Concluso il V Plenum del Partito Comunista Cinese. Autarchia tecnologica, spinta su lavoro e consumi interni. Le riflessioni di Carlo Crovella e di Marco Lupis.
Uscita dal virus: modello democratico e modello autoritario
di Carlo Crovella
Nelle scorse settimane si è dibattuto sulla priorità della fuoriuscita dalla pandemia: meglio privilegiare la rapidità di tale movimento, magari a scapito delle libertà, o meglio tutelare le libertà, magari a scapito della velocità di ritorno alla normalità?
E’ il tema chiave del momento. Nella crisi pandemica ci sono infatti tre crisi una dentro nell’altra: c’è una crisi sanitaria (contagiati, decessi, ospedali intasati, ecc.), poi c’è una crisi economica che sconfina nel disagio e nel malcontento sociale (proteste di piazza, inizialmente legittime, ma che costituiscono ghiotte occasioni per i professionisti del vandalismo) e, infine, c’è una crisi di modello socio-politico.
Le democrazie occidentali (Usa più Europa) sono in chiaro affanno. Non dipende dall’incapacità dei governanti, ma si tratta delle conseguenze stesse del modello democratico, più lento e farraginoso nelle sue dinamiche interne.
Lo dimostra la constatazione che la crisi imperversa in tutte le democrazie, a prescindere dai governi in carica. Abbiamo governi di destra populista (Trump), governi conservatori (Johnson in UK), governi di centro moderato (Macron e la Merkel) e anche governi di centro sinistra (Conte 2 in Italia e Sanchez in Spagna). Eppure la pandemia ha dilagato. Non è un problema di “meglio destra o sinistra?”, né è un problema di specifica incapacità dei personaggi, perché non è realistica l’ipotesi che, in contemporanea, siano stati eletti solo degli incapaci (tra l’altro di schieramenti politici diversi).
Si tratta quindi di una crisi di sistema. Laddove una dittatura esce velocemente dalle crisi perché impone “manu militari” le decisioni anche a miliardi di cittadini-sudditi, un modello democratico è più lento e contraddittorio. La democrazia presuppone compromessi, dibattiti, marce indietro, contrapposizioni di poteri (in Italia si pensi al dualismo Governo-Regioni), tentativi, errori e successive correzioni.
Sono tutti risvolti che dobbiamo mettere in conto e anzi dobbiamo quasi “coccolare” perché sono la conferma che viviamo in una vera democrazia.
Ovviamente la vischiosità interna dei modelli democratici allunga i tempi e crea problemi aggiuntivi sia in termini di sofferenza sanitaria vera e propria sia in termini di sofferenza economica. Io temo che il 2021 sarà un anno di complessiva difficoltà, con la spada di Damocle di continui lockdown (locali/nazionali, selettivi/generali, ecc.) e non escludo che gran parte del 2022 potrebbe ancora essere difficoltoso.
Mi portano a queste conclusioni sul cronoprogramma alcune valutazioni inerenti alla diffusione dell’eventuale vaccino per il CoViD-19. Si legge che il vaccino potrebbe essere depositato a fine 2021, ma il problema dell’efficacia dello stesso è connesso ai tempi di produzione e di distribuzione. Ho letto che difficilmente si riusciranno a produrre più di 200 milioni di dosi di vaccino al mese. Poiché l’immunità di gregge innescata dal vaccino si raggiungerà a partire dal 60% dell’intera popolazione popolazione mondiale (oggi stimata in 7,5 mld di individui), significa che occorre vaccinare circa 4 mld di persone. A botte di 200 milioni mensili, l’operazione richiederà 20 mesi, ovvero quasi due anni dall’inizio della vaccinazione. Oggi si stima che, nella migliore delle ipotesi, si inizierà a vaccinare nella primavera 2021 (privilegiando le fasce cosiddette a rischio) per cui il periodo critico potrebbe estinguersi solo a inizio 2023. Probabilmente saremo un po’ più fortunati e, quindi, potremmo pensare di concludere la pandemia per l’estate 2022. Significa comunque un anno e mezzo abbondante rispetto a oggi.
I modelli democratici non potranno accelerare tale trend e vivremo quindi i prossimi 18 mesi in una fase di tensione molto simile a quella attuale: periodiche ricadute in situazione di ospedali sotto pressione, possibili misure restrittive che colpiranno in modo disomogeneo gli operatori economici (es: ristoratori chiusi a intermittenza mentre i dipendenti a tempo indeterminato non dovrebbero registrare riduzioni dello stipendio). Le tensioni sociali potrebbero prolungarsi e, a ogni giro, inasprirsi.
