Leopoldo Gasparotto


Leopoldo Gasparotto
(alpinista-partigiano, 1902-1944)
di Giovanni Baccolo
(pubblicato su storieminerali.it)

Per chi arrampica nelle Prealpi Lombarde il nome Leopoldo Gasparotto non è probabilmente nuovo. La  via Gasparotto allo Zucco Pesciola è infatti una ripetuta classica che non può mancare dal carniere di chi frequenta le rocce del lecchese.

Oltre al nome della via, solo pochi conoscono però Leopoldo e la sua storia, densa di avventura e sacrificio. Di professione avvocato, fu alpinista ed esploratore di prim’ordine negli anni ’30 dello scorso secolo. Antifascista della prima ora e partigiano durante la guerra, Gasparotto ricoprì incarichi di rilievo tra le fila della resistenza lombarda. Fu fucilato dalle SS il 21 giugno 1944, mentre era internato nel campo di prigionia di Fossoli.

La gioventù
Leopoldo Gasparotto nacque a Milano il 30 dicembre 1902. La sua era una famiglia benestante. Suo padre – Luigi Gasparotto – fu un politico importante, esponente dei radicali. Fu deputato del Regno d’Italia prima e della Repubblica Italiana poi, ricoprendo più volte la carica di Ministro.

Leopoldo veniva quindi dall’alta borghesia milanese, nonostante la sua famiglia fosse di origine friulana. Studiò al Liceo Classico Berchet (che gli dedica una bella pagina) e a partire dai primi anni ’20 si affermò come alpinista. I suoi compagni di cordata furono nomi noti: Ugo di Vallepiana, Vitale Bramani, Ninì Pietrasanta, Ettore Castiglioni, Gabriele Boccalatte.

Le sue prime imprese alpinistiche risalgono al 1923, quando aprì una variante della Via Carugati al Sasso Cavallo, nel gruppo delle Grigne, e due vie in Dolomiti (Punta Taiola e Torre dei Sabbioni). Da lì in poi, per una decina di anni, Leopoldo Gasparotto fu tra gli alpinisti più attivi e noti di Milano.

Le Prealpi Lombarde sono state il terreno che frequentò con più assiduità. Soprattutto in primavera, Leopoldo trascorreva i fine settimana tra le Grigne e le Orobie, facili da raggiungere da Milano. Qui aprì numerose vie (in calce è riportato un elenco delle sue prime), ma la sua attività spaziò dalle Alpi Occidentali alle Carniche.

Nel 1928 partecipò al primo tentativo di salita del mitico Sperone Walker alle Grandes Jorasses (fu in realtà il secondo, ma del primo non si conosce granché). La cordata tornò indietro dopo aver saggiato i primi risalti verticali. Nonostante il fallimento, la partecipazione di Poldo dimostrò la preparazione e la fama di cui godeva.

Vista sul Sugan salendo Punta Ronchetti. Foto: Ugo Ottolenghi di Vallepiana, 1929.

Quotidianità e impegno politico
La montagna era importante per Leopoldo, ma l’alpinismo rimase per lui sempre una passione. Di professione era avvocato. A partire dagli anni ’30 cominciò a collaborare con il padre Luigi, anch’egli avvocato. Padre e figlio, fin dalla fine degli anni ’20, insofferenti per la deriva sempre più autoritaria del regime, condussero due vite parallele. Nella quotidianità lavoravano come rispettabili avvocati, ma clandestinamente mantenevano una fitta rete di rapporti con tanti altri milanesi intolleranti a Mussolini e alla sua dittatura.

Gli anni dell’alpinismo e delle esplorazioni
La spedizione nel Caucaso (1929)
Nel 1929 Leopoldo Gasparotto organizzò la sua prima spedizione al di fuori dalle Alpi. Il lato esplorativo dell’alpinismo era quello che più lo affascinava. Scorrendo le sue prime ascensioni appare chiaro che non furono difficoltà e tecnicismo ciò che cercò tra i monti, ma l’esplorazione di grandi e piccole montagne selvagge.

