Leggende quasi metropolitane
di Marcello Cominetti
(pubblicato su marcellocominetti.blogspot.com il 23 settembre 2015)

I portatori himalayani si fanno un culo mostruoso. Vivono portando sulla schiena per ore dei pesi che noi neppure riusciamo a sollevare. Come faranno?
Mi è capitato spesso, prima di partire per un trekking o una spedizione, di equipaggiare adeguatamente i portatori. Non è solo uno scrupolo morale ma lo prevede anche una legge locale. I portatori sono scalzi o tutt’al più hanno le infradito. Noi gli diamo delle scarpe da trekking, di quelle che la maggior parte della gente che cammina sui sentieri usa qui.
Loro ringraziano, le accettano e pochi minuti dopo le hanno vendute al negozio del villaggio dove si riforniscono i turisti.

Non c’è verso di fargliele usare e già dopo la prima volta mi sono spiegato il perché. Hanno paura di cadere perché quelle scarpe, che noi (io no) usiamo comunemente sui sentieri impediscono alla caviglia di articolarsi adeguatamente per adattarsi alle asperità del terreno, garantendo il necessario equilibrio.
Diversamente accade se gli si danno delle scarpe cosiddette “basse”, meglio se leggere, quelle che noi chiamiamo “da ginnastica”. Loro con quelle scarpe da ginnastica ci salgono le montagne portando sulla schiena 30 kg!
Anche io cammino con le scarpe basse e mai mi sognerei di usarne di alte sopra la caviglia, tantomeno se rigide, a meno che non ci sia la neve o il ghiaccio. Ma quelli si chiamano e sono: scarponi.
“No, per favore, le scarpe alte sopra la caviglia per camminare sui sentieri, no, per favore no! “.
Ogni paese ha la sua cultura in fatto di scarpe. Per esempio negli USA gli escursionisti usano scarpe basse anche se sono malfermi e alle prime armi. Nella loro storia recente di frequentazione moderna dei sentieri non c’è una tradizione di “scarponi” come da noi e quindi non conoscono l’uso di calzature che coprano, limitandone i movimenti, la caviglia.
Per chi è nato è cresciuto e ha giocato sul cemento è difficile avere una buona articolazione laterale della caviglia. Per molti l’inclinazione laterale della caviglia viene associata alla “storta” un evento certamente da evitare.
Quello che la medicina chiama pronazione e supinazione sono praticamente movimenti che la vita sul terreno artificiale piano (pavimenti, strade, scale, ecc.) riesce nel tempo ad atrofizzare quasi del tutto.
Per questo chi affronta per le prime volte un terreno anche poco accidentato tende a ricercare l’equilibrio aprendo istintivamente le braccia per bilanciarsi. Se questi ha ai piedi delle scarpe alte, la possibilità che un minimo movimento laterale della caviglia gli faccia trovare il giusto equilibrio, scompare del tutto.

Il risultato è che la persona si sente insicura, procede indecisa e con inutile sforzo, trovando il camminare su un sentiero un’attività più complicata di quello che è.
Solitamente chi si sente insicuro acquista delle scarpe che gli “proteggono”, bontà sua, la caviglia e quindi l’errore è fatto in partenza.
“Mi dia pure quelle che bloccano la caviglia che mi danno più sicurezza”
Per chi ha questi problemi (un sacco di persone) esistono dei semplici esercizi, fattibili anche in casa, che prevedono il muoversi su oggetti di forma irregolare posti sul pavimento e a distanza diversa, come fossero i sassi di un macereto o del greto di un fiume. Ciò nonostante nulla riesce a riprodurre la varietà di forme del terreno naturale e per esercitarsi anche in città basta essere ribelli e… calpestare qualche aiuola.
In tutti i casi vanno utilizzate scarpe basse che permettano di “sentire” il movimento che ci tiene costantemente in equilibrio. Finché non si avvertirà questa sensazione istintiva (in chi fin da piccolo ha potuto giocare sui prati, per esempio) della caviglia che si inclina longitudinalmente e lateralmente a ogni passo adattando l’appoggio del piede al terreno sottostante.

Se questo non avviene, sarà tutto il corpo a inclinarsi continuamente in maniera rigida non facendo trovare mai l’equilibrio e generando le spiacevoli sensazioni di cui sopra.
Come anche l’uso dei bastoncini, nelle persone sane, le scarpe alte limitano i movimenti utili alla camminata dando una sensazione di sicurezza totalmente falsa che si “acquista” nei negozi al momento di comprare questa o quella calzatura.
Le aziende produttrici di calzature devono venderle e quindi ne producono vari modelli alti perché il mercato dell’insicurezza li richiede.
Io ho collaborato e collaboro tutt’ora con aziende calzaturiere notissime e la stessa cosa me l’hanno sempre detta anche i produttori.
Le scarpe alte servono quando il terreno è innevato o ricoperto di ostacoli pericolosi come sterpi o oggetti appuntiti o taglienti (da qui le scarpe di sicurezza obbligatorie sui cantieri edili), ma quando si cammina su sentieri o si salgono vie ferrate, sono assolutamente deleterie.
