, rispetto al 1988, è davvero cambiato. Entrambi ci confermano il sostegno totale all’iniziativa e, come già d’accordo nei mesi precedenti, avremo dalle funivie aiuti tecnici e passaggi gratuiti.
Il giorno dopo, mentre Luca continua le prese di contatto, soprattutto per garantire un corretto smaltimenti dei rifiuti che andremo a raccogliere, Pascal, Lorenzo e io saliamo in funivia al Banc per una prima ricognizione. Per loro il canale è una totale novità e vorrei che fossimo in tre a controllare la tattica della bonifica. La discesa si svolge senza incidenti, sfruttando e rinforzando gli ancoraggi delle otto corde doppie necessarie. Per me è la quarta volta, ma i due miei compagni sono allibiti di fronte al compito che ci attende: ma, senza ulteriori commenti, raggiungiamo la base del canale. Qui passiamo tre ore ad aggredire a picconate e a colpi di pala il nevaio che ostruisce il fondo: cerchiamo di provocare il distacco di blocchi squadrati di neve dura, in modo da poterli spingere e farli rotolare il più in basso possibile sul ghiaione, dove il sole li scioglierà. Alla fine, con la schiena rotta, scendiamo per circa tre quarti d’ora il sentierino di costruzione militare, a volte decisamente esposto, che collega il fondo del Vallone d’Antermoia con il Ciamp d’Arei e Malga Ciapela 1449 m. La giornata è finita.
L’8 luglio ci dividiamo: dalla stazione della funivia Luca e io scendiamo per un sentierino aereo, ripido e a volte un po’ invaso dai baranci, tracciato circa 35 anni fa in occasione della costruzione degli impianti. Anche questo si chiama Sentiero del Banc del Gigio e bisogna stare attenti a percorrerlo, non tanto nel breve tratto attrezzato con un cavo metallico, quanto sulle ripidissime pale erbose. Carichi come somari, la traccia ci porta una cinquantina di metri sotto ai baranceti che sono ai piedi del conoide ghiaioso alla base del Canalone del Gigio; qui si arriva perciò con un’ultima salita, per cominciare subito una raccolta del materiale sparso sul ghiaione. Intanto Pascal e Lorenzo salgono in funivia al Banc (Prima Stazione) per incominciare la pulizia di grosso della prima sezione. Ci hanno concesso l’uso di una stanzetta in cui scegliere di giorno in giorno i materiali che abbiamo depositato lì. Abbiamo le radio, ma dopo un po’ rinunciamo a chiamarci continuamente. Presto infatti, noi che siamo alla base, impariamo a capire, dai rumori terrificanti che fa, di che tipo è il materiale che precipita; per prevedere i rimbalzi e i tempi di atterraggio nei nostri paraggi. Specialmente se si è proprio nel fondo del canale, là dove la neve residua si sta sciogliendo, si è davvero esposti, come al tiro al bersaglio. Se si è invece un po’ più distanti, allora il rischio è di essere colpiti da certe lamiere di zinco che addirittura sembrano volare mentre sfuggono alla prigionia del canalone.
Lorenzo e Pascal si stanno infatti dedicando ai grossi rifiuti, tralasciando la prima parte in cui grandi quantità di plastica, vetro e lattine sono praticamente sepolte da una coltre vegetale che li ha ricoperti. Nel frattempo, data l’enorme quantità di legno presente, decidiamo di farne delle cataste e di appiccarvi fuoco. Così la neve si scioglierà ancora più in fretta. Un fumo denso si alza e s’infila ovviamente nel canalone, che fa da camino. Uno spettacolo davvero infernale. Alle 17 smettiamo di lavorare e scendiamo tutti insieme a Malga Ciapela, sempre per il solito sentierino di guerra.