La spedizione fu un successo. Gli alpinisti calcarono la vetta del Ghiulcì il 25 luglio 1929 e nei giorni successivi conquistarono altre tre cime di oltre 4000 metri.

Non contento, insieme a due austriaci, Poldo raggiunse il 13 agosto la vetta dell’Elbrus e in poco meno di due ore ne compì la prima discesa con gli sci.

Lo snodo centrale del Sugan, fotografato da Vallepiana nel 1929 e come appare oggi dalle immagini satellitari.

La cordata Gasparotto – Rand-Herron
Incoraggiato dal successo del Caucaso, appena tornato in Italia Leopoldo Gasparotto si mise al lavoro per organizzare una nuova spedizione. La meta designata erano montagne ancora più alte: quelle del Pamir, in Asia Centrale. L’amico Alberto Rand-Herron fu subito entusiasta dell’iniziativa e cominciò la laboriosa ricerca dei finanziamenti necessari per organizzare una spedizione di quel tipo.La Gasparotto-Herron era una di quelle cordate in cui uno dei due nomi implicava inevitabilmente l’altro. Poldo Gasparotto e Alberto Rand-Herron si erano conosciuti sul Monte Bianco alla fine degli anni ’20 e avevano cominciato ad andare in montagna insieme.

Alberto Rand-Herron (1902-1932), musicista e compositore, veniva da una famiglia americana emigrata in Italia. Con Leopoldo condivideva la passione per l’alpinismo e ancor più per l’esplorazione. Prima di partecipare all’avventura nel Caucaso, aveva compiuto la prima traversata invernale della Lapponia e un’esplorazione solitaria dell’Atlante. Grazie alla conoscenza delle lingue e alla sua intraprendenza, era per Poldo, oltre che un valido compagno di cordata, anche un prezioso collaboratore nella ricerca dei fondi per le spedizioni.

Per il Pamir tutto era pronto, i finanziamenti erano stati trovati e i partecipanti erano pronti a partire, ma all’improvviso salta tutto. L’Unione Sovietica non concede il permesso.

Alberto Rand-Herron. Fotografia tratta dal blog di Alessandro Spinelli.

La delusione fu grande, ma i due amici non si persero d’animo e continuarono ad arrampicare insieme, con il pensiero sempre rivolto al futuro. Rand-Herron fu invitato a partecipare ad alcune spedizioni dirette ai colossi dell’Himalaya. Al ritorno da una di queste, nel 1932, muore al Cairo, cadendo dalla Piramide di Chefren.

L’avventura in Groenlandia (1934)
Le grandi esplorazioni per Leopoldo si conclusero nel 1934, con la partecipazione alla prima spedizione italiana in Groenlandia. L’ideatore dell’impresa fu Leonardo Bonzi, eclettico personaggio milanese (olimpico, aviatore, regista, esploratore). L’attenzione per la grande isola artica fu catturata dai rapporti stilati dai piloti che ne sorvolarono le inesplorate coste orientali, dove si parlava di grandi montagne.

La zona scelta per la spedizione fu quella del grande fiordo di Scoresby Sund, a circa 70° di latitudine N, coronato da imponenti montagne che precipitano in mare. Leopoldo Gasparotto e compagni volevano compiere la prima esplorazione della zona, possibilmente conquistando le cime più alte. Negli anni ’30 la Groenlandia, isola vasta sette volte l’Italia, era una terra quasi del tutto vergine da un punto di vista alpinistico. Le cime salite si contavano sulle dita di una mano e si trovavano nella parte occidentale dell’isola. Il versante orientale era quasi del tutto sconosciuto.

La preparazione della brigata non era certo delle migliori. Non soltanto nessuno dei partecipanti aveva esperienza degli ambienti polari, ma anzi, un paio di membri non aveva mai praticato l’alpinismo. Quando arrivarono in Danimarca, prima di imbarcarsi, i colleghi danesi furono meravigliati dalla loro attrezzatura. Forse adatta per le montagne alpine, ma certamente non per gli immensi ghiacciai della Groenlandia. Anche le mappe che avevano a disposizione erano vecchie e imprecise.

