Le invernali degli alpinisti trentini
di Alessandro Gogna
Alle ore 18 di domenica 16 marzo 2014, a Zambana in provincia di Trento e nell’ambito dell’iniziativa CampoBase, I freddi inverni degli alpinisti trentini raccoglie il fior fiore storico e attuale dell’alpinismo invernale trentino.
Come tutte le attività umane anche l’alpinismo si sta globalizzando. Se si è in collegamento con i siti internet più informati, ogni giorno veniamo a conoscere nuove imprese nei più sperduti angoli del mondo.
Da decenni gli alpinisti della scuola trentina hanno saputo interpretare, e tuttora lo fanno, anche il gioco di salire le pareti più difficili nella stagione più rigida. Questa grande testimonianza, una vera e propria epopea, è il tema della storica serata, alla presenza dei protagonisti: ed è un patrimonio che oggi rischia di essere un po’ dimenticato, perché nel mondo globale il nuovo e recente tende a soverchiare il vecchio e passato, senza alcuna ragione logica.
La sala è stracolma quando, alle 18.15, Marco Furlani prende il microfono per salutare i presenti e introdurre la serata con queste considerazioni: “Come per altre retrospettive sull’alpinismo trentino, che per creatività e capacità realizzativa non è mai stato secondo a nessuno, mi piaceva l’idea di mettere insieme gli specialisti di questo alpinismo che un tempo era parte integrante dell’attività di ogni scalatore affermato. Ci si misurava con la montagna d’inverno anche per necessità, non avevamo molte possibilità di andare lontano, in Himalaya o in Patagonia, così per misurarsi su qualcosa di più difficile si aspettava l’inverno. Che ha sempre una dimensione diversa, di avventura pura, perché fare un’invernale era davvero una piccola spedizione, da 4 a 6-7 giorni. Oggi l’attività invernale è qualcosa di molto diverso, è tutto molto più specialistico, basta guardare anche le stesse attrezzature, tra ghiaccio estremo, dry-tooling e cascate, le grandi pareti sono state messe un po’ in disparte”.
Poi tocca a me inserire l’alpinismo trentino nel contesto dell’alpinismo invernale sulle Alpi, tracciando il periodo storico di maggiore creatività e giustificandolo come una tra le tante altre branche (solitarie, ascensioni in libera, prime discese con gli sci, ecc.) con cui la meravigliosa disciplina manifesta tutta la sua creatività.
Dopo un folgorante inizio sulla Nord della Cima Grande di Lavaredo, la prima invernale di Fritz Kasparek e Joseph Brunhuber (20 e 21 marzo 1938) della via Comici, dopo l’impresa di Hermann Buhl e Kuno Rainer (19-20 marzo 1950) sulla via Soldà alla parete sud-ovest della Marmolada e dopo la Nord della Cima Ovest di Lavaredo, prima invernale di Walter Bonatti e Carlo Mauri (dal 22 al 24 febbraio 1953) della via Cassin-Ratti, inizia la graduale e più silenziosa esplorazione di vette per le vie normali.
Ed ecco che i primi trentini si affacciano alla ribalta. Ma non tutti lo fanno in sordina: i roveretani Armando Aste e Angelo Miorandi (invitati alla serata ma impossibilitati per motivi di salute a partecipare) salgono la parete sud della Torre Trieste, via Carlesso, dall’8 all’11 marzo 1957.
Dal 27 al 31 dicembre 1958 i tedeschi Herbert Baumgärtner e Georg Ehmann salgono la via Carlesso alla parete nord-ovest della Torre di Valgrande (Civetta). Dal 18 al 21 gennaio 1959 è la volta della via Buhl alla Parete Rossa della Roda di Vael: Jörg Lehne e Siegfried Löw.
Questo è il quadro dal quale, subito dopo, la famosa trilogia alpina di pareti nord viene ad essere superata d’inverno: l’Eiger nel 1961, il Cervino nel 1962, le Grandes Jorasses nel 1963. Il 4 e 5 marzo 1961 Samuele Scalet e Giorgio Franzina vincono la via Andrich al Cimon della Pala. Nel 1962, dal 19 al 22 febbraio, Roberto Sorgato, Giorgio Ronchi e Giorgio Redaelli superano il diedro Livanos-Gabriel alla Cima Su Alto. E nel 1963, dal 28 febbraio al 7 marzo, in Dolomiti diventa storia la prima invernale di Ignazio Piussi, Toni Hiebeler e Giorgio Redaelli sulla via Solleder alla Nord-ovest del Civetta (Roberto Sorgato, Marcello Bonafede e Natalino Menegus li seguirono dopo qualche giorno).
