L’Anello dei Nibelunghi

L’Anello dei Nibelunghi
(i raid in sci nelle Alpi degli anni ’80-’90)
di Carlo Crovella

Introduzione 2023
Nel recenti volume Scialpinismo (edito nella Collana Storia dell’Alpinismo del Corriere della Sera), in corrispondenza degli anni ’80-90 ho descritto una tendenza passata alla storia come Ski Total. Ne ho riportato il ritratto ideologico anche nell’articolo Profumo di ripido, pubblicato su GognaBlog a fine febbraio 2023. Possiamo sintetizzare il tutto nel concetto che lo Ski Total è stata l’ultima coda, arricchita da un certo impegno tecnico, dello scialpinismo tradizionale, il quale quindi è durato per circa cento anni, visto che se ne fissa l’inizio nei primi anni ’90 dell’Ottocento.

Gli anni ’80 del Novecento sono stati caratterizzato anche dalla ri-scoperta delle traversate sciistiche in versione moderna, i “raid in sci” come si chiamavano specie in quel frangente. I francesi degli anni ’80 le hanno arricchite di una pennellata esotica, quella dello “sci-viaggio”: si trattava di raid lontani dalle Alpi e in regioni, ovviamente innevate, ma senza una particolare tradizioni sciistica. Michel Parmentier è stato l’icona massima dello “sci viaggiatore” e ha infiammato centinaia di proseliti. L’attività aveva un’indiscutibile attrattiva, ma non per questo i raid nelle Alpi hanno perso completamente di valore e appeal.

Il periodo fra tutti gli ’80 e la prima metà dei ’90 è coinciso con il mio maggior coinvolgimento nelle attività di montagna, in particolare sul versante scialpinistico (che, fra tutte le “cose” fattibili in montagna, resta il mio più grande amore).

La fisiologica conclusione del mandato da Direttore della Scuola SUCAI Torino mi ha sollevato dalle responsabilità organizzative di un’entità così complessa e “grande”, per cui ho potuto dedicarmi totalmente all’attività personale, sbizzarrendomi nella ricerca di percorsi del tutto inusuali o relativamente poco battuti.

Accanto alle numerosissime uscite “one shot” (come diremmo oggi), cui è dedicato il già citato articolo pubblicato su GognaBlog a fine febbraio 2023, con la mia combriccola di amici mi sono dedicato a diversi raid in sci nelle Alpi, portando i parametri dello Ski Total (alte quote, ambienti glaciali – allora sciisticamente invitanti -, possibilità di incontrare sia difficoltà alpinistiche che i primi abbozzi di discese ripide con gli sci…).

I motivi per cui ho realizzato le mie traversate sciistiche nelle Alpi, anziché seguire l’onda dei raid esotici alla francese, sono numerosi: la mia natura di bougianen sabaudo, la relativa scarsità di tempo e anche di risorse economiche, la difficoltà a intersecare i programmi dei vari componenti delle squadre e, last but not least, il mio amore per le Alpi, dove cose belle e divertenti “ce n’è da vendere e da appendere” (tipico modo di dire torinese). In più, da Torino con circa due ore di auto, si spazia dalle Alpi Liguri-Marittime fino al Vallese (compreso anche il lato francese del semicerchio alpino), potendo disporre di un’ampia gamma di opportunità da sfruttare, a seconda delle condizioni nivologiche e della montagna in generale. Abbiamo quindi spazzolato a dovere il semicerchio alpino nordoccidentale (compresi i versanti stranieri).

Certo, le alte quote e gli ambienti glaciali hanno un fascino particolare, ma non disdegno certe traversate in contesti meno nobili, ma non per questo meno affascinanti.

