Alle 13.43 del 3 luglio 2022, dopo settimane di caldo record, collassa parte del ghiacciaio di Punta Rocca della Marmolada. Crollano 63 mila metri cubi di ghiaccio e roccia, equivalenti a un grattacielo di 30 piani che viene giù a 80 metri al secondo. Soccombono 11 alpinisti (sette vicentini, una trentina, un trevigiano, e due cechi) e ne rimangono feriti 8.
Il 21 giugno 2023 è arrivata l’archiviazione dell’inchiesta da parte del GIP del tribunale di Trento. Per la procura di Trento è stata una strage senza colpevoli, l’inchiesta per disastro colposo viene archiviata. “Il distacco del seracco non era prevedibile dall’uomo, ma ascrivibile ad eventi della natura“.
Uno studio condotto da un team di ricercatori internazionali, coordinato dal prof. Bondesan dell’Università di Padova e Roberto Francese dell’Università di Parma, e pubblicato sulla rivista Geomorphology, ha confermato la connessione tra la tragedia della Marmolada e il cambiamento climatico.
Attraverso l’analisi delle immagini satellitari e aeree stereoscopiche precedenti e successive all’evento, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che “il distacco è stato in gran parte causato da un cedimento lungo un crepaccio mediano parzialmente riempito da un enorme volume di acqua di fusione indotto da temperature altamente anomale di fine primavera e inizio estate che hanno raggiunto i 10,7 °C al momento dell’evento”.
Il documentario
In occasione del primo anniversario della tragedia, la Tgr Rai di Trento ha prodotto “3 luglio 2022 – Marmolada”, un documentario realizzato dal giornalista Andrea Selva che ricostruisce la tragedia con immagini e testimonianze esclusive, per interrogarsi sul futuro della montagna nell’epoca del riscaldamento climatico. Il documentario ricorda le undici vittime e racconta il ghiacciaio morente crollato proprio nel momento peggiore, quando varie cordate di alpinisti stavano rientrando dalla vetta più alta delle Dolomiti. Il documentario (16 minuti e 30 secondi) sarà trasmesso su Rai3 alle 15.10 di oggi 3 luglio 2023. Sarà pubblicato anche su RaiPlay e sul sito internet della Tgr di Trento (www.rai.it/tgr/trento).
Messner: “La Marmolada non ci ha insegnato nulla”
(l’intervista all’alpinista a un anno dalla tragedia)
di Giampaolo Visetti
(pubblicato su La Repubblica del 2 luglio 2023)
«Sulle montagne dell’Europa, come in Himalaya e sulle Ande, l’alpinismo non c’è più. Il turismo l’ha sostituito. L’alpinismo non è uno sport: è cultura, l’incontro diretto con una natura ignota, con il pericolo, con la solitudine e con il silenzio. Solo questo, con la paura della morte, aiuta a capire cos’è la vita. La lezione della tragedia in Marmolada è che quanto successo, da qualche parte, si ripeterà. L’alpinismo lo sa e ne tiene conto, il turismo no ed è vittima della propria essenza di massa. Solo un salto di qualità culturale del turismo eviterà altre stragi: è tempo che la politica, consapevole dello sconvolgimento climatico, agisca concretamente». Reinhold Messner è a Canazei per le commemorazioni della sciagura che il 3 luglio di un anno fa ha causato 11 morti e 8 feriti. Il collasso del seracco sotto Punta Rocca ha trascinato a valle 63 mila metri cubi di ghiaccio e rocce: impossibile, per chi scendeva lungo la via normale che conduce ai 3343 metri di Punta Penìa, sottrarsi alle scariche di una bomba scagliata ad una velocità di 80 metri al secondo. Il tribunale di Trento non ha individuato colpevoli: secondo i periti, il crollo “è stato imprevedibile”. «Decisione – dice Messner a Repubblica – che condivido. Un alpinista esperto, avvicinandosi a quel seracco, si sarebbe potuto accorgere che il collasso era ormai inevitabile: ma nessuno poteva prevedere l’attimo esatto di quel crollo».
Ma sì è fatto qualcosa per contrastare le conseguenze del surriscaldamento climatico?
«Sulla Terra siamo 8 miliardi, il surriscaldamento accelera perché finora abbiamo scelto di alimentare con l’energia fossile la crescita dell’economia industriale. Dopo quasi due secoli di inconsapevolezza, oggi conosciamo le conseguenze di uno sviluppo che distrugge la natura. Gli accordi globali pro-clima però non vengono attuati: la Marmolada è il simbolo del treno da cui non vogliamo scendere».