Abbiamo tralasciato, per motivi di spazio, le grandi salite più o meno artificiali che in questi primi anni ’60 vengono superate d’inverno sulle Tre Cime di Lavaredo, tutte caratterizzate dalla modesta formazione di neve e ghiaccio: ma la famosa apertura della Superdirettissima dei Colibrì sulla Nord della Grande di Lavaredo, dal 10 al 26 gennaio 1963, effettuata dai sàssoni Peter Siegert, Rainer Kauschke e Gerd Uhner, anche se occupò pagine di giornali e notiziari radiotelevisivi per tutto il tempo, dimostrò soltanto che quel tipo di alpinismo era alla frutta, cioè che se non si fossero cambiate le regole del gioco, il gioco stesso sarebbe presto finito.
Allora ecco la realizzazione, zitti zitti, dell’invernale alla via Leuchs al Cimon della Pala (Quinto Scalet, Piero De Lazzer, Giulio Faoro e Renzo De Bertolis, 31 gennaio-1 febbraio 1966).
Comunque nelle Dolomiti, salita ormai la via apparentemente più impegnativa (la Solleder si carica di neve e di ghiaccio molto più che altre pareti più verticali e strapiombanti), e salita anche la Vinatzer-Castiglioni alla Marmolada (5-8 marzo 1967) dai tirolesi Otto Wiedmann e Walter Spitzenstätter, ci volle un po’ di tempo prima che si affrontassero nuovamente le grandi e settentrionali pareti ghiacciate. Lo fecero Sepp Mayerl, Reinhold e Heinrich Messner quando salirono sullo spigolo Gilberti della Nord dell’Agner (11-13 febbraio 1967); e poi ancora gli stessi sulla via Jori della Nord dell’Agner (dal 30 gennaio al 1° febbraio 1968).
A fine dicembre 1968 Leo Cerruti e io, con i lecchesi Gianni Rusconi e Gianluigi “Pumela” Lanfranchi ci scornammo dopo essere giunti a due terzi della via delle Guide al Crozzon di Brenta: fu poi lo stesso Lanfranchi, unitamente ai fratelli Gianni e Antonio Rusconi e a Roberto Chiappa, ad averla vinta con la parete, dal 7 al 13 marzo 1969.
Ormai le strade erano aperte: decine e decine di invernali sempre più difficili erano nel catalogo degli invernalisti o degli aspiranti tali. Dal 1970 inizia un’esplorazione sistematica che ancora oggi è ben lungi dall’essere conclusa.
Tocca ancora a me accennare a coloro che, anche se invitati, non hanno potuto presenziare. Giustamente ricordo Toni Valeruz (che dal 1970 a oggi, dopo la Nord della Marmolada, scende con gli sci importanti pareti, come la Nord del Lyskamm, 3 volte la Est del Cervino, la Nord-ovest dell’Ortles, oltre a una decina di volte la parete di casa, la Nord del Gran Vernel); poi Maurizio Giarolli (Cima Mandron, diedro Armani; Crozzon di Brenta, via Livanos); poi Elio Orlandi (alcune vie in val d’Ambiez). Dal 28 al 31 dicembre 1967, Renato Comper assieme a Heinz Steinkötter porta quasi a termine la prima ascensione invernale della via Dibona al Croz dell’Altissimo: i due sono soccorsi e recuperati negli ultimi 150 metri di parete. L’anno dopo, dal 26 al 28 dicembre, gli stessi riescono nella salita invernale della via Detassis al Croz dell’Altissimo, una rivincita morale davvero notevole. Nel 1970, il 21 dicembre, Andrea Andreotti, Piero Franceschini e Tarcisio Pedrotti avevano salito in prima invernale la via Fehrmann al Campanile Basso. Altro assente è Giacomo Corona, che con Franco e Luigi De Nardin, Walter Lewis e Ruggero Daniele, il 20-21 gennaio 1982 aveva salito la direttissima delle Fiamme Gialle al Cimon della Pala. Il 24-25 febbraio 1990, Diego e Mauro Mabboni, con Paolo Cipriani hanno salito in prima invernale la via Sandro Pertini al Piz Seràuta. Giampaolo Calzà, che con Antonio Prestini e Demis Lorenzi ha ripetuto d’inverno la Nord dell’Eiger; infine Rolando Larcher (Sass Maor, via Masada con Fabio Leoni nel 2009); Cima Margherita, via Cembridge, dal 25 al 27 gennaio 2012 con Luca Giupponi e Fabio Leoni, prima invernale (e prima a vista).