I membri della spedizione Bonzi in Groenlandia a bordo della baleniera Njall. Leopoldo Gasparotto è seduto al centro con la pipa. La fotografia (archivio Bonzi) fa parte dei reperti esposti in occasione del Trento Film Festival 2021, nel contesto di una mostra dedicata a Leonardo Bonzi.

I geografi di Copenaghen furono benevoli con gli italiani. Li rifornirono della migliore attrezzatura  – comprese alcune slitte appartenute a Fridtjof Nansen – e mappe aggiornate.

La traversata nei mari artici terminò il 23 agosto 1934, quando i membri della spedizione raggiunsero il margine meridionale del fiordo Scoresby Sund, sbarcando su una spiaggia circondata da grandi colate di ghiaccio. Da giorni la baleniera Njall su cui erano imbarcati, si districava tra iceberg,  ghiaccio marino e dense nebbie in cerca di un luogo per l’approdo. Dopo lo sbarco, i marinai al governo del battello lo portarono al largo, al sicuro dal ghiaccio marino. Erano tutti d’accordo di ritrovarsi sulla spiaggia il 29 agosto. In pochi giorni Leopoldo, l’alpinista più esperto della spedizione, conquistò con i compagni diverse cime, alcune ritratte nella fotografia qui sotto. La più alta fu quella che battezzarono Punta degli Italiani 1701 m, oggi chiamata Pyramiden. Nonostante i successi alpinistici, l’epilogo dell’avventura rischiò di essere infausto. Il giorno previsto per il rendez-vous, della baleniera Njall non c’era traccia. Il tempo era cambiato: dopo le belle giornate che avevano permesso le salite alle vette, erano arrivati freddo e neve. L’effimera estate polare era giunta al termine.

I giorni passarono. Bonzi, Gasparotto e gli altri cominciarono a razionare i viveri, temendo il peggio. Non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivere all’inverno artico. Quando alcuni già si erano rassegnati a una misera fine, ecco che finalmente apparve un filo di fumo all’orizzonte. La Njall ce l’aveva fatta! Con dodici giorni di ritardo la baleniera era infine arrivata.

Fotografia dall’articolo di Bonzi sulla spedizione in Groenlandia, pubblicato sulla Rivista Mensile del CAI nel 1935.

Sebbene oggi pochi ricordino la spedizione Bonzi in Groenlandia, essa è stata senz’altro una delle grandi imprese esplorative italiane. Negli anni ’30, anche solo pensare di raggiungere la Groenlandia per esplorarla alpinisticamente era un progetto visionario. Considerando l’inesperienza dei partecipanti, gli scarsi mezzi e la mancanza di informazioni, ciò che Gasparotto e compagni portarono a termine lassù fu incredibile. Un deciso passo in avanti nell’esplorazione alpinistica degli ambienti polari. 

Una testimonianza di quelle imprese che sopravvive ancora oggi sono i toponimi che gli italiani scelsero per indicare ghiacciai, cime e colli che percorsero. Molti di essi, a causa della scarsa precisione con cui erano state riportate le posizioni, sono stati rimpiazzati da termini danesi. Rimangono però i nomi dati al Ghiacciaio Milano, al Ghiacciaio Roma e alla Penisola Savoia. Si tratta degli unici toponimi italiani di tutta la regione Artica.

La regione esplorata durante la spedizione Bonzi in Groenalandia e i toponimi dati a colli, ghiacciai e cime.

Come già accaduto dopo il Caucaso, anche al ritorno da questa avventura Gasparotto e compagni furono accolti con entusiasmo. Sia il re che Mussolini vollero incontrare gli esploratori e congratularsi con loro. Il duce fu talmente entusiasta che promise nuovi ricchi finanziamenti per organizzare una esplorazione dell’Antartide.

La celebrità durò pochi giorni soltanto; non appena i gerarchi si accorsero che tra i nomi dati a cime e colli non ne figurava uno che celebrasse il fascismo e i suoi protagonisti, fu deciso che della spedizione fosse opportuno tacere.