I miti da sfatare (e distruggere) sono poi anche quelli legati alle suole. Il marketing di molte aziende, abili nel farlo, imbroglia molti escursionisti sprovveduti.
Qui non posso fare nomi (mi hanno già condannato per diffamazione per molto meno, sic!) ma marche costose d’oltralpe e d’oltreoceano sono ambitissime dai più mentre hanno caratteristiche tecniche assolutamente negative. Suole dal grip inesistente di modelli molto in voga dovrebbero essere proibite, tanto sono pericolose, eppure sono ai piedi della più parte degli escursionisti. Così come anche tomaie comode solo nel negozio, quindi dal volume interno esagerato o inadatto al vostro piede, e che poi sui sentieri si rivelano più simili alle scatole che le contenevano che a uno strumento complesso come deve essere una scarpa da escursionismo o da trail running.
I modelli validi ci sono e, oltre ad essere bassi, hanno suole di gomma che aderisce bene ai vari terreni, un buon inserto ammortizzante sotto al tallone, su cui grava l’80% del peso del camminatore, e una tomaia le cui stringhe permettano un ottimale adattamento ai vari tipi di piede. Pesano poco e nel caso della suola Stealth (qui sì che posso fare il nome perché ne parlo bene) in dotazione a pochissimi articoli sul mercato (chissà perché?) le prestazioni sul viscido, sulla ghiaia e comunque su ogni tipo di terreno non innevato, sono superiori anche del 60% a quelle dei modelli più altisonanti e alla moda.
Anche Vibram ha alcune mescole molto buone, ma non tutte quelle col classico bollino giallo lo sono. State all’occhio al momento dell’acquisto perché si trova di tutto e certe suole sono dei veri pattini a rotelle!!! Anche quando sono sotto a modelli costosi e famosi.

Mi sono sempre detto che, se per le guide alpine è ormai d’obbligo l’uso dell’ARTVA d’inverno, lo stesso dovrebbe essere per avere certe suole sotto le scarpe nella stagione estiva. Infatti se devo assicurare delle persone andando a corda corta (di conserva) su terreno facile, ho assolutamente bisogno di avere un ottima aderenza sul terreno su cui ci si muove legati, appunto, da una corda.
Meno aderenza significa meno sicurezza per la cordata, una condizione, quella della sicurezza che per una guida (ma anche per un dilettante) deve rappresentare un pilastro imprescindibile.

Quindi equilibrio e buona aderenza sul terreno sono fattori determinanti!
Per questo sono anni che faccio queste riflessioni che ora ho scritto qui.
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c’è la destra e la sinistra, ci sono le bionde e ci sono le rosse (birre), poi ci sono le alte e le basse; l’articolo, spero, voglia esprime un’opportunità in più, e non dare del deficiente a chi finora ha usato scarponi alti. Comunque più che gli articoli sono belli i commenti, soprattutto quelli dei prof. Daidola e del Drugo.
Per Matteo.
resto convinto che la tipologia di gomma anche sulle scarpette faccia differenza minima sulle prestazioni. E ribadisco che chi sa scalare lo fa anche con delle schifezze di suole. A maggior ragione per le scarpe da trekking o scarponi. Se no non si capisce perche’ c’e’ gente che sul ghiacciaio non sta in piedi nemmeno con i ramponi e c’e’ gente che scende pendii in neve dura senza ramponi come le scale di casa.
Lessi nella mia infanzia in un piccolo villaggio in val d’Otro, sulla porta di una latrina su un torrente questa scritta: “qui giace l’arte del cuoco”.
Dovremmo sempre ricordarci la vita semplice e le nostre illusioni.
Chiedo venia Guido. Piove e qui al Bar del Gogna la memoria vacilla e confonde la leggerezza di Kundera con la morbidezza del quasi tuo omonimo Riva e soci al sasso Cavallo.
Ricordi male Pasini e questo non è da te. Devi leggere o rileggere di più perchè non si tratta di leggerezza bensì di morbidezza, credo la caratteristica primaria della carta igienica. Per la storia alpinistica invece i piani sono 10 con difficoltà di 6c e A1 o 8a su roccia perfetta ed eccezionalmente aderente.
Fantasia…hai detto giusto Riva. Non ci abbandona mai, neppure nelle cose più triviali o nei momenti più drammatici. ps. Ricordo gli strati di leggerezza ma non non ricordo più quanti erano.
Alla carta igienica, che poverina fa un lavoro sporco, hanno dedicato una signora via nel lecchese. Tutte le carte igieniche hanno in comune un solo aspetto: la larghezza, per ovvi motivi. Tutto il resto è lasciato alla fantasia dei produttori e degli utilizzatori.