Sulle prime grandi difficoltà della via Detassis alla Brenta Alta (1972)
Riprende la parola Furlani: “Allora, bon, scomensien a ciaparne quatro ingiassade su per le pareti…”.
I primi a essere invitati sul palco sono Marco Pilati, Valentino Chini, Ruggero Pellegrini e Remo Nicolini. Pilati e Chini avevano incominciato sulla via CAI Alto Adige alla parete est del Catinaccio, dal 25 al 27 dicembre 1969, con Alberto Dorigatti e Ferdinando Giora. Con Giuseppe “Bepi” Loss (scomparso poi in Peru al Nevado Caraz) e Vincenzo Degasperi nel 1970 avevano salito in quattro giorni (21-24 dicembre) la mitica via Lacedelli alla parete sud-ovest di Cima Scotoni. Chini ricorda il bellissimo tramonto dalla cengia: “Rosso di sera, bel tempo si spera… invece il giorno dopo nevicava… proverbio da rifare”. Dal 25 al 27 dicembre 1971, Pilati, Chini e Pellegrini hanno salito in prima invernale la via Maestri-Eccher al Castel Alto dei Massodi; e infine, culmine dell’attività, prima invernale dei quattro presenti, assieme a Degasperi e Angelo “Bufera” Pizzocolo sulla via Detassis alla parete nord-est della Brenta Alta, dal 21 al 24 dicembre 1972. Il racconto di Pilati è rigorosamente in dialetto, “questa parete è davvero importante, se si pensa alle difficoltà in arrampicata libera che già d’estate impensierivano la maggior parte degli alpinisti”. E poi: “Bisognava calcolare quanti minuti avevi prima di doverti rimettere i guanti”. La sala scoppia in una fragorosa risata quando Pilati racconta che il Pellegrini, arrivato alla fine della faticosa marcia di avvicinamento con il solo compito di aiutare al trasporto materiali, proprio sotto alla parete fu invitato dai compagni a far parte della salita!
Tutti sottolineano l’importanza di avere un uomo alla base che sorvegliasse la salita: allora non c’erano telefonini!
Bepi Loss sulla via Lacedelli a Cima Scotoni (1970)
Dopo grandi applausi, è la volta di Sergio Martini con i compagni Mariano Frizzera e Mario Tranquillini.
E’ Martini a rievocare con voce pacata le lotte in parete di giorni e giorni. Salta a piè pari quella sulla via Stenico-Navasa al Campanile Basso (con Fausto Lorenzi, 26-28 dicembre 1969). Le immagini scorrono invece sulla via Aste-Navasa al Crozzon di Brenta (13-17 febbraio 1972, con Frizzera e Donatello “Tello” Ferrari): le foto (alla pari con quelle di Pilati) sono bluastre, scansite da ormai vecchie diapositive. Sembra di vedere sbiaditi fantasmi, e invece sono uomini che vivevano giornate eroiche, il cui ricordo si affievolisce assieme ai colori. Vengono appena ricordate la via don Tita Soraruf alla Pala di Socorda (26-27 dicembre 1972, Martini-Tranquillini) e la via Armani-Fedrizzi sulla parete sud-ovest del Croz dell’Altissimo (18-20 marzo 1973, Martini-Tranquillini-Ferrari e Italo Seia. Il diedro Armani, spesso in cattive condizioni anche d’estate, d’inverno rischia di essere un liscio budello ghiacciato.
