Continuiamo a metterci nelle mani di un’intelligenza che procede per sistemi poco flessibili, sotto la spinta di saperi che non comunicano, senza l’energia di rivedere i propri punti d’appoggio concettuali e intorpidita dal mito leggendario della razionalità.
Mai più, terza puntata
di Alessandro Baricco
(pubblicato su ilpost.it il 22 marzo 2021)
Continua da: https://gognablog.sherpa-gate.com/mai-piu-seconda-puntata/
Dicevamo dei quattro blocchi che, mi sembra, rendono l’intelligenza novecentesca ormai inadatta a gestire la realtà, o quanto meno questa realtà. Il primo era quello della mancanza di flessibilità, e ne abbiamo parlato. Vediamo gli altri tre, magari un po’ più in fretta se no qui finiamo che è Pasqua.
Secondo blocco: il culto del sapere specialistico. È utile ricordare che gli umani non l’hanno sempre avuto. Un greco del V secolo, un monaco medioevale o un erudito del Rinascimento avrebbero fatto fatica ad accettare che a difenderli da una pandemia potesse essere un virologo che aveva studiato solo virus. Neanche l’idea di un medico, puro e semplice, li avrebbe entusiasmati. Adesso questa posizione ci sembra infantile e perdente, ma solo perché veniamo da almeno due secoli di mitizzazione della scienza. In realtà, quei tre uomini intuivano, ognuno a modo suo, che qualsiasi porzione del reale fa parte di un sistema più complesso e che l’unico sapere utile è quello capace di muoversi nell’intero sistema, non solo in alcune sue parti. Per un simile modo di intendere il sapere, un medico incapace di conoscere il nome delle piante e riconoscere una bella poesia era poco più che un tecnico scarsamente autorevole. Se la cosa vi sembra immatura chiedetevi questo: dai vostri attuali arresti domiciliari, cosa dareste perché a orientare le politiche governative di contrasto alla Pandemia ci fossero anche un filosofo, un matematico, un antropologo, uno psicologo, un botanico, un poeta e uno storico? Io molto.
Non potendolo fare, mi prendo almeno la libertà di scrivere qui che il vertiginoso progredire dei saperi specialistici ha generato un regresso collettivo nella capacità di incrociare i diversi saperi degli uomini e nell’abilità di usarne diversi contemporaneamente: quello che un tempo si chiamava sapienza. Questa capacità, andata per secoli in disuso, adesso è rientrata dalla finestra e sembra essere uno dei tratti dominanti di una certa nuova intelligenza. Il fatto che i filosofi siano tornati a sapere e parlare di piante e di tecnologia, che un copy incapace di fare l’art sia diventato un’ inutile complicazione, che i portieri si siano messi a giocare coi piedi e che il mio telefono faccia dei video, dovrebbe suggerire qualcosa. Evidentemente stiamo alzando il livello del gioco, e quello a cui stiamo pensando è un sapere capace di avere lo sguardo del falco e la pazienza della quercia – la precisione di un bisturi e la memoria di una montagna. Quando lo incontriamo, sappiamo che ci piacerebbe sapere così.
Terzo blocco. È un’intelligenza fanaticamente stanziale, incapace di nomadismo. Discende da alcuni principi o valori, e da quelli è difficilissimo sradicarla. Dove ha fondato città concettuali, lì rimane, anche se arriva un’invasione o una carestia. Tecnicamente è come condannarsi a guardare la Terra inchiodati a pochi e immutabili angoli di visuale: tutta la forza dell’intelligenza è poi utilizzata per rendere lo sguardo sempre più acuto, ma la verità è che basterebbe spostarsi due vallate più in là e si capirebbero, anche da miopi, un sacco di cose.
