Le montagne dello Swat
di Carlo Alberto Pinelli (bettopinelli@gmail.com)
Fotografie di Carlo Alberto Pinelli (salvo diversa menzione)
Il gruppo montuoso dell’alto Swat (anche detto Swat-Kohistan) può essere considerato come l’estrema estensione meridionale della catena dell’Hindu Raj, a sua volta satellite dell’Hindu Kush pakistano. La vicinanza con la viabilità veloce della pianura del Punjab e le quote relativamente basse per gli standard himalayani, rendono possibile la realizzazione di ascensioni anche impegnative in tempi particolarmente ridotti e senza dover prevedere lunghe e costose marce d’avvicinamento. Questi indubbi vantaggi vengono però pagati da condizioni atmosferiche più instabili di quelle che caratterizzano le aree di Gilgit o di Chitral. Ciò limita l’opportunità della visita ai mesi post monsonici, vale a dire dalla seconda metà di agosto alla prima metà di ottobre. Tempo favorevole anche in tarda primavera, ma con molta neve. Le precipitazioni, più abbondanti che nelle aree più a nord, permettono l’esistenza di un mantello forestale particolarmente ricco e hanno dato vita a ghiacciai abbastanza estesi, malgrado le quote non elevate dei bacini di raccolta.
Tutto sommato le montagne dello Swat possono essere considerate come un primo approccio all’alpinismo asiatico e assomigliano per molti versi alle Alpi occidentali, così come si presentavano ai nostri antenati un secolo e mezzo fa.
Le quote massime raggiungono o sfiorano i 6000 metri. Una minima acclimatazione appare necessaria.
Tutte le vette principali sono state raggiunte negli anni 50/70. In seguito pochi alpinisti hanno visitato la regione, non per ragioni di sicurezza, ma perché l’interesse internazionale nell’ultima parte del secolo XX fino ad oggi si è spostato verso montagne più alte e di maggior prestigio.
Chi pensa di progettare una leggera spedizione nello Swat ha in sintesi due scelte (con varie opzioni intermedie):
Ripetere itinerari già seguiti in precedenza, favoriti da marce di avvicinamento e di ritorno molto brevi, senza prendere in considerazione una vera e propria attività esplorativa preliminare, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. Condizioni meteo permettendo, non è impossibile ottenere qualche soddisfacente risultato programmando un’assenza dall’Italia di circa 15/20 giorni.
Individuazione di vie nuove sulle vette maggiori o di ascensioni su una o più vette vergini che non superano i 5500 metri di quota. Ovviamente in questi casi i tempi di permanenza si allungano. In linea di larga massima potrebbero essere contenuti in 30 giorni.
Qui di seguito presentiamo le caratteristiche delle vette più interessanti con accenni alle ascensioni compiute o possibili. Non va dimenticato che le condizioni delle montagne (ghiacciai, innevamento perenne, ecc.) possono essere profondamente cambiate dagli anni lontani in cui sono state scritte le relazioni alle quali facciamo riferimento.
Si suggerisce ai gruppi di alpinisti interessati di richiedere a Mountain Wilderness il testo illustrato che spiega come disporre e recuperare le corde fisse. Si suppone che una spedizione collegata al progetto SWAT consideri una priorità assoluta liberare la montagna da ogni segno del proprio passaggio.
Mankial 5700 m c.
Il Mankial è una delle due montagne più meridionali dello Swat-Kohistan. L’altra è il gruppo del Sirri Darra.
Il Mankial ha l’aspetto di una lunga e possente muraglia, sia dal versante sud, visibile in lontananza anche dalle colline dello Swat meridionale (vedi foto 2 e 3), sia dall’inviolato versante settentrionale (vedi foto 1 e 4).