Mario Tranquillini e Mariano Frizzera sulla via Aste al Crozzon di Brenta (1972)
Meglio documentata ancora è l’altra grandissima impresa, quella sulla Cima Busazza per parete ovest via Gilberti-Castiglioni, fatta con il genovese Giovanni Costa e gli scomparsi Franco Gadotti e Marcello Rossi, dal 29 dicembre al 1° gennaio 1976. Si racconta che il Costa facesse il racconto di quella salita agli amici preceduto dall’immancabile esclamazione: “Belin, che roba!”.
Il tempo preme, staremmo tutti volentieri ad ascoltare: Sergio Martini non accenna neppure alla sua salita solitaria e invernale sulla via Fox-Stenico alla Cima d’Ambiez. Tranquillini aggiunge che per un alpinista di allora era “naturale” immergersi nel mondo della montagna invernale.
Purtroppo gli scomparsi non sono qui con noi: Andreotti, che con Steinkötter aveva salito la via dei Francesi al Crozzon di Brenta (21-24 dicembre 1972); Gadotti, che con Romano Nesler e Franco Tait, era passato sullo spigolo Fox al Campanile Basso (25 dicembre 1972).
E’ poi Giorgio Cantaloni a salire con Romano Nesler. Inverno 1974-75. Un tentativo disperato, come disperata è la levigatezza dei lastroni di granito e la neve che blocca le fessure e il freddo che indurisce i movimenti. Un bivacco penoso, chiodi impossibili, slavine. Il ritorno si rende necessario. E’ Nesler a raccontarcelo. Poi andrà meglio al secondo colpo e il tramonto sulla vetta, dopo tre giorni di lotta, sarà indimenticabile. E questo è il racconto di Cantaloni, quello della prima invernale alla via delle Guide alla Presanella, da lui fatta con Gadotti e Mario Zandonella.
Lo stesso Cantaloni rievoca poi, con altre immagini, la salita invernale alla via Preuss del Crozzon di Brenta, fatta con Marcello Rossi: una serie infernale di camini ghiacciati, sotto l’incubo di brutto tempo e neve per più giorni (1978). Avevano scelto di salire in stile alpino, senza saccopiuma, sperando di uscire in giornata: invece Rossi ritrova nella sua cantina le scarpette interne degli scarponi doppi mangiate da topi o tarme, perciò salirà con quelli normali… e tutti e due hanno a che fare con una grossa nevicata dopo la prima notte in parete. E sottolinea che le notti durano 15 ore… “Non mi alzo mai scattante, figuratevi d’inverno dopo un bivacco… mi sembra d’essere in coma… anche se qualcuno dice che lo sono anche adesso, un po’…”.
Ora sono io, in nome dei vecchi tempi e salite fatte assieme, a chiamare Aldo Leviti. Con Ivo Nemela, dal 2 al 5 febbraio 1974, salì il pilastro nord-est del Sassolungo, per la via Demetz. Aldo ci stupisce quando afferma che, a dispetto dei tre bivacchi, lui e il suo compagno si sono divertiti. E questo era capitato anche sulla prima invernale della via Livanos alla parete est del Catinaccio (24-25 dicembre 1969, con Carlo “Bepo” Lorenzini). In effetti, nel corso della serata, era stata più volte affermata la grande forza di volontà necessaria, nelle invernali, per “tenere botta” e non cedere alla tentazione di tornare indietro. Le invernali sono il “cammino della sofferenza”, “quasi un’esperienza masochistica”, difficilmente conciliabili con il piacere dell’arrampicata. E invece per Leviti questo non è stato vero: un’eccezione che conferma la regola.
Aldo Leviti dopo un bivacco sulla via Demetz al Sassolungo (1974)
Ermanno Salvaterra sale da solo sul palco, perché Maurizio Giarolli non è presente. I due, assieme a Paolo Caruso e Andrea Sarchi, il 7 luglio 1985 erano giunti in vetta del patagonico Cerro Torre dopo aver salito la Maestri 1970 in 11 giorni. In occasione di tale ascensione Salvaterra aveva fatto la sua prima esperienza come cineoperatore realizzando un documentario per la trasmissione Jonathan, dimensione avventura condotta da Ambrogio Fogar. Bene, proprio quel filmino malfermo, muto e sbiadito, ma ricco di pathos, è il commento visivo al racconto di Ermanno. Un racconto che minimizza, ma che non convince la platea che applaude Ermanno come il Re della Patagonia.
