L’ultima grande montagna

L’ultima grande montagna
di Steve Swenson
(pubblicato su climbing.com il 1° ottobre 2021)

Mi trovavo fuori dalla tenda della cucina, guardando il Kaberi Glacier, e ascoltavo il battito delle mani dei chapati che venivano preparati. Ero circondato da picchi di granito ricoperti di ghiaccio e tutto ciò che si vedeva era inviolato, fatta eccezione per la Changi Tower, che Scott Bennett, Graham Zimmerman e io avevamo scalato quattro anni prima, nel 2015, dal versante della Nangmah Valley.

Questo era il mio terzo tentativo al Link Sar 7041 m, la cui cima si alzava per 3350 m sopra al nostro campo base. Ciò che più mi piace è l’esplorazione di alte montagne inviolate in luoghi remoti, e il Link Sar era perfetto. È una delle poche vette di 7000 metri rimaste inviolate al mondo e si trova in un’area che è stata chiusa o inaccessibile agli estranei per gran parte del secolo scorso. Il Link Sar è scosceso da ogni lato e torreggia su questa profonda valle come il Mount Rainier fa con Puget Sound.

I miei tentativi sul Link Sar avevano attraversato i due decenni precedenti, un periodo che comprendeva numerose spedizioni su vette inviolate o nuove vie nel Karakorum. Ma, ora che ho 65 anni e che ho scalato in alta montagna per oltre mezzo secolo, mi sono chiesto se non stessi invecchiando e non fossi più in grado di scalare un obiettivo di livello mondiale come il Link Sar. Con questa domanda che incombeva nella mia mente, il semplice atto di camminare fino alla nostra tenda-mensa per un pasto e assorbire la magnificenza dei miei dintorni mi ha riempito di gioia.

Il percorso sulla parete sud-orientale del Link Sar è complesso e ha richiesto tre spedizioni per trovare un modo per raggiungere la cima partendo dal Kaberi Glacier. L’arrampicata su roccia dal ghiacciaio ha richiesto la costruzione di una via ferrata per garantire la sicurezza dei portatori che trasportavano carichi al campo base avanzato (CBA), e sopra di esso il team ha scalato in stile alpino, zigzagando attraverso un terreno tecnico per evitare l’esposizione ai numerosi seracchi incombenti in alto. Foto: Matteo Zanga.

Quando siamo arrivati ​​a giugno 2019, almeno otto spedizioni precedenti non erano riuscite a raggiungere la cima del Link Sar. Non si trattava solo di difficoltà tecniche: la regione era storicamente chiusa agli scalatori a causa della disputa tra India e Pakistan su chi appartenesse il Kashmir, la regione più a nord del subcontinente indiano.

Nel 1979, pochi anni dopo la riapertura del Karakorum amministrato dal Pakistan dopo una chiusura durata un decennio, a una spedizione giapponese fu concesso di effettuare il primo tentativo sul Link Sar, ma dovette tornare indietro dopo aver raggiunto i 5700 metri. 

Nel 1982, i pakistani chiusero agli scalatori le valli che controllavano a ovest del Siachen Glacier Glacier e della Saltoro Ridge, tra cui i Kondus, motivando ciò per le attività militari. All’inizio della primavera del 1984, l’India lanciò l’operazione “Meghdoot, The Cloud Messenger”, trasportando truppe tramite elicotteri su tutti i principali passi lungo la Saltoro Ridge. I pakistani lanciarono una controffensiva che non riuscì mai a scacciare le truppe indiane e il conflitto si concluse con una situazione di stallo paragonabile a una versione moderna della guerra di trincea della prima guerra mondiale nelle Alpi Orientali.

Queste valli nel Karakoram pakistano sarebbero state chiuse agli scalatori per la maggior parte dei successivi 35 anni. Nel 2000 fu fatta un’eccezione e a Jimmy Chin, Steph Davis, Brady Robinson e Dave Anderson fu permesso di scalare nel Kondus e chiamarono quella che avevano scalato Tahir Tower in onore del comandante dell’esercito pakistano, della brigata Siachen, che li aveva aiutati a ottenere il permesso. 

In seguito, Jimmy ha condiviso alcune foto e ha sottolineato che la montagna che domina la valle del Kondus sopra il villaggio di Karmading era il Link Sar, una cima inviolata di 7000 metri. Volevo farla! Il tempismo è tutto e le aperture di queste aree riservate possono essere volubili, quindi ho fatto domanda subito e, nel 2001, ho ricevuto un permesso per il Link Sar.

Graham Zimmerman sale dall’CBA al Campo I verso gli speroni rocciosi del Link Sar (delle dimensioni di El Capitan) che svettano in alto. Foto: Steve Swenson.

