Le relazioni sono tutto
(e niente è più come prima)
di Annamaria Testa (esperta di comunicazione)
(pubblicato su internazionale.it il 6 luglio 2020)
Il concetto di relazione è ben presente nei nostri pensieri e nei nostri discorsi. Ma resta spesso sotto traccia, e per questo motivo tendiamo a sottovalutarlo. Le relazioni sono, infatti, intangibili e dinamiche: solo osservandone gli effetti possiamo indovinarne l’esistenza. Per questo tendiamo a non riconoscere quanto sono rilevanti.
Chiamiamo relazione il legame di interdipendenza, o la connessione di senso, che unisce due (o più) entità. Ho scritto entità, non a caso, e solo perché non ho trovato un termine ancora più neutro e generale.
Sappiamo bene che le persone possono essere legate da relazioni paritarie o gerarchiche, di amicizia, di affetto e di parentela, di lavoro, di affari o di professione, di vicinanza e somiglianza, di cooperazione o di rivalità. Da relazioni reali e da relazioni virtuali, forti o deboli, benefiche o tossiche.
Sistema complesso
Relazioni basate sul rango si ritrovano sia nelle società umane sia tra gli animali. E non solo tra i mammiferi, ma (a dircelo sono gli etologi) in tutte le collettività, insetti compresi.
Di relazioni interpersonali, di relazioni sociali e del complesso sistema di sentimenti, emozioni e passioni che a queste si accompagnano ci parlano la psicologia, la sociologia e l’antropologia.
Solo mettendoci in relazione con gli altri siamo in grado di soddisfare i nostri bisogni più profondi: identità, riconoscimento, appartenenza, gratificazione, stabilità emotiva, intimità. E sono le relazioni che abbiamo, e la loro qualità, a determinare non solo il nostro posto (il nostro ruolo) nella società, ma anche buona parte della nostra felicità e della nostra soddisfazione. Mano a mano che cresciamo o che invecchiamo, e che nel tempo il nostro sistema di relazioni e ruoli cambia, cambia anche il modo in cui pensiamo a noi stessi.
Il nostro stesso modo di concepire il mondo ce lo fa leggere in termini di relazioni, perfino quando non ne siamo pienamente consapevoli. Tendiamo sempre, per esempio, a istituire relazioni di causa-effetto tra fatti antecedenti e conseguenti, e lo facciamo con tanta ostinazione che questa tendenza può trasformarsi in un bias (cioè, in una convinzione infondata e ingannevole).
D’altra parte, le scienze vanno in cerca di relazioni. La psicologia e la medicina ci guidano a scoprire quelle tra sintomo e patologia. La matematica identifica relazioni tra grandezze e tra insiemi. La fisica esplicita, per esempio, la relazione tra la forza applicata a un corpo e l’accelerazione che questo subisce.
E ci parlano di relazioni il teatro, la letteratura e le migliori serie televisive (pensate a Game of thrones).
Ragioniamo di politica in termini di relazioni tra stati, tra partiti, tra gruppi di potere o di pressione. Tra territori e stato centrale. Tra maggioranza e minoranze (black lives matter). Tra ideologie. Tra classi sociali. Ragioniamo di economia in termini di relazioni tra pil, produttività, debito pubblico, tassazione…
Le imprese si preoccupano di istituire buone relazioni con i loro clienti, di guadagnare posizioni vantaggiose nella relazione competitiva con i propri concorrenti, di gestire la relazione con i dipendenti attraverso un’accettabile relazione con i rappresentanti sindacali. Le pubbliche amministrazioni si preoccupano (o, almeno, dovrebbero farlo) di avere buone relazioni con i cittadini.
Provano a normare le relazioni le leggi e la religione. Il primo dei dieci comandamenti–”Io sono il signore Dio tuo. Non avrai altro Dio all’infuori che me” – mette subito le cose in chiaro per quanto riguarda la relazione tra il credente e la divinità (lievi variazioni storiche non cambiano la sostanza delle cose), e all’interno della stessa comunità dei credenti.
Produrre senso
Secondo la definizione più condivisa dalla comunità scientifica internazionale, il pensiero creativo è quello che riesce a istituire, inventandole ex novo o scoprendone l’esistenza, relazioni nuove e appropriate tra elementi diversi, in precedenza distanti e slegati tra loro. La creatività è ars combinatoria, e combinare non significa altro che mettere in relazione.
L’apprendimento procede attraverso successive scoperte di relazioni di analogia. La metafora, che istituisce relazioni di senso tra elementi distanti, che però condividono un attributo, è un potentissimo strumento euristico e poetico.