Qual è rispetto a un anno fa la situazione in alta quota sulle Alpi?
«Il caldo continua ad aumentare. La neve della primavera si è sciolta in una settimana. Con i ghiacciai ora si scioglie il permafrost che li sostiene. Le rocce riemergono dopo secoli e si sgretolano. Le Alpi sono un ambiente sempre più fragile, più difficile e più rischioso».
Qual è l’impatto del cambiamento climatico sulle Alpi e su quanto resta dei ghiacciai?
«La catastrofe è più veloce. L’anidride carbonica prodotta da città e distretti industriali devasta la Terra là dove gli equilibri sono più delicati. Io vedo la quota di alberi e animali salire sempre più in alto. Il paesaggio è già irriconoscibile.
Presto, per lunghi periodi, non avremo più acqua. Nemmeno la visione quotidiana del disastro ci induce a investire sempre più nella ricerca scientifica e a cambiare radicalmente gli stili di vita».
Cosa si può fare per non rifugiarsi nel fatalismo che predica l’impotenza umana per rinviare ogni scelta?
«Per agire serve un governo mondiale realmente rappresentativo della popolazione. Non lo ha nemmeno l’Europa: vuole la pace, ma subisce una guerra. Anche il surriscaldamento del clima è un conflitto subito: chi distrugge non paga e non viene punito».
Il crollo in Marmolada ha chiuso l’era della sicurezza per l’escursionismo d’alta quota sulle Alpi?
«La sicurezza è un falso mito. Non c’è mai stata. L’alta quota è pericolo, come l’oceano. La montagna non è cattiva, c’è e basta, priva di volontà. Un alpinista tiene gli occhi aperti sul sentiero di casa: la comunicazione sull’escursionismo deve cambiare e dire la verità».
Anche l’escursionista della domenica deve cioè accettare il concetto di calcolo responsabile del rischio?
«Sì, non ci sono montagne sicure. Esistono la conoscenza e la preparazione personale. Senza questa cultura il rischio degenera in azzardo. È tempo che l’escursionista della domenica durante la settimana si prepari in modo responsabile».
Chiudere al pubblico i ghiacciai in agonia può salvare vite?
«Nonostante tutto, resto contrario alla montagna chiusa. È una delle ultime forze che, se toccata con mano, ci fa capire chi siamo. Solo se entriamo nella natura, comprendiamo cos’è. Si salvano vite accompagnando i giovani in alta quota: solo così possono passare dalle proteste alle proposte, costringendoci a cambiare».
Alpinisti e scienziati sono coinvolti nelle scelte che possono rallentare il collasso della montagna?
«Nessuno li ascolta, la politica li ignora. I tecnici sono pochi, i partiti seguono i voti e non i dati. Nessuno è innocente: in Himalaya studiavamo una settimana prima di posizionare un campo base, oggi si alzano tende e si costruiscono case dove conviene. L’amore per i ghiacciai è un sentimento in offerta speciale».
Scelte drastiche pro-ambiente possono allontanare le persone dalle montagne?
«Sì, ma ci sarà sempre qualcuno che ci andrà e che ci vivrà. Il coraggio non deve più spaventare, nemmeno la politica».
I cambiamenti climatici impongono cambiamenti anche a tempi e modi di frequentare la montagna?
«Consigliano un ritorno alle origini. Partire di notte, evitare il caldo, tornare al rifugio entro metà mattina. Prestare la massima attenzione al meteo e ai temporali. La montagna non apre quando parte la seggiovia».
Cosa la preoccupa di più nell’estate in corso?
«L’assalto del turismo non informato da chi lo sfrutta. L’Himalaya è un caso limite, ma anche le Alpi sono assediate da persone inconsapevoli di ciò che fanno. Un anno fa la Marmolada ci ha tragicamente ricordato cos’è una montagna, perché ne abbiamo bisogno: la scommessa che salire costringe a fare con la vita».
ALLORA I MORTI ERANO TUTTI TURISTI?
NESSUN ALPINISTA?
E CON IL CALDO ANOMALO NON SI VA SUI GHIACIAI?
IO O FATTO L’EDILE PER 30ANNI O LAVORATO 10 ORE AL SOLE CON 35 GRADI E NESSUNO MI A MAI DETTO CHE NON SI POTEVA.