Nuccia Colombo e Leopoldo Gasparotto durante il viaggio di nozze. Immagine tratta da Leopoldo Gasparotto – Alpinista Partigiano di Ruggero Meles.

L’impresa fu dimenticata alla stessa velocità con cui era salita alla ribalta. La scarsa inclinazione al fascismo di Poldo cominciava a creargli degli inconvenienti. Questa situazione contribuì sicuramente all’oblio che avvolse l’impresa e di essa non si sentì più parlare fino agli ’60, quando nuove spedizioni italiane vennero organizzate in Groenlandia.

Questa avventura fu il momento più alto dell’attività esplorativa di Gasparotto. In seguito continuò a frequentare la montagna, senza però aprire nuove vie. Dopo il 1934, il suo impegno fu rivolto in primis alla sua giovane famiglia, al lavoro di avvocato e all’attività antifascista.

Nel 1935, Leopoldo si sposò infatti con Nuccia Colombo e l’anno successivo nacque il loro figlio, Pierluigi.

La resistenza e la fine
Fin dagli anni ’20 il clima che si respirava in casa Gasparotto era assai poco allineato al regime che in quegli anni andava rafforzandosi. Il padre di Leopoldo, Luigi, aveva abbandonato la politica nel 1928 perché non aveva accettato di aderire al partito fascista. Era stato, fino a quando fu possibile, tra i pochi deputati d’opposizione. Nel 1926 si rifiutò di votare, con uno sparuto gruppo, la decadenza dei deputati che dopo l’omicidio di Matteotti avevano partecipato alla Secessione dell’Aventino, sancendo in modo ufficiale la sua opposizione al fascismo.

Luigi Gasparotto

Seguendo l’esempio del padre, anche Leopoldo non si riconobbe nel regime. Fin dai primi anni ’30 aveva aderito al movimento antifascista Giustizia e Libertà, fondato a Parigi da alcuni esuli, tra cui Carlo Rosselli ed Emilio Lussu (proprio lui, lo stesso della camminata alpino-letteraria sull’Altipiano dei Sette Comuni). Qualche anno più tardi Poldo diventò istruttore degli alpini. Sappiamo che il suo intento era quello, insieme ad altri istruttori, di fare propaganda antifascista tra i giovani militari. Poldo era convinto che solo con l’appoggio dell’esercito sarebbe stato possibile rovesciare il regime.

Nel 1942 Giustizia e Libertà, dopo la morte e la cattura di molti esponenti di spicco, si sciolse e dalle sue ceneri sorse il Partito d’Azione. Leopoldo Gasparotto confermò la sua adesione, diventando uno dei collaboratori più stretti di Ferruccio Parri, colonna dell’antifascismo lombardo e futuro presidente del consiglio al termine della guerra.

Dopo l’8 settembre Leopoldo, nome di battaglia Rey, assunse la direzione delle operazioni militari delle bande partigiane disseminate sulle Prealpi Lombarde. Senza tregua si muoveva da una valle all’altra per comunicare le direttive e consegnare armi e risorse ai partigiani: Triangolo Lariano, Val Codera, Resegone, Val Brembana, Resinelli, questi sono solo alcuni dei luoghi che frequentò in quel periodo. Nel frattempo aveva convinto la moglie a lasciare Milano per rifugiarsi in clandestinità a Lugano, insieme al padre Luigi e al piccolo Pierluigi.

Diventato uno dei personaggi più in vista della resistenza, Leopoldo aveva decisamente attirato l’attenzione dei fascisti. Rischiò una prima volta di essere catturato in casa di Indro Montanelli, anche lui collaboratore della resistenza. Pochi giorni più tardi non gli andò altrettanto bene, fu arrestato la sera dell’11 dicembre 1942.

Leopoldo Gasparotto ritratto da un compagno di prigionia a Fossoli.

Sono tante le testimonianze che raccontano delle torture che Leopoldo Gasparotto subì durante i mesi di prigionia. I tedeschi volevano conoscere tutto ciò che sapeva, nomi dei collaboratori, nascondigli, depositi di armi. Nonostante le sevizie e le botte, Rey non parlò e creò anzi una rete di contatti che dal carcere riusciva a comunicare con l’esterno.