C’è il rischio che di fronte a una eventuale confusione istituzionale molto intensa, si profili all’orizzonte il classico “uomo forte”, che prenderà in mano la situazione. Sarà forse la stessa popolazione, estenuata da mesi di difficoltà, che si darà in pasto all’uomo forte e le alte sfere non impediranno di certo un fenomeno del genere.
Se fate mente locale, proprio cento anni fa andò cosi: allora si collegarono uno dopo l’altro tre grandi crisi (la Prima Guerra Mondiale, l’epidemia della spagnola e il biennio rosso ’19-21) e all’orizzonte si palesò un personaggio che, guada caso, governò l’Italia per il ventennio successivo, con l’accondiscendenza – almeno iniziale – delle grandi sfere (latifondisti e possidenti impauriti dal biennio rosso, Monarchia, Vaticano…
Oggi il quadro è completamente cambiato, per fortuna. Le democrazie occidentali sono molto più robuste di allora, ma l’ipotesi di una possibile deriva autoritaria è tutt’altro che peregrina. Sta a noi cittadini saper pazientare per uscire in modo democratico dalla pandemia in essere.
Cosa possiamo fare come semplici cittadini? Rispettare alla lettera ogni disposizione di sicurezza e, anzi, autoimporci dei lockdown personalizzati. Questo sia per ulteriore eccesso di sicurezza sia come manifestazione di serietà verso chi naviga in cattive acque. I “famosi” sciatori in coda serrata a Cervinia hanno infranto entrambi questi concetti: hanno realizzato un assembramento e hanno dimostrato che esistono ancora molti cittadini in grado di permettersi skipass “regali”, quando altri concittadini sono costretti a chiudere bottega. Questi affronti appesantiscono le rivendicazioni sociali, siano esse poi “legittime” o sconfinanti in atti di vandalismo. Evitiamo queste situazioni: a prescindere dal proprio portafoglio, teniamo un comportamento molto low profile fino all’uscita totale dalla pandemia.
Ogni rinuncia di oggi aiuterà la tenuta del sistema democratico: più stiamo tranquilli e più velocemente torneremo tutti quanti alla vita normale, archiviando il rischio di uomo forte all’orizzonte.
A proposito di uomo forte, c’è un altro problema nel problema. Differentemente da cento anni fa, non è detto che l’uomo forte del terzo millennio sia un singolo individuo e cittadino del Paese in crisi. Non dimentichiamoci che c’è stata la globalizzazione e ora tutto il pianeta è un grande paese. Di conseguenza il salvatore della Patria potrebbe rivelarsi un potenza straniera, che ci porta il “suo” ordine da noi, ma così facendo ci invaderà e ci colonializzerà.
E’ il tassello finale del ragionamento del momento. La Cina ha dimostrato di essersi “ripulita” dal virus in meno di un anno: le statistiche economiche sono migliori di quelle dell‘estate 2019, i consumi interni tirano a meraviglia, i ristoranti sono affollati e così via. La rinnovata forza della potenza cinese sta rinvigorendo le sue velleità imperialiste: il citato “uomo forte” all’orizzonte delle democrazie occidentali (in caso di avvitamento della crisi) potrebbe essere costituito proprio da Pechino.
A leggere i reportage che giungono in questi giorni dalla Cina (e di cui l’articolo in calce è un esempio chiarificatore), la situazione ci deve davvero far paura: la Cina è forte mentre la profonda debolezza dell’Occidente potrebbe prolungarsi per molto tempo ancora. Nei prossimi 18 mesi la partita sarà impari: da un lato una squadra che ha pienamente recuperato i titolari e dall’altra una squadra zoppicante, divisa al suo interno, con i giocatori infortunati, sfiduciati e delusi.
Non sto dicendo che avremo subito i carri armati cinesi nelle nostre piazze. Quelli, eventualmente, arriveranno molto dopo. La colonizzazione sarà di tipo economico, ma non sarà meno dolorosa, perché i gangli vitali del nostro modo di vivere potrebbero passare in mani cinesi e questo cambierà profondamente il nostro modo di vivere.
