Personaggio e scienziato geniale, spirito vagabondo, il grande geologo francese Dolomieu è famoso per aver dato il nome alle Dolomiti, ma la sua vera passione poco conosciuta erano i vulcani. Meta preferita per studiarli, il Meridione d’Italia, che con animo moderno percorse a lungo nella sua ansia di trovare un perché ai più grandi fenomeni della natura. In coda all’articolo di Jacques Debelmas alcune originali riflessioni di Carlo Crovella.
L’uomo delle Alpi che amava i vulcani
di Jacques Debelmas
(pubblicato su Airone Montagna, ottobre 1988)
La sua fama è legata per sempre a una scoperta e a una lettera, datata “Malta, 30 gennaio 1791”. In essa, il “commandeur” Déodat de Gratet de Dolomieu scrive all’amico Picot de La Peyrouse: “Infine, diciotto mesi fa (cioè nell’agosto 1789, NdR), durante alcune escursioni mineralogiche nelle montagne del Tirolo… ho trovato una quantità immensa di quelle stesse pietre calcaree che non mostrano alcuna effervescenza a contatto con gli acidi…“. Le pietre in questione sono costituite da un minerale particolare, un carbonato doppio di calcio e magnesio che qualche anno più tardi verrà battezzato “dolomia” su proposta del chimico Nicolas de Saussure, a cui Dolomieu aveva inviato i campioni per averne un parere.
Questa scoperta occasionale, che viene festosamente celebrata sulle Dolomiti a distanza di duecento anni dal loro “battesimo” scientifico, non fu né l’unico né il maggior merito dello studioso francese. In realtà Dolomieu può essere considerato uno dei precursori della geologia italiana perché, in effetti, le sue ricerche si svolsero in misura assai maggiore lungo la penisola che non sulle Alpi. Brillante scientificamente, la vita di Dolomieu è anche sorprendente dal punto di vista umano: chi scorre la sua biografia, legge un vero e proprio romanzo di avventure, ambientato in un’epoca cruciale della storia europea. E la lucida testimonianza che Dolomieu ce ne ha lasciato, grazie a una copiosa corrispondenza, delinea un quadro particolarmente vivo della società e degli avvenimenti sul finire del XVIII secolo.
Déodat nasce nel 1750, nel castello e nel villaggio che porta questo nome, nel basso Delfinato, a metà strada tra Lione e Grenoble. Come cadetto di una nobile casata, non ha scelta che tra l’esercito e la chiesa. In un certo senso, i suoi genitori gli lasciano aperte ambedue le possibilità facendolo ammettere, fin dall’età di due anni, all’Ordine di Malta che, costituito nell’XI secolo allo scopo di prestare assistenza ospedaliera ai pellegrini, aveva assunto in seguito anche carattere militare. A 16 anni intraprende dunque la carriera militare, senza grande entusiasmo, poiché ciò che lo interessa, in realtà, sono le cose della natura. Ma la sua vita si complicherà poi rapidamente, anche se, per maggior chiarezza, la divideremo in tre periodi.
Il cavaliere di Malta (1768-1790). Come tale, egli è tenuto a effettuare il suo noviziato all’isola di Malta. Ma poco dopo il suo arrivo, nel 1768, ha una violenta lite con uno dei suoi compagni e lo uccide nel corso di un duello. Condannato al carcere a vita, dovrà unicamente all’intervento del papa Clemente XIII, attivamente sollecitato, la fortuna di passare in prigione soltanto alcuni mesi.
Rientrato in Francia nel 1769, Dolomieu raggiunge la sua guarnigione a Metz, ove fa la conoscenza del duca de la Rochefoucauld, membro dell’Académie Royale des Sciences, che lo introduce negli ambienti scientifici dell’epoca e, soprattutto, lo orienta definitivamente verso la geologia e la mineralogia. Questi nuovi interessi, oltre ai suoi doveri verso l’Ordine di Malta, sono poco compatibili con la carriera militare, che finisce con l’abbandonare. Da allora in poi, oltre ai soggiorni più frequenti nell’isola di Malta, effettuerà numerosi viaggi: in Bretagna (1775), sulle Alpi (1776), in Portogallo (1778), in Sicilia (1781), sui Pirenei (1782). Ma nel 1783, gelosie suscitate sia dalla sua brillante ascesa in seno all’Ordine sia dalla sua eccezionale personalità, lo coinvolgono in liti che indispongono, oltre al Gran Maestro, anche il re di Napoli, signore dell’Ordine. Vedremo più avanti le conseguenze di tali inimicizie. Per il momento, la tensione sale e raggiunge un punto tale che Dolomieu si dimette dalle funzioni di luogotenente generale dell’isola e si rifugia in Italia.
