L’offensivo divieto di salire il Cervino il 14 luglio
Per il 150° della conquista, a Zermatt fior di cervelli si sono messi a studiare con grande determinazione (e speriamo con altrettanta creatività, ma dai programmi pubblicati non sembrerebbe) come celebrare ulteriormente quest’icona mondiale. E’ un peccato sapere che agli alpinisti è stato vietato con qualche genere di ordinanza di salire sul Cervino nella giornata del 14 luglio 2015. Sono convinto infatti che sarebbe bastato un “invito”, invece si è ricorso al divieto, come sempre.
Sul sito delle celebrazioni è scritto testualmente (tradotto dall’inglese): “La comunità alpinistica ricorda e porta rispetto ai 500 alpinisti che hanno finora perso la vita sul Cervino. Per questa ragione, il Cervino sarà chiuso ad ogni attività alpinistica il 14 luglio 2015. Ciò si applica a tutte le creste e le vie della montagna, sia sul versante svizzero che su quello italiano”.
Pensare che nella comunità alpinistica possa esserci qualcuno non disponibile a questo piccolo sacrificio è un insulto. Grazie ai pubblicitari di Zermatt si è alla costrizione che un programma sia rispettato o con le buone o con le cattive. Le cattive sono una multa fino a 50.000 franchi svizzeri! Si è preferito l’ordine autoritario alla spontaneità. Siamo sicuri che il modo più dignitoso per onorare la memoria dei caduti sia una proibizione?
Questo vergognoso divieto viene da lontano. Il Cervino è considerato di proprietà di chi molto razionalmente e con autorità sta cercando di appropriarsi della sua immagine. E quando ci sono proprietà e rendita il divieto è quasi obbligatorio…
Uno degli eventi previsti per il 150°
Il Cervino è con l’Everest la più famosa montagna del mondo ma, per molti motivi, la notorietà di cui gode è ben diversa da quella della più alta montagna della Terra. Il suo fascino, come del resto quello di tutte le altre montagne alpine nel corso della storia dell’alpinismo, è stato ormai privato di quel poco di magia e di sacralità sopravvissuti al secolo dei lumi. Lo sherpa Tenzing raccontò che dopo essere ritornato dalla vetta dell’Everest gli fu chiesto insistentemente se in cima aveva visto Shiva, oppure qualche altra divinità. Nulla di tutto ciò per il Cervino, che al contrario diventò scenario di grandi aspirazioni sportive e di romantiche o decadenti tragedie umane, soprattutto dopo le polemiche in seguito alla disgrazia che ne concluse la prima ascensione.
Ai piedi del Cervino è stata costruita Cervinia, un villaggio vacanziero dove prima era solo pascolo. Zermatt, sul versante svizzero, è allo stesso modo uno dei centri turistici più eleganti e importanti al mondo. Per entrambe il simbolo è la Gran Becca, o il Matterhorn che dir si voglia. Milioni di cartoline, di illustrati turistici, migliaia di libri e di calendari, centinaia di film, decine di campagne e spot pubblicitari hanno sfruttato il Cervino come «forma» dell’immaginario collettivo. L’idea del Cervino è un archetipo «laico» dell’umanità occidentale, quindi tendente a moltiplicarsi in serie, come tutti gli oggetti soggetti ad adorazione profana. Mentre le montagne sacre vorrebbero riassumere in sé le qualità di uno Spirito assoluto e quindi in definitiva tendono ad essere una sola, per il Cervino si nota la disponibilità contraria, quella di riprodursi in mille feticci più o meno somiglianti all’originale e più o meno in vendita. Ne esiste perfino una versione per i bambini, a Disneyland.
Ma ci sono altri motivi che hanno favorito la moltiplicazione dei Cervini. Horace-Bénédict de Saussure, nei suoi Voyages dans les Alpes, per primo scrisse nel 1796: «Ma la cosa più bella di cui quel sito offra la vista è la grande e superba cima del Mont-Cervin, che si leva ad altezza enorme in forma di obelisco triangolare di roccia viva, che pare lavorato a scalpello. Mi propongo di ritornarvi un altr’anno ed osservare da più vicino e misurare quel magnifico roccione. Ma non si potrà certo misurarlo portandovi su il barometro, ché i suoi fianchi dirupati non offrono presa neppure alla neve». E dopo averlo osservato e misurato ai suoi piedi si domandava «Quale forza è stata necessaria per frantumare e spazzare tutto ciò che manca a quella piramide… Perché attorno ad essa non si vede alcun cumulo di detriti…».
Anche John Ruskin in The stones of Venice (1886) trovava strano che «il più nobile scoglio d’Europa» offrisse esempio di massima stabilità pur essendo «formato da materiali imperfetti e di diversa natura».
