Magia delle parole
di Lorenzo Merlo
(Qualche considerazione e qualche intolleranza sul tema della dichiarata sicurezza in montagna)
Magia delle parole, tutto è suggestione. Dire sicurezza induce a crederla possibile, soprattutto in chi non si è mai fermato a riflettere sul tema e sul linguaggio.
Dire sicurezza in montagna su messaggi istituzionali, sottoscritti da decenni, con reiterata determinazione, dalle Guide alpine, accende il mio, e non solo, personale discredito nei confronti di chi mi governa e nei confronti delle singole Guide che lo perpetrano.
Diversamente in natura, dove lo spazio è illimitato ogni regola è inopportuna, se autoreferenzialmente adottata, se e non ricreata
Sembra innocuo usare una parola piuttosto che un’altra. Ma non lo è. Il magnetismo delle parole dipende dalla relazione tra gli interlocutori. Tanto più uno dei due si ritiene inferiore, tanto più questo è motivato ad apprendere, tanto più dunque si accredita chi riteniamo superiore a noi, tanto più le sue parole avranno presa su noi. È questo che accade nei ricatti, è così che scaturisce il senso di colpa. È così che si perde se stessi, che si diviene dominio di altro o di altri.
Chi convintamente o distrattamente si adopera – tanto o poco non fa differenza – come se la sicurezza fosse conseguibile, che fa? Studia, compra, si affida agli esperti, metodi o persone che siano. Tutte azioni rivolte all’esterno di se stessi, oltre alle quali non ritiene vi sia altro da fare. Il massimo è stato compiuto.
Ricco del bagaglio concettuale e materiale – ma comunque tecnico, acquisito – si avvia alla montagna con le stesse modalità con le quali ci si avvia al campo sportivo. È ordinario sentire dire il mio sport è l’alpinismo; ordinario sentire gli animi palpitare immaginando la discesa nella polvere e non esprimere nulla in merito agli altri innumerevoli aspetti di una giornata di scialpinismo o fuoripista.
Ma il campo sportivo è chiuso da quattro lati e lo sport da quattro regole che esauriscono la sua casistica.
Diversamente in natura, dove lo spazio è illimitato, ogni regola è inopportuna, se autoreferenzialmente adottata, se e non ricreata.
Ecco, ricreare è una parola chiave. Non ha alternativa ma vari opposti: copiare, imitare, eseguire, delegare.
Anche in mutande si può realizzare la migliore sicurezza – eventualmente rinunciando
Non solo, senza cultura della montagna – che non è sapere tutto, ma esserne in relazione, sentirla, ascoltarla – ci si avvia a frequentarla con la cultura che si ha, spesso solo tecnicistica e materialistica e convinti che l’esperienza sia tutto. Che il miglior equipaggiamento sia indispensabile.
Espressioni di una deriva culturale, figlia della presunta superiorità della ragione, della materia, dell’illuminismo, che ha nei suoi strascichi la celebrazione dell’analisi e quindi della specializzazione; nelle sue ombre una concezione bidimensionale della realtà, cioè immobile; nei suoi effetti la pretesa della sicurezza tout court, efficacemente rappresentata dall’espressione francese Société sécuritaire, dedicata a questo degrado spirituale. La questione ci riguarda tutti. Quante, troppe volte, ho sentito dire, la Guida sono io, per alludere a una superiorità definitiva; per pretendere riconoscimento e accredito; per affermare ciò che un titolo non può mai – se non formalmente – contenere.
Per anni le Guide alpine hanno legato il concetto di sicurezza alla montagna.
Anni nei quali è stata fatta presente in più occasioni l’inopportunità culturale, comunicazionale e d’immagine di quell’abbinamento. Lo sconveniente – a mio parere, ma non solo – binomio sicurezza-montagna a un certo punto parve non solo scongiurato, ma felicemente sostituito dal principio che la sicurezza è relativa alla modalità con cui si frequenta l’ambiente naturale. Ma la cosa durò poco. Le guide risalirono sul vecchio tram credendo di potersi rivendere anche attraverso l’offerta di sicurezza.