Comincia allora uno dei periodi più fecondi della sua esistenza dal punto di vista scientifico, poiché si trova nel Paese dei vulcani e dei terremoti, che lo affascinano e che farà conoscere alla comunità scientifica della sua epoca attraverso una copiosa corrispondenza e per mezzo di alcuni libri dedicati alle isole vulcaniche italiane. Nello stesso tempo brilla a Roma nei saloni dell’alta società pontificia e porta avanti i suoi processi contro l’Ordine di Malta. Viaggia
dall’isola d’Elba alla Corsica, dalla Sardegna alla Sicilia, dalle isole Lipari al Vesuvio, da solo o come guida illuminata agli studiosi stranieri di vaglia, che scoprono allora, per suo tramite, i vulcani italiani e, in senso più generale, la geologia dell’Italia.
Questo periodo italiano è interrotto da alcuni viaggi in Francia, tra i quali quello del 1789, durante il quale passerà per la valle dell’Adige, raccogliendovi “quelle pietre” che serviranno più tardi a dare il nome alle Dolomiti. Durante quei brevi soggiorni in Francia assiste, senza stupore ma con crescente emozione, agli avvenimenti che annunciano e ben presto segnano l’inizio della Rivoluzione francese. Li accoglie d’altronde con un certo fervore in quanto corrispondono al suo temperamento generoso e altruista.
Un rapido ritorno nelle grazie del Gran Maestro dell’Ordine gli vale un’ultima visita a Malta, ma le sue idee liberali fanno sì che venga accusato di tramare per la distruzione dell’Ordine. Lascia Malta ancora una volta, e sarà l’ultima, nel 1790, e, dopo alcuni mesi di soggiorno a Roma, Dolomieu rientra in Francia nel 1791.
Una vita in 13 tappe e in 11 pensieri
(clicca sull’immagine per ingrandire)
Gli undici pensieri
“L’eruzione dell’Etna iniziò il 15 luglio 1787 e fu impressionante per la quantità immensa delle ceneri e delle scorie. Poi apparve un’aurora boreale, dai Monti Rossi fino a Noto. Alle 10 di sera del 16, dal cratere apparve una colonna di fuoco alta 500 tese, mentre una colata di lava scendeva a sud-ovest”.
“Arrivammo al pianoro alla base del cratere dell’Etna quando l’orizzonte cominciava ad arrossarsi a oriente. Anche la guida mi abbandonò: continuai a salire da solo, e da Nicolosi eravamo partiti in sei. Bevvi un po’ di vino, proseguii su neve molto dura. Mi affacciai sul cratere illuminato da una strana luce bianca che proveniva dall’interno“.
“Ponza è un cratere e forma simile ha l’isola di Palmarola, che i ponzesi considerano popolata da diavoli. Ventotene è più lontana e meno conosciuta: le carte la indicano lontana dalla sua vera posizione“.
“Le isole Lipari sono il paese più interessante dell’universo, e forse il meno conosciuto. Ci arrivammo navigando di notte, con un caldo mai provato”.
“Una pietra calcarea a strati orizzontali che ricopre a tratti le montagne tra Bolzano e Trento. È ricca di impronte di conchiglie“.
“Sul Vesuvio sono rimasto quattro giorni. I cristalli più belli sono però stati tutti portati via. La valle in cui si trovavano è stata colmata da una nuova colata di lava. L’Italia è davvero uno dei Paesi più interessanti del mondo“.
“Abbiamo visitato le montagne della Tarentaise, e il Monte Bianco aveva su di noi un grande fascino. La presenza di eserciti in guerra ci impedì di arrivare a toccarne la base“.
“Non c’è stato un solo giorno, dei 63 che sono rimasto in prigione a Taranto, in cui non ho temuto di essere spogliato fino alla camicia o di essere massacrato“.
“Ho percorso tutto il basso Egitto, ma con molti problemi. La navigazione sul Nilo fu infatti disturbata a fucilate dagli arabi, mentre a Rosetta infuriava la pestilenza. Ad Alessandria, oltre alla peste e alla fame, colpivano le cannonate sparate dalla flotta inglese“.
