Nel mondo a parte delle Pale di San Lucano, ferite dal terribile incendio dell’ottobre 2018, i giovani gardenesi Alex Walpoth e Titus Prinoth hanno aperto la Via dei Ritorni (440 m, VIII e A1), risolvendo in bello stile uno dei grandi problemi del gruppo.
L’occhio giallo della Seconda Pala
di Carlo Caccia
(pubblicato su Montagne360, febbraio 2020)
Eccola, con il suo dorso blu come quello delle vicine. Sfilandola dallo scaffale ci imbattiamo subito nel diedro dei diedri e dall’altra parte, in quarta di copertina, in undici righe capaci di far sognare: «Le Pale di San Lucano sono montagne diverse. Si entra e si esce, in un mondo totalmente a parte. Su queste Pale, “imperiosamente superiori alle Marmolade, alle Civette, ai Burèl”, sono state salite cime imprendibili e senza nome, oltre le tracce dei boscaioli, lungo le cenge più estreme, le pareti e i diedri più grandiosi delle Alpi calcaree, i pilastri impossibili, all’inferno e ritorno». La guida Pale di San Lucano di Ettore De Biasio (seconda edizione, Luca Visentini Editore, 2011) è la chiave di questo mondo che si rivela a ogni pagina nelle parole, nelle immagini e negli schizzi delle vie: non si finisce di sfogliarla, avanti e indietro, balzando con la fantasia sulla Prima Pala, tuffandosi nel Boràl della Besàuzega e poi su, per il Boràl del Mul, fino al Passo del Ciòdo e alla vetta della Seconda Pala. Più a ovest, oltre il Boràl di San Lucano, ecco la Terza Pala, spaventosa (guardatela dal fondo-valle e capirete perché), e lo Spiz di Lagunàz che dall’altra parte è un gran castello che si eleva dall’omonimo Boràl. Quarta Pala, Lastìa di Gardés e poi indietro al punto di partenza: sempre con la guida in mano ma badando meno alle fotografie per privilegiare i testi, dove i protagonisti – tutti gli apritori e i ripetitori delle vie – spiccano in grassetto, da Attilio Tissi a Ivo Ferrari passando per Alessandro Gogna, Renato Casarotto, Lorenzo Massarotto e numerosi altri che sarebbe troppo lungo menzionare.
Il ciclope di roccia
Le Pale di San Lucano, che insieme alla catena dell’Agnèr che le fronteggia formano il settore più orientale delle Pale di San Martino, custodiscono gelosamente le loro storie: epopee alpinistiche su muraglie altissime, su zoccoli smisurati che sostengono remoti bastioni oltre i quali, un chilometro e mezzo sopra gli attacchi, le vette raggiungono quote prealpine, come i 2350 metri della Seconda Pala. La sua parete sud-ovest (per la precisione sud-sud-ovest), tuttavia, è quanto di più repulsivo si possa immaginare: un’architettura grandiosa, salita per la prima volta da Alessandro Gogna e Leo Cerruti nel 1970, poi da Franco Miotto e Riccardo Bee nel 1979 e infine, nel suo settore sinistro, da Lorenzo Massarotto ed Ettore De Biasio nel 1981 (Via degli Antichi).
Nel 1982, con Benito Saviane e Mauro Corona, Miotto tentò di passare tra le due vie precedenti ma fu un nulla di fatto: «L’impressionante muro centrale – come scriveva De Biasio nel 2004 – rimane una grande sfida per il futuro». Chi ce l’avrebbe fatta a passare di lì, nel mezzo di quella sorta di “occhio giallo” sopra la cengia sospesa a due terzi del ciclopico versante? Chi – e aggiungiamo quando e come – avrebbe superato quella successione di tetti e raggiunto il pacifico terrazzo, con l’erba e i mughi, della cima?