Il giorno dopo ci sono poche varianti al programma. Continua il grande lavoro di Lorenzo e Pascal, dissodare e spingere verso il basso tonnellate di materiale, che in genere scende veloce per un tratto per poi arenarsi una decina di metri sotto al primo mucchio che fa da diga. Il tutto insieme alla ghiaia. Bisogna lavorare appesi alle corde, una alla volta. Poi si scende un poco, si scava, si risale e si ricomincia da capo. Ogni tanto riescono a buttare giù qualcosa di grosso e questo, nella sua caduta, riesce a trascinare con sé altro materiale. In genere il rumore di fondo è una scala musicale con echi provocata dai rimbalzi continuati di decine di barattoli. Al fondo, noi siamo con le orecchie tese, e ci spacchiamo la schiena per radunare, a portata di elicottero, il materiale raccolto nei sacchi. Il rogo era continuato per tutta la notte, non abbiamo difficoltà a rifornirlo continuamente di assi marce e gelate. Il fumo questa volta arriva a dare fastidio a Lorenzo e Pascal, che più volte ci pregano per radio di smettere. Ma ormai non possiamo più spegnere nulla, bisogna solo attendere che il legname si consumi.
A metà pomeriggio, improvvisamente per radio Lorenzo ci comunica che Pascal si è fatto male, devono scendere subito. Sembra però che ce la faccia da solo. Con ansia li aspettiamo, per poi vedere un sanguinante taglio proprio sopra l’occhio, già medicato alla meglio e bendato.
Proprio a metà canale, nello spingere un lungo tubo idraulico per far leva su un enorme “tappo” di ferri rugginosi, putrelle, rotaie, lamiere varie e cavi d’acciaio di variegata foggia e lunghezza, c’è una coordinazione mancata tra Lorenzo e Pascal, combinata con la “giusta” ondulazione della parte di tubo libero: ed ecco che il ritorno elastico del tubo lo va a colpire con violenza. Pascal si accascia sul fondo di detriti putridi, la corda lo tiene. Lui si tiene la testa. Qualche secondo di paura per Lorenzo che non lo vede reagire. Poi, seppur molto dolorante e “stonato”, Pascal si riprende. I due iniziano a scendere. La giornata per oggi… è andata bene. Non sarà una cosa grave, ma ci rende tutti pensierosi.
La discesa a Malga Ciapela è silenziosa, questa sera. Siamo tutti stanchi, scoraggiati dalla quantità di lavoro che ancora ci attende. Il tempo per il momento tiene, ma se si mettesse a piovere? La sera in albergo cerchiamo di non pensarci: e nel frattempo incontriamo finalmente il forte Attilio Bressan, nei giorni prima non disponibile. Da domani sarà con noi a lavorare. Bressan, ai tempi di Mountain Wilderness 1988, dopo una prima collaborazione aveva pesantemente litigato col coordinatore Sperotto, per motivi che non ho mai avuto modo di chiarire del tutto. E in ogni caso era ovvio che a quel tempo noi fossimo visti come dei veri e propri intrusi rompicoglioni. Poi, nel 1999 e nel 2000, Bressan si era dato molto da fare per realizzare le bonifiche promosse dalla gestione delle funivie cui ho accennato prima.
Attilio si sarebbe rivelato una vera forza della natura: nonostante l’età non più così verde non smetteva mai di lavorare, con uno spirito pratico e un’esperienza davvero ammirevoli.
10 luglio. Nel canalone stavolta scendiamo in tre, anche se una persona in più fa aumentare il rischio. La mia presenza infatti è necessaria per documentare fotograficamente la bonifica. Pascal è tranquillo, ma non ha passato una buona notte. Il volto e la ferita gli dolgono ma non fa parola. Fa freddo, dalle pareti sgocciola acqua addosso a quelli che stanno fermi in piedi e in posizione scomoda, chi lavora invece suda come una bestia. Soprattutto difficile da sopportare è la sensazione di non vedere progressi: è vero che ogni tanto qualcosa va giù fino in fondo, con un rumore così forte e intenso da essere consolante, ma in genere il materiale scorre per pochi metri per poi ammucchiarsi miseramente in cataste sempre più grandi, sempre più faticose da sgombrare. Ore e ore per sbrogliare funi di metallo che legano il resto in un ammasso senza risoluzione, ore e ore per dissodare una lamiera: e pochi metri più sotto occorrerà fare le stesse cose sulle stesse funi e sulle stesse lamiere. Dopo l’episodio di Pascal, pur avendo spessi guanti da lavoro, abbiamo paura ugualmente di tagliarci, oppure di ferirci una caviglia quando si fa leva per estrarre qualcosa. Ci sembra una condanna, eppure l’abbiamo scelta noi.