“Che mondo la Sicilia! Monumenti antichi esistono ancora, splendidi, a Siracusa, Catania, Agrigento. Segesta mi ha impressionato per la perfetta conservazione“.
“In Sicilia ci sono miniere di zolfo non create dai vulcani, miniere di salgemma lontane dal mare, giacimenti di petrolio e marmi superbi“.
Lo scienziato (1791-1798). Come abbiamo già accennato, Dolomieu ha accettato di buon grado gli esordi della Rivoluzione francese, in totale opposizione con il suo ambiente d’origine e in particolare con la nobiltà della sua provincia natale, e questo a tal punto da evitare di tornare in Delfinato, per stabilirsi in Normandia presso la famiglia amica dei La Rochefoucauld e poi a Parigi. Le sue lettere al cavaliere de Fay, rimasto a Malta, si moltiplicano e costituiscono un vero e proprio giornale degli avvenimenti della politica francese. Vi si può constatare che il suo entusiasmo per la Rivoluzione diminuisce rapidamente.
Gli eccessi sanguinosi del Terrore gli faranno poi totalmente mutare opinione nel 1792. Il suo vecchio amico, il duca de La Rochefoucauld, viene linciato dalla plebaglia sotto i suoi occhi, la sua famiglia distrutta, decimata o imprigionata. Dolomieu stesso sfugge per puro miracolo agli arresti.
Cerca allora rifugio nel lavoro e sarà proprio nel corso di questo periodo che il suo corrispondente e amico, Nicolas de Saussure (il figlio del vincitore del Monte Bianco) gli dedicherà, nel 1791, il minerale rinvenuto due anni prima nella valle dell’Adige.
La sua reputazione scientifica è la sua salvaguardia, e lo fa nominare professore all’École Centrale (1794), ispettore presso il Corps des Mines, professore di Geologia all’École des Mines e infine membro dell’Institut National, di nuova creazione (1795), tutte attività provvidenziali sul piano materiale, poiché costituiscono ormai la sua sola fonte di reddito.
Può così effettuare nuovamente alcuni viaggi, specialmente sulle Alpi, per farvi l’inventario delle miniere, diventando anche uno dei principali artefici dei rapporti scientifici che si stabiliscono in quell’epoca tra Parigi e Ginevra. La carriera di Dolomieu sembra dunque destinata a sfociare nella calma di una vita scientifica feconda quando inizia invece una terza e ultima fase della sua esistenza, breve ma dolorosa.
Il prigioniero di Messina. Nel 1798, infatti, Dolomieu viene invitato a partecipare alla spedizione d’Egitto intrapresa da Bonaparte. Disponibile, come sempre, a nuovi viaggi, accoglie la proposta con entusiasmo. Ma, al passaggio davanti a Malta, la flotta si ferma e il generale in capo esige da Dolomieu che si adoperi a facilitare i negoziati per ottenere una resa immediata dell’isola ai francesi, nel timore di vederla passare agli inglesi. La penosa missione viene portata a termine da Dolomieu con molto tatto, in modo da salvaguardare l’onore e gli interessi dell’Ordine, al quale si sente sempre legato. Malauguratamente essa gli varrà anche la reputazione di aver tradito quest’ultimo, e ne vedremo rapidamente le drammatiche conseguenze.
Infatti il suo soggiorno in Egitto (1799) viene abbreviato da una malattia e Dolomieu deve rientrare in Francia. Ma sulla via del ritorno la nave, danneggiata da una tempesta, deve riparare nel porto di Taranto. I passeggeri vengono trasferiti a Messina: a Dolomieu non poteva capitare di peggio, perché i cavalieri di Malta siciliani lo denunciano al re di Napoli (da cui dipendeva la Sicilia), cioè a quel sovrano che, come già abbiamo accennato, manteneva strette relazioni con l’Ordine di Malta. Dolomieu viene denunciato come traditore e, per di più, favorevole alle idee rivoluzionarie. Viene rinchiuso in una cella oscura e mal aerata per 21 mesi. La sua prigionia viene ben presto resa nota in Francia grazie agli altri passeggeri, che nel frattempo erano stati rimpatriati. Gli ambienti scientifici e tutti gli amici di Dolomieu, turbati e commossi, ne avvertono le cancellerie; ma non si ottiene nulla e occorre attendere la vittoria di Bonaparte sugli austriaci a Marengo (1800) perché Dolomieu sia finalmente liberato.