Matteo, sogni, bi-sogni, ricordi, emozioni, valori, visioni, affermazioni di punti di vista sul mondo e su di se’ .persino nello scelta di un paio di scarpe….come siamo meravigliosamente e stupendamente complicati e sociali nella nostra natura. Anni fa un amico che si occupa di ricerche di mercato mi fece leggere un rapporto sulle motivazioni di acquisto della carta igienica. Meraviglioso! Un trattato sull’animo umano paragonabile alle più sottili indagini della psicologia sociale.
come giustamente osserva matteo, non c’è una scarpa o un capo che va bene per tutto. Bisogna distinguire situazione da situazione.
Io cerco nel limite del possibile di usare scarpa bassa e leggera. Ma anche questa a i suoi limiti.
C’è anche da dire che i rigidones e le pedule di oggi non sono certo come quelli di anni fa. Ben altra sensibilità e calzata.
Enri, se “quanto all’aderenza della suola in gomma: conta solo come mettete il piede sull’appoggio: arrampicare su placca a Finale docet!” spiegami perché non si usa una bella gomma dura da 90 Sh (durezza tipica della gomma d’auto), che durerebbe un bel po’ di più della Stealth che hai sotto le scarpette?
@Grazia: sarà anche buffa, ma io sono un po’ stufo delle soluzioni “naturaliste” (=pseudo naturali e integraliste) in tutti i campi. Sono convinto che tra gli indios anche l’incidenza dell’Alzheimer sia praticamente nulla; ma non è dovuto alla vita sana (?!) o all’alimentazione: muoiono prima!
Un po’ di tempo fa qualcuno sosteneva che bisogna imparare ad andare in montagna come il camoscio; che è una figura retorica bella e di sicura presa per chi vive così distaccato dalla natura da non sapere che di incidenti in montagna muore fino al 20% all’anno della popolazione dei camosci.
Io di solito uso scarpe basse e leggere, ma sostenere che siano le migliori in tutte le condizioni e per tutti gli usi o le uniche a farti sempre muovere correttamente mi sembra una pisquanata; del tutto paragonabile ai proclami del “in montagna si va con i calzoni alla zuava e gli scarponi”. Tutto qui.
Stiamo parlando del nulla. Con i mitici koflak ho fatto sentieri e fessure di 6b in granito.
poi certo fa piacere avere scarpe senza peso e andar per sentieri. Ma di cosa stiamo parlando?
per il resto Scarpa ha fatto una bella scarpa ramponabile bassa, molto intelligente.
quanto all’aderenza della suola in gomma: conta solo come mettete il piede sull’appoggio: arrampicare su placca a Finale docet!
@DinoM: ghettine da running, peso minimale, ottime per sassi e neve, con pochi euri possono evitare disagi initili. Le usano anche nel deserto.
Le scarpe basse sono indubbiamente più comode e anch’io le uso ormai sempre, anche perchè sono più comode da portare attaccate all’imbrago o in zaino. Per le nostre zone (dolomiti), secondo me, hanno un limite quando anziché seguire il sentiero in discesa, si pattina scivolando nella ghiaia. In Montanaia ci sono forcelle con canali che si fanno solo in discesa. Uno spettacolo. Si corre più velocemente possibile per lasciare indietro la polvere.I sassi ti entrano costantemente, i sassi più grossi ti fanno male sulle caviglie e soprattutto le cuciture laterali si distruggono; dopo due volte le butti via. Con la neve, se uno odia i piedi bagnati, è un tormento anche sulla neve dura perché, accidenti, quando sprofondi ti va tutto dentro.
Roberto Pasini, per tutte le cose che abbiamo detto sinora, la maggior parte della gente segue le mode e non il proprio istinto unito all’esperienza, altrimenti non cambierebbe scarpe ogni 3 minuti perché lo dice un giornale.
Matteo, mi è sembrata un po’ buffa la conclusione del tuo commento. Un movimento corretto, sia di corsa che di camminata, porta a usurare molto meno le articolazioni (e le scarpe).
****Grazie per i racconti in parere 🙂
Con i Galibier e le successive scarpette, entrambi fantasticamente rigidi, non c’era nessuna sensibilità, si camminava malissimo e si usavano solo gli occhi e le gambe per fare tutto, ma quando si vedeva un crespolino e si appoggiava la punta si poteva dormirci sopra.
E i Koflach, i mitici Koflack! Ne ho avuti due paia, il bianco e il viola, li ho risuolati due volte e ci ho fatto di tutto, dalla A alla B. Piede caldo per tutto il giorno, anche perchè quando mettevi i ramponi potevi stringere per bene perché dentro il piede non ne risentiva minimamente. Acquisire sensibilità con loro ai piedi richiedeva doti non comuni. Una vera e propria macchina da guerra!
Scusa Marcello, ma il commento l’avevo preparato prima del tuo 39 e non mi andava di buttarlo perchè quando praticavo l’alpinismo il più delle volte per arrivare alle pareti, quelle poco o per niente alla ribalta, di sentieri ce n’erano veramente pochi.