Dopo cinque mesi, Poldo fu trasferito dal carcere di San Vittore a Milano al Campo di Fossoli (Modena), una struttura gestita dalle SS per radunare ebrei e prigionieri politici da deportare in Germania.

Prima del trasferimento, Leopoldo scrisse su una cartina da sigarette l’ultimo messaggio che riuscì a fare a vere a Nuccia, sua moglie:

“L’incubo è cessato; parto per un Campo di Concentramento in Germania! Spero che anche voi siate contenti. Il morale, come sempre, è altissimo e non mi spaventa ora l’avvenire. Ritorneremo, e presto, purificati da questa prova. A voi tutti il mio abbraccio, più affettuoso che mai. Arrivederci, il mio pensiero è sempre con te: baci a papà, Piera, Achille e Vittorio ecc… a Pierluigi poi… è inutile dirlo. E non mi dimentichi se… a te questo compito! In alto i cuori!”

Saputo che il figlio si trovava a Fossoli, Luigi Gasparotto tentò di organizzarne la fuga. Questi però, temendo ritorsioni per i compagni di prigionia, rifiutò. Rey aveva intenzione di architettare una fuga che coinvolgesse tutti i prigionieri del campo.

I preparativi procedevano e i tempi sembravano adatti allo scopo. La situazione intorno al campo si era fatta sempre più confusa, tra bombardamenti incessanti e attacchi delle bande partigiane. Quando il piano era quasi ultimato, Leopoldo Gasparotto fu chiamato a rapporto presso il comandante del campo: era il 21 giugno 1944. Fece appena in tempo a passare il suo diario a un compagno, temendo quello che poi sarebbe successo. Il comandante gli comunicò che era atteso a Verona, per degli interrogatori. Caricato su un camion, Leopoldo fu fatto scendere dopo pochi chilometri e fucilato. Le SS erano venute a conoscenza del piano di fuga.

Ciao Poldo
Dopo tante avventure finiva così la ricca vita di Leopoldo Gasparotto, colpito a tradimento in un anonimo campo. Nella fotografia che ne decora la tomba, al Cimitero Monumentale di Milano, compare un uomo distinto, dallo sguardo risoluto. Ripensando alla sua storia, si può davvero dire che Leopoldo visse senza mai tradire i propri ideali. Prima grande alpinista e avventuriero, poi padre premuroso (nonostante non conobbe mai Giuliano, il secondogenito) e infine coraggioso esponente della resistenza.

Mi piace pensare che il sacrificio di Leopoldo sia un’ulteriore dimostrazione della sua indole. Quella stessa indole che in gioventù lo aveva portato a salire tante cime delle Alpi, o a esplorare mondi lontani e sconosciuti. Chi sente così forte il richiamo della libertà e dell’avventura, difficilmente può accettare i soprusi e le discriminazioni che impregnano regimi e dittature. Per molti versi la storia di Poldo ricorda quella di Ettore Castiglioni, anche lui grande alpinista caduto a causa dell’impegno nella resistenza. Non per caso i due furono amici e compagni di montagna. Se però Castiglioni è conosciuto, per Poldo non è così.

La tomba di Leopoldo Gasparotto al cimitero monumentale di Milano.

Pochi ne rammentano le imprese alpinistiche e la storia. Per fare un esempio, non è mai citato nella celebre Storia dell’Alpinismo di Gianpiero Motti, nonostante le imprese portate a termine sulle Alpi, nel Caucaso e in Groenlandia. Negli ultimi anni il ricordo di Poldo è stato però incoraggiato da alcune pubblicazioni. Innanzitutto la monografia “Leopoldo Gasparotto – Alpinista Partigiano” di Ruggero Meles, da cui provengono tante delle informazioni che ho utilizzato per questo articolo. È questo il testo di riferimento per chiunque voglia approfondire la storia di Leopoldo. Diario di Fossoli è il titolo dato invece ai diari che Poldo tenne durante la prigionia; recentemente pubblicati, sono una testimonianza toccante di quei tragici giorni.