Il nuovo rifugio dell’Hoernli (inaugurazione il 14 luglio 2015)
Guido Rey elevò il Cervino a un rango ancora superiore, gli dedicò una vita di opere e pensieri ad esso consacrando gli ultimi anni di vita e soggiornando nella «baita» ai suoi piedi: «Venite a vedere questo posto» scriveva alla sorella ed alla nipotina prediletta l’anno antecedente alla morte, «prima che la strada delle auto non ne abbia guastato la solitudine e la poesia… dopo, io non ci verrò più…». Per il Poeta del Cervino, la «sua» montagna era il monumento concreto all’affermazione: «Io credetti e credo la lotta coll’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede».
Anche se più prosaico, Federico Sacco, nel suo splendido Le Alpi (1934), non poteva non dedicargli un intero capitolo, «Come si formò il Cervino», che inizia così: «Chi, risalendo la Valtournenche, oltrepassata l’aspra strettoia di N. D. de la Garde, si affaccia finalmente alla mirabile conca del Breuil, rimane anzitutto profondamente colpito dalla gigantesca maestà del Cervino che si erge di colpo, arditissimo, come immane piramide di roccia slanciata verso il cielo; né meno imponente esso appare dal lato svizzero, o da qualche cima vicina». In seguito lo stesso Sacco osservava acutamente ciò che in effetti contraddistingue questa grande montagna dalle altre: il grande contrasto tra la selvaggia struttura che tende ad invadere il cielo e il dolce paesaggio alla base di essa.
Dunque «isolamento» dalle altre montagne, «difficoltà di conquista» e «contrasto» con l’ambiente circostante sono tra i motivi del successo dell’«idea» del Cervino.
Ma, più di tutto, causa della grande diffusione mentale del Cervino è la sua «forma piramidale». Il modo più antico di elevarsi è la piramide, tanto che si può dire che tutte le cime artificiali hanno quella forma e non altra. Volume, orientamento delle facce, linee che si collegano in alto verso il cielo rappresentavano il bisogno dell’umanità di ordinare l’universo e di riprodurne le leggi: e oggi la perfetta piramide a quattro facce del Cervino riproduce la sintesi di ciò che di più cartesiano ci portiamo dentro: ciascuno di noi cogita il suo Cervino e fissa lì le sue esigenze geometriche.
La fotografia ha continuato l’opera degli scrittori e dei pittori. Il Cervino visto dai pressi di Zermatt mentre tenta di avvitarsi nel cielo è uno stereotipo di cui non ci libereremo mai più e che rischia di provocarci anche delusioni. Come nel caso della Muztagh Tower, fotografata con il teleobiettivo da Vittorio Sella da un lontano e particolare punto d’osservazione e quindi in pratica immagine solo virtuale.
Uno degli ultimi episodi riguarda Rotterdam, dove una struttura artificiale di una quarantina di metri costruita per potervi arrampicare all’interno e all’esterno, è stata battezzata il Cervino dei Paesi Bassi.
Se le aziende svizzere produttrici di cioccolato vogliono raffigurare nella confezione la montagna per eccellenza, è logico che riproducano, più o meno stilizzato, il Matterhorn. Non è altrettanto normale che lo facciano anche nel resto dell’Europa per una serie di prodotti tra i più svariati. Gli altri Cervini sono dunque le montagne che albergano nelle profondità della psiche individuale, ciascuna fatta a modo suo ma tutto sommato simile alle altre, perché derivate da un’unica immagine primigenia, più bella e più grande, cui il Cervino vero ha avuto la sorte di somigliare.
Se anche i pubblicitari credono che il Cervino sia un modo di comunicare a presa rapida, possiamo dire che sia un’espressione di linguaggio universale, allo stesso modo di una serie azzeccata di note musicali.
Al seguito di scrittori, pittori, fotografi e giornalisti, anche gli alpinisti non sono sfuggiti a questo fenomeno del nostro tempo. È loro la responsabilità dell’aver confrontato le montagne più diverse sempre all’unica possibile pietra di paragone: il Cervino. Ed ecco quindi il Cimon della Pala diventare il Cervino delle Dolomiti quando lo si guardi dalla Baita Segantini. L’affiancare le due montagne non ha alcun senso logico se si guardano solo architettura, litologia, geologia: il problema era che anche le Dolomiti «dovevano» avere il loro Cervino! Tutte le montagne piramidali sono state ribattezzate, basta citare il Cervino delle Ande, cioè l’Alpamayo, oppure la stessa seconda montagna in altezza del mondo, il K2. Poco importa che, se calcoliamo il volume di quest’ultima in chilometri cubi, scopriamo che è ben 44 volte quello del Cervino: all’epoca della conquista italiana del 1954 si parlò e riparlò del Cervino del Karakorum. E così l’Ama Dablam, lo Shivling e il Gasherbrum IV, tutte piramidali e isolate: accostamenti facilmente criticabili, caso per caso. Non è che, considerato che entrambi erano poeti, Vittorio Alfieri sia mai stato chiamato il Dante Alighieri dell’astigiano, eppure ogni valle vorrebbe avere il suo Cervino, forse anche per la pigra abitudine che tutti abbiamo di rifarci a dei modelli invece che far la fatica di riscoprire le individualità nascoste e l’intrinseca originalità.
