Metadiario – 133 – Mesolcina e basta (AG 1985-006)
Nel pomeriggio del 5 settembre 1985, Angelo Recalcati ed io saliamo con la nostra tendina all’Alpe Campo, un posto che ci piace davvero tanto, per la sua semplicità e solitudine. Ormai conosciamo la mulattiera che vi giunge da Pra Pincé sasso per sasso, gradino per gradino. Non ci pesa questa fatica, perché una notte o due all’Alpe Campo ripagano alla grande.
E’ giunto il momento di esplorare la zona del Pizzo d’Alterno 2397 m, assai promettente dal punto di vista esplorativo-alpinistico.
E’ un baluardo roccioso a più punte, disposte su un asse sud-ovest/nord-est, che si erge tra la Bocchetta della Pizzetta a sud-ovest e la Bocchetta di Brasciàdico a est. E’ strano che la sua evidente mole rocciosa non abbia determinato che il suo toponimo fosse riportato su qualche carta. Dalla Bocchetta della Pizzetta uno spigolo ardito conduce alla Punta del Primo Sogno 2372 m (così ci siamo permessi di chiamarla); da qui ha inizio la cresta sommitale che porta alla Punta del Secondo Sogno 2370 m c. Un evidente intaglio a Q 2363 m precede la Cima Forata 2377 m, riconoscibile per una curiosa “finestra” nella roccia. A questa succede l’intaglio più marcato 2354 m, sovrastato dalla punta più alta, la Punta Black 2397 m. Ancora un’Anticima Est 2380 m c. prima della conclusiva Bocchetta di Brasciàdico. Dei due versanti individuati dalla cresta sommitale, quello meridionale si affaccia sulla conca detritica dell’Avert Alterno di Livo (alta Valle di Bàres) con un’allungata parete a dislivello variabile caratterizzata da vari canali-camino, di cui i due più evidenti delimitano la Punta Black. Il versante settentrionale, ben più imponente e selvaggio, precipita sull’idillica conca dell’Alpe Campo: due irregolari costoloni rocciosi, affiancati da due selvaggi canaloni, culminano sulla Punta Black e sulla Punta del Secondo Sogno.
La prima ascensione della montagna è di Eugenio De Nova, nel 1904, per il versante est. In quell’occasione la battezzò Punta Black (Rivista Mensile del CAI 1905, 217).
Angelo forse più volentieri sarebbe andato in esplorazione sulla cresta, ma io non potei resistere all’attrazione che su di me esercitava lo spigolo rivolto a nord che precipita già dalla Punta del Secondo Sogno, ben visibile dall’Alpe Campo. Senz’altro la struttura più caratterizzata della selvaggia parete settentrionale del Pizzo d’Alterno. Dopo un po’ di osservazione, capii che lo spigolo consta di tre sezioni di arrampicata impegnativa e continua che si alternano a tre tratti facili di collegamento. Dislivello: 350 m.
La mattina presto del 6 settembre salimmo in un’oretta all’attacco, circa a 2000 m, proprio nel punto più basso dello sperone. Puntai direttamente (V e VI-) ad uno spigolo affilato, salito il quale ci sono due placche consecutive. Con un obliquo a destra raggiungemmo un camino nero e verticale che, via via più facile, porta a una cresta affilata. Risalitala facilmente, ancora sul filo per poi, subito sotto a una placca grigia e caratteristica, delimitata a sinistra da una sagoma a forma di naso, obliquare a destra in parete verso un gradino con spuntone. Da questa quinta sosta, tralasciammo il diedro sovrastante lo spuntone e risalimmo invece a sinistra la fessura-diedro sita tra quello e la placca grigia suddetta (VI, V+); superata un’altra fessura leggermente obliqua a sinistra (V), afferrammo e risalimmo interamente una fessura assai netta obliqua a destra (V+). Attrezzai una buona sosta su un gradino a sinistra di una lama e dissi ad Angelo di salire, sapendo già che avrebbe trovato difficile. Dopo, seguimmo delle eleganti lastre staccate e una serie di fessurine che riportano sul filo di cresta (V-, V). Da qui altra facile cresta che porta a un ulteriore risalto: qui salimmo a destra del filo una difficile fessura di 8 metri (VI), poi la lasciammo per obliquare in parete a destra verso un diedro (VI+, A1, VI, 3 ch.) che risalimmo fino al filo di cresta (VI+). Anche su questo tiro Angelo ebbe qualche difficoltà: ma la sua caratteristica era quella di non perdere mai tempo, anche se si trovava oggettivamente su qualche passaggio per lui ostico. Sorridendo mi pregava di tener ben teso e tutto finiva lì, senza mai protestare. Per il filo di cresta, con arrampicata molto più facile, raggiungemmo la vetta della Punta del Secondo Sogno. Battezzammo la via Luoghi di Potere. Questa fu poi ripetuta da Michele Bianchi, Maurizio Orsi e Franco Riva, il 1° agosto 1992.