Alex e Titus
L’impresa è riuscita ai gardenesi Alex Walpoth e Titus Prinoth, che il 18 e 19 giugno 2019 hanno aggiunto un altro pezzo di prestigio alla loro già cospicua collezione di “prime” dolomitiche (che comprende tra l’altro la Via degli Studenti sulla Nord-ovest della Civetta e Ricordi nebbiosi sulla Nord-ovest della Cima della Busazza, aperte nel 2015 e 2016 con Martin Dejori e Giorgio Travaglia). Alex e Titus, quarantasei anni in due – Miotto, al tempo della via del 1979, ne aveva quarantasette! – sono passati al primo tentativo, in libera fino all’VIII grado e con qualche passo in artificiale (AO e A1), senza usare, e neppure portare, spit. I ragazzi, amanti dell’incertezza, hanno affrontato la sfida con una sessantina di chiodi di cui quindici lasciati in parete, due serie di friend, dadi e il necessario per tre giorni di scalata, compresi quattordici litri d’acqua e la porta-ledge. Il tutto infilato in due zaini da ventotto chili ciascuno, ingombranti compagni prima sullo zoccolo della Terza Pala (via Tissi-Andrich), poi lungo la cengia che permette di accedere al fondo del Boràl di San Lucano e infine sulla Seconda Pala, sulla già menzionata cengia sospesa dove, a “soli” 400 metri dalla vetta, comincia il gran problema.
La parola ai protagonisti
Ma torniamo indietro, alla puntata esplorativa del maggio 2018 che ha visto Alex e Titus salire sulla Terza Pala tra rocce e alberi, sbagliare cengia finendo su un “prato verticale” infestato di zecche, individuare finalmente il percorso giusto e ritrovarsi sotto i “gialli” per studiarli da vicino, scegliendo una linea a destra di quella tentata da Tito Arosio e Luca Vallata nel 2017. Passano pochi mesi, arriva l’autunno e a fine ottobre 2018 un gigantesco incendio devasta la valle di San Lucano: la situazione appare disastrosa ma i giovani gardenesi decidono di provare. «Non sapevamo esattamente la quota massima raggiunta dal rogo – racconta Walpoth – e la vista dello zoccolo ci ha sconvolti: le fiamme erano arrivate fino alla cengia che porta al Boràl, gli alberi bruciati e abbattuti dal vento, l’accesso davvero problematico. Raggiungere l’attacco, presi dalla tristezza, è stata un’avventura a sé con una sola nota positiva: le zecche erano scomparse. Siamo arrivati sulla cengia sospesa nel tardo pomeriggio, abbiamo aperto le prime tre lunghezze e montato la portaledge fissandola a due enormi clessidre. I tetti, sopra, facevano impressione». Ma il secondo giorno, un tiro dopo l’altro, ogni dubbio è magicamente sparito sotto le punte delle dita: l’arrampicata si è rivelata fantastica, su roccia eccellente, a tutto vantaggio dell’entusiasmo dei nostri protagonisti. Che, alla fine, si sono sbilanciati: «La via è stata più facile del previsto. La parete gialla, da sotto, non ci aveva fatto nutrire molte speranze, sembrava impossibile, ma una volta lassù abbiamo scalato quasi esclusivamente in libera, chiodando sui cliff soltanto in pochissime occasioni. E i tre giorni preventivati per la scalata si sono ridotti a due».
Alex e Titus sono chiari anche a proposito dello stile: «Spesso, oggi, le vie vengono “costruite” un pezzo alla volta – spiegano – Per noi, invece, era importante arrivare in vetta al primo tentativo. Ovviamente, così facendo, non sempre si riesce a spingere la libera ai massimi livelli ma la scalata diventa più completa, più avventurosa. E poi, in questo caso, non avevamo nessuna voglia di ripercorrere quello zoccolo terribile! Non passando subito, sia per dove si trova la parete sia per altre ragioni, avremmo rischiato di rimandare a chissà quando il progetto per magari non finirlo mai. A proposito della libera: il secondo di cordata è quasi sempre riuscito a scalare i passi in artificiale, con difficoltà attorno al IX grado».
La Via dei Ritorni
Eccoli, i nostri gardenesi, tra l’erba e i mughi oltre il precipizio: sono entrati e stanno uscendo dal loro “mondo a parte” dopo aver affrontato «percorsi inesplorati in una solitudine che sgomenta» (citiamo ancora, per chiudere il cerchio, la guida di Ettore De Biasio). E mentre scendono al piano, a piedi, pensano già di ritornare nella valle delle meraviglie: il fuoco l’ha devastata ma la speranza è che «la natura, gli alberi e i ruscelli, un giorno, ritornino a essere come prima. Per questo – conclude Alex – chiamiamo la nostra avventura Via dei ritorni, ricordando anche amicizie, passioni e sogni che vorremmo ancora con noi. Le zecche, soltanto quelle, speriamo non tornino più sulle Pale di San Lucano».