Carlo Crovella in un tratto impegnativo durante il raid delle Alpi Marittime, qualche anno prima della Dent Blanche

Complessivamente, di raid nelle Alpi ne abbiamo realizzati moltissimi, anche se “il meglio è sempre nemico del bene” e se ne avessi fatti anche di più sarei certamente più contento. Lo scialpinismo di raid ha delle caratteristiche molto particolari che anche allora andavano ben oltre l’impegno della singola uscita, pur molto tecnica. In un raid che dura più giorni, non potendo tornare alla vita cittadina la domenica sera, ti devi progressivamente inserire nell’ambiente che ti circonda, devi interiorizzare la fatica, i disagi, il male ai piedi e alle spalle (zaini pesati), devi vivere secondo i ritmi e gli orari della montagna e, infine, devi rimanere lucido per decidere autonomamente, ma contemporaneamente devi saperti integrare alla perfezione con i compagni di avventura…

Si tratta di caratteristiche che hanno accompagnato le traversate sciistiche dalla notte dei tempi e che anche oggi le contraddistinguono. Quindi non abbiamo scoperto nulla di nuovo. Tuttavia l’ambiente d’alta quota, le difficoltà tecniche e sciistiche, il rude clima umano ma pur sempre scanzonato delle varie squadre, costituiscono un’esperienza che mi ha particolarmente arricchito.

Spesso, per non dire quasi sempre, il percorso delle traversate derivava da mie idee. Fra queste il più particolare è stato il Tour in sci ad anello condotto intorno alla base della Dent Blanche nel Vallese. La Dent Blanche è un enorme dentone di oltre 4300 m, allora considerato assolutamente “insciabile” (solo di recente sono state tracciate discese dirette dalla vetta, ma con criteri “moderni” allora impensabili).

La forma “a dentone” della Dent Blanche

Mi ero imbattuto visivamente nella Dent Blanche in molte precedenti situazioni, transitando da quelle parti sia con gli sci che d’estate. Un giorno, guardandola, si è innescata in me una particolare sfida: “Ah, sì? E’ insciabile ‘sto dentone? E allora io ci faccio il giro tutto intorno con gli sci!”

Ho definito il tracciato grazie a particolareggiate analisi a tavolino sulle cartine svizzere e con un paio di sopralluoghi. Un primo tentativo è stato frustrato da una copiosa nevicata, per fortuna proprio in partenza, senza il rischio di rimanere bloccati in quota. Siamo tornati il weekend successivo, ma non disponevamo che di soli due giorni (sabato-domenica), per cui abbiamo tirato al massimo, con un solo pernottamento alla Schönbielhütte. E’ stata la volta in cui, per preparare lo zaino, ho contato anche i grammi, cosa inusuale per me. Solitamente porto sempre un paio completo di pelli di ricambio, sia per me sia per eventuali problemi dei compagni di giornata (è il mio spirito di istruttore caiano che mi fa ragionare così). Ebbene, ricordo che quella volta, puntando alla massima riduzione del peso (dato l’impegno tecnico-atletico così intenso) ho messo nello zaino una sola pelle di ricambio e perfino senza il relativo sacchetto.

Al Col de Valpelline si ammira estasiati la parete ovest del Cervino

In effetti l’impegno è stato gravoso. Alla fine del raid ero talmente esausto che “a stento ricordavo nome e cognome” (altro tipico modo di dire torinese). Credo sia la volta in cui mi sono maggiormente prosciugato di energie in tutta la mia lunghissima carriera in montagna.

Ne è venuto fuori un’esperienza senza confronti: su e giù per colli arditi, con discese ripide e ghiacciai tormentati e assai crepacciati, che ci hanno costretto a percorrere legati in cordata anche i tratti ripidi in sci. Sciare in cordata è un’esperienza che non auguro neppure al peggior nemico, perché è quanto di più innaturale esista nel mondo dello sci.

In una di queste ripide discese legati ho scattato una foto “al volo” e una volta tanto è venuta bene. Io non sono un fotografo sopraffino e a volte la mia documentazione fotografica fa arricciare il naso ai redattori delle riviste di montagna.

Discesa in cordata dal Col Durand verso l’omonimo ghiacciaio (versante Zinal)

Per pura casualità questa foto è invece venuta molto bene, perché ben riprende il movimento della sciata del compagno in un contesto particolare di alta montagna. E’ diventata un cult della mia piccola raccolta di foto a tal punto che l’ho riutilizzata circa venti anni dopo per la copertina di un libro di miei racconti ambientati in montagna.