La spedizione del 2001
Il governo del Pakistan aveva ampliato le strade lungo le valli principali per servire i piccoli villaggi e nell’alta valle del Kondus l’esercito aveva costruito una strada oltre le aree popolate per rifornire le truppe che si scontravano con i soldati indiani. 

Era possibile raggiungere il campo base (CB) di Link Sar lungo questa stretta pista per jeep scavata nelle scogliere sopra il Kaberi Glacier. Per motivi di lavoro, non ho potuto unirmi alla spedizione del 2001 fino a tre settimane dopo che Steve Larson, George Lowe, Joe Terraveccia, Andy Tuthill ed Eric Winkelman avevano raggiunto il CB. Il team ha seguito la via giapponese del 1979 fino a dove hanno potuto vedere che era minacciata da seracchi traballanti delle dimensioni di case in grado di far cadere tonnellate di ghiaccio su qualsiasi scalatore disposto ad avventurarsi sotto di loro. Sono arrivato subito dopo che quella minaccia aveva costretto al ritiro al CB. 

Abbiamo poi individuato un percorso diverso sulla parete sud-orientale che zigzagava lungo la parete per evitare di arrampicarsi sotto i seracchi. Abbiamo esplorato la parte inferiore di questo percorso, ma non abbiamo avuto il tempo o le risorse per arrivare molto più in alto di circa 5200 metri. Questo percorso sembrava promettente e avevamo programmato di tornare per finirlo. Sfortunatamente, il generale Tahir cambiò comando l’anno successivo e la valle del Kondus fu nuovamente chiusa agli scalatori.

Nel 2003 India e Pakistan hanno concordato un cessate il fuoco in Kashmir, che ha posto fine ai combattimenti attivi lungo la Saltoro Ridge nel Siachen. Ma il tasso di vittime in montagna è rimasto alto: la maggior parte dei feriti e dei decessi subiti dai soldati di entrambe le parti sono stati causati da calamità naturali come valanghe, ipotermia, cadute nei crepacci e malattie legate all’alta quota come edema polmonare o edema cerebrale. 

Ho fatto domanda per un permesso al Link Sar nel 2004, 2005, 2006 e 2007. Mi è stato negato ogni volta. 

Un amico pakistano ben informato mi ha avvisato: “Steve, se fai ripetute domande per arrampicarti in aree riservate potresti destare sospetti nei servizi segreti, che potrebbero pensare che sei una spia”. Ho scelto di aspettare. 

L’esercito pakistano aveva costruito una strada per jeep lungo la valle di Kondus oltre l’ultimo villaggio di Karmading per rifornire le truppe che si scontravano con i soldati indiani lungo la linea di posizione di terra vicino al Siachen Glacier. Questa strada veniva spazzata via ogni volta che pioveva forte e l’esercito vi stazionò un bulldozer per eseguire una manutenzione pressoché costante. Foto: Steve Swenson.

Altri scalatori, in particolare Jonathan Griffith dal Regno Unito, hanno iniziato a tentare il Link Sar dal versante della Charakusa Valley, che era al di fuori dell’area riservata e dove era possibile ottenere un permesso. Diverse spedizioni di Jon, nel 2012, 2013, 2014 e 2015, hanno raggiunto una lunga cresta orizzontale con cornici intervallate da torri di granito che conducevano alla cima del Link Sar. Non sono mai riusciti ad attraversarla e nel loro ultimo tentativo, Griffith e Andy Houseman hanno raggiunto la cima della torre più occidentale che hanno chiamato Link Sar West, ma problemi di quota hanno impedito loro di procedere ulteriormente verso la cima.

Avere una strategia di autorizzazione è importante tanto quanto una strategia di arrampicata. Nel 2015 e nel 2016, ho notato che gli scalatori ottenevano permessi in valli precedentemente chiuse che erano vicine al Kondus. Ho pensato che forse ora le agenzie responsabili della sicurezza avrebbero potuto aprire più aree agli scalatori. A quel punto, qualsiasi sospetto di attività 007 da parte mia era eccessivo, quindi ho fatto domanda per il permesso di scalare il Link Sar nel 2017 con Graham Zimmerman e Chris Wright. Permesso concesso!

Fila inferiore da sinistra a destra: Steve Swenson, Fida Ali (aiutante cuoco), Nadeem (cuoco) e Rasool (compagno di lunga data e cuoco). Fila superiore da sinistra a destra: Chris Wright, Mark Richey, Graham Zimmerman e il capitano Umair Tariq (ufficiale di collegamento). Foto: Graham Zimmerman.

La spedizione del 2017
Graham, 29 anni, era stato un partner entusiasta e premuroso nel 2015 quando, insieme a Scott Bennett, 30 anni, avevamo scalato la Changi Tower. Prima di quella spedizione ero alla ricerca di nuovi giovani talenti interessati a scalare in Karakorum e le mie migliori prospettive dovevano aver avuto alle spalle diverse esperienze in Alaska, Perù o Asia meridionale. 