Faccio un esempio non necessariamente gradevole. La Costituzione è per tutte le democrazie novecentesche un principio quasi indiscutibile. Al momento attuale, l’intelligenza spesa a capire cosa sia costituzionale e cosa no è infinitamente maggiore di quella dedicata a capire se la Costituzione sia ancora valida, attuale, adatta. Perché? Perché l’intelligenza novecentesca è stanziale. Ma lo è a livello tale da non accorgersi che, per fare un esempio, fondare una Repubblica sul lavoro è una bella idea ma anche un’idea tremendamente vecchia adesso che il lavoro sta scomparendo dal mondo per nostra scelta e nostra decisione. Analogamente, è difficile pensare che salveremo questo pianeta se non saremo capaci di riscrivere le nostre Costituzioni mettendo in cima a tutto i diritti dei viventi che non siamo noi. Ma invece ce ne rimaniamo fermi dove siamo e nessuno, quasi nessuno, in questo momento, sta pensando che la prima cosa che le democrazie occidentali dovrebbero fare è riscrivere le proprie Costituzioni. Cioè rifondare la propria città. In un’altra vallata, sulle rive di un altro lago, sotto un diverso cielo. Non lo facciamo perché il nomadismo, se si tratta di valori e principi, è considerato una prassi barbara, figlia di una certa ignoranza, o di un deficit di disciplina, o del populismo. Così invecchiamo in città concettuali ormai sconfinate quali, per esempio, il diritto allo studio, la libertà d’espressione, la difesa della proprietà, il senso della patria, i diritti umani, la democrazia. Splendide, esauste città, con abitanti spesso infelici. È evidente che dovremmo partire e andare a rifondarle in qualche zona meno minacciata dalla carestia di idee. Ma non lo faremo mai, fino a quando non chiameremo un’altra intelligenza, a guidarci.
Quarto e ultimo blocco. È un’intelligenza che si ostina a scegliere la razionalità come proprio tratto identitario. Che si crede, e si vuole, razionale. Qui la cosa è piuttosto complicata. Spero di riuscire a spiegarmi bene. La prima cosa discutibile è pensare di potere essere razionali, integralmente razionali: credere che esista un modo di prendere decisioni che sia al riparo da qualsiasi storytelling, da qualsiasi curva emotiva e da qualsiasi istinto. Davvero qualcuno ancora crede che esista? Qualcuno davvero crede che la decisione di sospendere la somministrazione di un vaccino per quattro giorni, per un controllino, sia razionale? (è solo un esempio tra i tanti). Forse sono pazzo, ma a me sembrerebbe molto più efficace un’intelligenza che mettesse in conto storytelling, emotività e istinto, imparasse a conoscerli, e non ci provasse nemmeno a far passare le sue decisioni come risultato indiscutibile di operazioni logiche impeccabili. Mi piacerebbe un’intelligenza anfibia, per così dire, capace di prendere decisioni anche sotto la linea di galleggiamento della razionalità, anche in immersione, e consapevole di farlo. Ne avrei anche un po’ le palle piene di questa fiaba della razionalità. E poi. Soprattutto. Non c’entra tanto come ci muoviamo noi umani, c’entra com’è fatta la realtà, com’è fatto il mondo. Là fuori le cose si muovono per un’energia, e secondo traiettorie, di cui qualsiasi razionalità umana sa pochissimo. A mala pena intuiamo la punta dell’iceberg. C’è un respiro del mondo che non è solo una fiaba per svitati, e chi non lo sente – non dico respirarlo, ma almeno sentirlo – non ha una reale possibilità di prendere decisioni che generino una qualche felicità tra i viventi. Anche solo le connessioni, pensate a questo, alle connessioni: come la vegetazione di un immane bosco, le cose vive si scambiano informazioni, si legano in catene chimiche, formano invisibili legami da cui traggono sopravvivenza: non esistono alberi, ma boschi, e tutte le volte che noi smontiamo questa semplice e primitiva unità, ad esempio con il sapere specialistico, oppure selezionando solo quello che è logico, noi perdiamo la presa su quello che studiamo, ci stacchiamo da lui, ci sfiliamo via dal reale: prima o poi tornerà a farci del male. Non c’è niente di poetico, credetemi: è solo che siamo – il mondo è – un paesaggio meravigliosamente complesso, che nessuna scrittura logica saprebbe nominare davvero. Per questo un’intelligenza convinta di domarlo con la razionalità non è per noi. E un’intelligenza convinta che lo scopo sia domarlo, invece che abitarlo, non è un’intelligenza: forse lo è stata, ma non dovrebbe esserlo più.