Rientra trionfalmente a Parigi, ove ottiene una cattedra al Muséum. Il suo primo desiderio è di tornare sulle sue care Alpi, che credeva di non rivedere mai più. Quel viaggio in Savoia e in Svizzera (ove si recherà al Passo del Sempione per prendere conoscenza del tracciato della nuova strada in costruzione) gli procura un’accoglienza altrettanto calorosa da parte di tutta la comunità scientifica ginevrina e bernese. Ma ha fatto troppo affidamento sulle sue forze, indebolite dalla prigione. Sfinito, ammalato, interrompe il viaggio di ritorno a Parigi per una sosta dalla sorella, nei pressi di Roanne. Vi muore, alcuni giorni dopo, nel 1801, all’età di 51 anni.
L’uomo. Conosciamo l’aspetto di Dolomieu da un ritratto dipinto a Roma nel 1789. A quell’epoca è intorno alla quarantina: un viso intelligente e sorridente, una grande fronte incorniciata da riccioli biondi, leggermente argentati, una bocca sensuale, ben disegnata, begli occhi azzurri. È di alta statura (cinque piedi, undici pollici, ci dice uno dei suoi passaporti che è stato ritrovato, cioè 1 metro e 80), snello, leggermente curvo, come per chinarsi con maggior attenzione verso il suo interlocutore. Un simile aspetto fisico gli valse numerosi successi femminili che, per il suo stato di religioso, non furono che avventure senza un futuro, e ciò in misura ancora maggiore in quanto, amante della libertà e in perpetuo movimento, non poteva prendere in considerazione un qualsiasi tipo di legame. Infatti, sebbene in una delle sue lettere avesse scritto che “lo studio delle pietre non spegne la sensibilità”, egli pose sempre il suo amore per i minerali al di sopra di quello per le donne. “Venderebbe la sua amante per una bella pietra”, diceva di lui suo zio, il principe Camille de Rohan.
Sotto il profilo morale, era un uomo entusiasta e generoso, dalla conversazione facile e brillante. Dalla sua persona emanava tale distinzione che non passava inosservato in alcun ambiente e la sua compagnia era ricercata, sia nelle riunioni scientifiche sia nei ritrovi puramente mondani. Non era tuttavia dotato soltanto di buone qualità. Come molti membri della nobiltà era un uomo prodigo che spendeva i suoi redditi senza far conti. Era anche violento, sempre appassionato e pronto alla collera come all’amore. I numerosi processi da lui intentati all’Ordine di Malta potrebbero anche far credere che amasse i cavilli legali. Ma la sua corrispondenza privata rivela il contrario. Molto ligio ai suoi doveri, egli ha soprattutto difeso davanti ai tribunali i princìpi di giustizia e di libertà che hanno avuto una così grande influenza sulla sua vita. Tale corrispondenza è altrettanto preziosa in quanto, malgrado l’enfasi, che è una caratteristica abituale della fine del XVIII secolo, denota un’anima delicata e sensibile, desiderosa di affetto e devota verso gli amici come alla propria famiglia.
L’opera scientifica. Pur abbracciando tutti gli aspetti della conoscenza del mondo minerale dell’epoca, è soprattutto lo studio dei vulcani e dei loro prodotti che ne costituisce la parte essenziale. In effetti tale tipo di ricerca era già stato perseguito in Francia, sin dal 1752, da diversi autori, come Jean-Étienne Guettard, Nicolas Desmarets e Barthélemy Faujas de Saint-Fond, che iniziò Dolomieu allo studio dei vulcani nel 1778, ciò che gli consentì, durante il suo viaggio in Portogallo nello stesso anno, di scoprirvi le tracce di un’attività vulcanica rimasta sino a quel momento sconosciuta.
Questo interesse di Dolomieu si verificò in un momento opportuno, in quanto a quell’epoca il geologo tedesco Abram Gottlob Werner, studiando i vulcani della Sassonia, aveva dedotto che il basalto era il risultato di un fenomeno sedimentario subacqueo. Era così sorta la famosa controversia sull’origine acquea o ignea delle montagne e il mondo scientifico si era diviso rispettivamente in “plutonisti” e “nettunisti”.