Alla base intanto vediamo agitarsi Attilio e Luca. Questa mattina sono scesi veramente appesantiti per il sentierino del Banc, perché hanno portato con loro due reti a testa, in modo da poter disporre finalmente i carichi per l’elicottero.I rifiuti sono sparsi non solo sul ghiaione, ma fino a 200 metri distante nei baranci, ormai semiseppelliti dalla vegetazione. Occorre setacciare la zona, reperire il materiale, dissodarlo e trascinarlo ai carichi previsti.
La variante serale è che siamo in cinque a scendere il sentierino, ma siamo così stanchi da non fare quasi neppure una battuta di spirito. Solo la birra al Bar del Gigio ci tira su di morale.
Il giorno dopo, stessa storia. Scendo ancora nel canalone, perché voglio aiutarli un poco e fare altre foto che il giorno prima non avevo pensato di fare. L’osso più duro di tutti si rivela essere un tratto più o meno a metà: qui il canale è privo di salti verticali, il materiale si è ammassato in modo preoccupante, lo sgombero è lentissimo. Due lunghe curve di rotaia, circa 7-8 metri, sono una non metaforica spina nei fianchi del canalone: non scivolano giù che pochi metri e trattengono molto bene ogni detrito che le incontra. Più sotto, in corrispondenza di un anfratto, il giorno prima avevamo lasciato del materiale da lavoro (sacconi, corde, mazzette, chiodi, spezzoni, piccone, pala, seghetto, leverino): facciamo fatica a trovarne alcuni, perché nel frattempo il livello di detriti è salito di più di un metro, ed è stato tutto seppellito!
Appena ho finito il mio compito scendo velocemente da Attilio e Luca, per aiutarli a preparare i carichi. Le prime rotazioni d’elicottero sono infatti previste per domani. Ormai la caduta di materiale è davvero pericolosa per chi sta sotto. Si può lavorare un minuto, poi scappare per il minuto dopo. Meglio perciò essere in tre. Il legno accatastato intanto ha assunto proporzioni gigantesche, quindi, approfittando di un po’ di vento, non resisto alla tentazione di appiccare ancora fuoco… Questa volta il fumo si disperde e non dà fastidio ai poveretti del canalone.
A fine pomeriggio ci ritroviamo tutti al Bar del Gigio, dove, più allegri del solito, sperimentiamo le birre con variante all’anice. Al terzo giro tutti e cinque siamo assolutamente alticci, e ci ripromettiamo di riprendere altre volte questa splendida bibita, ringraziando Attilio per questo nuovo suggerimento della tradizione valligiana.
12 luglio, ancora bel tempo, siamo davvero fortunati. In compenso Lorenzo e Pascal cominciano a dare segni di qualche stanchezza. Decido di scendere ancora con loro, in modo da alternarci al lavoro più frequentemente. La pulizia è ormai senza storia, anche se ogni lamiera, ogni trave, ogni fune ha la sua vicenda di lotte, di bestemmie. La sfida è per ogni oggetto diversa. In tre riusciamo a spedire nell’abisso una quantità di roba davvero confortante: i pezzi grossi sono rari e con la caduta di solo materiale piccolo, siamo sicuri che sotto possono continuare a lavorare. Oggi ad aiutarli è con loro anche Leo Olivotto.
Quando arriva l’elicottero, sono sotto anch’io. Deposita a terra il tecnico con una manovra a dir poco ardita, in pochi minuti ritorna e incomincia la corvée. Dopo mezz’ora è tutto finito. Non ci sembra reale che una prima parte di lavoro si sia davvero realizzata. Mi precipito in basso per il sentiero militare per poter documentare l’ammasso recuperato e lasciato dall’elicottero al Passo Fedaia dopo una decina di rotazioni, prima che il camion dello smaltimento, munito di gru, porti via tutto. Ed è a cuore più leggero che ancora una volta ci ritroviamo assieme al bar.