La prima ascensione si deve alla spedizione guidata nel 1946 da Romilly Lisle Holdsworth (Alpine Journal 53, pag 319). La spedizione partì dal villaggio di Mankial, posto sulla strada carrozzabile che unisce la capitale Saidu Sharif al centro turistico di Kalam (allora un minuscolo villaggio) e con due giorni di marcia pose il campo base a circa 3500 metri alla base del versante meridionale. Da qui ci sono due speroni che conducono alla vetta maggiore. Il gruppo Holdsworth scelse quello di sinistra, superando tratti di ghiaccio e neve e tratti di roccia poco solida. Nel complesso, difficoltà modeste. Nel 1964 i membri della Cambridge Chitral Expedition raggiunsero lo stesso campo base provenendo da est (valico di Sho Ho Darra e seraccata del Sirri Darra) e salirono la montagna seguendo lo sperone di destra, dove trovarono tracce di precedenti sconosciuti salitori. Confermarono che la qualità della roccia era scadente. Lungo la cresta che si protende verso ovest notarono una seconda vetta, pare molto bella e ripida, coronata da una meringa sommitale, che battezzarono “The Lip” (Il Labbro)
Da allora altri alpinisti stranieri e pakistani hanno scalato più volte la montagna dal versante meridionale. Tra questi da segnalare un tentativo di salita diretta compiuto da Hermann Warth con lo sherpa Ang Choppal nel 1990. La pessima qualità della roccia li costrinse però a deviare verso sinistra per seguire uno speroncino glaciale e un susseguente, egualmente instabile, salto roccioso. Occorsero 26 tiri di corda per raggiungere la cresta divisoria da dove, voltando a destra finirono per raggiungere la vetta. Sembra tuttavia che nessuna via di salita sia stata aperta per raggiungere le elevazioni più occidentali della muraglia.
Il versante nord del Mankial (foto 1) è ancora totalmente vergine e ha una lunghezza di quasi due chilometri. La sua base si raggiunge direttamente dai dintorni di Kalam, risalendo la prima parte della valle Sho Nalla con due giorni di marcia (i membri della spedizione SUCAI Roma del 1964 coprirono la distanza in una sola giornata). Campo base al limite del ghiacciaio.
E’ del tutto sconsigliabile tentare direttamente l’incombente parete nord, esposta a valanghe e cadute di seracchi. Possibile invece tentare lo sperone che delimita la parete sulla destra di chi guarda (foto 1 e 6). Si tratterebbe probabilmente di una grandiosa salita di misto. Purtroppo è ignota la qualità della roccia. Probabilmente più problematico è lo sperone che delimita il versante a sinistra (foto 7).
Dal colle di Sho Ho Darra 4500 m si diparte, verso la vetta principale, una lunghissima cresta, la cui prima elevazione rocciosa di 5100 metri venne scalata dalle cordate Luigi Mario-Pietro Roncoroni e Carlo Alberto Pinelli-Pietro Guj (Spedizione SUCAI Roma 1964) lungo impegnativi e non brevi passaggi su roccia di buona qualità (spesso innevata); le fu dato il nome di Punta Lavinia. (foto 8a e 8b).
Invece a sinistra del colle si innalza una facile vetta scalata e battezzata dagli inglesi Confusion Peak 5018 m, perché scambiata, nella nebbia, per uno dei due Batin.
Gruppo del Sirri Darra
Il gruppo del Sirri Darra si trova a sud est del Mankial. E’ solo noto il suo versante settentrionale, caratterizzato da un rosario di elevazioni che si innalzano su un plateau glaciale lungo quasi cinque chilometri, dal quale scendono due spettacolari seraccate oggi molto meno grandiose che in passato (foto 11) ma sempre imponenti.
Le seraccate precipitano verso la valle che conduce a Mirshaih e Gabral, nel distretto di Kandia. I primi esploratori (Trevor Braham, 1962) e i primi salitori (Cambridge Chitral Expedition 1964) del Sirri Darra scesero nella valle dal colle di Sho Ho Darra (vedi sopra) lungo un sentiero ripido e disagevole. Il plateau superiore venne raggiunto non senza difficoltà, destreggiandosi nel labirinto dei seracchi. Qui giunti riuscirono a guadagnare la facile cima panoramica del Central Peak 5334 m, per poi scalare due altre vette alle quali posero nomi che fanno riferimento a note montagne delle Alpi occidentali: Verte e Breithorn. Snow Dome, Courtes e Droites (ulteriore prestito alpino) risulterebbero tutt’ora vergini (foto 10 e 12). Sarebbero una bella meta!