Lo segue Maurizio Giordani, accompagnato sul palco da una timidissima Rosanna Manfrini. Lei perfino non voleva mostrarsi adducendo come scusa che aveva fatto SOLO un’invernale… ma quando quest’invernale si chiama Abrakadabra alla Marmolada, agli organizzatori è parso bastasse!
– Ma non c’è proprio un’altra donna? – chiede Rosanna sul palco. Poi però si risolve a raccontare di quel famoso tentativo all’Abrakadabra, dove lei non aveva la forza di recuperare il pesantissimo saccone; e di come sono tornati indietro e di come poi, l’anno dopo, concludessero il 2 gennaio 1989 la salita, in giornata, dopo aver scelto l’azzardo della velocità e quindi l’assenza del saccone. Persino gli scarponi Rosanna aveva lasciato alla base, preferendo i moon boots, non molto efficaci nella discesa sul ghiacciaio…
Parte quindi una proiezione animata, compilata dallo stesso Giordani, che ci racconta a suon di musica e di belle foto le sue principali imprese. Solo sulla Marmolada, ecco la Don Quixote (29-30 gennaio 1983, con Franco Zenatti), poi la Hatschi-Bratschi (12-13 marzo 1983, ancora con Zenatti); la Ezio Polo, da solo (6-8 febbraio 1985); la Madonna Assunta (19-20 febbraio 1985, con Marco Furlani); segue l’odissea del Pesce, cioè il primo tentativo con Giorgio Manica (inverno ’84), poi il secondo (assieme a Franco Zenatti e Paolo Cipriani) e quello finale (con gli stessi), concluso dal 16 al 20 marzo 1986, un’impressionante sequenza di placche lisce e freddi bivacchi resi possibili da sacconi giganteschi.
Il video di Giordani ci ricorda ancora la via Loss-Destefani al Croz dell’Altissimo (1-2 gennaio 1982, con Franco Zenatti), la via degli Strapiombi alla Cima d’Ambiez (1984, con Cipriani, Franco e Delio Zenatti e… Rosanna Manfrini! Ma allora ne ha fatte due, non una sola!). Necessariamente non è tanto documentata la solitaria invernale alla via Supermatita del Sass Maor (31 gennaio 1989), ma poi ancora il Volo dell’Aquila sulla Torre Gilberti (1993, con Fabio Leoni) e la SuperMaria al Crozzon di Brenta (1994, con Cipriani). Anche per Giordani, come per Leviti, la scalata invernale era comunque fonte di divertimento, di gioia, a dispetto dei momenti di sofferenza e di paura.
Salgono ora sul palco Renzo “Lorpio” Corona, Mauro Fronza, Franco Corn e Donato Zagonel, i primi due autori di un’invernale grandiosa (anche se incompleta) quale la via della Cattedrale alla Marmolada, il 14 e 15 gennaio 1989. Ormai sulle roccette della piramide sommitale, decidono di scendere a doppie. Causa il cedimento di un ancoraggio i due volano, trattenuti miracolosamente sulla grande cengia. Feriti entrambi seriamente, Mauro rottura dello sterno, Renzo delle caviglie, devono scendere con i propri mezzi per tutta l’interminabile parete. Mauro ci riferisce che sua mamma attribuisce il miracolo a San Mauro… Alla base, il mingherlino Mauro, con lo sterno rotto, ha ancora coraggio di scherzare e si offre di portare di peso il gigante Renzo fino in valle! Guardiamo la sproporzione fisica tra i due… e la platea ride.