Per curiosità personale mi sono interessato al tema e vorrei tornare allo stimolo proposto da Marcello. Mi sembra che oggi si stia creando un terreno ibrido tra l’escursionismo/avvicinamento veloce e il trail running spinto. A parte le passeggiate per famiglie che raccolgono d’estate il grosso del publico, mi pare di osservare un numero crescente di persone che praticano escursionismo e/o trail running sempre più lungo come distanze ( magari in tappe di più giorni) o sempre più difficile come difficoltà. I produttori assecondano questa tendenza proponendo calzature da escursionismo e/o avvicinamento sempre più leggere e con grip più o meno efficaci sulla roccia ( nella versione bassa o mid per accontentare chi ha gusti più tradizionali) e scarpe da trail running “rinforzate” con placche di protenzione plantari che si possono usare anche su terreni rocciosi (accanto ai modelli superleggeri e super-reattivi da corsa “spinti”). Una parte di queste proposte sono chiaramente operazioni di marketing e quindi come per le auto solo modifiche di look, ma forse ci sono anche innovazioni che possono indicare vie nuove che favoriscono un miglioramento delle prestazioni e della sicurezza. Per quanto riguarda le suole certamente il tema grip/consumo non è banale. Oggi ci sono trail runner che fanno kilometraggi settimanali pazzeschi e quindi devono cambiare scarpe spesso e i costi non sono indifferenti (persino le app più usate come Strava consentono di monitorare i kilometri fatti con le diverse scarpe). Forse il tema è meno sentito per l’escursionismo/avvicinamento . Certamente la qualità del grip può essere variabile, in alcuni casi discutibile, e non credo che sia un fatto di sola moda che le preferenze del pubblico più esperto si concentrino su alcuni modelli.
Ragazzi, ricordo un articolo di Paleari sulla via Rébuffat all’Aiguille du Midi. Il buon Alberto narrava che i pretendenti, per giungere “nudi” all’attacco e poi poter arrampicare leggeri, se ne inventavano di tutte e di piú: sportine della spesa calzate sulle pedule, audaci salti della crepaccia terminale con le Super Gratton, piolet traction con i friend anziché le regolamentari piccozze, discese in corda doppia lungo la via mentre stavano salendo quarantasette cordate. Insomma, cosette del genere, raccontate nel classico esilarante stile alla Paleari.
Comunque non andrei fuori tema con le scarpe da arrampicata. L’articolo parla di calzature per camminare su sentieri che anche alpinisti e arrampicatori percorrono per raggiungere le pareti. I più interessati, però dovrebbero essere gli escursionisti.
L’allora direttore della scuola ligure B.Figari Vittorio Pescia (persona che ho profondamente stimato pur notandone certi difetti, ma chi non ne ha?), chiamava le scarpette da arrampicata: scarpe da bulicci!
Forse proprio queste esperienze di noi che abbiamo vissuto la transizione tra rigidones e pedule, dovrebbe renderci un po’ più aperti verso certe innovazioni di tecnica e di prodotto che a volte ci sembrano un po’ “ strane”. O mi sbaglio?
Al CAI di Modena le prime pedule a suola liscia vennero ribattezzate “muoripresto”.
il primo che ho visto arrampicare in Apuane in particolare al Procinto nei primi anni 80 con le Superga è stato Renato Tommasi.
Renato era il figlio del Gigino e della Silvana gestori del rifugio Forte dei Marmi.
Renato con le superga andava come un razzo ed io arrancavo dietro di lui con un paio di pesanti scarponi della Dolomite.
Molti alpinistoni classici assolutamente rispettosi del dogma dei rigidones, gli avevano predetto che non era il sistema e con quelle scarpe avrebbe fatto una brutta fine.
Invece non si rendevano conto del nuovo che arrivava e che avrebbe cambiato le carte in tavola.
Marcello, che ricordi! Il primo impatto con Finale per noi cresciuti in Grigna: Florivana fatta con gli scarponi di cuoio. Sono d’accordo con te. Nelle scelte è corretto documentarsi sui diversi prodotti, chiedere consigli, fare prove ma poi se uno si conosce un po’ conta quella strana cosa che chiamiamo istinto, di cui prima o poi scopriranno le basi. Nella mia piccola esperienza dilettantesca di infortuni fisici, per fortuna non gravi, tutte le volte ho sempre avuto la sensazione che qualcosa non andava, compresa la scelta delle scarpe. A volte secondo me non è tanto il non ascolto a fregarti, ma il lato oscuro della resilienza, la testardaggine, che ti spinge a continuare anche se qualcosa ti dice che sarebbe meglio lasciar perdere. È una cresta affilata sulla quale si impara a muoversi con gli anni, ma si può sempre sbagliare. È l’imprevedibilita’ della vita, come gli ultimi due mesi ci hanno ricordato, ma forse “è il suo bello”, come dicono i lombardi.
AGH: “Ora non dico di andare scalzi, ma gli indigeni che lo fanno nelle foreste o in montagna sono certamente molto più agili di noi impediti e pingui occidentali.” è vero, però c’è da considerare che detti indigeni a trent’anni sono venerabili anziani e a quaranta sono morti, quindi non più tanto agili e di sicuro senza problemi di storte o catena cinetica…per non parlare dell’usura articolare.