Dalla cima della Punta del Secondo Sogno proseguimmo per la Cresta dei Sogni, superando la Cima Forata (passando in vicinanza del buco); giunti all’intaglio con la Punta Black (chi era, il cane di De Nova?) ci trovammo di nuovo di fronte a una bella arrampicata (fino al VI+), due lunghezze necessarie per raggiungere la vetta principale (la Punta Black, appunto). Sulle tracce del lontano primo salitore scendemmo per la via normale e ritornammo alla Bocchetta della Pizzetta e all’Alpe di Campo.
Al completamento della Cresta dei Sogni mancava ancora la prima parte, dalla Bocchetta della Pizzetta alla Punta del Secondo Sogno: questo fu l’argomento del giorno dopo. Con quattro lunghezze (fino al V+) risalimmo lo spigolo sud-ovest della Punta del Primo Sogno con partenza dalla Bocchetta della Pizzetta. Raggiunta la Cima Forata, invece di proseguire sulla Cresta dei Sogni, scendemmo facilmente a sud e attaccammo il camino che solca il versante sud della Punta Black. Volevamo appunto ripetere l’itinerario aperto da Marco Zappa e Vittorio Meroni il 1° novembre 1965. Questo camino-canale sbuca all’intaglio tra la Punta Black e la sua Anticima Est: è una breve (120 m) e interessante arrampicata che si può effettuare sia al fondo del camino (difficoltà fino al V-) che sulla parete subito a destra (più facile).
Non contenti, invece di scendere e tornarcene subito all’Alpe di Campo, arrivammo all’intaglio della Bocchetta di Brasciàdico 2330 m: questo perché avevamo notato l’affilato e caratteristico monolito che si erge proprio in mezzo alla Bocchetta. Salimmo la Guglia di Brasciàdico 2350 m per lo spigolo ovest (via Tutti possono vedere, 20 m, V+), scendendone poi a corda doppia.
A oriente della Bocchetta di Brasciàdico si erge il Pizzo Annamaria. Anche questo consta di tre vette, delle quali la più alta raggiunge i 2360 m. Scegliemmo di non salire sulla vetta più alta (Massima) e neppure sulla Mediana, data l’evidente facilità. Optammo invece per risalire la cresta sud-est della Punta Est che risolvemmo velocemente e che battezzammo Nessuno potrà capire (50 m, fino al VI-). A quel punto ci decidemmo a tornare. Ma giunti alla Bocchetta della Pizzetta, fummo colti dallo scrupolo di salire la Torre Riccardo 2326 m che la sovrasta, naturalmente ripetendo l’itinerario di Vittorio Meroni sul versante est (III e IV, cui noi aggiungemmo una breve variante di VI).
La bellezza del versante italiano della Mesolcina è determinata da un’atmosfera malinconica. So bene che è una sensazione soggettiva, ma una parte di me non riesce a non attribuire a queste montagne una personalità di languido abbandono, come se questo non fosse dipendente solo dall’effettiva desolazione pastorale e montanara: una mancanza che ha provocato anche il riavvicinamento di quel caos che gli antichi coloni avevano modificato con scarne opere essenziali e presenza numericamente modesta. L’accostamento di questo “ricordo” all’attuale solitudine è la ricetta per il discreto disordine che si respira sul versante italiano.
Al di là del confine regna molto più ordine: il disboscamento è razionale e il dissesto quasi non esiste. Le poche strade che risalgono dai 500 metri dei paesi ai 2000 delle malghe sono utili e non inutili perché costruite da speculatori. I cacciatori, se non abbattono alcuna preda, sono costretti a scendere a piedi come erano saliti: una regola rigida ed efficace. In compenso la conoscenza alpinistica della zona svizzera è ancora più limitata.
Il Sass Castel 2524 m è situato in territorio elvetico: da lontano abbiamo scoperto le sue belle pareti e abbiamo voluto salirle. E’ una massiccia mole a più sommità che domina a est la svizzera Valle Mesolcina e culmina a ovest della Val d’Árbola e a nord della Val Cama.