Graham corrispondeva a questo profilo e poiché entrambi vivevamo nella zona di Seattle, abbiamo iniziato ad arrampicare insieme. Graham è tranquillo, buon ascoltatore e più curioso di come minimizzare il rischio quando si scalano grandi montagne che di cercare di andare all’estremo. L’arrampicata esplorativa in spedizione richiede la volontà di giocare a lungo termine e Graham sembrava averne la predisposizione.

Graham mi ha presentato al suo socio Scott. Avevano meno della metà dei miei anni. La nostra partnership multigenerazionale ha avuto successo perché sapevamo come sfruttare i punti di forza e i talenti di ognuno. 

Questa volta sul Link Sar, Graham ha suggerito che Chris, un altro dei suoi compagni di arrampicata alpina, completasse la nostra squadra di tre. Ero solito pensare che le coppie di arrampicata alla pari significassero avere la capacità di alternarsi. Ma questo non è vero quando si scala in grandi e complessi paesaggi montuosi pieni di sfumature politiche e culturali. I miei compagni più giovani erano più veloci e più forti, ma oltre alla mia competenza in materia di permessi, ero abbastanza forte da condividere il lavoro, e la mia vasta esperienza sul campo ha aiutato a prevenire errori che avrebbero aumentato il rischio o la possibilità di fallimento. 

Una delle differenze principali tra il Karakorum e le altre catene montuose che i miei giovani compagni avevano scalato era la scala. Queste montagne erano di ordine di grandezza più grande e non c’era luce diurna 24 ore su 24 come in Alaska durante la tarda primavera e l’estate. Una delle tante cose che avevo imparato e che potevo condividere con loro era come suddividere questi enormi progetti in parti gestibili. 

Il Kondus è una delle valli più profonde del Karakorum e avevo dimenticato che il nostro CB a bordo strada era a soli 3700 metri. Era comodo campeggiare in auto e non dover pagare i portatori per arrivare fin lì, ma eravamo circa 800 m più in basso rispetto ai campi base delle vicine valli di Charakusa o Nangmah. Il rilievo verticale tra il nostro CB e la vetta era una distanza simile a quella che si trova sul K2 o sull’Everest. 

Zimmerman, Swenson e Wright si riparano in una grotta di neve sopra il Campo III in attesa che la tempesta si plachi. Foto: Mark Richey.

Non ci volle molto per attraversare il Kaberi Glacier e tornare sui miei passi lungo un canalone di roccia friabile che conduceva a un grande prato alpino pieno di fiori selvatici ed escrementi di stambecco. 

Non volevamo esporre i portatori locali al rischio di cadute e di frane lungo il nostro percorso sopra il ghiacciaio, quindi abbiamo trasportato tutto quassù da soli e abbiamo allestito un rudimentale campo base avanzato (CBA) con un paio di piccole tende, cibo e carburante sufficienti per sostenerci mentre ci acclimatavamo e organizzavamo il percorso lassù.

Wright in testa su un difficile tratto misto di ghiaccio e roccia tra i Campi I e II. La maggior parte dell’arrampicata in questa sezione è stata fatta di notte per evitare il caldo torrido comune a queste altitudini nel Karakorum durante l’estate. Foto: Graham Zimmerman.

Sopra il CBA, il Link Sar sembra una gigantesca torta nuziale a cinque strati. I lati dei quattro strati superiori sono ripidi e tecnici e i gradini orizzontali tra di essi non sono molto ampi ma hanno buoni siti da bivacco. La fascia basale è un grande e tentacolare complesso di creste e ghiacciai che è più difficile da comprendere di quanto non lo sia da scalare.

Nei nostri tentativi di stabilire il Campo I, siamo rimasti ripetutamente senza via d’uscita o bloccati su terreno tecnico. Disperati, abbiamo deciso di seguire una mandria di stambecchi che avevamo osservato superare un piccolo passo in una delle creste sopra CBA. Le tracce degli animali portavano a un piccolo ghiacciaio che riduceva le nostre precedenti difficoltà e dopo diverse settimane di sforzi abbiamo trovato la strada per il Campo I a 5200 metri, dove siamo arrivati ​​il ​​31 luglio.

Il maltempo ci ha costretti a una lunga attesa al campo base e solo il 16 agosto siamo tornati al Campo I. L’unico modo sicuro per scalare lo strato successivo era da qualche parte su un’ampia parete rocciosa di 600 m fiancheggiata su entrambi i lati da seracchi attivi. Abbiamo trovato un canalone misto di roccia e ghiaccio che avevamo individuato dalle foto scattate al Link Sar durante la nostra precedente spedizione alla Changi Tower. 