Come in tutte le cose non esiste la panacea universale e ogni soluzione và adottata caso per caso e cum grano salis
Quando nei ’70 iniziai a arrampicare a Finale si usavano gli scarponi. Un giorno vidi un tale (era Alessandro Grillo) con ai piedi delle Adidas Tampico. Quelle di pelle di canguro! Insistetti con gli scarponi ancora qualche settimana, fino a quando Fulvio, il mio socio abituale, si dimenticò gli scarponi a casa e dovette arrampicare con le uniche scarpe che aveva con sé: delle Superga. Conoscendolo bene e notando l’aumento inequivocabile delle sue prestazioni sulla roccia, capimmo che gli scarponi non li avremmo più usati e appena potemmo andammo a Torino a comprarci un paio a testa di Pierre Allain. Nel frattempo ci divertimmo in scarpe da ginnastica e il mio ricordo più significativo è legato all’autostima che questo provocò in me. Perché? Perché arrampicavo meglio divertendomi di più e mi ero ribellato a quegli zucconi noiosi del Cai che continuavano a negare l’evidenza trascinandosi penosamente e testardamente con pesanti rigidones dove noi correvamo. Cosa che similmente accadde poco dopo con l’avvento dell’imbrago basso. Ai pensamenti sfociati nell’articolo arrivai osservando migliaia di persone mentre facevo la guida e/o muovendomi comunque su sentieri, su neve, ghiaccio, e terreni naturali d’ogni sorta, correndo e collaborando con aziende calzaturiere. Comunque la coscienza di sé in funzione di qualcosa si sviluppa analizzando il tutto che ti circonda anche quando sembra non avere attinenza. Non penso che chi non arriva a un buon livello di ciò sia un imbecille per forza, ma semplicemente che debba approfondire la sua esperienza nel tempo o/e nei fatti. Conoscersi e ammetterlo a se stessi non è facile e non finisce mai.
Ora mi viene in mente lo “spalmo con airlite” in val di Mello degli anni 70 e poco dopo, perché dopo ho smesso per 20 anni e ho riscoperto tutto in questi ultimi quasi 20.
Gioventù !?!?
Ora quelle conoscenze fisiche e mentali sono quasi per tutti sconosciute, al massimo si può dire, vedendo la maggioranza di chi scala, che sono state superate dalla tecnica (spit e scarpette con super gomme da F1).
C’è chi dice che è una fortuna, ma di solito è tutta gente che quelle cose non sa farle, quindi il loro pensiero conta poco. 🙂
Picasso diceva che bisogna essere capaci di copiare e fare tutto quello che facevano quelli prima di noi e poi, ma solo poi, aggiungere qualcosina di proprio, per essere persone capaci in qualcosa.
È molto importante rieducare il corpo al giusto movimento senza lasciare la responsabilità alle calzature, così come è molto importante curare una corretta respirazione, anche se sembra che non c’entri.
Come ho già scritto, uso scarpe molto semplici sia per camminare che per correre. Corro anche scalza o con i sandali. Tutto questo grazie a una rieducazione del movimento nata dall’osservazione di popoli che vivono a contatto con la natura.
È utile usare la parte anteriore del piede, meno possibile il tallone e mantenere la forma naturale dell’arco plantare, che viene terribilmente appiattita all’interno di scarpe rigide.
Articoli come questo mi fanno ricordare là persona che ero arrivata ad essere prima della tempesta, mi aiutano a capire che tutto ciò che ho lentamente, faticosamente e con ardore costruito ha un grande valore e va protetto e custodito, anche se ora sembra non servire.
Dopo aver patito per anni il mal di piedi, me ne son liberato usando scarpe basse, che uso ormai da 30 anni (per lo meno quando non c’è neve) su qualsiasi terreno, anche nelle dure ravanate fuori sentiero. La scarpa bassa obbliga ad un passo più preciso, e quindi più sicuro. La sensibilità del piede migliora e con essa il “grip” sul terreno, di cui si ha migliore percezione che non coi scarponazzi da un chilo e mezzo l’uno che si usavano una volta, quelli che “ti duravano una vita” e che dovevi ingrassare ogni stagione col grasso di balena per tentare di ammorbidire almeno l’aspetto rupestre. A volte si ereditavano addirittura dal babbo. Chiaramente, conta molto una buona postura generale (qualcuno l’ha definita “catena cinetica”), anche i piedi che costringiamo in calzature dalla nascita più o meno rigide, sono estremità molto sensibili: immaginatevi di vivere indossando perennemente dei guanti alle mani. Orribile. Ora non dico di andare scalzi, ma gli indigeni che lo fanno nelle foreste o in montagna sono certamente molto più agili di noi impediti e pingui occidentali.
Sí, Roberto. Stavo scherzando. Se non sorridessimo un po’, la vita sarebbe ben piú grama.
E poi Marcello è un bravo ragazzo! Dico bene, Marcello? 😊😊😊
Come dicono quelli dell’ANANAS : quando cammini, non distrarti, cammina e basta!