Copertina del libro La mangiatrice di uomini (2011)

Collaboravo già da tempo con il CDA, editore della Rivista della Montagna, e in particolare con Giorgio Daidola, l’inventore di Dimensione Sci, l’annuario dedicato allo sci. E’ venuto naturale che il resoconto del raid intorno alla Dent Blanche finisse nelle pagine di Dimensione Sci. Ho recuperato quell’articolo con la descrizione particolareggiata dell’itinerario (eventuali ripetitori devono però verificare l’attuale percorribilità dei ghiacciai…), compresa anche l’introduzione originaria, dove spiego i motivi del fascino che la Dent Blanche ha sempre esercitato ai miei occhi.

La mia personale attività scialpinistica così intensa si è progressivamente stemperata sia per tendenza naturale che per alcuni elementi oggettivi: matrimonio, figli piccoli, intenso coinvolgimento nel lavoro, altri interessi culturali, sportivi, politici. Non ho mai smesso di andare in montagna (sia con gli sci che senza), solo che mi sono assestato su livelli di impegno più moderato, privilegiando invece l’aspetto esplorativo: ancora oggi mettere il naso in un vallone sconosciuto o inusuale (almeno per me) è molto più importante che realizzare una performance tecnica e atletica.

Tra l’altro la propensione a girare con gli sci intorno a cime e piccoli massicci mi è rimasta e anche in seguito è riemersa, magari in contesti meno impegnativi: ognuno ha i suoi “balìn”, come si chiamano in piemontese, e lo scialpinismo garantisce soddisfazione a ogni esigenza personale.

Questo, in fondo, è la vera essenza dello scialpinismo.

Copertina dell’articolo pubblicato su Dimensione Sci

Dent Blanche
L’Anello dei Nibelunghi
Testo e foto di Carlo Crovella
(pubblicato su Rivista della Montagna – Dimensione Sci n. 125, dicembre 1990)

E’ una sensazione di forza quella che trasmette la Dent Blanche: la sua struttura immanente cambia aspetto a seconda dell’angolazione dalla quale la si guarda. Ha una forma perfetta, simmetricamente distribuita su quattro versanti divisi da quattro creste. La sua rappresentazione cartografica assomiglia ad una stella marina che si protende parallelamente verso i quattro punti cardinali. Ogni lato è un microcosmo con la sua individualità (e la sua storia alpinistica), ma tutti i versanti partecipano a formare l’insieme senza sbavature.

Non è possibile pensare alla Dent Blanche senza rabbrividire di paura sotto la sua parete nord, così come non si riesce a distogliere l’occhio dalle linee sagomate delle sue creste. La Dent Blanche è come lo zaino di un raider: compatto, indistruttibile, non ha nulla di superfluo ma tutto il necessario.

Guido Vindrola sulla Tête de Valpelline

Montagna mai banale, altera, quasi infida, la Dent Blanche non si configura come terreno di caccia per lo sciatore alpinista. Anche se conquistata nella stagione invernale già in tempi lontani, la via normale, che si snoda lungo la cresta sud, impone un tratto alpinistico piuttosto lungo e delicato, tale da non poterla annoverare tra i quattromila sciistici delle Alpi. Al contrario, questa superba vetta consente la realizzazione di uno splendido tour in sci lungo le sue pendici.

La conformazione della montagna, che si innalza come uno scoglio a separare le ondate glaciali provenienti da tre valli (Hérens, Zinal e Mattertal), permette infatti di girare tutto intorno alla sua base.

Lungo portage nella parte iniziale del raid

I colori della solitudine
Anche qui l’alta montagna vive ogni anno una fase di sorprendente solitudine, più o meno a cavallo del mese di giugno, quando cioè si è già concluso lo scialpinismo classico ma non è ancora partita la folla degli alpinisti.

Tale fenomeno trova la sua esaltazione in queste vallata dove i rifugi, dopo l’affollamento nella stagione dell’haute route, ritornano ad essere incustoditi, anche se attrezzati di tutto punto. Ad esempio, alla Schönbielhütte fa gli onori di casa una simpatica marmotta che viene a bussare alla finestra della cucina per domandare cibo.