Il linguaggio risulta comprensibile proprio perché stabilisce solide e costanti relazioni di significato tra suoni, o segni scritti, e concetti (così, chi vede su una pagina la sequenza di segni che corrisponde a sedia è in grado di pensare immediatamente a qualcosa che somiglia molto a una sedia, e non a qualcosa che somiglia molto a una pizza).
Ma non solo. Attraverso le relazioni tra i concetti incardinati in un discorso il linguaggio produce senso, e noi riusciamo a trasmetterci informazioni, ragionamenti complessi e conoscenza.
Infine. È il tipo di relazione di fiducia o sfiducia che ciascun singolo destinatario ha con chi produce un messaggio a determinare se quel messaggio sarà o meno recepito e creduto.
Come creature viventi, e capaci di esercitare un (pesantissimo) impatto ambientale, siamo in una (pessima) relazione con l’ecosistema, e cominciamo a diventare consapevoli del fatto che dovremmo darci da fare per migliorarla, e proprio in fretta.
In sintesi. Viviamo in un mondo che è tenuto insieme da un’intricatissima, multidimensionale rete di relazioni.
Ma il CoViD-19 ha allentato, alterato e sgangherato gran parte del sistema di relazioni implicite ed esplicite su cui si regge il mondo così come lo conosciamo. L’ha fatto colpendoci in primo luogo nel respiro: quello che mette in relazione la nostra singolarità con l’universo.
La pandemia ha alterato le nostre individuali relazioni con lo spazio, il tempo, l’idea della morte, il futuro. Separandoci e confinandoci, ha sottoposto a stress le relazioni con i nostri affetti. Ha modificato, e anche pregiudicato, relazioni di lavoro. Con questo, ha messo in crisi il nostro stesso senso di identità.
La pandemia ha corrotto le relazioni tra le comunità e fra gli stati, favorendo il crescere della diffidenza e la propensione a difendere i confini. Con questo, ha messo in crisi il nostro senso di appartenenza.
Vuol dire che tutto o quasi è rimasto al posto di prima, ma che niente funziona più esattamente come prima. E che tutto sembra più instabile e precario.
Come potremmo non sentirci spaesati?
Manutenere, ricucire, restaurare, ristabilire e necessariamente migliorare le relazioni che tengono insieme persone, istituzioni, idee, stati, e il mondo intero, può sembrare una missione, prima ancora che impossibile, vagamente esoterica. Eppure.
Eppure la prospettiva è interessante. E l’opportunità è adesso.
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“La conclusione inevitabile e logica (ma evidentemente non da tutti accettata) è: …via da tutto e da tutti,dagli amici come dai nemici. Isoliamoci… “
Direi piuttosto la reazione più istintiva e irrazionale in considerazione del fatto che è dimostrato che la probabilità di morire di Covid è per me solo leggermente inferiore di quella di morire per cancro al seno…
Ma evidentemente la paura, anche immotivata, è un motore molto più potente della ragione. E questo spiega molto della stato del mondo (ambientale, politico e sociale)
Non è una sorpresa,nè un fatto strano che il covid-19 o coronavirus o pandemia che dir si voglia,abbia modificato in senso formale e sostanziale le relazioni umane. Già nel recente passato in ogni occasione in cui si veniva a contatto con persone malate,cioè con una malattia diagnosticata e riconosciuta come tale,ci si teneva alla lontana (ricordo negli anni ’60 discorsi del genere: so che (tizia) è malata di cuore Le ho dato la mano poi le ho lavate; sono stato a trovare (caio) all’istituto tumori e mi sono tenuto lontano da lui evitando contatti ravvicinati; ho saputo che (sempronio) è moribondo,è meglio non andare a trovarlo.La paura di un contagio,sia pure in modo immaginario non corrispondente ad un reale pericolo,è sempre stata presente nell’animo umano solo che non appariva così pressante e stressante come oggi perchè i casi di sospetto erano circoscritti a singoli individui che si conoscevano o si frequentavano.Oggi chiunque può contagiare chiunque,l’uomo della strada,il confinante,la cassiera del supermercato,il cameriere del ristorante.Il contagio avviene sia di persona che con gli oggetti che si toccano e che altri hanno contagiato prima di noi.La conclusione inevitabile e logica (ma evidentemente non da tutti accettata) è: “via dalla pazza folla”,via da tutto e da tutti,dagli amici come dai nemici. Isoliamoci in un aureo mondo di solitudine e di misoginia pura.Gli altri ci considereranno degli egoisti asociali privi di sensibilità (e di cuore),ma chi se ne frega! Meglio evitare il virus ed essere estromessi dalla società reale che beccarselo e farsi quantomeno una stupida quarantena o peggio ancora essere attaccati ad un respiratore artificiale in una stanza di terapia intensiva con il rischio concreto di andarsene all’altro mondo.