Sullo Zucco Pesciola, dopo aver percorso la Gasparotto-Herron.

Qualche tempo fa ho salito quella via alla Zucco Pesciola (in Valsassina), la Gasparotto-Herron di cui parlavo all’inizio. A distanza di tanti anni da quella prima salita, l’arrampicata non è più quella che affrontarono i due amici. Nonostante i resinati, le soste a prova di bomba e le tante relazioni trovate in giro, arrampicando su quella bella via mi sembrava comunque di avvertire un’eco lontana, sospesa tra le pareti del Vallone dei Camosci. Mi piace pensare fosse lo spirito di Leopoldo, ancora legato alle sue montagne. Lo spirito del partigiano Rey. Ciao Poldo

Prime ascensioni di Leopoldo Gasparotto
Questo elenco è probabilmente incompleto. Non è facile trovare informazioni sull’attività alpinistica di Leopoldo Gasparotto. Chi dovesse conoscere prime o imprese degne di nota che non sono riportate, è pregato di scrivermi (pagina contatti per i riferimenti), grazie mille in anticipo per l’aiuto!

1923

  • variante alla Via Carugati al Sasso Cavallo 1923 m, Grigna Settentrionale); con Italo Mora e Giovanni Battista Stucchi
  • camino SE di Punta Taiola 2485 m, Sorapìss; con E. Bottoni
  • spigolo SW della Torre dei Sabbioni 2531 m, Marmarole: con E. Bottoni

1927

  • variante allo Spigolo N del Crozzon di Brenta 3122 m, Dolomiti di Brenta; con E. Bottoni

1928

  • tentativo allo Sperone Walker delle Grandes Jorasses 4208 m, Monte Bianco; con Alberto Rand-Herron, Piero Zanetti, Armand Charlet, Evariste Croux
Arrampicata - Leopoldo Gasparotto - Prime

1929

  • prime salite nel massiccio dei Sugan (Caucaso Centrale): Ghiulcì 4451 m, Punta Ronchetti 4065 m, Piccolo Sugan 4032 m, Cima degli Italiani 4215 m, oggi Picco Shevchenko; con Alberto Rand-Herron, Ugo Ottolenghi di Vallepiana, Roph Singer

1930

  • parete NW della Piramide Casati 1940 m, Grigna Meridionale; con Alberto Rand-Herron
  • parete NW del Cimone della Bagozza (Prealpi Bergamasche); con Vitale Bramani e A. Campiani
  • parete NW di Punta Zumstein 4563 m, Monte Rosa; con Ninì Pietrasanta e Giuseppe Chiara
  • costola centrale della parete N della Tour Ronde 3798 m, Monte Bianco; con Giovanni Enriques e Ettore Guidetti

1931

  • parete N dello Zucco Pesciola 2092 m, Prealpi Lecchesi; con Alberto Rand-Herron
  • parete E della Croda del Pian di Cengia 2640 m, oggi Croda Passaporto, Dolomiti di Sesto; con Ettore Castiglioni e Vitale Bramani
  • parete N di Cima Bagni 2983 m, Popera; con Ettore Castiglioni e Vitale Bramani
  • parete N del Mangart 2677 m, Alpi Giulie; con Ettore Castiglioni e Celso Gilberti

1932

  • parete NE di Cima Bacchetta 2549 m, Prealpi Bergamasche); con Vitale Bramani ed Elvezio Bozzoli-Parasacchi
  • variante della Bonacossa-Prochownick all’Ago di Sciora 3205 m, Masino/Bregaglia; con E. Bottoni
Arrampicata - Leopoldo Gasparotto - Prime

1933

  • cresta N di Cima Bacchetta 2549 m, Prealpi Bergamasche; con Vitale Bramani, Ettore Castiglioni, Elvezio Bozzoli-Parasacchi
  • parete S delle Petites Jorasses 3649 m, Monte Bianco; con P.L. Edwards e George Graham Macphee
  •  prima solitaria allo Sperone della Brenva del Monte Bianco 4810 m