Questa solitudine di fondo, unita alla maestosità del palcoscenico che la circonda, produce una singolare conseguenza. L’assenza di suoni (fatta eccezione per il tonfo dei seracchi e il fischio di qualche marmotta) esalta la presenza dei colori resi più accesi dall’aria cristallina della tarda primavera. L’occhio corre dai prati ai ghiacciai, si inerpica sui pilastri di roccia rossa, incespica sulle pietraie grigie, si invola nell’azzurro del cielo, piomba nel buio di un crepaccio, si disseta con la trasparenza di un ruscello, s’affanna sotto le fiamme del solleone. E ogni sensazione visiva si trasforma in una sensazione acustica. Il giro della Dent Blanche è, insomma, una vera sinfonia di colori: quale nome migliore per designare questo raid se non l'”Anello dei Nibelunghi”?

In questa definizione si riassume il tumultuoso accavallarsi di impressioni colorate che si rinnovano ad ogni metro percorso intorno alla Dent Blanche.

Lo scialpinista come artista
I grandi itinerari, che proprio per il loro appeal tecnico sono diventati delle “classiche”, perdono di pregnanza psicologica perché sovraffollati: nelle vallate lunghe e selvagge dell’Anello dei Nibelunghi si respira invece l’aria di una montagna d’altri tempi, quella che si presentava ai pionieri dell’esplorazione delle Alpi.

Ma questo è anche un terreno dove realizzare importanti prestazioni. Per apprezzare tale impegno occorre possedere, oltre a tutto il resto, anche un certo gusto per l’azione, per il gesto fine a se stesso. Lo scialpinista non è certo un “manovale” della montagna, da contrapporre all’animo artistico del climber. Vi è una bellezza implicita anche nel gesto peculiare dello scialpinismo, nel salire e nello scendere in sci, nei lunghi spostamenti su grandi dislivelli. L’ Anello dei Nibelunghi non è una semplice area di ricreazione mentale, ma un esempio incontestabile di uno scialpinismo impegnato anche sul piano tecnico-fisico-estetico.

Ogni metro di questo raid racchiude in sé un piccolo miracolo, ma di sicuro il luogo più carico di emozioni “ambientali” è la discesa sullo Stockjigletscher. Arabescando serpentine tra seraccate fiabesche, l’animo è rapito dall’incombente presenza di altri due nobili quattromila: la Dent d’Hérens e il Cervino, che mostrano qui i loro poderosi versanti nord e ovest.

Tuttavia non è da meno il circo glaciale che chiude la valle di Zinal. Non a caso questo anfiteatro, che si compone di numerose vette oltre i quattromila metri, contribuisce a quella che viene denominata “Couronne de Zinal” (Corona di Zinal) e rilancia con facilità l’immagine di una corona reale incastonata di sfavillanti pietre preziose. Una di queste è appunto la Dent Blanche che, proprio sul versante di Zinal, protende la sua repulsiva e affascinante parete nord.

Dent Blanche, parete nord

Le valli del raid
È curiosa la localizzazione geografica della nostra montagna: fiera della sua nobile individualità, essa divide due lingue e due culture. Ad ovest si estende l’ultima delle valli francofone (Hérens), dai declivi regolari che culminano in morbidi ghiacciai. Ad est (Mattertal) c’è un regno dai contorni teutonici, che si increspano sovente in spaventose seraccate. In mezzo si trova la valle di Zinal, che racchiude in sé entrambe le componenti. Quasi a sottolineare le due anime linguistiche della Dent Blanche, i ghiacciai che la cingono fanno seguire al proprio nome il suffisso gletscher o glacier a seconda dei casi.

È possibile iniziare il tour da ciascuna delle tre valli. Ma l’intuito e l’esperienza pratica hanno dimostrato che il percorso migliore è quello che parte da Ferpècle (Val d’Hérens) e si snoda in senso antiorario. In questo modo, infatti, si sfrutta lo Stockjigletscher per la discesa, ma soprattutto si affrontano in salita le principali difficoltà d’ordine alpinistico. Tirando al massimo, è possibile compiere l’intero giro in due sole tappe pernottando alla Schönbielhütte, ma questa soluzione, esasperando l’aspetto atletico della prestazione, impone la risalita del Glacier du Gran Cornier, esposto a est-nord est, a ora troppo tarda. La presenza dell’accogliente cabane du Mountet consiglia di spezzare il raid in almeno tre tappe. Avendo a disposizione un giorno in più, dalla cabane du Mountet è possibile salire alla Spalla 4017 m dello Zinalrothorn: il raggiungimento di quota quattromila è sicuramente un modo sopraffino per arricchire il raid.