Raggiungere il Campo II, a 5900 metri, è stato un buon viaggio di acclimatamento ed esplorazione ed è stato durante questa parte della spedizione che ho avuto modo di conoscere veramente Chris. Ho apprezzato il suo spiritoso senso dell’umorismo, la sua forza d’animo e la sua competenza come guida autorizzata. Tuttavia, non aveva molta esperienza in alta quota e sembrava eccessivamente preoccupato per la sua salute. Mi chiedevo se il suo corpo avrebbe retto alle molte settimane di sforzo sostenuto.

Ma la nostra scalata al Campo II ha cancellato le preoccupazioni che avevo. Chris si è dimostrato un animale audace e abile quando è stato in testa per la maggior parte dei tiri su un terreno misto spaventoso, ripido e difficile da proteggere. Sfortunatamente, un’altra tempesta ci ha costretti a tornare al campo base e ad aspettare un periodo di bel tempo per tentare la vetta. Nel tempo che ci rimaneva, il bel tempo non è mai arrivato.

Chris Wright in testa sull’ultima lunghezza della banda rocciosa sopra il Campo III. Foto: Steve Swenson.

La spedizione del 2019
Altri impegni hanno impedito a Graham, Chris e a me di pianificare il nostro ritorno al Link Sar fino al 2019. Temevamo che un altro team potesse scalare la montagna nel 2018. Infatti, Tom Ballard e Daniele Nardi avevano tentato un percorso diverso dal nostro sul Link Sar nel 2017 e avrebbero potuto tornare. Ma le nostre preoccupazioni erano infondate perché i pakistani avevano nuovamente chiuso il Kondus. Ma, per nostra fortuna, quell’anno un outsider è stato eletto Primo Ministro e la nuova amministrazione era ansiosa di promuovere il turismo.

All’inizio del 2019 la nostra richiesta di permesso per scalare il Link Sar quell’estate è stata approvata. Questa volta abbiamo aggiunto Mark Richey al nostro team. Ero stato in quattro spedizioni nel Karakorum con Mark, inclusa la nostra prima salita del Saser Kangri II nel 2011 con Freddie Wilkinson. Mark è solo di qualche anno più giovane di me e, sebbene fossi completamente a mio agio con Graham e Chris, ero ansioso di condividere l’esperienza con uno dei miei più vecchi compagni. 

Come me, Mark aveva fatto alpinismo in tutto il mondo per circa mezzo secolo, il che ha aggiunto una notevole esperienza al team. Aveva competenze tecniche di cui mi fidavo completamente, era in forma e aveva la pazienza e il senso dell’umorismo essenziali per la vita da spedizione.

Siamo arrivati ​​al campo base l’11 giugno e abbiamo scoperto che le informazioni che avevamo ricevuto in precedenza sulle condizioni meteorologiche erano vere: il Karakorum aveva registrato nevicate record l’inverno precedente.

L’autore attraversa il ripido pendio di ghiaccio che porta alla fascia rocciosa. Foto: Mark Richey.

Il nostro CBA del 2017 avrebbe dovuto essere un prato erboso in questo periodo dell’anno, ma alzando lo sguardo abbiamo visto che era ancora sepolto nella neve. Tutta questa neve doveva scivolare via in valanghe stagionali, sciogliersi e consolidarsi prima che potessimo andare molto in alto. Ma aspettare che ciò accadesse avrebbe rallentato la nostra spedizione.

Oltre al maltempo, operare da un campo base così basso è stato uno dei motivi principali per cui abbiamo fallito nel 2017. Avevo imparato da scalate come la cresta nord del K2, e di recente sulla Changi Tower, che il luogo in cui gli animali da soma, i veicoli o i facchini locali depositano tutto il cibo e l’attrezzatura può essere troppo lontano dalla montagna per fungere da punto di partenza per la scalata. Campi base così situati possono far sì che una spedizione autosufficiente si estenda troppo e fallisca prima di raggiungere il suo obiettivo. Questo è stato vero per il nostro CB a bordo strada per il Link Sar. Con poca capacità di trasportare cibo e carburante al nostro CBA nel 2017, abbiamo dovuto viaggiare su e giù dal CB ogni volta che c’era una tempesta, il che ci ha prosciugato forze e determinazione.

Questa volta avevamo pianificato di portare più provviste al CBA con l’aiuto dei portatori e di vivere lì con due dei nostri cuochi. Per garantire la loro sicurezza nei tratti ripidi ed esposti, abbiamo costruito una via ferrata con vecchie corde in modo che fossero sempre in sicurezza. Insieme abbiamo portato tutte le nostre provviste al CBA e siamo riusciti a trasferirci lì il 5 luglio.

Presto arrivò il caldo di luglio, innescando valanghe ovunque, inclusa una che suscitò un po’ di eccitazione quando si riversò nel nostro prato e si fermò a cento metri dal campo. Solo il 15 luglio riuscimmo a raggiungere il Campo I tramite il percorso che noi tre avevamo aperto nel 2017. 