È costituito da due montagne gemelle, la Cima Sud-est 2524 m e la Cima Nord-ovest 2515 m, divise dalla Bocchetta di Brion 2340 m c.
Il versante orientale della Cima Sud-est è vasto e articolato: è una grande parete rocciosa che si affonda nella conca dell’Alp de Poz: vi si distinguono due pareti, la Est-nord-est a placche e risalti e la Est più verticale.
Il versante est della Cima Nord-ovest, che fa capo all’Anticima Est-nord-est, è una fascia rocciosa che si appoggia sulla Gagna Predon. Il versante sud precipita selvaggio per 1300 m sulla Val Cama con grandi balzi rocciosi e dirupi boscosi. Il versante nord-ovest, posto alla sommità della Val de Rebolgin, è costituito da due grandi sezioni a placche rocciose che culminano con la vetta e con il Piz Croch. Ancora più rilevante è l’enorme placconata, ben visibile anche da chi percorre la Valle Mesolcina, che, pur essa esposta a nord-ovest, culmina alla Spalla Nord 2369 m.
Il Sass Castel, data la sua posizione eccentrica e la sua quota, offre un bellissimo panorama a chi si avventura sulle sue cime. Pur non presentando particolari difficoltà, le vie normali richiedono più esperienza del solito. Anche agli alpinisti sono offerte belle vie su ottimo gneiss, di ordine vario di difficoltà, e future possibilità. Occorre però grande disponibilità a non avere aspettative preconcette e riconoscere come fonte di gioia non le categorie che possiamo esserci costruiti ma semplicemente ciò che incontriamo sul nostro cammino.
Qui la distanza e l’isolamento sono gli elementi che impreziosiscono l’esperienza di una visita: se io cammino quattro ore e alla fine non trovo ciò che in partenza mi aspettavo (per esempio delle difficoltà e un’estetica rocciosa di cosiddetto prim’ordine) non ci può essere spazio per la delusione. Se pensiamo d’essere in questa condizione di spirito, la Mesolcina non può essere una nostra meta.
Dal fondo della svizzera Valle Mesolcina la più bella struttura che si nota è la parete nord-ovest della Spalla Nord 2369 m della Cima Sud-ovest del Sass Castel. L’itinerario, vario e di ampio respiro, si sviluppa in ambiente assai selvaggio e ombroso nella prima parte, per poi diventare aperto e solare. Supera la bella serie di placconate che, ben evidenti dall’alta Valle Mesolcina, si antepongono alla vetta del Sass Castel. La parte superiore è caratterizzata da grandi diedri affiancati e sovrapposti, non molto verticali ma lisci.
Il 18 settembre dall’Alp de la Scimetta 1355 m prendemmo il sentierino che verso sud porta all’Alp de Cisterna 1543 m. Continuammo nella stessa direzione per raggiungere il solco di un torrente, da risalire verso sud-est. Per terreno molto sconnesso e scomodo pervenimmo alla base dello sperone che dà la direttiva della via. Eravamo a c. 2000 m, e avevamo camminato per un’ora e tre quarti.
Salimmo sul filo dello sperone (V+). Dopo 20 m obliquammo a sinistra e salimmo diritto (V e V+) fino alla prima sosta. Sfruttando alcune lame rovesce, attraversammo a sinistra (III), poi con qualche zig-zag (dal IV– al IV+) fino a raggiungere una sosta in prossimità di un diedro bagnato. Con spostamento a destra, salimmo un diedro che poi obliquava a destra (VI–, V+, con terza sosta in fessura orizzontale alla base di una grande placca). Risalita quest’ultima con bella arrampicata (III e III+), salimmo per poco sulla placca successiva (III), poi ci spostammo a sinistra per afferrare il bordo destro della placca superiore che seguimmo facilmente fino alla quinta sosta. Dopo tre facili lunghezze (II). 120 m, ottava sosta alla base di un evidente e caratteristico diedro, da risalire poi interamente. Lì eravamo nei pressi della base del meraviglioso diedro finale, tre tiri stupendi anche se facili. La via termina dopo 15 lunghezze di corda e, per la conformazione proprio dell’ultimo diedro, la chiamammo Libro aperto. Da lì continuammo per la cresta nord (Fil Gordasc) per raggiungere la vetta della Cima Sud-ovest del Sass Castel.