Sono sparite da tempo le tracce dei nostri sci intorno alla Dent Blanche, effimere ed evanescenti come la possibilità di arrivare al Santo Graal.

Parsifal e Sigfrido, vendicativa Brunilde: dove siete? Vi ho cercato introno alla Dent Blanche, ho sentito la vostra presenza, ma voi mi siete ancora scappati.

Forse non vi vedrò mai. Eppure sono nuovamente di partenza…

Consigli per il raid
Il gruppo. Non si deve dimenticare che l’efficienza di un gruppo dipende anche dalle efficienze personali dei singoli componenti. II giro della Dent Blanche, per essere portato a termine con sufficienti margini di sicurezza, deve essere affrontato da persone autonome, in grado di badare a se stesse, con l’attrezzatura individuale in perfetto ordine. Solo in caso di effettiva emergenza deve scattare lo spirito di solidarietà. In condizioni di ordinaria amministrazione, invece, ciascuno deve essere in grado di provvedere alla propria persona. Per cui, nella scelta dei componenti la comitiva, non va dimenticato questo aspetto.

L’attrezzatura. Muovendosi sempre su terreno d’alta montagna, occorre un’opportuna attrezzatura. Bisogna calibrare a puntino il proprio zaino, perché ogni oggetto non necessario costituisce un aggravio di peso. Proprio nell’ottica di ottenere le massime prestazioni con il minimo peso, abbiamo utilizzato in questa esperienza una corda di diametro ridotto, riportandone un’impressione positiva, anche se non condivisa da gran parte dell’ortodossia scialpinistica.

L’assenza di rifugi custoditi impone ovviamente di essere autosufficienti anche nell’alimentazione; in particolare, risulta indispensabile il fornellino.

L’itinerario. Seguendo la tendenza in atto, ci limiteremo a fornire i dati essenziali relativi all’itinerario, sottolineando i punti più delicati e le soluzioni migliori. In questo modo, ognuno potrà elaborare le varianti che la sua sensibilità scialpinistica riuscirà ad immaginare. In ogni caso rinviamo alla ricca bibliografia sulla zona.

Il percorso in sintesi
Località di partenza e di arrivo: parcheggio di Ferpècle (Val d’Hérens) 1828 m. Dislivello complessivo di base: 3550 m sia in salita che in discesa.
Difficoltà: OSA+ (il “più” è motivato dall’impegno continuo, di parecchi giorni).
Materiale: corda, piccozza, ramponi, attrezzatura alpinistica, fornellino.
Cartografia: CNS 1:50.000 f. 283 Arolla; CNS 1: 25.000 f. 1327 Evolène e 1347 Matterhorn.
Bibliografia: Fritz Gansser (a cura di), Scialpinismo in Svizzera, Ed. CAS, Zurigo 1984; Denis Bertholet, Les Alpes Valaisannes à skis, Ed. Denoël, Parigi 1987; Michel Vaucher, Le Alpi Pennine (le 100 più belle), Zanichelli, Bologna 1980.
Accesso: si può raggiungere la Val d’Hérens con due itinerari diversi. Da Torino conviene portarsi a Martigny attraverso il tunnel del Gran San Bernardo. Svoltando a destra, si risale poi la valle del Rodano fino a Sion, dove si imbocca la strada per Evolène. Da Milano è più veloce valicare il Sempione e, da Briga, portarsi a Sion: da qui si prosegue per Evolène.
Giunti a Les Haudères, lasciando a destra la strada per Arolla, si prende la diramazione per Ferpècle. Si percorre interamente la strada e, oltrepassato l’ultimo agglomerato di Salay, si lascia l’auto ad un tornante oltre il quale il transito è vietato (quota 1828 m, in corrispondenza di un ponte sulla destra).
Punti d’appoggio: Schönbielhütte: 85 posti; sempre aperta, attrezzata, senza fornello, tel. 0041/28/671354; cabane du Mountet: 110 posti; sempre aperta, attrezzata, senza fornello, tel. 0041/27/651431; cabane de la Dent Blanche (cabane Rossier): 40 posti; sempre aperta, attrezzata, senza fornello, solo telefono di soccorso; bivacco del Col de la Dent Blanche: 15 posti; sempre aperto, attrezzato.
A Les Haudières (Val d’Hérens) buona ospitalità presso l’Hotel des Alpes (tel. 0041/27/831677).
Telefoni utili (datati 1990, NdR): meteo svizzera (in italiano): 0041/91/162; meteo Chamonix: 0033/50/ 530340; Bureau des Guides (Arolla): 0041/ 27/831454; Office du tourisme (Arolla): 0041/ 27/831083.