Due giorni dopo, Graham e Chris hanno superato lo stesso canalone misto di ghiaccio e roccia, spaventoso e difficile da proteggere, fino alla cresta che portava al Campo II e al nostro precedente punto più alto. Abbiamo trascorso due notti al Campo II come parte del nostro acclimatamento finale e abbiamo stabilito una via di discesa in corda doppia per tornare al Campo I. Quando siamo tornati al campo base avanzato, la neve era sparita e i fiori stavano sbocciando. 

A lato dello “Snow Fin”, salendo su pendii lunghissimi e non protetti verso il Campo IV. Foto: Mark Richey.

Essere d’accordo sulla finestra meteo favorevole per tentare la scalata in vetta è uno degli aspetti più stressanti di una spedizione.

La tecnologia moderna ci ha permesso di ottenere previsioni meteo personalizzate e per oltre un decennio ho utilizzato Jim Woodmencey, seduto a Jackson Hole, per fare questo lavoro per noi. Avevo imparato che esaminare un sacco di informazioni meteo non sostituisce completamente le sensazioni istintive basate sull’esperienza. Il vecchio e il nuovo sono complementari e la pazienza è la chiave per scegliere il momento giusto per l’attacco. C’è una linea sottile tra saggezza e vecchio fatalismo e Mark e io pensavamo di essere dalla parte giusta quando suggerivamo ai nostri partner più giovani che questo tipo di consapevolezza diventa più profonda e ricca con l’età.

Dopo una lunga discussione abbiamo finalmente lasciato il CBA il 31 luglio con previsioni di due giornate di bel tempo seguite da due giornate di tempeste miti e poi da quello che sembrava un lungo periodo di tempo sereno e calmo.

Abbiamo raggiunto il Campo II il 1° agosto con Graham e Chris che ci hanno ricondotti sui tiri difficili sopra il Campo I. Andare oltre il Campo II era territorio inesplorato e il nostro percorso ha aggirato e raggiunto la cima di un gigantesco seracco. Da lì il nostro progresso dipendeva dal trovare un modo per attraversare un crepaccio spalancato dietro questa barcollante isola di ghiaccio.

Chris ci ha guidato su un terreno misto attorno al seracco e Mark ha scalato la parete posteriore della struttura fino alla cima. Mentre Graham prendeva il comando, si è girato verso di noi con un luccichio negli occhi e ha detto: “Questo è esattamente il motivo per cui sono venuto qui, stiamo esplorando!”

Con grande gioia di tutti, trovò un robusto ponte di neve che attraversava il crepaccio e conduceva a facili pendii innevati fino alla cima del terzo strato della torta del Link Sar e al sito del Campo III, a 6200 metri. Quel pomeriggio il vento si alzò, le nuvole si addensarono e iniziò a nevicare.

Il team attraversa il pendio dove Graham ha innescato una piccola valanga a lastroni ed è caduto. La cima è visibile al di sopra. Foto: Steve Swenson.

Abbiamo trascorso il 3 agosto nelle nostre tende, venendo sballottati dalla tempesta. Come previsto da Jim, non stava depositando molta neve che altrimenti avrebbe potuto causare un problema di valanghe. Ma per risparmiare peso avevamo portato razioni limitate ed era dura aspettare perché avevamo fame.

Abbiamo lasciato il Campo III alle 3 del mattino del 4 agosto mentre nevicava ancora, sperando che si sarebbe schiarito nelle ore successive, come dicevano le previsioni. Un paio d’ore dopo abbiamo raggiunto il crepaccio terminale sotto la nostra successiva barriera tecnica, la banda rocciosa. Era ancora buio e nevicava e ci siamo fermati per aspettare che entrambe le cose finissero.

Dopo essere rimasti seduti nella neve per un’ora, stavamo iniziando ad avere freddo e Mark suggerì di tornare al Campo III e aspettare che il meteo migliorasse. Mandai un messaggio a Jim su In-Reach per chiedere informazioni sul meteo. Graham suggerì di costruire una grotta di neve, per tenerci al caldo e impegnati. Presto eravamo ammassati insieme al riparo dal vento. Jim mi rispose dopo aver guardato l’immagine satellitare e disse che la neve si sarebbe fermata in un’ora circa. Pochi minuti dopo Chris iniziò a salire sul  ghiaccio della crepaccia terminale e si diresse verso una caratteristica cascata ghiacciata all’interno di un punto debole della fascia rocciosa. Alla nostra prima sosta appesi a viti da ghiaccio uscì il sole.

L’arrampicata su ghiaccio attraverso la fascia rocciosa (Rock Band) è stata una piacevole sorpresa: due divertenti tiri di IV grado che dove vivo in inverno nelle Montagne Rocciose canadesi costituirebbero una bella scalata da fare in giornata, molto gettonata. Sopra di noi, il successivo dei nostri punti caratteristici, chiamato Snow Fin, ha lanciato una nuova sfida che è durata per il resto della scalata. Consisteva in neve ripida ma stabile nella quale, per quanto potessimo ragionevolmente scavare in profondità, non si trovavano ancoraggi solidi su ghiaccio o roccia.