13 luglio. Scendo con Luca con altre reti per il sentierino del Banc, ma poi risalgo il canalone usando la corda fissa che mi hanno lanciato Pascal e Lorenzo dall’alto. Lavoriamo ancora in tre, ormai con molta coordinazione. Ci siamo davvero organizzati ed è difficile che si verifichino lunghi tempi morti per qualcuno dei tre. C’è sempre qualche manovra che si può fare assieme a un’altra, perciò non stiamo mai fermi. E il lavoro comincia a vedersi. La metà superiore del canale si può definire pulita, i frammenti di plastica e i barattoli di latta più piccoli ancora seppelliti e invisibili nella ghiaia verranno pian piano espulsi negli anni, la natura farà ancora una volta il suo dovere. Perciò è nella metà inferiore che ci concentriamo, gasati dall’aver visto la luce alla fine del tunnel. Sotto, Luca è da solo, Attilio oggi non ha potuto venire.
14 luglio, domenica. Il tempo è assai minaccioso. Faccio un salto veloce al rifugio Castiglioni al Lago di Fedaia, da dove so che stanno per partire i ragazzi di Mountain Wilderness: la loro meta è la vetta a piedi da lì, per sottolineare ancora una volta che il problema della Marmolada e della sua gestione generale è ancora ben vivo e occorre vigilare perché non si realizzino progetti che nulla hanno a che fare con l’attenzione all’ambiente e con il turismo sostenibile. Alle 9 sono già in funivia per raggiungere i miei compagni. Luca oggi scende con Lorenzo e Pascal, perché possa fare anche lui il suo “giro turistico”, almeno una volta. Attilio e io lo incontreremo già alle 10, alla base del canalone, pronto a ricominciare. Per fortuna non piove: fa freddo, ma il vento è riuscito a spazzare via il pericolo d’acqua. Anche oggi possiamo lavorare tutto il giorno e concluderlo degnamente al solito bar.
15 luglio. Torniamo a rivedere l’arcata sopraccigliare di Pascal, priva di benda. Piuttosto che scendere ancora una volta per il “maledetto” sentierino del Banc, Luca preferisce scendere carico di reti per il canalone. E mentre Pascal e Lorenzo riprendono la loro odissea, Attilio e io ci dedichiamo a un altro compito, la pulizia di fino della parte alta. Come ho già detto in precedenza l’inizio del canale è caratterizzato da un ripido pendio erboso, inframmezzato da un risalto. Qui, negli anni, i sacchi di spazzatura si sono trasformati in “cotica”. Non vogliamo ovviamente rovinare il “maquillage” della natura, soltanto asportare ciò che di visibile c’è ancora. Qui stiamo parlando di tonnellate di sacchi neri sui quali è cresciuta l’erba. Poco sotto il primo salto verticale, un vero e proprio “pozzo” speleologico, l’antro si dischiude a campana e su una cengia laterale si sono depositati quintali di roba assai minuta. È lì che scendo, in verticale dal piazzale di manovra sito proprio sotto alla Stazione. Io raccolgo il materiale, Attilio lo tira su. Dobbiamo stare attenti, perché sotto di me, ma a portata di sassi, stanno lavorando Lorenzo e Pascal. Allorché ho finito, risalgo a jumar la campana e il pozzo. E invece di andare al bar, Attilio e io scendiamo ancora per il sentierino del Banc, per aiutare Luca a fare altri carichi. Alla fine del pomeriggio comincia a piovere, scendiamo tutti sotto l’acqua. So che le previsioni per il domani non sono confortanti.
16 luglio. Alla mattina, grande fermento alle funivie, per la visita di ben due vescovi (Belluno e Trento): c’è anche tanta gente in più del solito. Però sta per piovere, saliamo ugualmente. Lorenzo e Pascal, coraggiosi, iniziano la discesa nel canalone: di per sé già poco attraente, un buco senza ombre da immaginare oggi con un temporale di acqua, sassi e fulmini. Ma alla fine tutto è inutile e devono scendere veloci alla base, bagnati fradici, e da lì a valle. Anche per noi, e per il nostro previsto lavoro di fino, nulla da fare. Ci ritroviamo tutti a visitare gli interessanti impianti della centrale elettrica di Malga Ciapela. E per oggi si chiude lì.