Queste note scaturiscono dalla loro/nostra recente adesione – suppongo con orgoglio – al messaggio di sicurezza in montagna firmando o co-firmando (in questo caso solo come operatori) un video di Aineva, distribuito alle guide della Lombardia dalla loro segreteria. All’Associazione Interregionale Neve e Valanghe, prestigioso, apprezzato e noto ente di ricerca e servizio, va tutto il mio riconoscimento ma anche tutta la considerazione critica presente in queste righe.
Per chi crede che i panni sporchi vadano lavati in casa, cosa sulla quale potrei concordare, anticipo che la politica di risolvere inter nos la questione è esattamente quella che ho seguito negli anni passati.
Nei quali ho, con capacità e mezzi personali, in sede di collegio lombardo nonché di collegio nazionale, cercato di far presente l’inopportunità di quel blasfemo matrimonio tra sicurezza e montagna. L’ho fatto con la consapevolezza che era necessario dedicarsi a far crescere la responsabilità personale di ognuno, affinché questi, qualunque fosse il suo livello tecnico, il suo equipaggiamento, la sua esperienza e conoscenza, alzasse al massimo il rischio di adottare per sé e per chi lo delegava, la modalità più opportuna. Quella capace di ascoltare, di cogliere la condizione intima di sé e delle persone, la propria e altrui motivazione. Anche in mutande si può realizzare la migliore sicurezza – eventualmente rinunciando.
Anche rinuncia è una parola chiave. Con l’atteggiamento prestazionalistico, rinunciare tende a essere fonte di frustrazione, una condizione che a sua volta spinge a chiudere drasticamente la nostra potenzialità euristica e creativa. Quest’ultima, così necessaria in caso d’imprevisto, per ricombinare – creativamente appunto – tutta la conoscenza, tutta l’esperienza, tutto l’equipaggiamento, di cui disponiamo, indipendentemente da quanto ognuno di essi sia. Ma anche per mantenere un equilibrio serendipityco, proprio quando nessun manuale potrà mai più dirci come realizzare sicurezza.
Dopo tutto questo tempo, lungo circa tre decenni, non trovo fuori luogo esprimere pubblicamente quanto più volte puntualizzato inter nos.
Una condizione che a sua volta tende a chiudere drasticamente la nostra capacità euristica e creativa, quella necessaria per ricombinare in caso d’imprevisto, tutta la conoscenza, tutta l’esperienza, tutto l’equipaggiamento, indipendentemente da quanto ognuno di essi sia. Per mantenere un equilibrio serendipityco, proprio quando nessun manuale potrà mai più dirci come realizzare sicurezza
0Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Le parole di Merlo sono sacrosante ma esprimono un concetto semplice (natura=scordatevi la sicurezza) privato del dono della sintesi e quindi rischiando di non renderlo chiaro abbastanza, secondo me.
Sul tema e in queste pagine ci troviamo d’accordo in molti ma rischiamo di costituire un élite intellettuale autoriferita che ha poca presa sul fruitore comune della montagna.
Suona come una bestemmia ai più, affermare che in montagna la sicurezza non passa solamente per una buona (e costosa) attrezzatura, per corsi vari, per titoli e curriculum e per muscoli e velocità. Gli elementi determinanti stanno nel cervello e non nelle vetrine, in palestra o sul web.
Non vorrei ripetermi e ripetere, quindi abbandono il tema alle considerazioni da molti fatte fin qui. Tutte, o quasi, valide e utili. Anche a fornire esempi negativi. Utili pure quelli.
Come in tutti i campi ci sono illuminati (con i loro limiti) e ignoranti anche sui monti e la battaglia da combattere sarebbe quella per ridurne il divario, ma poi ci si mettono le varie propagande sibilline, dall’automobile, al cibo all’airbag, al localizzatore satellitare, al soccorso, all’essere eroi, al poterlo dire sui social, alla patacca sulla giacca e al far si che qualcuno ci veda e approvi, che mi viene da dire ‘fanculo e se non la capite fottetevi e ognuno giochi la sua carta sperando nella buona sorte.