Il nostro contingente più giovane ha continuato ad avanzare, ma il meglio che sono riusciti a trovare per le soste sono stati gli ancoraggi da neve “deadmen” realizzati con un picchetto e un sacco di plastica pieno di neve. Non c’era tempo per costruire deadmen intermedi per proteggere il capocordata, che doveva farsi sprotetto tutti i 70 m di lunghezza delle nostre corde prima di fermarsi per costruire un altro ancoraggio da neve. A parte un solo tiro di ghiaccio solido, siamo riusciti a risalire la neve instabile fino alla cima del secondo strato della torta, dove abbiamo posizionato il Campo IV a 6800 metri. Lì abbiamo goduto di viste spettacolari su Sherpi Kangri e Saltoro Kangri e oltre, nel Karakorum orientale indiano.

Il giorno dopo siamo partiti per scalare l’ultimo strato della torta e la cima sembrava ingannevolmente vicina. Dopo aver superato un muro di ghiaccio sopra le nostre tende, noi quattro abbiamo iniziato a salire a sinistra sul lato di una ripida cresta di neve con cornici punteggiata da un paio di torri di roccia vicino alla cima.

Wright sulla cima del Link Sar. Foto: Mark Richey.

Dopo aver completato altri tiri, sono arrivato a una sosta dove Graham era a circa 25 metri di distanza da dove Chris lo stava assicurando. Sembrava che fossimo solo a circa due o tre lunghezze di corda dalla cima.

All’improvviso, Chris urlò “Valanga!” e noi tre abbassammo istintivamente la testa e spingemmo i nostri corpi contro il pendio. Dopo un minuto in cui questa sostanza umida simile a farina d’avena ci fu rovesciata addosso, si fermò.

Tutto sembrava a posto finché non ho guardato e ho visto Chris tirato stretto all’ancoraggio. Stava tenendo il peso di Graham sulle due corde principali, ora scomparso dietro il bordo di una costola di neve che sporgeva dal lato della cresta che stavamo attraversando. Ho alzato lo sguardo e ho potuto vedere cosa era successo. Graham aveva attraversato la costola di neve e stava salendo dietro di essa e sopra di noi quando ha distaccato una lastra di 7-8 cm. La valanga non era abbastanza grande per far del male a noi tre in sosta, ma aveva fatto cadere Graham e, data la quantità di corda che era fuori, ho capito subito che aveva fatto una caduta di più di 30 metri. 

Un sacco pieno di neve seppellito in una trincea fungeva da ancoraggio per la calata, una tecnica comune in montagna dove roccia o ghiaccio non sono sempre disponibili per l’ancoraggio. Foto: Steve Swenson.

La paura che ho provato durante la valanga è stata intensa, ma è presto svanita perché non è durata a lungo. Poi, dopo aver visto cosa era successo a Graham, la paura è tornata e questa volta è stata travolgente. Ho pensato che potesse essere morto, o almeno gravemente ferito, data la distanza da cui era caduto.

“Graham, stai bene?”, abbiamo urlato.
Nessuna risposta.

La mia mente correva su come fosse possibile far calare un arrampicatore ferito praticamente dalla cima del Link Sar su quel terreno e in condizioni che erano tanto più impegnative di quanto avessi mai visto in tutti i miei anni di arrampicata. Mark e Chris mi dissero: “Steve, sei nella posizione migliore per andare a vedere di comunicare con Graham”. 

Ho cercato di calmarmi, temendo ciò che avrei potuto trovare, e ho attraversato fino al punto in cui le corde tese si conficcavano nella costola di neve e potevo vedere giù in un canalone dove scomparivano dietro una parete rocciosa. Ho iniziato a urlare alle nuvole che avevano oscurato a intermittenza la nostra visuale per tutto il giorno, ma non erano mai state minacciose. Non ho ricevuto risposta. Ho riprovato ancora e la mia ansia era tale che avevo difficoltà a concentrarmi sul cosa fare dopo.

“Cosa vedi? Riesci a sentire qualcosa?” mi hanno urlato Mark e Chris.
“Non sento niente!” urlai di rimando.

Zimmerman e Wright scendono da pendii più facili verso il Campo III. Foto: Steve Swenson.

Chris mi suggerì di scoprirmi la testa e io mi tolsi la felpa con cappuccio, il cappello, il casco e i due cappucci che mi coprivano le orecchie. Urlai di nuovo e questa volta riuscii a captare la voce di Graham che urlava debolmente “Sto bene”. 

Mi sentii sollevato, ma la mia ansia persisteva perché non sapevo cosa significasse veramente il suo “OK”. 