17 luglio. Il tempo ci dà tregua. Luca, Attilio e io siamo ben decisi a bonificare il famoso prato iniziale; Lorenzo e Pascal scendono per l’undicesima volta nel canalone.
Approfittando di una piccola teleferica di servizio della funivia, Attilio si piazza proprio sulla verticale del prato, mentre Luca e io gli mandiamo su una ventina di sacchi della spazzatura belli carichi: sembra facile a dirsi, in realtà è solo con la forza delle bestemmie che i sacconi riescono a disincastrarsi dagli intoppi che incontrano ogni due o tre metri. Impieghiamo tutta la mattina, e alla fine non siamo così soddisfatti. Più si scava, più materiale appare. Ci convinciamo che sarebbe controproducente disfare un lavoro che la natura così pazientemente ha fatto. E così, dopo aver racimolato solo ciò che era ancora visibile, abbandoniamo l’ambizioso progetto di estirpazione totale del bubbone.
Mentre siamo riuniti sul piazzaletto di servizio, dal basso la ricetrasmittente ci segnala un altro incidente. Nel gracchiare della radio, appare evidente che questa volta è più serio. Lorenzo è stato colpito a una mano da un sasso. Pascal lo medica, poi, dopo aver srotolato la fissa per la discesa, lo cala fino alla base. Intanto scendo anch’io nel canalone, per fare da secondo a Pascal e continuare a lavorare. Attilio scende il sentierino del Banc per operare alla base e infine Luca scende in funivia per andare incontro a Lorenzo e portarlo in ospedale.
Ci ritroviamo tutti alla sera, Lorenzo sta bene, gli hanno solo dato qualche punto. Ma è sicuro che domani non potrà scendere nel canalone, perché è prevedibile una mano gonfia come un pallone.
18 luglio. Le bizze del tempo ci hanno consigliato di anticipare di un giorno l’arrivo dell’elicottero per terminare il lavoro. Lorenzo ha passato una notte d’inferno, ma scenderà comunque per il sentierino del Banc assieme a Luca, Leo e Attilio, per dare loro una mano (nel senso letterale della parola). Io scendo il canalone con Pascal, per dare la botta definitiva: sappiamo infatti che sarà l’ultima volta. Deve esserlo.
C’impegniamo infatti al massimo. Quando arriviamo al luogo dell’incidente di ieri, è davvero impressionante. In mezzo a grandi macchie di sangue, troneggia il guanto giallo da lavoro abbandonato lì, tolto dalla mano colpita e anch’esso insanguinato. Mi domando se quello che stiamo facendo ha ancora un senso. Poi riprendiamo il lavoro, con un accanimento che ha dell’insensato. Dopo anni e anni io sto vedendo la fine di quest’avventura della volontà, Pascal ha deciso di farla finita una volta per tutte. La sua rabbia, dopo questi giorni di follia, è pari alla mia. Non c’è più un movimento che non facciamo senza un mugolio, senza stringere i denti e un’imprecazione a mezza voce.
Sotto il lavoro è altrettanto febbrile, le due squadre sono assai vicine: praticamente noi stiamo lavorando a non più di 40 metri da loro, è facile capirsi e non utilizziamo neanche le radio ricetrasmittenti. Alla fine siamo tutti al fondo, cercando di trascinare un po’ più all’aperto il mucchione di materiale, per fare gli ultimi carichi. L’elicottero arriva sul tardi ma svolge il suo lavoro egregiamente. C’è perfino il sole, io sono felice, è davvero finita. Ci concediamo perfino una rotazione solo per il nostro ritorno, per ritrovarci tutti dopo pochi minuti al bar del Passo di Fedaia. Festeggiamo. Anche Leo Olivotto, l’ex-direttore degli impianti, è contento. Mi sembra si sia tolto un peso dal cuore. Girano le “ombre” di vino, è un momento davvero magico in cui sembra che il mondo cittadino e quello valligiano possano essere la stessa cosa gioiosa.