Suggeriamo di raggiungere il plateau da ovest, molto più facilmente, percorrendo all’inizio l’itinerario che conduce al campo base del versante meridionale del Mankial (vedi sopra). Quando il sentiero si biforca, seguire la traccia di destra, più bassa, fino a raggiungere i nevai e le gobbe di un ghiacciaio non particolarmente ripido, ma non omogeneo, dalla sommità del quale si guadagna facilmente il plateau superiore (foto 13).
Calcolare tre giorni di cammino. Nessun particolare problema tecnico. Però necessitano portatori disposti a muoversi su superfici ghiacciate.
La vetta più alta e più interessante del gruppo è quella soprannominata Breithorn (nome ormai entrato anche nell’uso locale, sebbene in una forma storpiata) che raggiunge i 5700 metri circa. I primi salitori affrontarono la scalata dal versante ovest, incontrando nella parte bassa un pendio nevoso non difficile. Più in alto superarono salti di ottimo granito oltre ai quali si raggiunge la cresta SO, di misto. L’ultima parte della cresta sembra fosse allora molto aerea. Oggi, chissà! La discesa avvenne percorrendo integralmente la cresta SO, con passaggi di roccia buona.
Durante le esplorazioni compiute nel 2019 (Progetto Swat), due alpinisti tedeschi hanno raggiunto il plateau provenendo dalla valle su cui domina il versante sud del Mankial. Qui giunti, hanno individuato un percorso verso la cima che non sembra coincidere con quello seguito nel 1964. I due non raggiunsero la vetta perché impressionati da alcune violente scariche di sassi. Ciò sembrerebbe contraddire quanto affermato in precedenza riguardo alla qualità della roccia. A occhio un bel percorso, interamente glaciale, potrebbe permettere di superare il versante nord.
I Batin Peaks
I due gemelli Batin (o Barteen) sono ben visibili dalla strada carrozzabile che da Kalam raggiunge i villaggi di Mathiltan/Ushu. La quota del gemello maggiore, il più occidentale, raggiunge i 5749 metri; il minore si attesta sui 5480 metri. Scarsissime le informazioni riguardanti i loro versanti SE che scendono verso Kandia. Nessuno, a quanto si sa, ha mai tentato un approccio da quel lato. Il primo ad essere raggiunto, dal versante NO, è stato il gemello maggiore per opera di una cordata neo-zelandese (W.K.A. Berry, C.H. Tyndale-Biscoe) nel 1957.
I due percorsero la bella valle di Mathiltan fino a giungere dopo poche ore in vista di un maestoso e insuperabile anfiteatro di roccia, solcato da varie cascate, alimentate dal sovrastante ghiacciaio. Un pendio nevoso all’estrema sinistra orografica dell’anfiteatro (destra per chi sale) permise di superare l’ostacolo (oggi bisognerebbe affrontare un ripido ghiaione) e li condusse ai piedi del ghiacciaio. Costeggiandone i seracchi lungo una sorta di cresta erbosa che sale verso sinistra, i due alpinisti raggiunsero un luogo adatto a un secondo campo, fuori dalla portata delle possibili valanghe. Da lì, superata facilmente la seraccata, raggiunsero un ampio nevaio, alimentato da due canaloni divergenti. Lasciarono quello di sinistra (salendo), che divide i due gemelli, e proseguirono lungo quello di destra per raggiungere e percorrere una sorta di cengia nevosa che taglia la parete (forse oggi sembrerebbe più consigliabile proseguire lungo l’intero canale per abbordare la cresta nord- est.). La cengia termina ai piedi di una breve parete rocciosa che sostiene la ripida cupola glaciale della vetta. Attualmente molte cose sembrano cambiate, ma sarebbe comunque possibile ripetere l’impresa con l’utilizzo di soli due campi, come fecero i primi salitori.
Nota: oggi da Mathiltan una strada jeepabile si inoltra nella valle facendo risparmiare quasi due ore di marcia.