Bene. Possiamo riassumere. Per motivi a molti inspiegabili, continuiamo a metterci nelle mani di un’intelligenza che procede per sistemi poco flessibili, sotto la spinta di saperi che non comunicano, senza l’energia di rivedere i propri punti d’appoggio concettuali e intorpidita dal mito leggendario della razionalità. L’abbiamo chiamata intelligenza novecentesca, e qui ci scusiamo con Benjamin, Picasso, Foucault, Jimi Hendrix, John McEnroe e tutti coloro che non hanno avuto niente a che fare con quel modo di stare al mondo: ma quando abbiamo scelto un’intelligenza per gestire il mondo non abbiamo scelto la loro ed è stato un vero peccato. Abbiamo scelto quella che adesso ancora ci presenta il conto, con la consueta, irritante annotazione there is no alternative. In qualche modo bisogna chiamarla. Novecentesca.
Il minimo che possiamo fare è chiederci se davvero è l’unica intelligenza di cui disponiamo. È la domandina che ci faremo nella prossima, ultima, puntata. Non prometto una risposta. Ma la domanda sì.
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“dai vostri attuali arresti domiciliari, cosa dareste perché a orientare le politiche governative di contrasto alla Pandemia ci fossero anche un filosofo, un matematico, un antropologo, uno psicologo, un botanico, un poeta e uno storico?”
Se per ogni parola spesa in talk show o commissione ci fosse stata una vaccinazione, l’intera umanita’sarebbe stata vaccinata piu’volte..meglio sarebbe ever avuto ricercatori e fabbriche di vaccini .Per fortuna oggi da internet poesie , spettacoli teatrali, saggi , modelli statistici ecc sono consultabili a scelta, specie da anziani e disoccupati. Chi ha conservato la possibilita’ di lavorare per disposizione di legge, terminato il turno e’ arrivato a casa spossato…con poca energia da dedicare alla sua formazione culturale a vasto raggio.
“..un’idea tremendamente vecchia adesso che il lavoro sta scomparendo dal mondo per nostra scelta e nostra decisione. ..”
Ci sono certe fasi di un lavoro anche “creativo-intellettuale”che comportano lavoro muscolare, ad esempio laureati e diplomati ed amanti dell’arte..che devono scaricare un camion di merci e poi disporle sugli scaffali, secondo criteri “scientifici”.Per non parlare di medici e ricercatori chini tra pazienti o su microscopi,o studiosi sempre davanti a monitor, che a fine turno sono schiantati .
Un buon esempio tra molti di armonica intersezione tra tecnica, lavoro, scienza e narrativa, lo trovai in”Le chiavi a Stella ” di Primo Levi.Pure in Dino Buzzati :”Un affascinante enigma matematico”. Anche nel campo del mangiare e del bere , oltre alla degustazione organolettica, si sta facendo strada la “narrazione “di un prodotto.Pure sugli alberi e sui boschi, si stanno facendo strada nuove narrazioni e teorie.Per capirci qualcosa del mondo bisognerebbe campare mille anni.
Chiunque, in qualunque suo modo si metta sulla via per riconoscere l’autoreferenzialità di tutti i valori che ha creduto essere la Vita, troverà il proprio io all’origine della sua Seaside, la città di The Truman Show.
E se cerca ancora troverà anche il modo per emanciparsi da ciò che aveva creduto di se stesso, dalla coercizione del conosciuto, dall’origine di pena e sofferenza.
Ho letto l’articolo linkato da albert. Ci sarebbe da parlare fino alla fine dei tempi.
A volte t’imbatti in personaggi che ti fanno riflettere “questo ha capito tutto“. Pensiero magico e pensiero logico deduttivo sono definizioni, ne potremmo trovare altre, ma la definizione, la catalogazione, altro non sono se non modalità logico deduttive.
Lorenzo usa spesso dire che l’esperienza non è trasmissibile ed infatti così è. Ciò che si può trasmettere è la modalità con cui si fa esperienza ma non l’esperienza stessa.