Dolomieu conosceva troppo bene i vulcani per non essere d’accordo con la teoria dei plutonisti. Senza partecipare direttamente al dibattito, l’apporto delle sue argomentazioni fu sufficiente a far sì che l’origine vulcanica del basalto fosse riconosciuta dalla maggior parte dei suoi contemporanei.
Ma si spinse anche oltre. I plutonisti ritenevano infatti che le lave provenissero dalla fusione di rocce profonde, granitiche o gneissiche, che costituiscono la crosta solidificata del globo, sotto l’influenza dei “fuochi sotterranei”. Ma Dolomieu fu il primo a constatare che i basalti hanno una composizione chimica assai diversa da quella dei graniti, e che quindi provengono da un livello più profondo. E aggiunse anche che “questa zona sottostante alla crosta è stata da sempre di consistenza pastosa e vischiosa. Al di sopra di essa poggiano i nostri continenti, che essa sostiene facilmente poiché la sua densità è maggiore di quella della crosta esterna”. Un’idea assolutamente moderna, che il XX secolo svilupperà fino all’attuale teoria della tettonica a zolle.
Un altro centro di interesse di Dolomieu, particolarmente legato alla sua conoscenza dell’Italia, fu lo studio delle rocce con le quali gli antichi avevano costruito i loro monumenti. Impregnato com’era di reminiscenze classiche, ammiratore delle bellezze della Grecia e della Roma dell’antichità, di cui l’Italia è disseminata, Dolomieu era stato attirato da quelle vestigia e, come geologo, si era appassionato alla ricerca della provenienza dei loro materiali. Su tale argomento aveva progettato un’opera monumentale, per la quale aveva raccolto un gran numero di campioni, che faceva levigare, e dei quali esistono ancora alcuni frammenti nelle raccolte del Muséum de Paris e dell’Institut de Géologie di Grenoble. Ne differiva però la pubblicazione, volendo esplorare la Grecia, l’Asia Minore e altri Paesi da cui riteneva che i romani facessero giungere alcuni dei loro materiali.
Un esempio delle deduzioni che la sua conoscenza dei materiali gli consentiva riguarda il celebre Apollo del Belvedere, di cui egli constatò che la materia prima non proveniva dalla Grecia, ma da una cava della regione di Carrara nota soltanto dopo Augusto. Quel marmo sarebbe dunque largamente posteriore al periodo greco e sarebbe stato scolpito in Italia. Le carte di Dolomieu contengono note e capitoli interi redatti su questo argomento, che rivelano fino a che punto lo avesse approfondito. Ma la sua morte prematura non gli consentì di portare a termine il lavoro.
Infine il suo terzo centro di maggior interesse era costituito dai minerali in quanto tali. Durante la sua prigionia a Messina aveva lungamente meditato su tale soggetto e scrisse in quel periodo, con mezzi di fortuna, una Philosophie minéralogique, in cui dimostrava la necessità di basarsi sulle forme geometriche e sulla composizione chimica dei minerali per classificarli, mentre i suoi contemporanei si basavano principalmente sul colore, la durezza, la presenza di inclusioni. Scoprì anche numerosi nuovi minerali, ma il suo contributo a tale riguardo è rimasto poco noto, poiché non attribuiva loro un nome, lasciando tale cura ad altri. La dolomia, che abbiamo citato all’inizio, ne è un classico esempio.
Non ci dilungheremo oltre sugli altri aspetti delle sue ricerche riguardanti la struttura delle Alpi e in particolare quelle riguardanti i terremoti, di cui egli espose le modalità con esattezza e precisione (sbagliando però nell’individuarne le cause).
Nel concludere, diremo che, sul piano scientifico, il suo grande merito è quello di essere stato uno dei fondatori della geologia di osservazione e di aver così indotto i naturalisti della sua epoca a uscire dai loro gabinetti di storia naturale. È stato anche uno dei primi a completare l’osservazione dei fenomeni con un tentativo di spiegazione, cioè con la ricerca della genesi dei vari processi. Anche se i suoi tentativi non furono sempre coronati da successo, per mancanza, evidentemente, di materiale di analisi adeguato, pur tuttavia è indiscutibile che il suo modo di procedere fu sorprendentemente moderno per la sua epoca.