Il gemello minore (5480 m) venne scalato nel 1968 dagli inglesi W. Stephen, H. Daver e H. Dorr, partendo anche questa volta da Mathiltan. La cordata, giunta in vista dell’anfiteatro, salì un ripido ma scenografico vallone sulla destra orografica (sinistra per chi sale) per raggiungere un valico che divide lo Swat da Kandia (foto 18). Qui posero il secondo campo. Il giorno dopo seguirono quasi costantemente la non facile, lunghissima e a tratti ripida cresta NE (foto 19), superando soprattutto passaggi di neve e di misto. Bivacco in vetta.
La traversata per cresta delle due vette non risulta mai tentata.
Falak Sar 6000 m c.
Il Falak Sar può essere considerato la montagna simbolo dell’alto Swat. La sua elegante piramide è ben visibile dal centro turistico di Kalam.
Sono due gli itinerari di salita fino ad oggi portati a termine. Il primo raggiunge la vetta da nord ovest ed è stato ormai ripetuto più volte; resta comunque un’ascensione impegnativa che richiede tempo bello e un’ottima padronanza dei ramponi. I primi salitori realizzarono l’impresa nel 1957 (W. K. A. Berry, C. H. Tyndale-Biscoe). La marcia di avvicinamento inizia da un evidente vallone, sulla destra della carrozzabile che conduce al lago di Mahodand, popolare meta turistica. Al fondo del vallone si erge il profilo inconfondibile del Falak sar, incorniciato da spettacolari conifere (foto 20). Il sentiero conduce, dopo un facile giorno di marcia tra boschi e praterie, a un promontorio costellato da grandi massi, addossati ai quali si notano le rovine di vecchi stazzi (a 3500 m c.). Ottimo posto per un campo di avvicinamento. Da lì la traccia del sentiero diviene mano a mano sempre più inconsistente, mentre la pendenza aumenta appena ci si affaccia su un ampio e selvaggio canalone, percorso da un torrente spumeggiante. Se si indovina il percorso migliore un paio di guadi sgradevoli possono essere evitati. Si sbuca infine in una conca quasi pianeggiante (a 4000 m c.), particolarmente adatta per un secondo campo. Al disopra della conca si prosegue costeggiando a mezzaluna la morena destra (orografica) fino ad approdare, dopo mezz’ora, su quella che è oggi l’estrema lingua del ghiacciaio. Da qui in avanti il percorso risale il ghiacciaio senza vere e proprie difficoltà (foto 21). Pochi innocui crepacci costringono tuttavia a compiere qualche zigzag.
Si raggiunge così – a 4800 metri di quota – un colle ben visibile da tutto il percorso. Dal colle si segue in direzione della vetta una specie di cresta ondulata, caratterizzata da alcune emergenze rocciose dove con qualche difficoltà è possibile alzare un’ulteriore tenda. La cresta si salda infine con il filo della ripida cresta NO della piramide finale (foto 22).
Seguendo il ripido filo della cresta si sbuca sull’ ampio pianoro della vetta. Si tratta nell’insieme di un percorso di grande eleganza. Non bisogna però sottovalutare le difficoltà della lunga discesa, soprattutto se il terreno è di ghiaccio vivo. Viti da ghiaccio necessarie.
Il secondo itinerario percorre il versante sud della montagna, partendo dal villaggio di Paloga, che si incontra lungo la strada carrozzabile diretta al lago Mahodand. L’apertura della via di salita compiuta da Hermann Warth con lo sherpa Ang Choppal nel 1990, richiese 25 tiri di corda su pendii glaciali con pendenze tra i 40° e i 50° gradi, per raggiungere la cresta ovest (forse visibile a destra nella foto 23), da dove facilmente in vetta. I primi salitori posero due campi in stile alpino e scrissero di non aver trovato difficoltà serie. Problematica solo la discesa lungo la cresta nord su ghiaccio durissimo (vedi sopra).
Altre possibili vie di salita. E’ rischioso dare suggerimenti riguardanti percorsi non ancora esplorati. Quelle che seguono sono soltanto ipotesi tutte da verificare. Restando alla foto 23 segnaliamo che il ghiacciaio di destra non è stato mai percorso. Alla sua sommità non sembra impossibile girare a destra per raggiungere l’evidente colle che si staglia contro il cielo, da dove, lungo la rocciosa cresta (ovest?), in vetta.