Ed è questa pigrizia il vero passaporto che ci lascia sopportare che il Cervino sia di proprietà di qualcuno, e di conseguenza che questi ne “debba” vietare l’accesso per questioni di sicurezza o ne possa proibire la salita per rispetto ai defunti.
Rispetto e dolore che esistono per conto proprio dentro di noi, che dunque ci sentiamo profondamente offesi che nello stesso giorno, 14 luglio, sia anche inaugurato in pompa magna il nuovo rifugio dell’Hoernli, attorno al quale è e continuerà ad essere vietata ogni forma di campeggio.
La propaganda c’informa vantandosene che il nuovo rifugio ha una capacità di ricezione leggermente inferiore a quella del precedente e non ci dice però che i prezzi sono raddoppiati o quasi, nella filosofia dilagante che il Cervino non debba essere meta dei poveri.
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Ma da chi è composto questo “comitato” ? chi gli ha dato mandato a rappresentare la comunità alpinistica? chi gli permette di porre divieti nel rispetto dei caduti? la squallida morale su cui si appoggia questo sfruttamento bieco e protezionista si sposa perfettamente con i prezzi praticati nella Hornlihutte.
p.s.
Non sono nazionalista, ma non vi sembra che nei titoli del sito delle celebrazioni manchi l’italiano?
L’ho scoperto (amaramente) anch’io… Praticamente più del doppio di due anni fa, ultima volta che ho guidato una traversata integrale.
E’ chiaro che il mio cliente ha sgranato gli occhi borbottando qualcosa di incomprensibile e poi abbiamo cambiato meta, se solo per dormire e mangiare (e nei rifugi svizzeri non è mai stato ‘sto granché…) il costo per tutti e due era di quasi 300,00 euro…
Mi chiedo dove vogliano arrivare gli svizzeri, non solo sul Cervino… stanno blindando il loro territorio come negli anni ’50. Costi elevatissimi e chiunque deve PAGARE! Da quest’anno le Guide non svizzere devono chiedere il permesso di lavoro e pagare per operare all’interno dei confini anche se vi passano soltanto in transito, con multe salatissime per chi viene pizzicato senza permesso… (alla faccia dell’Europa, alla quale la Svizzera mai ha aderito appieno, ma che non disdegna quando c’è da “beccare”…) . In questo modo sicuramente limiteranno il traffico all’interno del territorio visto che per far vacanza da loro i costi lievitano come la pizza a Napoli…
Un’ipotesi non proprio da scartare è che vogliano crearsi una “bolla” di turismo elitario, per il quale pagare per avere il Plaza in quota non sia un problema e giustificando a queto modo gli scempi della quale il paese dei “buchi nel formaggio” non è certo scevro…!
Intanto però continuano a proporre l’eliski sui monti italiani, vsito che con i costi irrisori, a paragone, ci guadagnano molto di più, che noi invece continuiamo a svendere (grazie alla cecità ed all’asservimento alla carità spicciola di diversi amministatori pubblici e non solo…).
Il comprensorio sciistico Monte Rosa-Cervino che sarà un altro passo (grande stavolta) verso la rovina di un ambiente unico viene caldeggiato (purtroppo) anche dal nostro presidente CONAGAI (coll. naz. guide alpine italiane) che dichiara: “…è un progetto grandioso, verso cui non ho particolari preclusioni, purché sia costruito nel maggiore rispetto possibile…” (http://www.mountlive.com/cesare-bianchi-ok-al-comprensorio-sciistico-cervino-monte-rosa-ma-rispettando-lambiente/)
Peccato che parli a nome suo… a titolo personale… visto che non mi risultano mandati collegiali sull’argomento e visto che ad un referendum tra le Guide Alpine, non credo vi sarebbe poca battaglia a riguardo!
E poi il massimo rispetto possibile… che cosa significa? Che non verrano scavate le piste? Che i piloni saranno virtuali: accesi al mattino e spenti alla sera? Che l’ammorbamento dell’aria dovuto a gatti, teleferiche, ecc. ecc. non ci sarà perchè useremo propulsione umana???
Ma che razza di discorsi sono??? Si pensa che tutti siano dei mentecatti da “coccolare” ed “infinocchiare” con 4 parole insulse???
Che schifo!
Mi piace pensare che qualcuno abbia infranto il divieto!
Ho scoperto proprio questi giorni, ancora incredula, che la Hörnlihütte costa 150 CHF (al cambio di oggi 143 Euro) a persona in camerata e 450 CHF in doppia, con cauzione non resistituibile di 50 CHF a persona! L’unica alternativa, campeggio o bivacco, viene multata con 5.000 CHF sopra i 2880 metri di quota!