Nel Siddharta di Herman Hesse c’è un passaggio chiave, dato dall’incontro fra Siddharta e il Buddha. Con parole bovine (Hesse usa termini molto più eleganti) Siddharta evidenzia che per quanto sia buono il sentiero tracciato dall’Illuminato esso non contiene ciò che il Buddha ha realizzato in meditazione sotto l’albero della Bodhi. E Siddharta è questo che cerca, non un sentiero da seguire bensì l’esperienza diretta dell’illuminazione.
Questa esperienza non è trasmissibile ma è la sola che può condurre ad una comprensione delle cose così come sono, prive di qualsiasi filtro.
Queste esperienze non sono del tutto estranee alla nostra cultura occidentale ma ad un certo punto della storia sono state messe da parte e pure dileggiate e anche l’oriente ha finito in parte per seguire l’occidente. E’ una questione molto complessa che non può essere liquidata in quattro parole su un blog però già il rendersi conto che non esiste una sola forma di conoscenza è un buon punto di partenza.
In fondo è tutto abbastanza buffo perché ci affanniamo nel tentativo di trovare delle risposte. La maggior parte di noi però si ritroverà, prima o poi, stesa immobile in un letto ad aspettare che si spenga una lampadina, nella speranza, che forse non tutti hanno, di vederne un’altra che si accende. Cosa fa lo yogi seduto immobile in posizione del loto? Ci siamo già risposti.
Ieri ho visto in telegiornali scene di bagni nel Gange , abbinati ad immagini di cremazioni alimentate con cataste di legna , e scene di ammassati per il rito dell’aperitivo, rigorosamente di color arancione ed immagini sfumate di persone in rianimazione e di cimiteri che non riescono a far fronte alle inumazioni..ed ho intuito che c’e’sostanzialmente poca differenza.Poi ho ricercato e trovato:
http://www.benessere.com/psicologia/arg00/pensiero_magico.htm
Anche in attesa di sostenere esame in facolta’ ultrascientifica, si ricorreva a “riti propiziatori”, in netta contraddizione tra l’agire ed il metodo rigoroso. Comunque la domanda o l’esercizio propizi o scalognati dipendevano dal caso o dalllo stato psicologico dell’esaminatore. Con lo stesso errore , qualcuno/a veniva bruscamente invitato a ripresentarsi alla successiva sessione , con altro/a si minimizzava con indulgenza si andava oltre passando l’esame. Forse era anche questione di “fotogenia “..o “feeling” o ******. Qualche esaminando/a venivano accolti con sorrisi, chiamati per nome , parlami dell’argomento che tiha piu’ interessato , della tua ricerchetta, e alla fine un “salutami tanto tanto x…y…”
Antonio, sono d’accordo su quello che dici. L’articolo di Harari, lo storico israeliano, che avevo segnalato due settimane fa proprio questo sottolineava: la disparità tra le capacità organizzative, produttive, logistiche e i processo decisionali della politica e quello che la scienza e’ riuscita a fare in un anno. Un risultato impenssbile ai tempi della Spagnola. L’intendenza seguira’ diceva Napoleone. Non è stato così per lui e non lo è stato per noi. Speriamo solo di non dover fare anche noi la Ritirata di Russia.
Roberto, i due turchi (tanto di cappello) non hanno “gestito” la pandemia. Mi riferivo a chi ha saputo solo chiudere.
Non la panacea, la conoscenza di tutti i mali.
La sua presunta autoreferenzialità svanisce quando riconosci in te stesso – in noi stessi – ogni realtà; quando la realtà da oggettiva passa ad energetica e simbolica; quando il sentire non è più prevaricato dal sapere.
Che la realtà sia nelle relazioni è fuori di dubbio, alcune delle quali possono essere ben modellizzate e spiegate con l’approccio scientifico.
Che la specializzazione tenda a limitare la comprensione è altrettanto indubbio.
Che l’approccio “magico” possa rendere conto di tutte le relazioni e quindi essere la panacea a tutti i mali mi sembra posizione duale alla precedente e altrettanto tronfia, autoreferenziale e fallace.