Nessun tentativo è stato compiuto per scalare il grandioso pendio glaciale nord- nord/est (a sinistra nella foto 22). Né si conoscevano fino allo scorso anno immagini relative alla sua porzione inferiore che scende vertiginosamente sul versante di Kandia. Lo stesso dicasi della cresta nord-est che delimita la parete sulla destra orografica. Fino al 2020 chi avesse voluto esplorare entrambe queste eccitanti possibilità – insieme con uno sguardo al versante est, di cui non si conosceva assolutamente nulla – avrebbe dovuto trovare il modo più rapido per scendere nel distretto di Kandia, partendo dai laghi Mahodand. Durante uno dei trekking del 2021 è stato individuato un valico praticamente sconosciuto che permette di raggiungere direttamente le valli su cui domina il versante orientale del Falaksar, del quale, per la prima volta, abbiamo ora le bellissime immagini.
Miangul Sar 6000 m c.
Questa elegante montagna a lungo sconosciuta sorge tra le due principali vallate dell’alto Swat, dalle quali non può essere ammirata. A scorgerla e a traguardarne grossolanamente la quota furono i primi salitori del Falak Sar. Dopo di loro vari altri alpinisti ne indagarono o ne misero in dubbio l’esistenza. Fu la Spedizione della SUCAI Roma del 1964 a sottrarre questa vetta al regno delle ipotesi raggiungendo e scavalcando un valico di c.a 4600 metri, al quale fu dato il nome di Passo Biasin. Solo il maltempo non rese possibile allora la salita della montagna, affrontata dal suo versante SO. La cordata Luigi Mario – Betto Pinelli dovette ripiegare a meno di duecento metri dalla cima, affrontando nella tormenta una discesa molto rischiosa. Il nome venne proposto dagli alpinisti romani per onorare la famiglia Miangul di cui faceva parte l’allora Valì dello Swat. Qualcuno sostiene che la montagna possedesse già un suo nome locale: Dingi Sar.
La prima ascensione fu compiuta nel 1967 da Wolfgang Stefan e Norman Norris, seguendo a un dipresso lo stesso itinerario individuato da Mario e Pinelli nel 1964. I due alpinisti raggiunsero però la base della montagna percorrendo la valle Bahandra, tributaria della bassa valle di Utrur/Gabral.
La via sale verso la conoide di deiezione di un ripido canalone nevoso, identificato come il punto di minor resistenza, che si innalza diagonalmente lungo la parete del versante SO. Primo campo a 4300 metri. Secondo campo a 4900 metri, protetto da una specie di rognone di roccia, proprio all’inizio del canalone. Il quale, dopo il primo imbuto, si rivela alternativamente di roccia molto inclinata e di neve. Scarsa possibilità di buone assicurazioni. Man mano che si avanza la pendenza cresce. Per abbordare i ripidi pendii del ghiacciaio superiore è necessario superare alcuni passaggi quasi verticali. Si procede quindi in direzione della facile cresta SO. Prima di raggiungerla bisogna però cimentarsi con un salto di roccia non eccellente, alto circa 150 metri. Si raggiunge così la vetta NO, separata dalla vetta maggiore SE da una cresta aerea e ricca di cornici, lunga più di mezzo chilometro.
I secondi salitori (Goodfellow e compagni) nel 1968 scelsero invece il versante settentrionale della montagna e raggiunsero il campo base percorrendo per tre giorni la valle di Gabral (da non confondersi con l’omonimo villaggio del distretto di Kandia). Furono posti 3 successivi campi di quota per raggiungere, con un percorso non diretto, il grande canalone ovest che venne risalito interamente, incontrando difficoltà crescenti, tra le quali un difficile canalino roccioso finale. Il canalino sbocca sulla cresta SO che conduce in vetta, aggirando un ultimo tratto roccioso. Nei giorni seguenti una seconda cordata ripeté l’impresa evitando il canalone (e il canalino). Venne seguita integralmente e senza particolari problemi la cresta SO tanto in salita quanto in discesa.