1934

  • Prime salite di varie cime nella penisola Savoia (Scoresby Sund, Groenlandia Orientale): Punta degli Italiani 1683 m, anche nota come Pyramiden, Punta Roma 1210 m, Punta CAI 1210 m, Punta Balestrieri 1603 m, Punta Gilberti 1250 m; con Leonardo Bonzi, Gherardo Sommi Picenardi, Franco Figari, Luigi Martinoni Caleppio

Fonti consultate

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Leopoldo Gasparotto ultima modifica: 2022-07-21T05:34:00+02:00 da GognaBlog

14 pensieri su “Leopoldo Gasparotto”

  1. Al mare. Ai monti in agosto. No, non furono la stessa cosa. A mio avviso, dopo ricerche, letture, studi, credo che Castiglioni fu solo un “anarchico”, nel senso che non era come Gasparotto, un profondo antifascista. Su Castiglioni è stata, secondo me, costruita una “leggenda” che gli attribuisce e documenta davvero poco. La visione di Tutino, che era suo nipote, non è suffragata da nulla: solo vaghe e sparute memorie orali. Neppure Einaudi lo cita mai nelle sue monumentali memorie. Ai National Archives inglesi non c’è traccia di contatti con i servizi inglesi come si narra. Alcune ricostruzioni sfiorano addirittura il ridicolo, tipo Castiglioni che all’alba, con una coperta addosso, entra in un albergo svizzero per chiedere le chiavi di un bivacco (me lo vedo, l’albergatore, visto che gli svizzeri li conosco un po’…)  ecc. ecc.

  2. Bentornato, Marco! Erano già parecchi giorni che mi domandavo: “Ma il Vegetti dov’è finito? Sarà su qualche monte a godersela!”. 😉😉😉
    … … …
    Per il resto, che posso dirti? Castiglioni e Gasparotto erano alpinisti, di spirito indipendente e mentalità anticonformista, di idee democratiche. Il primo dopo l’8 settembre fuggí in montagna con diversi ex commilitoni e si impegnò nel guidare in Svizzera ebrei e altri fuggiaschi, il secondo fu partigiano attivo, torturato e ucciso dai nazisti. Castiglioni invece morí assiderato mentre tentava di rimpatriare dopo essere sfuggito ai gendarmi svizzeri che l’avevano arrestato per ingresso clandestino.
    Ebbero esperienze differenti, come dici tu. Però entrambi furono uomini con la schiena diritta e seppero dire di no: non è cosa da poco.

  3. PS – Giusto per… La famiglia Gasparotto è “amica di famiglia” del mio scomparso papà, ovviamente… Non era “non allineato” o “non sopportava il fascismo”. Era, semplicemente un antifascista vero.

  4. Una pecca, a parer mio: l’accostamento a Castiglioni è davvero fuori luogo viste le esperienze completamente diverse. Grazie

  5. Bell’articolo su un personaggio di cui conoscevo solo il nome e un paio di vie

  6. Bel ricordo di un Italiano onesto e con la schiena dritta…oltre al valore alpinistico che ho potuto ammirare ripetendo qualche sua via sulle Prealpi lombarde👍

  7. Grazie Alessandro, per questo splendido ricordo di un italiano che, lui sì, non si è piegato. Consegnato a Fossoli dai nostri fascisti ai loro amici nazisti, per esser fucilato

  8. A Fòssoli, nei pressi di Carpi, fu incarcerato anche Primo Levi, poi deportato nel lager di Buna-Monowitz (conosciuto come Auschwitz III).
     
    Nelle prime pagine di Se questo è un uomo si impara che cosa succedeva in Italia nel 1944, a trenta chilometri da casa mia.

  9. Bella ricerca, che dimostra come non sempre la fama di un personaggio corrisponda al suo reale valore.

  10. Bella ricerca storica.Bel profilo del personaggio.Coerenza senza se e senza ma

  11. Complimenti all’ autore per questo suo lavoro che fa emergere un grande uomo e la sia storia …sconosciuta o quasi.

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