Sul piano umano, la personalità di Dolomieu si rivela affascinante e originale. È affascinante per l’attrattiva della sua compagnia, per il suo gusto dell’avventura, per la cultura così vasta e così raffinata, per i dolorosi avvenimenti di cui fu vittima e per la dignità con cui seppe sopportarli. È originale per il suo modo scientifico di procedere, singolarmente innovatore per l’epoca, per il suo strano stato di “religioso-laico”, che fu così poco compatibile con il suo interesse per le donne e con il suo spirito vagabondo, per la sua ansia di comprendere il perché dei grandi fenomeni della natura andando a osservarli sul luogo, un atteggiamento che era assai poco diffuso sul finire del XVIII secolo.
In altri termini, l’uomo aveva fascino, un fascino eccezionale e rivelò di possedere uno spirito e un comportamento che si potrebbero definire moderni. Grazie anche a una voluminosa corrispondenza, che richiama alla nostra memoria, per le sue qualità, quella di Madame de Sévigné, come lei ci è più familiare e più vicino della maggior parte dei suoi contemporanei. Con quella gioia di conoscere e di sapere che fu la sua caratteristica, con la sua apertura verso gli altri e verso il mondo, fatta di curiosità e di affabilità, c’è, in Dolomieu, qualcosa di caloroso e di confortante.
In poche parole, Déodat de Gratet de Dolomieu, con le sue qualità e i suoi difetti, fu un uomo nel pieno senso del termine, nel quale ci si riconosce con piacere o che si prenderebbe volentieri per modello. Possa il lettore, che si lasciasse attrarre e avvincere da questa grande e nobile figura, sentire e meglio esprimere il “Dolomieu che esiste in lui”.
Dolomieu, geologo esploratore
di Carlo Crovella
Quelle montagne dalle caratteristiche molto particolari, incardinate fra Trentino, Veneto ed Alto Adige, si sono conquistate, nel tempo, diversi appellativi: Monti Pallidi, Giardino di Rose, “paracarri” (durante la polemica fra occidentalisti e orientalisti).
Il loro nome ufficiale è Dolomiti, in onore del geologo francese che identificò per primo la roccia che le compone.
Dolomieu è un classico figlio dell’Illuminismo, l’età del lumi, e si inserisce nella folta schiera di esploratori mossi da obiettivi scientifici. Questa schiera comprende nomi altisonanti come Horace-Bénédict De Saussure, Charles Darwin, Alexander von Humbold e mille altri. Si tratta di personaggi che, per il desiderio di soddisfare la loro curiosità scientifica, hanno contribuito all’esplorazione dei territori, non solo in montagna.
Dolomieu non è famoso per aver realizzato eclatanti ascensioni nelle Dolomiti, ma la sua vita avventurosa è interessante a prescindere dai monti Pallidi.
La conoscenza di questi esploratori induce a qualche riflessione di fondo. Vi sono infatti due grandi filoni di approccio all’esplorazione e quindi anche all’esplorazione delle montagne: quello di testa e quello di pancia (o col cuore, se il concetto viene espresso in una versione più nobile). Si tratta di una dicotomia che affonda le radici nella notte dei tempi, molto prima che gli uomini iniziassero a frequentare le montagne. Ben lo sapevano anche gli antichi greci che infatti avevano identificato due dee diverse, di importanza comparabile, ma dalle marcate caratteristiche spesso in aspro conflitto.
Atena (Minerva per i latini), o Pallade, è la figlia prediletta di Zeus: nata direttamente dal cervello di quest’ultimo, è la dea della sapienza, delle arti e della letteratura, dell’industria e anche (inevitabilmente) della guerra. Insegnò agli uomini come arare i campi, aggiogare i buoi, cavalcare e combattere. Dea vergine (parthenos), fu raffigurata sempre armata di tutto punto: era una dea che puniva severamente chi osava contraddirla e competere con lei.
Una leggenda racconta che, un giorno, Tiresia si imbatté nella dea mentre questa faceva il bagno e così riuscì a vederla nuda. Atena si infuriò e lo punì accecandolo. Successivamente pentita del gesto, Atena gli fece dono della facoltà di profetizzare e così Tiresia diventò il più famoso fra gli indovini dell’antichità. In questa leggenda io scorgo i prerequisiti del destino “infame” di intellettuali, scienziati e anche scrittori, che scorgono la nudità della vita e per questo vengono puniti, ma poi possono raccontare le cose diventando i punti di riferimento dell’evoluzione ideologica dell’umanità.