Giuseppe Balsamo. Mi dicono che di bravi clinici che sanno comprendere e agire sul sistema uomo ce ne sono. Solamente sono pochi, perché la clinica risolve i problemi quando gli idraulici e i meccanici gettano la spugna ma sul breve periodo paga meno e agli occhi del cliente sembra dare meno valore aggiunto. Se mi posso permettere un riferimento personale, l’ho visto anche nel mio campo, facendo diagnosi e interventi sulle organizzazioni. Prima chiamano quasi sempre il meccanico e l’idraulico, il clinico sistemico viene dopo il TG e spesso deve riparare i danni fatti dai colleghi.
Antonio Arioti. Non è il mio campo quindi mi limito ad ascoltare. Mi dicono che i due turchi emigrati in Germania hanno compiuto un ribaltamento di schema nella creazione del vaccino mettendo insieme conoscenze diverse di cui disponiamo oggi sulla frontiera della medicina del futuro. Si parla di un possibile Nobel. Non sono in grado di valutare.
Considederazioni, modalità positivistiche, logico-analitiche, non possono avvicinarsi al tema della conoscenza cui ci si riferisce quando si denuncia l’assolutismo della specializzazione.”Mano a mano che il sapere progredisce, sia in senso universale che nostro personale, credo che sia inevitabile doversi specializzare in un proprio (e sempre più focalizzato) settore”.
Non si tratta di questo, si tratta di esaurire in questo il sapere.
“Così come suddividere un sistema (o un problema) complesso in sottoparti, ne può aiutare, in un certo modo, la comprensione”.
Lo può fare nel ristretto campo razionlaistico, purtroppo sempre inteso come il solo campo utile al sapere.
“Il rischio che si corre, tuttavia, è quello di dimenticarsi dell’importanza delle relazioni con cui le parti interagiscono a formare il tutto”.
La si può ricordare l’importanza delle relazioni, ma non risolve. Si tratta di vedere che la realtà è nelle relazioni; di riconoscere la tronfia autoreferenzialità che invece celebriamo, sull’altrare dell’oggettività.”Ora, la domanda è: sarebbe possibile, oggi, un altro Leonardo da Vinci?”
Lo siamo tutti una volta liberi dal conosciuto.
Qualche considerazione e una domanda.
Può essere che Baricco conosca poco come si sviluppa nella realtà il lavoro scientifico, viste certe sue affermazioni.
Tuttavia, l’osservazione (direi) concettuale nei riguardi della (eccessiva) specializzazione mi sembra condivisibile.
Mano a mano che il sapere progredisce, sia in senso universale che nostro personale, credo che sia inevitabile doversi specializzare in un proprio (e sempre più focalizzato) settore.
Così come suddividere un sistema (o un problema) complesso in sottoparti, ne può aiutare, in un certo modo, la comprensione.
Il rischio che si corre, tuttavia, è quello di dimenticarsi dell’importanza delle relazioni con cui le parti interagiscono a formare il tutto.
Ad esempio in campo medico.
Se cardiologo, pneumologo, neurologo eccetera non si parlano fra di loro, il danno è tutto per il paziente. Che è qualcosa di più di un insieme di cuore, polmone, sistema nervoso eccetera.
Ora, la domanda è: sarebbe possibile, oggi, un altro Leonardo da Vinci ?
Certo che nella gestione della pandemia di “finder” se ne sono visti pochi.
Ammetto. Ho frequentato poco ambienti dove si coltiva il pensiero magico, anche se alcuni miei compari di corporazione ne erano affascinati, seppure restii a fare le fatture come i loro idoli. Mi sono limitato al mago Zurli’ , indimenticabile punto di riferimento della fanciullezza. E oggi il mago Otelma, che esercita sul mio inconscio arcaico e primitivo un fascino irresistibile😅
Per fortuna anche un tecnico o diplomato ha passato le forche caudine delle scuole superiori italiane, per cui una formazione globale la deve avere, sia pure a volte mal digerita e ingurgitata controvoglia per non essere rimandato a settembre.I vari guru della medicina diventati star mediatiche alle spalle hanno sempre ostentato una biblioteca e anche opere d’arte. ..conoscono pure la storia della medicina.( esame facolativo), altri conoscono storia della scienza , matematica applicata alla musica, prospettiva ed altre arti, compresi forme 2-3d e colori. Anche a non cultori scappa di dire ma che bellochebellochebè.