Coraggio Fabio, quando Marcello parla di testa non intende intelligenza. L’intelligenza non c’entra. Io sono d’accordo con lui. Le distorsioni alla caviglia possono avere una base bio-meccanica ma spesso c’è anche una componente psico-motoria. Il cervello cosciente non c’entra. Chiunque abbia fatto un protocollo di fisioterapia rieducativa dopo una seria distorsione invalidante sa bene cosa significa rieducare il cervello anche solo a fare un saltino di 10cm. Siamo sistemi complessi.
Paolo, tieni alta la bandiera!
Tutti noi, teniamo alta la bandiera!
Insomma, caro Marcello, l’hai detto:
“Fabio, tu non hai testa. Ergo, sei un imbecille”. 😉😉😉
Ho sempre periodicamente preso storte alle caviglie e da dieci anni vedevo calare il mio equilibrio nel camminare, l’altro non c’è mai stato e il controllo della mia temperatura.
Ora sono fermo, ma da due anni mi sono imposto le seguenti regole:
-in città cammino sui cordoli dei marciapiedi o sulle strisce bianche
-in montagna cammino sempre senza bastoncini
-in montagna uso sempre scarpe basse non impermeabili, robuste o mal ridotte
-se vedo neve o ghiaccio monto i ramponcini con la gomma, se sfondo pace
-se vado in alto su neve e ghiaccio, o d’inverno, metto scarponi leggeri, se c’è bisogno con ramponi e magari i bastoncini in mano
-se sto via parecchi giorni…. dipende dalla stagione, dalle previsioni e da ciò che vorrei fare
Devo tenermi educato a mantenere l’equilibrio mentre cammino e in buona temperatura i piedi, ovvio anche mani, naso e orecchie, per il cervello sono rassegnato: gioventù !
La storta alla caviglia arriva quando uno se la cerca (quasi sempre inconsciamente) e non dipende dalle scarpe che si usano. È la testa a fare (quasi) tutto, sempre.
Fabio caro, non scarpe alte ma drop alto (differenza tacco avampiede, misura cruciale nelle scarpe da trail che spesso sono usate anche negli avvicinamenti) Siamo precisi altrimenti sono botte virtuali. Il marketing dei produttori è arrivato anche a produrre scarpe specifiche per avvicinamento e per speed hiking ….o tempora o mores! Poi dipende dall’usura: come dice il mio doctor @se tu non fossi consunto nelle articolazioni ti chiederei che sostanze hai usato nella vita”……
Roberto, in montagna pure io preferisco le scarpe alte. In caso contrario sono storte alle caviglie.
Però non dirlo a Marcello. Altrimenti mi picchia.
Caro Fabio, diceva mia nonna (traduco in italiano) “Zucca e Melone: ciascuno la sua stagione” , senza rimpianti. Vale per tutto, anche per la scelta delle scarpe e infatti io scelgo drop alti in questa stagione. Nella prossima vita vedremo.
Insomma, al nostro Roberto non interessano né le scarpe basse né quelle alte. Gli interessano i suoi vent’anni.
… … …
Qualcuno di voi sa risolvergli il problema? No, eh?
“Datemi vent’anni e vi solleverò il mondo.”
P.S. È un peccato che quasi sempre lo si scopra quando è tardi.
PS. Mi sono dimenticato di dire la cosa ovvia che il problema non e’ la scarpa ma la gamba o meglio la “catena cinetica” come dicono quelli che se ne intendono. E qui ho imparato che un po’ di lavoro “a secco” serve, per riferirmi ad altro scambio sui temi dell’allenamento. Non tanto per migliorare ma per prevenire l’infortunio, soprattutto se si hanno un po’ anni e per evitare il triste ciclo illusione/depressione ben descritto nell’ultimo divertente libro di Giovanni Storti.
Mi sembra che il dilemma scarpe basse scarpe alte sia ormai superato anche se in giro si vedono ancora escursionisti con scarponi da spedizione. Le persone con un po’ di esperienza scelgono in base ai terreni e ai carichi. Ho la sensazione che la nuova frontiera sia il terreno ibrido tra trail running e avvicinamento/escursionismo hard. Escono scarponi da usare in quota pensati utilizzando tecniche e materiali ricavati dal trail running (non faccio il nome della famosa ditta italiana che li produce per evitare pubblicità) e scarpe da trail running pensate nell’ottica di quello che viene chiamato scrambling. Vedo molti alpinisti usare scarpe da trail running (i modelli più protetti) per gli avvicinamenti veloci. Qui il dibattito riguarda scarpe neutre con drop molto bassi o scarpe ammortizzate con drop alti. Chi ha ambizioni tende oggi a scegliere drop bassi per guadagnare in reattività e velocità, chi vuole proteggersi di più usa drop alti. Alcuni però contestano questa seconda scelta perche dicono essere peggiorativa in quanto lontana dall’appoggio naturale. È un gran casino. Leggendo le riviste si può trovare tutto e il contrario di tutto. Ho toccato il problema con mano avendo un’età elevata e problemi al tendine di Achille. Mi sono fatto aiutare dopo un infortunio da un ortopedico ex atleta e grande esperto di tendini e calzature che ha scritto vari libri in proposito e sono arrivato dopo alcuni tentativi alla stessa scelta di Grazia: drop alti (il modello da lei indicato ha un drop 9, alto rispetto ai modelli di punta). Magari una persona più giovane e ambiziosa potrebbe cercare di rieducare il suo appoggio verso una scelta neutra magari correndo qualche rischio in più nella fase iniziale. (Parlare di scarpe ci distrae un po’ dai tristi temi delle settimane scorse). Un bentornato a Drugo. Buona settimana.