Per il domani è prevista un’ultima capatina di Luca e Pascal nel canalone, per il recupero del materiale tecnico, cioè corde, chiodi, cordini, sacchi: ma già da stasera sappiamo che tutto è finito. Anche se alla base rimane da appiccare il fuoco all’ultima catasta di legname, un compito che ho affidato ad Attilio e che lui svolgerà appena possibile.
Conclusione
I numeri finali relativi al Canalone del Gigio sono, con buona approssimazione, i seguenti. Sono stati raccolti 13.225 kg di materiale, di cui 50 di lattine di alluminio, 500 di barattoli, 3.990 di lamiere di zinco, 200 di tubi di fogna, 225 di plastica, 10 di cavi elettrici, 200 di tubi di zinco, 8.050 di ferro. Sono stati inoltre dati alle fiamme 24.000 kg circa di legname altrimenti inutilizzabile.
Queste cifre non rendono la minima giustizia a quello che è stato il lavoro necessario, prima alla denuncia, poi alla ricerca sponsor, poi alla bonifica. Se io dovessi trarre la mia soddisfazione solo dalle cifre, non sarei per nulla contento.
Ciò che invece mi fa camminare a mezzo metro da terra è l’aver incontrato uno spirito di gruppo, una voglia di fare come raramente mi era capitato, neppure nelle spedizioni extraeuropee. L’aver fatto amicizia con Attilio è stata una delle cose più belle in tanti anni di montagna. Certo, le cose bisogna farle, realizzarle. Questo vuol dire un sogno di meno e una certezza in più. Per qualche motivo che ignoro, la Luxottica non ha voluto fare nulla per “comunicare” l’evento: si è limitata a mantenere la sua promessa, senza volere nulla in cambio. Ma anche codesta è una questione di “stile”.
Addenda
La guida alpina Marco Bergamo, di Falcade (BL), nel 2017 denunciava la situazione sempre più difficile del ghiacciaio della Marmolada. Dopo 15 anni dall’ultimo intervento, il ghiacciaio aveva perso decine di metri di spessore e sempre più stavano uscendo residui bellici, sporcizia e cosa ben più grave, tutte le carriole di immondizie che erano state scaricate sul ghiacciaio dalla società impianti in maniera incivile. Dunque urgeva un nuovo intervento: primo per pulire da quel cesso il povero ghiacciaio, che anche se ormai era alla frutta, meritava di vivere i suoi ultimi anni in maniera decorosa, secondo perchè il progetto di pulizia non poteva certo essere considerato terminato al 2002 e urgeva un intervento aggiornato, terzo perchè per gli alpinisti che uscivano in cima dopo aver scalato la parete sud, e scendevano al passo Fedaia in scarpe da ginnastica, la discesa poteva diventare veramente pericolosa (in caso di scivolamento c’era il serio pericolo di tagli e lacerazioni). Nel caso fosse necessario un intervento di pulizia operato da volontari, Bergamo si metteva a disposizione assieme ad associazioni locali per organizzare la cosa assieme a Mountain Wilderness. “In montagna ci vivo, ci scalo, ci lavoro e quando vengo a conoscenza di certe cose mi si raggela il sangue… nessuno faceva luce sul problema del ghiacciaio così ho pensato di farlo io, non per provocare o accusare ma per risolvere“, conclude.
La lettera di Bergamo si è sommata ad un’altra pesante denuncia di un socio di MW di Rocca Pietore. Luigi Casanova sosteneva “che la preziosa collaborazione di Alessandro Gogna nel 2002 non è andata perduta. Infatti, con suoi operai, la società è intervenuta più volte nella pulizia di quanto il ghiacciaio liberava. Inoltre nei mesi di settembre del 2003 e 2004 la Provincia di Trento, con gli operai dei Bacini Montani, ha battuto metro su metro il ghiacciaio sul versante “trentino” portando a valle tonnellate di materiali e rifiuti. Tutto questo è maturato grazie alle azioni dirompenti di Mountain Wilderness nel 1988 e 1989 e nelle seguenti azioni che anche quando trattavano temi diversi (eliski o strappo al ghiacciaio) hanno sempre avuto attenzione alla questione rifiuti“.