Che distanza!
Non si risolve quanto dice Baricco ricordando l’interdisciplinarità e suoi parenti.
Baricco fa riferimento al sapere biologico, ecosistemico, ecologico, quello che non separa le parti, quello ne vede l’organismo che le supporta. Quello magico.
Che distanza!
Baricco, forse, ha frequentato poco ambienti tecnico scientifici reali. Il suo ragionamento riguarda la cultura degli specialisti puri. Una delle figure della fenomenologia del mondo scientifico oggi. Accanto a questa, esistono figure di “integratori”, capaci di mettere insieme contributi diversi, e figure “trasversali”, i cosiddetti “finder”,che si muovono creativamente e con apertura mentale tra campi diversi. Le scoperte oggi sono il frutto del lavoro di team compositi e non di individui isolati portatori di un sapere di nicchia. Come sempre la Filosofia deve scendere nel boudoir della vita reale se vuole davvero “contribuire” e non solo “decorare”, magari in modo elegante e suggestivo, altrimenti rimane uno strumento per affascinare e imbambolare l’animo dei fanciulli, e soprattutto delle fanciulle diremmo noi oggi, come rimprovera il sofista a Socrate.
Come al solito Baricco dice tutto e il contrario di tutto, molto bene e con tanta enfasi…resta il dubbio che voglia dire in realtà tutt’altro. Non lo amo.
“Un greco del V secolo, un monaco medioevale o un erudito del Rinascimento avrebbero fatto fatica ad accettare che a difenderli da una pandemia potesse essere un virologo che aveva studiato solo virus.”
Non capisco bene di cosa si lamenti: mi consta che nel famoso Comitato Tecnico-Scientifico non ci sia un solo epidemiologo e nemmeno uno statistico…e si vede perfettamente!
Comunque mi piace sottolineare che un greco, un monaco e uno studioso rinascimentale per difendersi dalla pandemia avrebbero fatto (in realtà hanno fatto) processioni, sacrifici agli dei -poco importa se Asclepio o sant’Antonio- e suffumigi di aceto e melissa. Morendo di peste…olisticamente, però.
@Albert Si è vero, è una gran fatica stare al passo anche in un solo ramo del sapere… Ma credo che quello che Baricco volesse dire è che se dai il potere a chi possiede una conoscenza estrema in un solo ramo del sapere senza tenere conto dell’insieme, non fai un bel lavoro.
Detto in altre parole: è giusto avere degli specialisti, che dicano la loro opinione, ma devono essere supervisionati da chi è in grado di fare delle sintesi tra le varie opinioni specialistiche ed è capace quindi di prendere delle decisioni che tengono conto di tutti gli aspetti della nostra vita. La salute in primis, ma al di sotto di essa deve esserci tutto il resto.
Baricco ,ette in discussione più di un argomento sempre dato per scontato nella sua bontà e verità.
Generi di argomenti sui si fondano superstizioni e buon sensi.
Non meraviglia sia stato qui così criticato, perfino zittito: zitto tu che non sei un filosofo; zitto tu che non cogli nel segno.
“.. un regresso collettivo nella capacità di incrociare i diversi saperi degli uomini e nell’abilità di usarne diversi contemporaneamente: quello che un tempo si chiamava sapienza.”Affermazione condivisibile, pero’ e’ una gran fatica stare al passo anche in un solo ramo del sapere.La scienza viene mitizzata soprattutto da chi non la pratica,altrimenti richiede energie sovrumane che spesso tolgono spazio al vivere. Altri invece trovando la scienza, in una delle sue declinazioni ,molto impegnativa, preferiscono esprimersi in altre modalita’ piu’suggestive ed accattivanti.. Pure la scienza non e’ indenne da vizi umani, quando poi non diventa troppo”umana ” per altri fini.
Federico di Trocchio-Le bugie della scienza , perche’ e come gli scienziati imbrogliano.
A scuola insegnerei anche a saper cogliere :https://www.fallacielogiche.it/
cui ricorrono a man bassa imbonitori in ogni campo….traendone successi di prestigio e pure ricchezze personali.