Chapeau condivido tutto, grazie. In montagna ci andiamo proprio perché NON è sicuro, ed è proprio un paradosso schizofrenico esserci scannati per tanti anni sulla ricerca della sicurezza a tutti i costi.
Grazie Lorenzo.
Il continuo ricorrere al “matrimonio blasfemo” è il segno di un solco d’inconsapevolezza sempre più profondo. È la negazione dell’incertezza, unica ammissione che ci condurrebbe alla ricerca di maggiori informazioni e possibilità’ di scelta…
La magia delle parole tratteggiata da Merlo ci ricorda che un termine esprime un concetto che è soggetto alle variabili della realtà, ma il termine ha anche un significato che invece è assoluto.
Dire che non esiste sicurezza è negarne il significato, relegando la parola ad un concetto sottoposto a molte variabili, prima fra tutte l’idea personale che abbiamo di questo concetto. Se un Alpinista dice che non esiste in assoluto sicurezza nell’Alpinismo è perché Alpinismo come termine è un concetto, rappresenta molte cose diverse per ognuno, ed è perciò privo di significato. Prima di cercare dunque cosa significhi sicurezza, spendiamoci per capire cosa voglia dire Alpinismo.
Ma mi chiedo: è l’ignoranza del significato di Alpinismo che porta a ricercare una pretesa sicurezza attraverso gli artifici, o è logico che sia così poiché l’Alpinismo è una attività artificiosa?
Faccio un esempio: faccio un buco in terra e semino una carota.
Non mi basta più?
Compro il motozappa, metto il concime, butto i pesticidi e avrò mille carote.
Però. Però potrei farmi male col motozappa, inquinare la falda acquifera col concime, inalare i pesticidi e beccarmi un cancro, infine fare indigestione di carote!
E vengo a dichiararmi solidale col discorso di Merlo:
se la gente invece di fare Alpinismo, facesse che va in montagna…!
Forse ora bisogna sempre illudersi e se si lavora con gli illusi bisogna illuderli.
Magari questa della sicurezza è la via che molti professionisti e non della montagna hanno scelto di seguire per poter vivere stando in montagna.
Ma dato che lo stato richiede certificazioni allora questa via diventa la regola.
E allora bisogna lasciarli fare standosene lontani?
Mi spiace per le ormai frequenti morti che sembrano sempre essere evitabili.
La statistica è quella branca della scienza ideata per fornire una giustificazione scientifica all’imprecisione dei risultati quando le variabili incognite sono troppe. La sicurezza del mio salotto è -statisticamente -superiore a quella della mia automobile in movimento o a quella di una montagna in inverno dopo una nevicata. Sicurezza in montagna è da intendersi come “la maggior sicurezza attesa date determinate condizioni del contesto”. Non occorre aver letto molto libri di filosofia o essere esperti di linguaggio e comunicazione per capirlo:persino mia nonna che aveva fatto la seconda elementare mi diceva :”Sicuro è morto”, in cui si riassume, con la concisione tipica e paradosale dei proverbi , una verità lapalissiana, oggetto del dotto tema filosofico-linguistico qui proposto. In alternativa alla statistica ed ai suoi evidenti limiti nella rappresentazione universale ed univoca della realtá, esistono le Effemeridi,l’arte divinatoria, l’interpretazione dei sogni, i fondi di caffè ,il fatalismo ecc. ecc.
Riguardo alle guide ed ai maestri -di alpinismo e di vita- ce ne sono di cattivi e di buoni, e anche questa sembra detta da Lapalisse! Anche tra gli allievi infine c’è chi desidera imparare (per diletto, per orgoglio personale ,per conseguir virtude e coniscenza) e fa tesoro degli insegnamenti e di rende autonomo e chi no.