Kakhari 5970 m
Questa montagna poco nota raggiunge i 5970 metri di quota ed è dunque una delle vette maggiori della regione. Il suo nome completo dovrebbe essere Kharakhali. Essa si innalza al fondo della lunga valle di Utror/Gabral, in buona parte percorribile oggi con mezzi motorizzati. Scarsissime sono le informazioni che la riguardano. La vetta del Kakhari è stata raggiunta nel 1968 dai membri della spedizione del Cambridge University Mountaineering Club. Gli alpinisti inglesi guadagnarono l’alto valico di circa 5000 metri che divide la valle che scende dal passo del Kachikhoni (versante di Chitral) dalla valle di Gabral e da lì salirono alla vetta lungo i pendii NO. Sembra invece difficile l’itinerario che parte da un altro valico in direzione della valle di Manali e potrebbe raggiungere la vetta dal versante sud.
Alto Swat-Kohistan
L’ampio ventaglio di vette che delimitano a settentrione i confini dello Swat in direzione di Gilgit (verso destra) e di Chitral (verso sinistra) rappresenta il terreno ideale per attività alpinistiche esplorative di breve durata. Varie montagne al disopra dei 5000 metri attendono i primi salitori. E ciò anche se già nel 1964 quattro vette vennero scalate dalla spedizione della SUCAI Roma. Il ventaglio può essere scavalcato a sinistra utilizzando i valichi di Gurbi la 4600 m e di Khoci Khoni 4760 m e a destra il valico di Dadarili 4500 m, storico passaggio frequentato da tempo immemorabile da mercanti e pellegrini buddhisti provenienti dall’Asia Centrale e diretti verso le pianure del Punjab. Punto di partenza il lago Mahodand, raggiungibile con mezzi motorizzati (purtroppo!).
La roccia delle montagne affacciate sulla grande valle che sale verso il Khoci Khoni è di tipo metamorfico, spesso scarsamente affidabile. Sulla destra invece (verso il Dadarili) pare esistano grandi pareti e creste di ottimo granito. Varrebbe la pena andarci a dare un’occhiata. Nel 1964 i giovani alpinisti romani salirono quattro facili vette intorno al valico di Gurbi-la (Cervinetto, punta Anna Maria, punta Giovanna, punta Pierluigi) e un’elegante vetta glaciale molto a destra del valico di Khoci Khoni (Vela Bianca o Spid Bad Ban 5500 m).
Proprio in fondo alla valle, sul confine col Chitral e a nord ovest della Vela Bianca, si trova il gruppo del Dadalbho 5870 m. Una montagna che andrebbe esplorata.
Queste note non hanno assolutamente la pretesa di essere esaurienti; e neppure vanno considerate alla stregua delle guide alpine cartacee per quel che concerne la precisione delle descrizioni. Rappresentano solo dei suggerimenti e degli stimoli in grado di orientare l’interesse degli alpinisti, senza però diradare le incertezze dell’avventura esplorativa. Solo dopo aver verificato in loco le informazioni qui riportate, grazie ai contributi di alpinisti e trekkisti, sarà possibile pubblicare una vera e propria guida alpinistico/escursionistica delle montagne dello Swat. Ora comunque è pronta una buona carta geografica dell’intera zona. Buona, ma può essere ancora perfezionata.
Bando per l’iscrizione a una serie di trekking d’avventura (2022)
(a cura di:
Mountain Wilderness International-The Asian Desk;
ISMEO-Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente;
CAAI-Club Alpino Accademico Italiano)
Premessa
Le montagne dell’alto Swat possono essere considerate una via di mezzo tra gli ambienti alpini, così come si presentavano ai visitatori agli inizi del 1800 e quelli più propriamente himalayani. Si tratta di valli, valichi, vette, ghiacciai ricchi di un particolare fascino spettacolare, dovuto non solo all’eleganza delle elevazioni maggiori, tra i 5000 e i 6000 metri, ma anche alle dense foreste di conifere, ai numerosissimi laghi che si incontrano lungo ogni percorso, ai torrenti limpidissimi, ai pascoli di quota, abitati da piccoli gruppi di pastori nomadi. Lo Swat è facilmente raggiungibile dalle grandi città della pianura e, proprio per questo motivo, è esposto al rischio di una crescita disordinata della frequentazione turistica locale, tendenzialmente aggressiva, ineducata e priva di rispetto.