“Puoi risalire mentre ti assicuro?” urlai.
“Sono appeso sotto una sporgenza, quindi devi ancorare una delle corde per permettermi di salire” rispose. 

Sapevo che aveva un piccolo bloccante, così ho scavato freneticamente nella costola di neve alla ricerca di ghiaccio solido per piazzare un paio di viti per ancorare le corde. Ci è voluto un po’ di tempo per riuscirci, poi mentre Graham saliva una corda, lo assicuravo sull’altra. È risalito dal bordo muovendosi lentamente e quando ha raggiunto la mia posizione, ci siamo abbracciati per circa cinque minuti. Stavamo tremando entrambi. 

Osservandolo, l’unico danno che siamo riusciti a riscontrare è stata la mancanza di un tirante di cerniera strappato dalla tasca dei pantaloni. Sapendo che ci era andata veramente bene, ho guardato di nuovo Mark e Chris e ho detto: “Penso che dovremmo andarcene da qui”.

Sembravano essere della stessa idea, ma poi Chris ha urlato di rimando: “Se Graham è d’accordo per continuare, allora prenderò il comando. Non siamo lontani dalla vetta”. Mi sono girato verso Graham e lui ha detto: “Sto bene, continuiamo”. Non avevo mai sperimentato un’altalena emotiva così forte.

Due tiri più in alto ci siamo impantanati di nuovo nella neve profonda e ripida e abbiamo stabilito la nostra sosta finale ben al di sotto della cresta per evitare la cornice. Eravamo a soli 50 metri dalla cima.

Quando sono arrivato alla sosta, Graham era immerso fino al petto in una buca di neve che fungeva da ancoraggio, mentre Mark e Chris erano più avanti e cercavano di capire come risalire l’ultimo pendio. Ho deciso che dovevamo ancorarci più saldamente alla montagna e ho scavato un tunnel di quasi un metro e mezzo dritto nel pendio, dove alla fine ho trovato del ghiaccio solido per mettere una vite e costruire un V-Thread.

Chris era esausto dopo essere stato in testa la maggior parte della giornata e si è assicurato a una vite da ghiaccio. Intanto Graham urlava: “Mark, hai molta esperienza nell’arrampicata su neve cattiva in Perù, quindi puoi andare a dare un’occhiata?” Ho urlato: “Probabilmente è una cornice gigante e instabile, quindi potremmo dover considerare che va bene così dove siamo!” 

Mark fece un ultimo sforzo, non sapendo che invece eravamo a soli 15 piedi dalla cima. Scavando verso l’alto in un grande arco nella neve che gli copriva la testa, fece progressi tastando contro le pareti della trincea. Usava i suoi attrezzi per rastrellare la neve dall’alto e compattarla con i piedi per sostenere il suo peso.

Più tardi, Mark avrebbe raccontato: “La pazzesca caduta di Graham era ancora fresca nella mia mente ed ero terribilmente spaventato che la neve su cui ero in piedi potesse crollare e che avrei potuto cadere all’indietro, precipitando per 25-30 metri verso quella vite che avrebbe potuto fermarmi. Temevo anche di stare scalando un’enorme cornice come aveva paventato Steve e che da un momento all’altro avrei potuto sfondare e precipitare dall’altro lato della cresta”. Dopo aver percorso la breve distanza che sembrava infinita, la neve iniziò a irrigidirsi, l’angolazione si rilassò e Mark si divincolò sulla cima. 

Sopraffatto dall’emozione, urlò: “Sono in cima, cazzo!”

Per un attimo noi tutti non riuscivamo a crederci e siamo scoppiati in un applauso.
“C’è posto lassù per noi?” urlammo di rimando.

Ce n’era abbastanza e presto tutti e quattro eravamo in cima al Link Sar a tarda sera. Le nuvole si dissiparono e la luce rossastra del tramonto diffuse le sue tonalità arancioni su tutto il Karakorum. 

Ci siamo abbracciati, abbiamo scattato qualche foto veloce e poi abbiamo iniziato a calarci in corda doppia al buio fino al Campo IV usando una combinazione di V-Thread e ancoraggi deadmen. Altri due giorni di calate in corda doppia e arrampicata in discesa ci hanno riportato al Campo I verso mezzanotte. Lì abbiamo avuto la prima di diverse feste gastronomiche in cui la quantità e la qualità della cucina sono migliorate man mano che scendevamo. 

La torta celebrativa preparata da Rasool, Nadim e Fida al campo base era composta da un solo strato, ma molto dolce. Foto: Graham Zimmerman.

Per me il nostro successo sul Link Sar è stato agrodolce. Per diversi giorni dopo aver raggiunto il campo base, ho pensato intensamente a ciò che avevamo realizzato e a cosa sarebbe successo dopo per me. 