Tracciato del raid

Le tappe

1 — Traversata della Tête de Valpelline 3802 m
Luogo di partenza: Ferpècle 1828 m
Luogo di arrivo: Schönbielhütte 2694 m
Dislivello in salita: 1980 m+150 m
Dislivello in discesa: 1260 m
Tempo di percorrenza: 9 ore+1 ora per la salita; 2-2.30 ore per la discesa

Salita: dal parcheggio 1828 m si continua sulla strada asfaltata verso la diga, fino al bivio (cartello giallo) del sentiero per la cabane Rossier. Seguendo questo sentiero, si giunge a Bricola 2415 m e si prosegue in direzione della capanna. Si mette piede sul Glacier de Manzettes a quota 2800 m circa, al termine di un’evidente morena laterale (qui normalmente si calzano gli sci), e lo si attraversa in direzione del risalto denominato Roc Noir. Lo si supera alla sua base e si giunge sul Glacier de Ferpècle. Lo si risale fin sul Plateau d’Hérens e ci si dirige al Col de la Tête Blanche 3590 m. Si scende sul lato opposto nei pressi del Col de Valpelline e si risale l’ampio spallone nevoso che conduce alla Tête de Valpelline 3802 m.

Discesa: ritornati al Col de Valpelline, si svolta a destra e si discende lo Stockjigletscher tra ampi crepacci. L’itinerario migliore passa a sinistra, sotto la cresta spartiacque con la Val d’Hérens. Verso i 3150 m si svolta a destra e si abbandona lo Stockjigletscher (che più avanti forma una seraccata impercorribile) e si raggiunge il Tiefenmattengletscher, con pendio ripido ma raccordato. Si scende sul suo lato sinistro (crepacci) fino alla confluenza con lo Schönbielgletcher, dove di norma termina la neve (quota 2540 m circa). Si attraversa lo Schönbielgletscher (scomoda pietraia) e si risale poco a sinistra del salto roccioso che sostiene il rifugio.

Variante alla prima tappa: è possibile dividere in due parti questa lunga tappa pernottando, alla fine della prima giornata, alla cabane de la Dent Blanche (cabane Rossier).

La Schönbielhütte è tutta per noi: ci si rilassa discettano sulla Cresta di Zmutt al Cervino, proprio di fronte

2 – Traversata del Col Durand 3451 m
Luogo di partenza: Schönbielhütte 2694 m
Luogo di arrivo: cabane du Mountet 2886 m
Dislivello in salita: 760 m
Dislivello in discesa: 570 m
Tempo di percorrenza: 4 ore per la salita; 2 ore per la discesa

Salita: dalla Schönbielhütte si imbocca e si risale la Comba di Kumme (sentiero segnato con indicazioni per la Pointe de Zinal). Per uscire dalla Comba si prende (ramponi) l’ultima cengia a sinistra, ascendente verso destra, che conduce ad una selletta nei pressi della Quota 3209 m. Dalla sella, si attraversa in quota, spesso con sci a spalle (terreno delicato: pendii innevati, roccette, cenge detritiche), raggiungendo l’Hohmanggletscher proprio sopra l’evidente seraccata. Sci ai piedi (finalmente!), si risale il ghiacciaio con facilità (qualche crepaccio) fino al Col Durand; dal colle si può salire al Mont Durand (cresta innevata) o alla Pointe de Zinal (roccia).