La sera stessa guadagnammo la Val d’Árbola e l’alpe omonima 1262 m. Il giorno dopo, 19 settembre, senza accusare fatica raggiungemmo l’ampio circo di Cressim. Dopo averlo percorso per ganda e quasi in piano in direzione ovest, dopo due ore e mezza di cammino ci trovammo alla base della parete est della Cima Sud-est del Sass Castel, sotto la verticale della vetta, a 2120 m circa. Ancora una volta eravamo alla base di una parete mai salita, un altro gioiello da esplorare e da custodire per sempre nei nostri cuori.
Salimmo sul fondo di un regolare ed evidente diedro per tre lunghezze (IV e IV+). Poi leggermente obliqui a destra ad una placca che si risale (V). Per alcune fessurine e un’altra placca si giunge a destra ad una grande cengia (IV), poi procedemmo in conserva obliqui a sinistra per tre brevi lunghezze, fin dietro a un torrione staccato. Traversammo a destra (V–) e salimmo un muretto (III) fino ad altra cengia, la Sosta 9. Ancora di conserva a sinistra superammo due risalti su uno spigolo (II e III) arrivando ad una spalla orizzontale, sosta 11. Salimmo sullo spigolo finale, dapprima per il filo (V–), poi nel diedro a destra, quindi superammo due diedrini successivi (V+ e IV), con Sosta 12 su terrazza. Ancora diritto per il filo di spigolo (IV–, IV, III) fino al bordo sinistro di una grande cengia, sosta 13. Quindi in breve alla vetta. Ci era sembrato tutto logico, consequenziale, direi un percorso di roccia e di vita inevitabile. Concludemmo soddisfatti che anche quello era un itinerario assai consigliabile, su ottimo gneiss e con difficoltà classiche, caratterizzato dallo splendido diedro iniziale e dall’aereo spigolo finale. Con dislivello di 400 m, lo battezzammo Via della Pace.
Dalla vetta ebbi modo di vedere (per la prima volta da ovest) la cresta di confine che dal Forcellino del Notar attraversa il Pizzo Roggione e il Pizzo della Fòrcola, fino al Passo della Fòrcola. Sono chilometri di cresta che avremmo percorso qualche anno dopo: le vette erano già state salite tutte, ma i collegamenti erano là tutti da fare, con i loro misteri. Inattesi intagli continuavano ad interrompere la nostra arrampicata virtuale. Sembravano innumerevoli gli interrogativi che avremmo dovuto risolvere. Anche, per esempio, se uno di quegli intagli costituiva o meno passaggio tra una valle e l’altra, incerto, nascosto, invisibile. Come prima dei nostri rilievi era nei nostri pensieri il mitico Taglio d’Ingherina, che era diventato il nostro incubo finché a che non lo individuammo a 2115 m tra il Circo d’Ingherina (Val Darengo) e la Val Soè.
Riscendemmo in Valle Mesolcina e, dopo essersi concessi una gustosa cena in una trattoria che conosceva Angelo, il giorno dopo (20 settembre) risalimmo al rifugio Cama. Questo è un luogo davvero incredibile, solitario e magico, con un lago calmo e scuro dei più profondi desideri. Sopra di noi la massa altrettanto ombrosa, direi pure tetra, del Piz Martel (Pizzo Martello) 2448 m, una slanciata pala rocciosa che si erge a est della Bocchetta di Cama. Costituisce la sommità occidentale dell’ardita cresta che lo unisce al Pizzo Campanile. Anni dopo, in sede di compilazione della guida, avremmo scritto: “Pur essendo una vetta di sicura evidenza ed individualità, specialmente sul versante svizzero, stranamente è ignorata sulla carta italiana IGM sia per quota altimetrica sia per denominazione. Solo la carta CTR la quota (collocando però il toponimo in posizione completamente errata). Finalmente dalla penultima edizione (1990) CNS si è decisa a nominarla Piz Martel e a quotarla 2450 m, ma è da notare che il disegno del versante italiano vi è ancora del tutto impreciso”.
Mentre il versante meridionale è costituito da brevi risalti rocciosi intervallati da tratti erbosi, i versanti settentrionale e orientale s’impongono per altezza e arditezza di linee. Due le creste ben individuate, la Ovest e la Sud-est, entrambe di confine. La cresta ovest sale dalla Bocchetta di Cama, mentre la cresta sud-est inizia dall’intaglio 2385 m c. con il Pizzo Caurga.