Gli organizzatori credono che l’unica via per preservare la preziosa integrità di quelle vallate di magica bellezza risieda nella concreta proposta di una fruizione alternativa fondata sul rispetto e orientata verso l’istituzione di un parco nazionale.
Il bando
Mountain Wilderness International, il Club Alpino Accademico Italiano e l’ISMEO, con la collaborazione della sezione pakistana di Mountain Wilderness, propongono ai soci delle sezioni nazionali di MW, ai soci dei Club Alpini europei, ai soci delle associazioni ambientaliste consorelle, al corpo insegnante delle scuole di Alpinismo e a tutti gli appassionati di trekking in ambienti montani incontaminati di partecipare all’esplorazione e all’accurata descrizione dei possibili itinerari trekkistici dell’alto Swat come “collaboratori paganti”. Si tratta di un’esperienza emozionante, priva dei rischi derivanti da instabilità politiche o da rigurgiti fondamentalistici. Un’autentica avventura, per individuare percorsi spesso ancora parzialmente sconosciuti e di conseguenza non totalmente programmabili. All’entusiasmo per la scoperta di valli deserte, valichi, ghiacciai, va aggiunta e messa in conto anche l’eventualità di qualche ripiegamento (o cambiamento di percorso) di fronte a ostacoli che potrebbero rivelarsi di difficoltà troppo elevata. Alcuni degli itinerari potrebbero richiedere l’attraversamento di ghiacciai e il conseguente utilizzo di ramponi, piccozza e corda. Chi aderirà al progetto dovrà specificare la sua disponibilità a affrontare quel tipo di impegno. Abbiamo selezionato anche percorsi privi di difficoltà tecniche e tuttavia di grande suggestione. Lo Swat settentrionale nasconde nelle pieghe delle sue montagne più di ottanta bellissimi laghi e innumerevoli foreste di conifere. Sono comunque indispensabili: capacità di adattamento, spirito d’avventura, consapevolezza del significato del progetto e della sua valenza etico/ ambientalistica. Molto utile la conoscenza di base della lingua inglese.
L’invito è esteso ad alpinisti interessati a partecipare al progetto, mettendo in piedi leggere spedizioni orientate all’ascensione di alcune delle più interessanti montagne della zona lungo itinerari mai percorsi fin’ora. Ovvero a unire a un trekking “spartano” una parentesi più alpinistica.
Durata: tenendo conto dell’esperienza fin qui maturata i percorsi a piedi dureranno tra i sette e gli otto giorni consecutivi. E’ anche possibile dedicare un giorno in più a una visita ai ruderi degli antichi monumenti buddhistici che dominano le colline della parte meridionale dello Swat. La data di partenza non è stata ancora decisa nel dettaglio e dipende dai desideri di coloro che saranno interessati a partecipare. Oscillerà tra il 15 e il 31 Agosto.
I trekkisti ( e gli alpinisti) dovranno impegnarsi a compilare la descrizione dettagliata degli itinerari, illustrando le loro caratteristiche, il loro dislivello, la loro durata, tappa per tappa e corredando il testo con fotografie. Incontri con la fauna selvatica andranno dettagliatamente documentati. Chi partecipa non dovrà considerarsi un cliente passivo, che pretende di avere diritto a un servizio completo da parte dell’agenzia organizzatrice. Compiti come la scelta dei posti tappa e il montaggio/smontaggio delle tende dovranno essere svolti attivamente e in buona armonia da ciascun membro del gruppo, in collaborazione con i portatori e le guide locali. Si consiglia di muoversi lungo i percorsi con zaini leggeri, lasciando parte dei propri bagagli ai portatori. Opportuno arrivare forniti di piccozza, imbrago con due moschettoni, ramponi, bastoncini. A chi ne fosse sprovvisto Mountain Wilderness fornirà sul posto il minimo necessario, bastoncini esclusi.