Discesa: dal Colle si scende il ripido pendio (crepaccia terminale), però percorribile in sci, e ci si abbassa sul pianoro del Glacier Durand (3220 m circa). Si punta allo spallone che separa detto ghiacciaio dal Glacier du Grand Cornier. Si scende tenendosi sul lato sinistro del Glacier Durand fino al successivo pianoro a 2800 m circa (confluenza con il Glacier du Mountet). Si attraversa la morena all’altezza della cabane du Mountet.

Variante alla seconda tappa: discesa per la seraccata compresa tra il Roc Noir e l’Arête des Quatre Anes. Dal pianoro superiore del Glacier Durand, ci si porta a filo dell’Arête des Quatre Anes e si reperisce un canale innevato, percorribile in sci, che incide la suddetta seraccata. Lo si discende e si giunge sul Glacier du Grand Cornier, a quota 3000 circa. Questa variante permette di unire la seconda e la terza tappa, tagliando via la cabane du Mountet. Purtroppo ci si trova a risalire il Glacier du Grand Cornier ad ora troppo avanzata. A differenza della variante alla prima tappa, si tratta di un suggerimento per scialpinisti davvero “frettolosi”.

Guido Maccarrone sul Glacier Durand, al cospetto della parete nord della Dent Blanche

3 – Traversata del Col de la Dent Blanche 3540 m
Luogo di partenza: cabane du Mountet 2886 m
Luogo di arrivo: Ferpècle 1828 m
Dislivello in salita: 660 m
Dislivello in discesa: 1710 m
Tempo di percorrenza: 3.30-4 ore per la salita; 4 ore per la discesa.

Salita: dalla capanna, attraversato il ghiacciaio, si passa alla base del Roc Noir e si risale il Glacier du Grand Cornier. Il successivo risalto glaciale, particolarmente crepacciato, può essere affrontato tutto a sinistra (a fianco dell’Arête des Quatre Anes) o cercando un passaggio in centro (condizioni variabili a seconda degli anni). Segue un ripiano che conduce alla base del Col de la Dent Blanche. Si risale (ramponi) il canale, nevoso ma ripido, che in alto lascia affiorare alcune fasce rocciose.

Discesa: dal colle, dove sorge il bivacco, si discende il Glacier de la Dent Blanche per il suo ramo settentrionale (crepacci), restando nei pressi della dorsale rocciosa che si erge in mezzo al ghiacciaio. Successivamente si punta a nord e si esce dal ghiacciaio tenendosi tutto a destra, in corrispondenza dei laghetti quotati 2857 m. Si cerca il sentiero che, ripassando per Bricola, conduce a Ferpècle.

Tappa aggiuntiva: salita alla spalla dello Zinalrothorn 4017 m
Luogo di partenza e di arrivo: cabane du Mountet 2886 m
Dislivello: 1130 m
Tempo di percorrenza: 4.30-5 ore per la salita; 2.30-3 ore per la discesa.

Salita: si risale l’erto pendio morenico alle spalle della capanna e si pone piede sul ghiacciaio ad un’altitudine di 3200 m circa. Si punta all’Arête Blanc, che si raggiunge alla sella quotata 3732 m. Si risale l’affilata cresta (normalmente senza sci) fino alla spalla.

Discesa: per l’itinerario di salita.

Cervino e Dent d’Hérens dalla Tête de Valpelline

Scappatoie
Dalla Schönbielhütte: si scende facilmente a Zermatt lungo il ghiacciaio e poi il sentiero (3 ore).

Dalla cabane du Mountet si scende a Zinal in 4 ore. Il sentiero originale, sulla sinistra orografica, non è più oggetto di manutenzione (percorso delicato in alcuni punti) e sarà sostituito dal nuovo (sulla destra orografica), la cui costruzione dovrebbe essere ormai stata completata (le considerazioni risalgono al 1990: ora è attivo, NdR).