Concordo con quanto scritto nell’articolo e mi allargo con chiacchiere da bar.Come detto, le ragioni a monte nell’utilizzo di uno strumento anziché un altro è spesso legato alla tradizione, alla mentalità, la quale sovente è più vecchia e lunga a cambiare di quanto il mercato non sarebbe in grado di proporre. E oltre che per scarpe e suole basta pensare a quanti tipi di attrezzature siano uscite in commercio e abbiano venduto (relativamente) poco in prima battuta (i primi secchielli, le picche con la impugnatura ergonomica, le corde di diametro sottile…). Il mercato lo fanno i numeri e finché la maggior parte degli utilizzatori/consumatori non saranno convinti della bontà di un attrezzo, questo sarà usato solo da una nicchia.Ma soprattutto l’utilizzatore medio condiziona il mercato.”Uffa ma queste suole durano poco….”.A forza di sentirselo dire i negozianti lo dicono ai rappresentanti e via di seguito.La gomma, il caucciù, è molto aderente. Ma si consuma. Bene, le ditte fanno mescole più dure, “plasticose”. Accontentano il cliente medio, quello che fa realmente i numeri, il quale non dovrà mai far risuolare la calzatura finché questa non collasserà a livello di tomaia. “Uffaaa… ma perché i lacci si rompono sempreee…”Bene le ditte dotano le calzature di lacci in nylon anziché in cotone.Il cliente è contento. I lacci sono eterni. Peccato abbiano la perniciosa tendenza a sciogliersi. E pazienza se qualcuno distratto si inciampa e si spiaccica.Personalmente vieterei i lacci non di cotone sulle calzature basse che adopero da sempre. Fine ciàcoe da bar.
Non ho mai capito perché non si utilizzano mescole aderenti come quelle per le pedule di arrampicata anche per le scarpe da escursionismo, se non in rari casi. Certi modelli sono semplicemente vergognosi e pericolosi su rocce bagnate.
Grazie, Marcello, per la condivisione.
Le mie prime calzature da montagna, ascoltando i consigli di amici esperti del tempo, sono state un paio di scarponcini Scarpa, robusti e leggeri al tempo stesso, che mi hanno accompagnata in tanti cammini.
Con il passare del tempo e delle esperienze in natura, ho cominciato a prediligere sempre più calzature più minimal possibile, che abbiamo suola e tomaia resistenti ai denti del mio amato vulcano e che siano abbastanza morbide per assecondare le articolazioni del piede, senza imprigionarlo.
Uso moltissimo le Ultra Raptor de La Sportiva, accompagnate dalle mini ghette se sono a conoscenza di passaggi con sabbia vulcanica, mentre uso scarpe alte se il terreno è più tecnico (ghiaioni, ghiaccio).
Rimango dell’idea che un principiante dovrebbe usare scarpe basse e leggere per entrare in contatto quanto più possibile con il proprio corpo, con il terreno e studiarne la relazione.
Un bastoncino può essere utile per mantenere l’equilibrio e il passo agile in certi passaggi, per saggiare ghiaccio e neve lungo il cammino, se il soggetto ha problemi alla schiena e alle ginocchia.
Diversamente consiglio di muoversi liberi da impedimenti per lasciare che il proprio corpo possa muoversi cercando l’equilibrio.
Non per far rumore, ma vibrazione. Le vipere sono sorde.
Sono d’accordo con Marcello ma non al 100%! Secondo me dipende dalle capacità, dall’allenamento e…dall’età. Per quanto riguarda I bastoncini essi non sviluppano certo equilibrio e sicurezza ma su certi terreni permettono a chi non è un atleta o è un po’ rimbambito di non prendere pericolosissime storte. Inoltre ripartiscono lo sforzo, fanno lavorare i muscoli delle braccia e del torace e soprattutto fanno durare più a lungo la spina dorsale. In particolare, con zaini pesanti, in discesa, possono essere molto utili per evitare cadute a chi non si sente sufficientemente sicuro. Per quanto riguarda le pedule alte esse possono evitare i pericolosi morsi delle vipere, che amano molto riposare sulle pietre calde dei sentieri poco battuti, soprattutto in certe valli alpine. Molto utili in questi casi anche i bastoncini per far rumore e svegliare le vipere prima di pestarle. Meglio non provare per credere…
Riflessioni molto interessanti. Ringrazio Cominetti per aver condiviso la sua esperienza.