Non va dimenticato che Mountain Wilderness non è un agenzia di viaggi. Tanto meno lo sono il Club Alpino Accademico Italiano e l’ISMEO. In particolare lo scopo statutario di Mountain Wilderness non è la diffusione fine a se stessa delle attività “outdoor”, attraverso una loro attiva organizzazione. Se, nel caso specifico, l’associazione si occupa di tali aspetti è perché desideriamo giungere, attraverso la collaborazione di chi condivide le nostre idee, ad una maggiore e migliore protezione di un ambiente naturale montano particolarmente minacciato. Tale scopo si articola in due fasi:
- Pubblicazione di una guida escursionistico/alpinistica delle montagne dello Swat, basata sulle relazioni compilate dai trekkisti coinvolti nel progetto (anni 2019, 2021, 2022) e fortemente connotata in senso ambientalistico.
2. Elaborazione della proposta “Parco Nazionale” (o in alternativa MAB riserva Man and Biosphere dell’UNESCO) da sottoporre all’approvazione e implementazione del Governo del Pakistan.
Mountain Wilderness, il CAAI e l’ ISMEO hanno affidato ad una Agenzia specializzata del Pakistan il compito di gestire l’intera organizzazione materiale dei trekking (Adventure Tours of Pakistan). Ciascun partecipante sarà invitato a prendere direttamente contatto con i loro uffici. L’agenzia si occuperà delle forniture per i campi (esclusi i sacchi piuma e i materassini), dell’accoglienza, della cucina, dei trasporti via terra, della logistica, della gestione dei percorsi, dei permessi, delle assicurazioni e solleverà Mountain Wilderness, il CAAI e l’ ISMEO da ogni responsabilità di carattere civile o penale.
L’Agenzia Adventure Tours of Pakistan (ATP) propone la seguente tariffa per un impegno globale di due settimane:
Gruppi di quattro persone: 1700 Euro a testa. Tende a due posti.
Questa proposta esclude il viaggio aereo. Ciascun partecipane dovrà occuparsene direttamente. Le indicazioni sul vettore aereo suggerito saranno specificate in un secondo momento. Il costo del biglietto si aggira intorno ai 600 Euro.
Le iscrizioni si apriranno il 2 aprile 2022 e si chiuderanno il 31 maggio 2022 (con qualche possibile eccezione). Ai primi otto iscritti Mountain Wilderness offrirà un contributo facilitatore pari a 100 euro.
Non si iscriva chi non si è debitamente vaccinato contro il Coronavirus 19. Non solo è importante non rischiare di ammalarsi durante il viaggio. Bisogna anche evitare di contagiare gli abitanti dei luoghi attraversati.
Gli alpinisti intenzionati a mettere in piedi spedizioni leggere rivolte all’ascensione di una o più vette tra i 5500 e i 6000 metri di quota, dovranno prendere contatto al più presto con Carlo Alberto Pinelli ( bettopinelli@gmail.com) o con Jordi Gassiot Pintori (Jordi.Gassiot@uab.cat ) sia per ottenere precise informazioni sulle montagne più interessanti, sia per avere un’idea dei costi.
PS: Le montagne dello Swat rientrano nella fascia monsonica. Per questo si presentano ricche di foreste… e di acquazzoni. Anche se le date di partenza sono state scelte in armonia con il periodo meteorologicamente migliore, non si possono del tutto escludere giorni di pioggia, soprattutto nel pomeriggio. Di conseguenza è sempre saggio programmare la partenza dal campo piuttosto presto.
Per informazioni e iscrizioni
E mail: bettopinelli@gmail.com
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Mi è piaciuto molto perché sono molto appassionato di articoli storici e descrittivi. Qui viene trattata unz zona che mi era pressoché sconosciuta. Le foto sono molto belle e coincidono con l’impressione che ho dell’immagine che davano ld Alpi Occidentali ai primi esploratori, come appunto segnalato nel testo.
Sono montagne magnifiche!