A Renzo Corona dobbiamo anche la prima invernale della via Supermatita al Sass Maor (23-24 dicembre 1988, con Zagonel: c’era un solo chiodo in tutta la via) e la via Franceschini alla parete sud-ovest del Cimon della Pala (8 gennaio 1989, ancora con Zagonel): ma lui non ce lo accenna neppure, illustrando invece la prima invernale alla via dei Finanzieri sul Cimon della Pala con Franco Corn (4-5 gennaio 1992), la più difficile via in artificiale “da fuori di testa” da loro fatta. Sotto silenzio passano anche altre sue realizzazioni come la via Messner alla Cima della Madonna (1 febbraio 1987), la via delle Guide al Sass d’Ortiga (17 gennaio 1993) e la via dei Finanzieri alla Cima Immink (2 febbraio 1992), tutte e tre con Giacomo Corona; come pure il Pilastro dei Finanzieri alla Cima Lastei (con Zagonel, 28 febbraio-1 marzo 1987) e il Pilastro Paolina sul Sassolungo, via L’Ultimo dei Balkani, 10 gennaio 1993, in chilometrica cordata con Fronza, Corn, Ivo Rabanser, Paolo Mazzotti e Marcello Scarpellini.
Sulle grandi difficoltà della parte alta della via della Cattedrale (1989)
Salgono poi sul palco Dario Sebastiani, Marco Pegoretti ed Edoardo “Edy” Covi. Tutti con un’attività da paura, impossibile da relazionare, ormai siamo quasi agli sgoccioli del nostro tempo.
Prime invernali di Dario Sebastiani:
Paganella, via Ana Perù, con Claudio Merlo, 23 gennaio 1983
Torre Gilberti, via Livanos, con Rolando Larcher, 19-21 gennaio 1986
Cima di Ghez, parete nord, diedro Armani, con Dario Sebastiani, Andrea Andreotti e Fabio Leoni (7-9 febbraio 1987)
Croz dell’Altissimo, via Sinfonia d’Autunno, con Fabio Leoni, 26 dicembre 1987
Torre delle Val Perse, via Lucia Pia, con Michele Cagol, gennaio 1988
Sass d’la Crusc, via Messner al Pilastro di Mezzo, con Michele Cestari, 25 dicembre 1988
Spiz d’Agner, via Oggioni, con Cestari, 6-7 gennaio 1989
Cimon della Pala, via Pilastro Girasole, con Cestari, 5 gennaio 1992
Cima Baratieri, via della Libertà, con Cestari, 14 febbraio 1998
Cima Brenta, via 75° SOSAT, con Cestari, 4 marzo 1998.
Sebastiani si limita a mostrare le immagini della Messner al Sass d’la Crusc e della Torre Gilberti (e in questa preferisce raccontare, più che la salita vera e propria con Larcher, il primo tentativo del 1983, lui ancora inesperto, con Furlani e come questi gli abbia insegnato a ricavare posti da bivacco in luoghi in apparenza impossibili. Poi si lascia andare all’affettuoso ricordo del suo compagno Michele Cestari.
Dario Sebastiani sulla via Messner al Pilastro di Mezzo del Sass d’la Crusc (1988)
Prime invernali di Marco Pegoretti:
Cima di Ghez, diedro Armani (già citato da Sebastiani)
Cima di Ghez, parete nord, pilastro Steinkoetter, con Edy Covi
Cima di Ghez, parete nord, via diretta Benedetti-Dal Monego-Zanetti, con Luca Turato
Cima Ceda Occidentale, via Pisetta-Comper, con Edy Covi
Cima d’Ambiez, via Vienna, con Cesare Paris
Cima d’Ambiez, via della Soddisfazione, con Edy Covi
Cima d’Ambiez Bassa, via Steinkötter-Hasse, con Edy Covi
Cima Pratofiorito, via Salvaterra-Orlandi (Aurora), con Giorgio Giovannini
Croz dell’Altissimo, via Rimini Beach, con Edy Covi (26-27 dicembre 1987)
Croz dell’Altissimo, via Laritti “corta”, con Edy Covi
Cima Roma (Brenta), parete sud, via Pilati-Chini-Pellegrini, con Edy Covi, Andrea Andreotti, Franco “Franz” Nicolini (1982)
Campanile Basso, via Maestri allo Spallone, con Edy Covi
Castel Alto dei Massodi, spigolo Steinkötter, con Rino Pisetta ed Enzo Degasperi
Sass d’la Crusc, via Precht-Wenger, con Edy Covi
Brenta Alta, via Elisir di Giovinezza, con Edy Covi
Sentinella, via Zanetti, con Luca Turato.