OGNUNO FACCIA QUEL CHE VUOLE PRENDENDONE TUTTA LA RESPONSABILITA.
L’IMPORTANTE E NON FAR DEL MALE AD ALTRE PERSONE.
E QUESTO N9N E IL CASO.
Dati ufficiali 2022…. 504 vittime in montagna. Il 50% escursionisti, 9% ciclisti, 7/8% scialpinisti,5/6% alpinisti e 4% fungaioli poi malori vari.
Io abito in una valle del bergamasco che ogni fine settimana è bloccata dalla colonna di turisti montani che per 6/7/8 ore scendono la vallata in auto dopo le 15/16 del pomeriggio, e questo accade un po’ ovunque nelle vallate alpine. Un esercito di centinaia di migliaia, milioni di persone.
Io non mi stupisco che vi siano 500 morti l’anno di fronte a una tale invasione.
Il 3 luglio dell’ anno scorso ero seduto sul SAS de la Cruz quando e avvenuto il crollo in Marmolada, un sasso di discrete dimensioni e precipitato verso i prati sottostanti attraversando la via normale di salita senza colpire nessuno, e quel giorno le persone erano tante che salivano dalla normale.
Cosa facciamo?chiudiamo tutti i sentieri dove cadono sassi slavine o quant’altro?
Il rischio c’è e va accettato, altrimenti per la sicurezza dovremmo vietare ogni attività umana che comporti rischi, in primis il lavoro che uccide piu gente della montagna e via di questo seguito.
Penso a Patrik Edlinger morto cadendo dalle scale di casa (forse un po’ brillo) dopo aver stupito il mondo con le sue danze sulla roccia!
Vietiamo le scale nelle case?
..e messner cosa ci ha insegnato con le sue colate di cemento per i suoi mille musei?
.. con tutto il rispetto eh, però..da che pulpito!
Carlo, tu, a volte, meriti le risposte dì Cominetti.
Io non ho mai parlato dì divieti. Io sto solo dicendo dì non prendersela con il destino se a Luglio vai su ghiacciaio con quelle temperature.
Ossignore, qui si ipotizza divieti dettati da temperature… Ma quanta gente era sui ghiacciai alpini quel giorno di un anno fa??…tutti miracolosamente illesi?? E quando si dovrebbe andare visto che i punti di appoggio sono aperti da giugno a settembre??
È stato provato che il crollo non era prevedibile né probabile. Il rischio 0 non esiste….e non devono esserci divieti di alcun genere. Solo educazione, quella si è sempre più indispensabile
Messner ha perfettamente ragione, nella sua introduzione. Crovella ha ragione nel suo commento. Io, da ex alpinista ed ex free climber ( lo dico perché Crovella cita i climber da 9a) dico che non si va su un ghiacciaio a luglio con quelle temperature. Stop. Il resto, chi se la prende con il destino o con la mancata disinformazione cerca solo scuse. Non è‘ la montagna che deve preinformarci ma siamo noi a dover, sempre, applicare le regole dì sicurezza che conosciamo da una vita. Con certe temperature su ghiacciaio non ci si va. In questo senso la Marmolada non ha insegnato nulla. Altro che fatalità’. Detto questo non mi accaniro’ mai con chi ha preso decisioni sbagliate. Tutti abbiamo preso e prenderemo decisioni sbagliate, ma quando accadrà’ dovremo avere il coraggio dì riconoscerlo, non dì scaricare la colpa sul destino o su altri.
E concludo sperando che questa estate forse più’ mite salvi tutti da destini infausti.
Chi sfrutta questa tipologia di turismo del tutto e subito, non solo si guarda bene dall’informare (sia mai che se ne tornino al mare), ma spinge sulle istituzioni il più possibile per offrire una montagna sempre più addomesticata e simile alla città. L’unico interesse è rivolto ai numeri che devono essere sempre in crescita, in linea con il mantra che ci vede tutti, bene o male, partecipi di questa follia collettiva che non ammette altre strade.
Les risques objectifs devenant de plus en plus importants, il incombe à chacun de bien réfléchir avant de s’engager.
@7
???
Stamani il mare era mosso e non c’era nessuno in acqua. Ma non era un segno di prudenza, vuol dire che molti non sanno più nuotare. Come i turisti in montagna senza conoscere la montagna.
….oppure leggere chi afferma che siccome gli altri hanno o stanno inquinando…si continui a farlo!!