Edmondo Brusoni aveva tentato nella sua guida del 1903 una prima attribuzione dei toponimi e lo denominò, con forse più logica ma con scarsa fortuna, Pizzo di Cama, chiamando con Pizzo Martello uno spuntone a ovest-sud-ovest della Bocchetta di Cama. Solo con la pubblicazione della guida di Angelo Zecchinelli (1940) si è giunti ad una definizione conclusiva dei nomi delle montagne della testata della Valle del Dosso. Cause della confusione sono state probabilmente l’insufficiente individualità sul versante Valle del Dosso e il modesto dislivello con gli intagli che dividono le varie vette. Prendendo come punto fermo il fatto che il Pizzo Campanile sia con certezza e univocità individuato sul versante Darengo fin dalla prima metà dell’800, Zecchinelli trasferì alla seconda punta in ordine di altezza il toponimo locale Pizzo Martello, mantenendo la denominazione “Pizzo Caurga”, introdotta dal Brusoni, alla minore punta di mezzo. “Ciò nonostante la confusione precedente è rimasta e si è protratta per lungo tempo sulle carte ufficiali: ora CNS (dalla ediz. 1990) colloca Piz Martel e Pizzo Campanile al punto esatto, ma Pizzo Caurga (anche nell’ediz. 1998) in uno errato, mentre IGM chiama il Pizzo Campanile “Pizzo Martello o Campanile”, per non parlare di CTR che imita IGM (Il Campanile o Pizzo Martello) ma addirittura posiziona un altro Pizzo Martello presso l’irrilevante q. 2462 m a ovest-sud-ovest della Bocchetta di Cama, riprendendo l’attribuzione di Brusoni!”.
Frequentato per la facile e remunerativa via normale, il Pizzo Martello offre grandi possibilità per l’arrampicata: gli itinerari del versante nord-orientale sono, per interesse tecnico e per qualità di roccia, tra i più impegnativi e consigliabili. Naturalmente rimandammo l’esplorazione della più logica e classica traversata di cresta Pizzo Martello-Pizzo Campanile, per buttarci subito dentro alla mischia del versante nord-est.
Questo è delimitato a destra dall’evidente pilastro nord-est percorso dalla Via degli Svizzeri: rimandando anche per questa l’occasione di ripeterla, partimmo la mattina presto del 21 settembre dal Lago di Cama e andammo più in alto dell’attacco del pilastro nord-est, proprio alla base della triangolare e levigata parete est-nord-est, che volevamo salire per la sua linea di minor resistenza. Dopo due ore e mezza di cammino eravamo a circa 2220 m, alla base di un netto diedro. Risalito questo (IV–), ne uscimmo a sinistra fino a un terrazzino di sosta. Da lì diritti ad alcune vene di quarzo fino ad una cengia erbosa (IV, IV–), proprio sotto un grande tetto ad arco. Da questa seconda sosta salimmo un’evidente fessura (IV–, V, III+) e la logica prosecuzione di un sistema di fessure e diedri fino alla base di un camino (IV). Sosta 4. Salito il camino (IV, V, IV), all’uscita seguimmo una rampa erbosa a sinistra. Dopo un altro sistema di belle fessure (IV+, III+) arrivammo ad altra rampa erbosa obliqua a sinistra che ci portò ad un caminetto. Sosta 6. Salito questo (III+) raggiungemmo la vetta per una difficile fessura in Dülfer (VI+), evitabile per rocce più facili. L’itinerario, di circa 230 m di dislivello, è assai consigliabile su placche di roccia compatta ma con qualche difficoltà di protezione. L’abbiamo chiamato Via degli Italiani. Peccato che anni dopo (agosto 1997) in più riprese i grigionesi Ernst Heusser e Markus Janett vi abbiano aperto un itinerario a spit: la via dei Grigionesi, per il criterio con cui è stata realizzata, non segue un particolare modello di logicità e interferisce senza ragione con la nostra via. Era il 1997, due anni prima dell’uscita della nostra guida. Ma i due, per il materiale che eravamo soliti lasciare sugli itinerari che aprivamo, non possono non essersi accorti che qualcuno aveva già salito la loro linea. Ma naturalmente non ne fecero cenno.
La nostra focosa peregrinazione non era ancora terminata.