Sul Diedro Armani alla Cima di Ghez (1987)
Anche Pegoretti mostra belle immagini relative solo al Diedro Armani alla Cima di Ghez e alla Precht-Wenger al Sass d’la Crusc. Afferma che l’alpinismo delle invernali e delle prime è basato sul grande amore per la montagna, come quello per una donna: è questo amore il responsabile del non sentire la fatica, il freddo, la fame.
Sul Diedro Armani alla Cima di Ghez (1987)
Edy Covi, il filosofo, fa espresso riferimento alla via Elisir di Giovinezza al Croz dell’Altissimo, e al bivacco terribile e ghiacciato in quello che sembrava essere un buon posto. A quei tempi, nell’ambiente trentino, le cordate tacevano i loro progetti: se lo si diceva a qualcuno, gli si raccomandava il silenzio (“no sta a dirghelo…”). Un’omertà che oggi è ironico ricordare, proprio nello spirito di un nuovo tempo, forse meno concentrato di allora.
E’ ora la volta di Andrea Zanetti che si commuove moltissimo a raccontare il rapporto di amicizia che si era creato con il suo compagno Michele Cestari, oggi scomparso (“sono partito con un amico, sono tornato con un fratello”). Ricorda la terribile esperienza della salita alla via Andreotti-Dorigatti-Steinkötter sul Crozzon di Brenta, da loro compiuta (1994) con l’intenzione di uscire in giornata, quindi senza sacchi piuma né altro materiale da bivacco. Michele sempre in testa “con una vena di follia”. Ne risultò una vera e propria odissea, con soli 5 chiodi a disposizione, che Zanetti racconta con accenti di forte emozione, seguita da una discesa altrettanto avventurosa (nel finale, mentre recuperavano gli sci, sono stati travolti da una valanga di neve fresca). Non così, per fortuna, per l’altra salita documentata, quella alla via Maestri-Baldessari allo Spallone di Cima di Campiglio, compiuta con l’inseparabile Cestari e Antonio Prestini.
Sulla Diretta Andreotti-Steinkötter-Dorigatti al Crozzon di Brenta (1994)
E a proposito di Cestari, non si può non ricordare la prima invernale della via Armani-Friederichsen alla Est di Cima Brenta, da lui compiuta con Giorgio Giovannini a fine anni ’80.
Lino Celva sale sul palco, assieme al compagno Fabio Bertoni. Racconta la sua salita alla via degli Accademici sul Croz dell’Altissimo, fatta con Giorgio Giovannini (28-30 dicembre 1992).
Bertoni invece racconta la loro salita al Pilastro Stenico del Sassolungo, via Linea logica (20 marzo 1993). L’idea iniziale non era di farla in giornata, quando Lino gli chiede cosa ne pensa a lasciare giù i saccopiuma e il materiale, Fabio risponde: “Oh dio, te va davanti ti…”.
Lino Celva su Linea Logica, Sassolungo (1993)
Salvaterra mi sussurra all’orecchio un’osservazione, e io subito dopo la riprendo in pubblico, per dire che a quei tempi, dagli anni ’70 ai ’90, non c’erano le previsioni meteo così accurate come oggi, i satelliti cominciarono ad apparire in seguito. Oggi i bollettini permettono di evitare la maggior parte di quelle sciagurate tempeste invernali che giustamente impaurivano gli invernalisti di allora. E Furlani rincara la dose dicendo che allora le ferie erano quelle, bisognava lavorare magari anche il sabato e i weekend erano quelli, dunque non c’era molto da scegliere… perché allora gli italiani avevano ancora idea di lavorare, non come oggi!
Tocca ora a Franco “Franz” Nicolini che, con fare spigliato e scattante, racconta la parete est del Castelletto Alto dei Massodi (1979), via Comper-Steinkötter, con Felice Spellini, un uomo che molti in sala ricordano con molto affetto; poi la parete sud di Cima Roma, via Pilati (già citata da Pegoretti), la parete nord di Cima Tosa, via Detassis-Castiglioni (nel 1984, con Spellini e Merlo), la traversata in giornata delle 15 Torri di Kiene (1984, con Spellini) e infine la parete est della Cima Brenta per la via della Sorpresa, ancora con Spellini nel 1989. In seguito viene proiettato il breve film La via Dolomieu che racconta un concatenamento invernale della Catena Centrale del Gruppo di Brenta fatto da Nicolini in solitaria e in più giorni. Immagini che ben mostrano l’ambiente invernale della maggior parte degli itinerari evocati questa sera.