@1 dal 3 giugno al 14 a Kyoto nel 1992 si è tenuta la prima conferenza mondiale sul clima. Dissero che il pianeta si stava riscaldando molto velocemente per cause in gran parte antropiche. Dissero di guardare alle coste e alle alte quote per verificarlo. Ad oggi, persino in un blog di montagna c’è chi nega non solo che sia colpa nostra, ma addirittura che non ci sia riscaldamento ….la vedo dura che si cominci a far qualcosa. La prendo come una suprema prova di intelligenza umana, quella che ci porterà a sparire da questo Pianeta
Di errori, sbagli (non volontà precostituita a delinquere), di errori tutti ne abbiamo nel tascapane. Inutile fare i puri! Saremmo falsi.
Ma le parole di R. Messner, che vivrà anche lui da nababbo come tendono a fare la stragrande maggioranza delle persone di queste zone, quelle parole che mettono l’accento sulla differenza tra turismo e alpinismo sono verità – direi io, senza miti – verità assoluta. Da tenure presente quando fatti come questi, e ci metterei anche i morti in quel sommergibilino a curiosare sul Titanic. Tendenza del turismo preconfezionato da operatori che non sanno o non vogliono valutare effetti e conseguenze. Valutate le tendenze incorregibili di questa nostra fase di civiltà, in questa parte del nostro mondo, è meglio, di fronte a eccessi come questi e simili, mettersi dalla parte di chi ci sa ragionare con qualche sprazzo di relativa sanità mentale. Memo la cidità di un Vecchio Plinio e pochi altri, ad esempio.
FONTE ANSA (oggi): Il crollo del seracco di Punta Rocca, a quanto riportato nella perizia tecnica firmata da Carlo Baroni (Università di Pisa) e Alberto Bellin (Università di Trento), con il contributo di altri tre docenti universitari e un ricercatore del Cnr, è stato causato dalle “temperature elevate registrate da metà giugno”.
Da metà giugno 2022, le temperature in vetta hanno raggiunto i 10,7 gradi centigradi, con “una riduzione di circa sette centimetri al giorno” del ghiacciaio. Ma gli esperti non indicano le alte temperature come la sola causa del crollo: negli strati più profondi del ghiacciaio vi erano infatti crepacci e fratture. La stessa area di Punta Rocca è una porzione distaccatasi dal ghiacciaio principale nel 2012.
FONTE AGI (oggi): Domenica 3 luglio 2022 era una giornata molto calda, a fondovalle c’erano 38 gradi e sulla ‘Regina delle Dolomiti’ la colonnina di mercurio da alcuni giorni non scendeva sotto lo zero.
Morale: saper andare in montagna non ha niente a che fare col saper scalare sull’9a o sciare sui 55 gradi. Saper andare davvero in montagna significa saper prendere le decisioni “giuste” con il contesto circostante. Nessuno avrebbe saputo prevedere il giorno e l’ora del distacco, ma il solo esser lì sul ghiacciaio in quei giorni e con quelle condizioni non era “prudente”. A prescindere dall’effettivo distacco.
Se non si cresce in questo risvolto, eventi del genere sono destinati a ripetersi. E mi pare che non ci sai la diffusa voglia di crescere di consapevolezza … Per cui prepariamoci ad altre disgrazie del genere: è solo questione di tempo.
Se volete stupirvi scoprendo lo spirito romantico del giovane Reinhold, leggete il suo Ritorno ai monti.
Beninteso, nell’edizione originale Athesia.
Gentile Cominetti, anche a me piace dormire, e molto!La considero la prima forma di allenamento e benessere, ma stamattina non è stato così! Quella lettura mi ha acceso la giornata!
Scusa e scusate se ho urtato la sensibilità di qualcuno. Ripeto, come ho scritto, era solo una blanda provocazione!
Lungi da me dire agli altri cosa devono fare…..
Ora è meglio che vada a lavorare…
Ci tengo a precisare che né io né Andrea (Parmeggiani), pur essendo entrambi di Modena, siamo mai andati in coppia sulla Marmolada con la guida Cominetti. ???
RED Hot Chili Peppers, scusate la svista imperdonabile.
Casali, come sarebbe a dire che sono “già ” le 7.30?
Ti arroghi il diritto di stabilire a che ora è giusto svegliarsi per essere dei veri uomini? Dei veri alpinisti? Di quelli che se di svegliano presto fanno comunque la cosa giusta?