Si sconsiglia…
L’accesso all’Hohmänggletscher (seconda tappa) dal basso è scarsamente invitante, poiché i ripidi pendii che sovrastano il laghetto quotato 2426 m impongono una risalita delicata e poco piacevole.

Lo scavalcamento “in alto” dell’Arête des Quatre Anes dal Glacier Durand al Glacier du Grand Cornier (vero passaggio chiave che permetterebbe di non perdere quota) offre serie difficoltà alpinistiche e non sembra molto agevole.

Sul Plateau d’Hérens: immensiatà glaciali, emblema di questo raid
L’Anello dei Nibelunghi ultima modifica: 2023-05-02T05:20:00+02:00 da GognaBlog

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10 pensieri su “L’Anello dei Nibelunghi”

  1. Mi permetto di consigliare vivamente il libro di Marcel Kurz, pioniere dello sci. Si pensi che salivano il monte rosa in gennaio con sci senza lamine e scendevano solo diritti buttandosi a terra per fermarsi e girarsi….. GRANDE!!!

  2. Le assicuro, Sign Bertoncelli, che non serve frequentare impianti, maestri di sci per scendere, non serve nemmeno essere giovani , Mi creda. Per dire, anche nel film otto montagne il montanaro imparava da solo!!

  3. Essendomi sempre rifiutato di frequentare le stazioni sciistiche, non ho mai imparato a sciare. Pertanto non ho mai potuto praticare lo scialpinismo.
    Ciò nonostante, in questi resoconti di traversate con gli sci ho ritrovato lo stesso spirito che mi ha sempre guidato in alpinismo, cioè il senso di libertà e di avventura (oltre a varie altre cose…), sin da quando incominciai a diciotto anni.

  4. Sign Enri, Le consiglio di perseverare, non c’è niente di più montano che salite con le pelli. Non badi a quelli che lo fanno per divertirsi a scendere… è nella salita il fascino e la soddisfazione. Scendete, mi creDa, vien da se. Alla mia compagna ho insegnato a scendere a 60 anni, quindi…mi permetto, insista, non è mai troppo tardi 
     

  5. Bella storia! Io non so sciare ( fatto 10 uscite a vent’anni con risultati meno che fantozziani) ma apprezzo il racconto che trasuda vera montagna. Bello davvero!

  6. Spero che le nuove leve dello scialpinismo leggano questo bellissimo articolo, così come la vibrante Storia dello scialpinismo dello stesso autore. Per quest’ultima la speranza è purtroppo labile, trattandosi di leggere primitiva carta stampata, supporto a cui giovani sono sempre meno avvezzi. Sono convinto che se leggeranno non mancheranno di apprezzare qual’è l’essenza profonda dello sciare, lo “ski spirit” senza età che emana da tutte queste pagine. E farne tesoro. Il fatto che non si sappia in che condizioni è oggi questa grande traversata non dovrebbe che far lievitare il desiderio di andarla a scoprire, di sentirsi come dei precursori, di vivere qualcosa di unico. 
     

  7. Dopo un periodo sulle guide grigie, sono proprio questi articoli e la grafica delle cartine della RdM che hanno dato spazio ai miei progetti e sogni di (sci)alpinista. Realizzati o meno che fossero, sono stati sempre gratificanti. Grazie quindi Carlo! Per quanto riguarda la percorribilità oggi, non so neppure io perché non sono più operativo a quei livelli, ma non farei una equazione automatica tra  cambiamento climatico – ammesso che esista – e impercorribilità di certi ghiacciai. A chi vuole provarci direi: con la stessa preparazione e meticolosità di Crovella, vai a vedere e non te ne pentirai, perché è questo lo Scialpinismo con la maiuscola.

  8. Se i lenti cambiamenti geologici rendono ancora attuali le guide cai-tci e riconoscibili persino gli itinerari di Castiglioni, temo che i rapidissimi cambiamenti glaciologici rendano questa guida “superata” come per Diterlin quelle di Marcel Kurz, tutte vanno comunque custodite in libreria e spolverate con quella della sensazione di “nostalgia russa”. Una cosa è comunque attualissima: la bruttezza dello sci in cordata, una vera contraddizione in termini . Bei tempi

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