Ho notizia che dal 20 agosto 2017 la società funiviaria abbia messo a disposizione parte del suo personale che, con gli alpini dell’esercito, ha condotto giorni di duro lavoro di pulizia nel vallone Antermoia e non solo. Anche il 3 settembre 2017 assieme al gestore Guido Trevisan, Mountain Wilderness è stata sul ghiacciaio per una giornata di interventi.
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Grande operazione bravi ragazzi un saluto e abbraccio a tutti. Bei tempi da rievocare
Il 2 settembre 2017 assieme al gestore del Rifugio del Pian dei Fiacconi, Guido Trevisan, Mountain Wilderness sarà presente per una giornata di interventi di pulizia.
Ritrovo ore 8.00 area di sosta oltre la diga, oppure alle 9.00 a Pian dei Fiacconi. La mattina sarà dedicata alla pulizia del cumulo di rifiuti (vetro, latta, ecc….) a 500 m dalla stazione di monte a Pian dei Fiacconi. Nel pomeriggio saremo ospiti del rifugio Pian dei Fiacconi dove, proprio in questi giorni, è in programma la mostra FUTURISTIC ARCHAEOLOGY.
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É proprio vero che la vita porta ogni giorno strane coincidenze. Proprio in questi giorni sto ammirando la sagoma della Regina Bianca dai pendii del Civetta assieme ai miei figli e gli stavo raccontando di quei durissimi e bellissimi giorni lungo il canale del Gigio. E oggi mi segnalano il tuo articolo che mi ha regalato l’emozione di quei giorni e il grande spirito di collaborazione che c’era tra tutti noi. Quei giorni indimenticabili non sono stati solo dei giorni di pulizia, ma il giusto atto di ringraziamento per quello che ogni montagna ci dona, gratuitamente e senza richiesta, e che l’uomo, troppo spesso, tradisce e rovina perché diventato cieco e insensibile. Mi si riempie il cuore a sapere che altri stanno proseguendo il cammino aperto in quei giorni ed al quale, con grande orgoglio, ho avuto l’onore di far parte assieme a te e agli altri cavalieri della montagna.
Gran lavoro, feci la Vinatzer nel ’82 e ricordo perfettamente lo schifo alla base e lungo la parete. Ricordo anche la ritorsione della società funivie che prima dell’88 offriva gratis agli alpinisti la discesa in funivia mentre dopo si faceva pagare. E i servizi igienici chiusi “grazie ai servigi resi da Mountain Wilderness” invitando le persone a soddisfare i propri bisogni “en plein air”.
Per fortuna la situazione sta cambiando, non servira a ricostruire il ghiacciaio ma almeno averlo pulito. Io non avrei rimosso il materiale della I guerra, magari accatastato per sicurezza ma è pur sempre una testimonianza. Come in Alaska al passo Chilcoot.
Fantaracconto o verità?
Mi han detto che è bastata far girare la voce che stavano riaffiorando “reperti” della guerra perché una moltitudine di persone salisse a “pulire” e ci sia voluto un intervento statale per bloccare il tutto (pericolo esplosivi).
Mica male questo sistema per pulire, va però studiato e organizzato.
Spero abbiano scherzato.
A me dispiace perché ho visto che la Regina non è più una Regina Bianca.
Anche se negli ultimi 40 anni Lei piano piano viene pulita, ma non è più bianca…. quasi nemmeno d’inverno.
givano3123@gmail.com da montanaro escursionista non posso che dire BRAVISSIMI E GIGANTESCO PROGRAMMA DI PULIZIA DI UNA MONTAGNA COSI BELLA E REGINA…MI CHIEDO… COME MAI TRA I RIFIUTI COMPAIONO MATERIALI STRANI QUALI TUBI ED ALTRO… VOLEVO FARE UN APPUNTO SU UNA QUESTIONE PARTICOLARE… SULLE PERSONE DISPERSE NEGLI ANNI NEL GRUPPO DELLA MONTAGNA… SE VI E’ STATO AVVISTATO QUALCOSA RESTO IN MERITO… ANCORA GRAZIE E COMPLIMENTI PER TUTTO CIO’ CHE E’ STATO FATTO…. grazie di cuore…