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COMPLIMENTISSIMI!
Luciano sei un gran cagacazzi 🙂 🙂
non è che l’hanno nascoto. L’hanno scritto.
Per me la via è stata aperta in un bello stile. L’artificiale poteva essere subito salito in libera dal capo cordata? Può darsi.
Ma non vedo il problema dal momento che è stato dichiarato.
I dubbi di Regattin mi sembrano più che leciti.
Luciano lo so benissimo quale è la differenza.
però come hai detto Te nel commento 12 :
Alberto (comm. 11): stupisce che un esperto come te non conosca la differenza tra apertura in libera e apertura chiodando il passo su cliff, che poi il secondo, corda dall’alto, grada “attorno al IX”. È un altro pianeta. Tutto ciò senza nulla togliere agli apritori, ognuno fa quello che può.
Alberto (comm. 10), secondo te, la ripetizione da secondo, magari indossando uno zainetto, “quasi sempre… attorno al IX grado” può essere attendibile? Ci sono tiri in falesia con migliaia di ripetizioni sui quali ancora non si concorda sul grado, perciò per quanto mi riguarda, detto così non ha alcun significato.
Quanto al grado, ma avete una pallida idea di quali sono le difficoltà che sono alla portata di moltissimi arrampicatori oggi?
In ogni caso, se le difficoltà venissero confermato da eventuali ripetitori, già 30 anni fa si scalava in apertura su quei gradi, di conseguenza non attribuisco a questa salita un gran merito per la difficoltà, quanto piuttosto per altri aspetti.
il facile o il difficile sono sicuramente legali a fattori, capacità e opinioni personali.
Ma il IX grado in apertura mi pare una difficoltà molto elevata. Poi la roccia sicuramente fa la differenza nel senso che ci può essere un IX grado proteggibile e un altro improteggibile almeno con mezzi classici. Qui ognuno si comporterà come meglio crede.
Luciano, ti rispondo solo su un punto, l ‘unico che esula dalle considerazioni e dall’etica che è strettamente personale. Metti in dubbio che queste siano difficoltà elevate? Secondo te il IX grado non è una difficoltà elevata? Tanto per capire eh, altrimenti stiamo discutendo in lingue diverse.
Comm. 8
Esempio di come si possa ancora cadere nel tranello spit sì spit no con argomentazioni peraltro totalmente opinabili, quando non ce n’era proprio bisogno (come hanno fatto gli altri commentatori).
aprire anche su difficoltà elevate
(elevate?)
Magari sarà più il tipo di roccia e non la difficoltà il discrimine tra scegliere se utilizzare o no lo spit. Puoi trovare ampia letteratura in merito, se desideri informarti.
Nel pieno rispetto delle generazioni future e della natura
L’hai deciso tu che si tratta di rispetto?
presi dall egocentrismo da selfie
A me risulta che ci sia un selfie anche qui, non vedo cosa ci sia di male.
con tutti i mezzi meccanici possibili.
Addirittura!
Esempio di come, se si possiede il talento, sia possibile aprire anche su difficoltà elevate senza usare il trapano. Nel pieno rispetto delle generazioni future e della natura. Purtroppo molti altri, presi dall egocentrismo da selfie ,devono passare per forza, con tutti i mezzi meccanici possibili.
Bravissimi!!!
Meno male ancora qualche giovane che ha passione per le vie classiche, di avventura e pure impegnative!!!
COMPLIMENTI!!!
grande salita e grande stile. Un esempio da seguire.
Complimenti a questi due bravi e intraprendenti ragazzi!
Da levarsi il cappello. Chissà che sia d’esempio.
Vero Alpinismo, con la A maiuscola. Una tra le più belle realizzazioni dolomitiche da molto tempo, stile limpido ed un genere di avventura di cui è sempre più raro sentir parlare…e forse anche per questo, ancor più prezioso. Che bello, questo andar per monti!
Supercomplimenti! Bravissimi. Un puro tassello tra altre possibilità future e per il futuro. Stile implacabile e mi auguro d’esempio.
Stile impeccabile, niente preparazione, spit nemmeno nel sacco: bravissimi!