Ora è la volta dei fratelli Tomas e Silvestro Franchini: giovani, altissimi di statura, le grandi speranze dell’avvenire. Guide alpine, ben preparati alle nuove tecniche del dry-tooling, il loro filmato ci mostra, senza ombra di dubbio, la reale evoluzione della disciplina. La ricerca di impressionanti linee invernali, quelle sottili colate di ghiaccio verticale che spariscono d’estate, vie che esistono solo d’inverno o di primavera. I due Franchini ci tengono a presentare i loro compagni Alessandro “Alex” Lucchi e Tiziano Canella, poi al ritmo di una bella musica giovane e gaia, ecco Lisa dagli Occhi blu al Crozzon di Brenta, Fratelli e Cortelli sulla Sud-ovest della Pietragrande (Brenta), 13 marzo 2012; poi la diretta Tieni il Tempo sulla Est della Presanella (VII, A0 e M6), salita il 30 marzo 2012; Cima Busazza, parete nord, Sogni e Incubi (M6+), 19 maggio 2012; Cima Brenta, parete nord, La via che non c’è, 2 giugno 2012. Tomas, con Alex Lucchi, sale la Cima Tosa, parete ovest, Selvaggia Sorte, 12 marzo 2013; sempre con Lucchi, la Ovest della Pietragrande, Camera con Vista (WI5, M5), 4 aprile 2013. Sempre Tomas Franchini, da solo, sale la parete nord di Cima d’Ambiez, Passaggio solista (VI, WI5, M5+), 27 maggio 2013.
Marco Furlani presenta Tomas e Silvestro Franchini
La sala sente che siamo alla fine, forse non ci sono nuovi ospiti, nuove avventure. Tutti sono sazi, di ricordi e di rimpianti, ma anche di sogni. Però è giusto che ora Marco Furlani, dopo aver dialogato con tutti, racconti anche qualcosa di sé, con la modestia di chi sa che il tempo è contato e forse è già stato tutto speso. Senza neppure citare la Orso Grigio al Croz dell’Altissimo, febbraio-marzo 1990 con Giorgio Giovannini, preferisce sulla stessa montagna la via Stenico, da lui fatta il 29-30 gennaio 1983 con Chini (qui ricorda il bivacco più freddo della sua vita, senza saccopiuma per aver sottovalutato la via stessa); poi si concede maggiori dettagli sulla salita di sei giorni che fece nel 1981, dal 19 al 25 gennaio, sulla rossa parete est di Cima Brenta, quella via Verona che lo impegnò per 144 ore assieme a Chini e Paris. Furlani ricorda che non solo non aveva la giacca piumino, ma neppure la giacca a vento, sostituiti da tre maglioni di lana uno sull’altro. E i congelamenti di Paris.
Con Mauro Giovanazzi affronta la via Hasse-Schrott alla Torre Innerkofler, dall’11 al 13 marzo 1997, una via molto rischiosa e friabile, che gli richiede una grande resistenza psicologica, poi la carrellata si chiude con le bellissime immagini della via Battisti-Weiss sullo Spiz delle Roe de Ciampié (sempre con Giovanazzi, in due giorni alla fine del 1987).
Marco Furlani sulla via Battisti-Weiss (1987)
Furlani chiude con una dedica, quella a Mauro Giovanazzi e Giorgio Giovannini, due compagni di cordata tra i più importanti nelle sue salite invernali, due campioni dei Freddi Inverni degli Alpinisti Trentini.
Alessandro Gogna
Nota. I nomi degli alpinisti trentini citati per la prima volta sono in neretto.
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Postato il 25 marzo 2014
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dimenticavo…era Renzo Corona
g f reali
grandissimo lavoro
ma sono un po’ triste in quanto e’ citato il primo che ha fatto la prima ripetizione invernale della via dei finanzieri al Cimon , via aperta da mio fratello Renato con Visco pochi giorni prima di cadere sul Capucin