Con caratteristiche completamente diverse si contrappone invece Afrodite (Venere per i latini), la dea della bellezza, dell’amore, della generazione e della primavera (intesa in particolare come rinascita della natura dopo il letargo invernale). Afrodite è nata direttamente dalle acque del mare perché fin dalla notte dei tempi la convinzione umana era che, affinché tutto venga all’essere, c’è bisogno di movimento e di umidità, fattori entrambi presenti in abbondanza nei mari.
Afrodite è quindi l’incarnazione della passione travolgente, istintuale e irrazionale: la massimizzazione della sua potenza divinasi esprime nell’eros. Qualunque attività umana può assumere una dimensione sacrale: l’eros è sacro in quanto vi si manifesta “la forza” della vita, che si concretizza appunto in Afrodite.
Amore razionale per la sapienza e amore viscerale per i corpi. Due approcci diversi, a volte complementari, a volte molto conflittuali. Non c’è dubbio che l’esplorazione, in particolare delle montagne, prese le mosse dallo spirito illuminista, che è figlio di Atena. A questo si è però affiancato, nel corso del tempo, l’approccio istintuale, proveniente da Afrodite, spesso caratterizzato da situazioni stile “genio e sregolatezza”. Infatti solo chi viene travolto da forze irrazionali riesce davvero a violare i confini acquisiti fino a quel momento.
Beato quell’uomo che sa mantenere un piede in ciascun filone. In genere nel singolo individuo prevale maggiormente uno dei due approcci, senza arrivare a dire che l’altro approccio è del tutto assente. Nessuno può dire quale sia più foriero di soddisfazioni e di felicità: mancherà sempre la controprova di come sarebbe stata la vita del singolo con l’impostazione antitetica.
Nelle nostre spicciole esistenze, frequentare la montagna può fornire un piccolo esempio di convivenza fra le due forze: Massimo Mila scriveva che l’alpinismo (che io preferisco intendere, per estensione, come l’ “andar in montagna”) è una delle poche attività umane capaci di fondere davvero insieme pensiero e azione.
Gli esploratori del periodo compreso fra Settecento e Ottocento furono però particolarmente fortunati: mossi da Atena, nei loro viaggi vennero ben presto travolti da Afrodite, perché l’immensità degli spazi sconosciuti apriva le porte alla vera “avventura”. Conoscere i dettagli delle loro vite è un modo per ringraziarli di aver dato inizio a un’attività che, ai giorni nostri, invade la nostra esistenza, anche solo attraverso le gite domenicali.
14Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Da collegare con n-205 di ” una vita d’alpinismo” parte riguardante Cima d’Asta.. granito tra Lagorai- Porfidi e Dolomiti..dolomitiche e calcaree. Entro un raggio di poche decine di chilometri uno che vuole formarsi trova tuttele rocce per varie tecniche di scalata.
Per mettere pace, una infarinatura di geologia a largo raggio si puo’ trovare sul web. Esiste un ‘ area dove si trovano a poche decine di chilometri di distanza tutte le rocce di varia formazione: punto base il museo geologico di PREDAZZO. Poi si puo’ inizire a vedere ..li’ mandano gli studenti di varie facolta’ di Geologia(Padova, Ferrara, ecc.)..perche’ hanno quasi tutte le formazioni concentrate.Tra le glorie nostre nazionali Giuseppe Marzari Pencati( pencatite, predazzite, fassaite , monzonite ecc)
Ma perché sei cosi aggressivo? Rovini il clima emotivo che si è creato grazie a un bell’articolo (che, a giudicare dagli altri commenti, ha complessivamente ottenuto feedback positivi) con una tua polemica un po’…sciocchina. Che ci guadagni a inserire tensione e zizzania dove proprio non ci sono? Senza alcuna motivazione comprensibile, tra l’altro. In ogni caso ti segnalo che proprio nelle scorse settimane mi è capitato di rileggere la “Guida sciistica delle Dolomiti” di Ettore Castiglioni. Spero ti sia nota la figura di Catiglioni, non sto a descriverla. Nella prefazione Castiglioni inizia scrivendo testualmente: “Il volume comprende tutte le Dolomiti propriamente dette, e cioè tutta la zona compresa tra i corsi dell’Adige e dell’Isarco a ovest, la Pusteria a nord, le valli di Sesto, di Padola e del Piave ad est, le valli del Cismon, del Travignolo e dell’Avisio a sud.” Se il buon vecchio Ettore può permettersi di considerare Dolomiti l’area centrale, a maggior ragione posso farlo io in un rapido accenno introduttivo ad altre considerazioni. Come vedi, truca e branca, quella citata da Castiglioni è l’ “idea” di Dolomiti cui ci si riferisce quando si parla di Dolomiti, a maggior ragione come ho appunto fatto io senza alcun obiettivo geografico né scientifico, ma come semplice introduzione ad altre considerazioni (confronto Atena-Afrodite) che nulla hanno a che vedere con la trattazione geografica delle Dolomiti quanto piuttosto con la figura di Dolomieu e con lui di tutti i primi esploratori ispirati da motivazioni illuministiche prima che alpinistiche, almeno comd le intendiamo in senso moderno. Ti invito però a evitare inutili “querelle” che, oltre a essere tirate per i capelli, inseriscono solo nervosismo anche dove non c’è… Buona notte a te!