Stamattina ho messo la sveglia alle 8 e quando ha suonato avrei dormito ancora un paio d’ore di sicuro. Scusate se racconto i fatti miei ma a me dormire piace e ieri sera ero andato a letto alle 21.15. Mia figlia è rientrata a casa stamattina alle 5 dopo il concerto a Milano degli Hot Chili Peppers e da Milano a casa nostra sono ca. 5 ore di macchina. Dormirà almeno fino a mezzogiorno perché poi dovremo andare a fare una vietta (se non piove) sul Lagazuoi.
Siccome pare che smetta di piovere verso le 9 di stamattina, alle 11 dovrei andare a scalare alle 5 Torri con dei clienti.
Sulla Marmolada d’estate per la normale non vado da anni perché pestare neve marcia con dei sacchi di patate (se non sbaglio li ha chiamati così Matteo nel post su Profut poco fa) legati alla corda non mi piace più. Peccato, solo perché mi faceva piacere passare dal mio amico Guido Trevisan al Pian dei Fiacconi, ma una valanga gli ha distrutto il rifugio (inclusa cestovia che però non era sua) e ha dovuto traslocare. Poi a Punta Penia c’è quell’orco (nel senso buono) di Budel che una volta mi ha sgridato perché ero appena arrivato in rifugio con una coppia gay di Modena che stavano prendendo fiato prima di pensare a mangiarsi qualcosa e lui ha sbottato dicendomi che noi guide dovevamo “educare” i clienti a consumare nei rifugi. Cosa che i due poi hanno fatto nonostante io gli avessi appena suggerito di non prendere niente perché il gestore era un cafone e che ci saremo ingozzati al Pian dei Fiacconi dove tra l’altro la cucina era sopraffina mentre a punta Penia era solo “sopra”.
Poi però pensavo che se erano stanchi avremmo rischiato di più scendendo e allora che si magnassero un po’ quello che cazzo volessero.
Insomma, certe giornate qui è così che vanno.
E anche Messner avrà le sue. Un po’ come tutti.
R. Messner nell’articolo ha centrato alcuni punti fondamentali a me cari:
-La libertà di andare in montagna, più o meno consapevolmente
-L’inazione dei Governi verso il cambiamento climatico
-Limitare il turismo di massa in aree fragili, soprattutto se inconsapevole
-Educare, educare, educare, i giovani!
Non condivido altre posizioni di R.Messner, ma questo signore ha vissuto e visto cose che noi mediocri alpinisti (parlo per me) abbiamo solo letto. Quanto ha vissuto è molto di più di quanto ha scritto. Ha sempre dimostrato sensibilità altra la vetta di una montagna. Va ascoltato. E possibilmente non giudicato, come per chiunque.
La mia è una blanda provocazione, noi “vecchi” (parlo sempre per me) abbiamo vissuto e visto un’altra montagna, più grezza, meno comoda, un po’ più stabile climaticamente….ma possiamo raccontarlo e chi verrà dopo. Questo mi piacerebbe.
Io sono d’accordo in tutto ma a quell’ora in quel posto doveva esserci al massimo qualche incauto ritardatario e non tutte quelle persone . Se la frana fosse successa entro le 10 – 11 del mattino o durante le ore notturne allora sarebbe stato difficilmente prevedibile se non prendendo atto che da giorni le temperature erano troppo alte anche di notte.Condivido con Messner in montagna non bisogna andare come turisti es. l’Everest!!!
Reinhold Messner ha realizzato piú di cento spedizioni in quasi tutto il globo terrestre: Himalaya, Karakorum, Ande, Antartide, Groenlandia, Kilimangiaro, Caucaso, Nuova Guinea, deserto del Gobi, eccetera eccetera.
Ha volato chissà quante volte (cinquecento? mille?), con aerei di linea o no, in giro per tutto il mondo.
Ha pubblicizzato i fucili Beretta e la casa automobilistica Opel.
Adesso ci dice: “L’alpinismo non esiste piú. […] Non vogliamo scendere dal treno. […] Dobbiamo [dovete] cambiare radicalmente gli stili di vita”.
Lo dice ora che ha settantanove anni, che per l’età non è piú alpinista ed è “sceso dal treno”.
Reinhold Messner, proprietario di almeno tre castelli e residente in un castello, dopo tutto quel po’ po’ di vita ci dice che dobbiamo cambiare stile di vita.
Sono già le 7,30!siete tutti a dormire!
Ancora nessun commento a questa testimonianza esemplare di R. Messer?
Bene, allora siamo tutti d accordo. Mi fa piacere. Dobbiamo agire!
Grazie