Mi rafforzano alcune convinzioni e mi fanno sentire meno maniacale nel fatto di investire di gran lunga più in calzature per la montagna (tante) che in scarpe da città (poche) 🙂
Personalmente, io decido in base al percorso e al mio “sentire” del momento (a volte la mattina stessa dell’uscita).
Di solito vado con scarpe basse (neve/ghiaccio a parte), tuttavia nei giri più lunghi mi trovo meglio con la caviglia fasciata. Mi sembra, alla fine, di avere il piede meno stanco.
Considerazione personale, ovviamente: credo che ciascuno possa trovare, sperimentando nel tempo, le sue preferenze in base al terreno e alle proprie caratteristiche.
L’importante è ascoltare con attenzione. In primo luogo sè stessi, ma anche i consigli degli altri tenendo la mente aperta.
L’80% almeno di quelli che frequentano la montagna sono vestiti di profilattici, fuori e dentro. Vai tu a dire a questi che sarebbe meglio calzare scarponi nelle diverse tipologie.
Grazie Marcello. Per anni sono stato un fautore della caviglia chiusa, convinto. Poi molti anni fa ho sperimentato e capito.
Ottimo Cominetti, figlio dell’esperienza, di alpinista e consulente tecnico delle scarpe da montagna, come apprendo dal post.
I commenti sembrano prendere un’altra direzione, ma sono piuttosto azzeccati nei garbugli – o così sembrano a me.
Dicono, mi pare: grazie Cominetti per aver scritto chiaramente quello che vale per la gran maggioranza delle persone, tranne alcune eccezioni che ciascuno di loro elenca da un punto di vista personale, ben venga, ripeto ben venga, ma sono poche.
Grazie, mi fai ricordare una foto di Rebuffat coi ramponi da ghiaccio su un pendio quasi verticale, la sua abilità fisica e mentale, e la paragono a come e con che cosa ai piedi masse di persone oggi salgono pendii molto simili.
La scarpa è una risposta “tecnologica” ai problemi che si incontrano muovendosi a piedi.
Non esiste la risposta per tutte le esigenze (terreni e condizioni climatiche) e inoltre ogni individuo ha le proprie, varie abitudini.
Purtroppo e quasi sempre quando viene usata la tecnologia, si evidenzia che nell’uomo si atrofizzi il fisico, ma anche il cervello.
Sempre basse! Basse e ben amortizzate. Sono quando si indossano i ramponi forse sono indicate scarpe più alte.
L’importante è la suola che deve aderire sia sul terreno che sulle rocce bagnate. Mi spiace per le ditte italiane (vibram) ma la storia delle suole per alpinismo è tutta straniera, (almeno negli ultimi 30 anni) la spagnola Boreal prima e poi la mitica americana Five ten…. oggi tutt’ora la migliore suola per trekking e arrampicata
“Come fai a sapere se una suola ha un buon grip?”
La guardi e la tocchi in negozio.
Per avere grip la gomma deve essere nitrilica e non poliuretanica. A parte l’odore leggermente diverso (ma devi avere già una certa esperienza), la superficie della gomma a base poliuretanica generalmente appare più liscia e talora lucida. Premendo un dito (io uso il pollice) e provando a farlo scorrere sotto carico si percepisce la differenza dell’attrito che oppone.
Poi c’è la durezza, che non deve essere né troppa né troppo poca: nel primo caso avrai l’effetto “sciolina”, nel secondo le suole si consumeranno in un amen. Io la provo con l’unghia: su una zona piana e spessa abbastanza (quindi non sulle parti di ricopertura della tomaia) l’unghia deve penetrare per qualche decimo, ma non deve rimanere traccia quando la togli.
Secondo me poi per una camminata comoda e soprattutto se si portano carichi, una scarpa deve essere più rigida in senso trasversale al piede, ma flettersi in senso longitudinale.
Suola rigida su lunghe percorrenze in funzione della protezione del piede su terreno acuminato.
Tomaia spessa per protezione laterlale del metatarso, se alta anche dei malleoli, su terreni a morsa. Per una scelta grossolana dell’appoggio e maggiore velocità.
Stringatura stetta del gambaletto per riduzione articolazione della caviglia.
Stringatura stretta, soprattutto sull’avampiede, per la discesa.
Piede avviluppato per miglior efficienza dell’appogio/spinta in passi svergolanti.
Indipendentemente dallo spettro di esperienza motoria disponibile in fase di formazione (bambini) e successiva, l’equlibrio non è fornito da una parte ma dall’accomodamento del tutto.
Il terreno dice la verità più di quanto possa un dogma.
Esso segnala il tipo di scarpa in funzione di sé e del proprio scopo.
Lo scarpone ha la suola rigida. Caviglia a parte, il piede, dove lo metti, sta, non si muove. Non credo sia solo questione di suola. Come fai a sapere se una suola ha un buon grip?