Per gran parte della mia vita ho lavorato duramente per avere momenti come questo, ma il mio tempo per cercare questo tipo di prime ascensioni in alta montagna stava finendo. Come avrebbero dovuto, Graham e Chris sarebbero passati al loro prossimo grande obiettivo senza di me. Sapevo che ci sarebbero voluti diversi anni di costruzione di relazioni e tutoraggio con nuovi giovani alpinisti qualificati prima di tentare qualcosa di simile a quello che avevamo appena fatto. Progetti come il Link Sar possono anche richiedere diversi tentativi che durano anni. Sommando il tempo che ci sarebbe voluto, ho capito che non avrei potuto fare di nuovo una scalata come questa a 70 anni di età.

Per scalare obiettivi di livello mondiale come il Link Sar non è necessario essere il miglior scalatore del mondo. Abbiamo avuto successo e siamo sopravvissuti al Link Sar perché siamo stati persistenti ma disposti a fallire, abbiamo imparato dai nostri errori, abbiamo applicato i nostri 133 anni di esperienza combinata e abbiamo capito cosa significa partnership. Se tutti gli anni trascorsi ad arrampicare mi hanno aiutato a imparare queste cose, allora mi è stato dato più di quanto mi aspettassi.

Steve Swenson divide il suo tempo tra Seattle e Canmore con la moglie Ann. Ha scalato per oltre mezzo secolo, comprese le scalate del K2 e dell’Everest senza ossigeno e la prima scalata del Saser Kangri II, per la quale il loro team ha vinto il Piolet d’Or nel 2012. Il suo libro Karakoram è disponibile presso Mountaineers Books.

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L’ultima grande montagna ultima modifica: 2024-09-08T05:17:00+02:00 da GognaBlog

5 pensieri su “L’ultima grande montagna”

  1. Steve Swenson lo incontrammo nel 2005 sempre nella valle Charakusa, penso fosse lì a studiare l’altro lato del Link Sar. Fu soprannominato “Lo sceriffo del Charakusa” poiché inseguì una spedizione di Coreani per rimproverarla di aver perso delle carte di caramelle lungo il trek di avvicinamento. Fece loro una bella ramanzina, tipica degli Americani “ossessionati”. Il nostro tentativo al Link Sar non penso lo conosca perché nel 2009 non chiedemmo il permesso per la montagna e non facemmo nessun report della nostra incursione. Il mitico Little Karim, nostra guida local, ci aveva detto di fregarcene e di provare lo stesso a salire, la stagione delle spedizioni doveva ancora cominciare e non ci sarebbero stati altri alpinisti in zona che avrebbero potuto fare le spie al Ministero 😉 

  2. Tentammo il Link Sar nel 2009 dal versante opposto, dal mio diario: “Tre settimane con il piumino addosso anche a dormire… e spalare neve è stato il mio passatempo preferito.

 Nelle rare parentesi di bel tempo, dopo una cima di acclimatamento e due tentativi sul roccioso Nayser Brakk (Emanuel Panizza e Jacopo Compagnoni per la via classica inglese, io e Maurizio Giordani iniziando una via nuova) abbiamo subito provato la nostra montagna “invisibile”, l’inviolato Link Sar di oltre 7000 metri.
    
Il primo giorno di attività eravamo riusciti a passare la complicata seraccata che dava accesso alla montagna vera e propria, lasciando due tendine montate sotto il versante che avevamo individuato come il più accessibile. Una settimana più tardi il tentativo, con Emanuel e Giordani saliti fino a 6400 metri dopo diversi tiri di ghiaccio vivo in un canale di ghiaccio che si è rivelato poi troppo pericoloso per scariche di roccia e di ghiaccio. Io e Jacopo, quel giorno indisposti e “fiaccati”, abbiamo girato i tacchi sotto il canale e siamo scesi alle due tendine che avevamo piazzato sotto la parete.
    Due giorni dopo eravamo tutti al campo base dopo aver smontato il nostro piccolo campo 1. Per quella via poteva salire solo gente che voleva rischiarla troppo. Scartata per gli stessi motivi un’altra possibile linea più a sinistra, abbiamo deciso di abbandonare il Link Sar e pensare ad altre mete alternative, di grandi e belle montagne la zona del Charakusa è pieno.”

  3. Attento Pierluigi Dallaglio, perché l’alpinismo con la A maiuscola è un’attività IMMORALE.

  4. Quando si dice Alpinismo (e Avventura) con l’A maiuscola. Una cima inviolata di oltre 7000 m, in stile alpino, zigzagando tra pericoli oggettivi alla ricerca di una linea, con serie difficoltà tecniche, resistendo tanti giorni in parete, la perseveranza di provare più volte, in un contesto territoriale non facile, sopravvissuti ad una valanga quasi in vetta, una cordata “multigenerazionale” che, forse anche per questo, centra l’obiettivo e porta a casa una esperienza unica ed esemplare.

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