Il 22 settembre dal Lago di Cama risalimmo al Forcellino del Notar 2098 m. Da qui salimmo il classico Fil d’Uria, cioè la cresta nord del Sasso Bodengo 2410 m per la via che Luigi Gin Binaghi aveva aperto con Carlo Corradi, Vittorio Meroni, Carlo Peverelli e C. Vanossi il 5 ottobre 1947 (qualche passo di III). Scendemmo poi alla Bocchetta della Cengia e ci approcciammo ancora in discesa e per ganda alla scura parete nord del Pizzo Campanile. La via che avevo individuato saliva non proprio alla vetta ma alla contigua Quota 2445 m, sulla cresta di congiunzione con il Pizzo Martello. Circa a quota 2280 m eravamo alla base di quello di sinistra di due evidenti speroni divisi da un grande diedro sormontato da un enorme tetto rossastro. Il pilastro è solcato da un evidente camino. Attaccai il camino e lo salii interamente (V+, VI+, V, IV) per una quarantina di metri. Obliquammo poi leggermente a destra (III) e salimmo la faccia sinistra di un diedro obliquo a sinistra (IV+), raggiungendo (IV) una cengia. Da questa seconda sosta, obliquammo a destra (V), afferrammo una fessura e la salimmo (A2 o VI+). Continuammo sulla grande placca seguente con qualche spostamento (VI) per circa 30 m. Dalla sosta 3, con spostamenti alternati (V+, V, IV) raggiungemmo e salimmo un camino (III) uscendone a sinistra poco prima del termine per raggiungere e salire il camino successivo (III). Sosta 4 all’intaglio con un notevole spuntone. Scartammo la possibilità di uscita rapida sulla destra all’intaglio 2412 m e salimmo invece appena a sinistra del filo dello sperone (IV, V, V+, poi III). Dopo la quinta sosta proseguimmo più facilmente (II–) fino a raggiungere la sommità della Q. 2445 m c. della cresta ovest del Pizzo Campanile.
Ricordo molto bene che per qualche ragione su questa via dovetti impegnarmi parecchio, anche per la difficoltà di trovare il percorso. Faceva freddino, la chiamammo via Antarctica. La prima ripetizione sarebbe stata di Luca Balatti, Michele Bianchi e Maurizio Orsi, il 17 agosto 1992. Arrampicata assai varia e consigliabile, ma in ambiente molto severo e solitario, con dislivello di 180 m.
Il 5 ottobre 1985 fui invitato a partecipare come relatore a un convegno molto importante: “Montagna padre del Mondo” si tenne al Castello di Juval di Reinhold Messner. Gli altri relatori, oltre al padrone di casa, erano gli scrittori Alberto Bevilacqua e Viviano Domenici, Olga Ammann, Giulia Barletta, Roberta Simonis, Benedetto Mosca, Monsignor Carlo Ghidelli e il Lama Tenzing Gompo. La relazione che tenni (dal titolo La Montagna-Padre dentro se stessi) è leggibile in Metadiario – 196.
Da quel momento e fino alle vacanze di Natale le mie uscite si limitarono a quelle di arrampicata sportiva. Ecco qui di seguito il relativo elenco.
Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
«Quando salendo creavi il mondo» (Fosco Maraini).
Grazie Alessandro di avermi ravvivato i ricordi di quelle fantastiche avventure in Mesolcina. È stato per me, alpinista poco più che modesto, avere una totale esperienza creativa sulle amate montagne. Viverle, studiarle e divulgare le nostre esperienze è quanto di meglio avrei mai desiderato di come fare alpinismo.
Montagne e vallate di confine che hanno visto l’epico confronto di doganieri e contrabbandieri, cui sono legato da bellissimi ricordi di campeggi estivi in val bodengo e nella valle di darengo e gite invernali di scialpinismo in quel dei primi anni ottanta, valli e monti fuori mano di difficile accesso stradale, frequentate dalls gente del posto… Diversamente dagli altri racconti dei viaggi in Sardegna o nel sud Italia, il Gogna è rstremamente tecnico nel racconto delle esplorazioni fatte, poco ci dice dei contatti con la gente del posto dei personaggi incontrati di ambienti umani ecc…ci sarà un perché?
Ho appena soffiato via la polvere dal dorso per rileggermelo ! 😁👏👏
Certo!!
Perchè tutta questa esplorazione con tutte quelle prime , forse non è un alpinismo di ricerca ?!?!?
Per me si!!!
Bell’avventura e sicuramente molta gioia !
E così la relazione la Montanga-Padre dentro se stessi.
Bellissima la descrizione interiore della Mesolcina.
Mi perdoni Sign Benassi, ma quello non è il titolo di un libro di (o su) Gogna ???
Sono colpito da questa esplorazione straordinaria con un numero di prime salite impressionante.
L’attributo di “languido abbandono” è stupendo.
Un “Alpinismo di Ricerca”…racconti di bella e vissuta esplorazione. INVIDIABILE