A volte ad ammettere di aver toppato si fa più bella figura, anche in casi che Crovella ritiene di poco conto come questo, ma per lui dev’essere un’operazione sconosciuta ed assai ardua da mettere in pratica.
“Sbagliato” mi pare eccessivo. A volte si deve andare per semplificazione (già così i testi sono lunghi): a grandi linee quando i “foresti” come me pensano alle Dolomiti intendono l’area piu’ centrale. Ma è un risvolto poco rilevante del discorso, perché le riflessioni principlali dell’ultimo pezzo vertono su altri punti. Ciao!
Però mi stupisce che Crovella sia così poco attento al lato geografico dell’argomento, da sbagliare l’areale dolomitico. Tra l’altro, spostandoci ulteriormente ad est, anche le Giulie cantate da Kugy, il Jof di Montasio e il Jof Fuart, sono Dolomiti (dolomia principale) a tutti gli effetti, anche se pochi lo sanno.
DOLOMIEU
Decisamente interessante e fascinosa l’interpretazione “crovelliana” dell’alpinismo come punto di equilibrio fra amore razionale e amore passionale per la montagna. Complimenti.
Nel mio passato alpinistico ho sempre goduto profondamente quando mi sentivo in quel punto d’equilibrio, ad esempio superando un passaggio difficile in eleganza e non di forza.
Un analogo punto di equilibrio lo ho conosciuito nella corsa d’orientamento: se spingi troppo sul piano fisico ti diminuisce la consapevolezza del tuo rapporto con l’ambiente in cui corri e il risultato è che sbagli. Anche lì, vai bene se sai trovare il tuo punto di equilibrio.
Dolomite a parte, di Dolomieu scienziato, non sapevo niente, e invece le sue ricerche su basalto contro granito e l’intuizione del mantello agitato dal vulcanismo sono fortemente anticipatorie delle problematiche terrestri.
Non solo la tettonica a zolle e la deriva dei continenti erano concetti ignoti, ma credo che la connessione fra vulcanismo e deriva sia estremamente recente. Nell’Atlantico, solo recenti ricerche hanno evidenziato una catena montuosa vulcanica che è stata il “motore” del distacco delle Americhe dalla vecchia Pangea; avvalora l’ipotesi che sempre il vulcanismo sia il motore sia delle suddivizioni in zolle che dei loro movimenti.
Geri
Questo vecchio articolo di quella che fu Airone, è parte del mio materiale didattico proprio per le secondarie. Ogni due anni circa ne traggo spunto per modificare e adeguare temi scientifici e temi storici (i miei due ambiti disciplinari).
Non solo ringrazio Crovella per averlo proposto qui. Ma lo ringrazio per la bella riflessione finale, davvero ricchissima di spunti di riflessione.
Atena e Afrodite… illustrate nell’immaginario dell’avventura. Mi piace tantissimo!
Ci rifletterò sopra.
DA DIVULGARE IN TUTTE LE SCUOLE MEDIE ALMENO DELLE ZONE
DOLOMITICHE. Poi esemplari di varie rocce e bottiglietta di acido muriatico con contagocce e far vedere la differenza di effervescenza. A memoria le formule
carbonato di calcio: (CaCO3).
Dolomite :CaMg(CO3)2