A chi mi obietta che, da molto tempo ormai, siamo “invasi” da prodotti cinesi, rispondo che si tratta di due fenomeni significativamente differenti. In passato i prodotti di provenienza cinese derivavano da scelte di delocalizzazione produttiva per i minori costi del lavoro. In un domani potremmo invece vedere i capitali cinesi che, approfittando delle crisi (a livello del quadro generale o di singole aziende) potrebbero acquistare intere nostre imprese e da lì “comanderanno” la nostra esistenza.
Faccio un esempio pratico per chiarire meglio l’analisi. Prendo ad esempio l’azienda di moda Prada: è un esempio qualsiasi. In passato, era il consiglio di amministrazione di Prada che decideva di far produrre le borse in Cina per i minori costi di produzione, poi le importava e ci metteva sopra il marchio prima di distribuirle nei nostri paesi. Questo modello era frutto di una decisione presa dall’azienda in occidente, non in Cina. Ora invece potrà capitare che saranno i cinesi che, approfittando delle varie debolezze, compreranno le nostre aziende, magari la stessa Prada (ipotizziamo questa eventualità). In un domani il consiglio di amministrazione di Prada sarà composto da cinesi o in ogni caso da esponenti della nuova proprietà e tutti costoro decideranno secondo la “loro” mentalità, non la nostra. Moltiplicato per “n” aziende occidentali, questo fenomeno è il primo passo della vera colonizzazione cinese a nostro scapito.
Infatti se le nostre principali aziende (da FCA a Barilla, da Ferrero a Geox) dovessero mai diventare tutte di proprietà “cinese”, chissà cosa succederà anche nella nostra spicciola vita di tutti i giorni. Magari i nuovi proprietari imporranno orari di lavoro secondo standard “cinesi” anche negli stabilimenti europei. I nostri concittadini si ribelleranno, in nome della democrazia e delle leggi in vigore. Ebbene i padroni cinesi non avranno tanti scrupoli e li licenzieranno per “importare” (forse sarebbe meglio dire “deportare”) mano d’opera dalla Cina. Così sta accadendo in Africa Orientale da almeno una decina di anni, dove la Cina sta costruendo infrastrutture (porti, aeroporti, ospedali, scuole, ecc.) ma anche quartieri dove stipare i suoi sudditi-cittadini “spostati” in tale area per alimentare le attività cinese ivi insediate.
Finora (cioè prima della pandemia) l’Occidente ha dato prova di forza e la Cina non ha affondato il colpo nei nostri confronti. Ora noi siamo in fase di profonda debolezza per il CoViD-19 e loro invece sono di nuovo forti.
E, dulcis in fundo, la colonizzazione economica da parte dei cinesi potrebbe eventualmente aprire le porte a una successiva colonizzazione militare in senso stretto, cioè carri armati cinesi a presidiare le nostre piazze. Per ora è un’eventualità molto remota, ma le relative probabilità di concretizzazione sono molto più consistenti di quelle che erano un anno fa (cioè pre CoViD-19).
Starà a noi singoli cittadini di stati democratici comportarci in modo tale da fugare ogni possibile chance di tale ipotesi futura: attuare comportamenti “prudenziali”, per esempio rinunciando a occasioni d’intrattenimento con gli amici, anche se in prima persona non si appartiene a fasce di rischio, è il nostro piccolo contributo per evitare l’avvitamento della crisi di sistema e la possibile deriva autoritaria che potrebbe poi prendere il sopravvento.
Rinunciamo oggi a piccole quote di libertà individuale – magari autoimponendoci dei lockdown volontari in determinate situazioni – per conservare domani la libertà nel senso più ampio della parola.
Chissà se sapremo imparare a comportarci da oggi in avanti? Molti dubbi agitano le coscienze dei pensatori. Umberto Galimberti, noto filosofo e psicanalista, editorialista dei più importanti quotidiani italiani, sul Corriere della Sera ha scritto proprio di recente: Quando l’emergenza CoViD-19 passerà, «riprenderemo la nostra vita con la foga del drogato per cui è finita l’astinenza», senza aver imparato nulla. E nel frattempo, nonostante una pandemia che fa «200 morti al giorno», continuerà a guidarci «l’individualismo sfrenato» che contraddistingue una società che «non ha mai avuto il senso di comunità».
E’ questo il vero tallone d’Achille delle democrazie occidentali: l’individualismo sfrenato che, accentuato da decenni di società consumista, ha sfrangiato completamente il “senso di comunità”.
Per contrapporci all’eventuale invasione cinese dovremo recuperare il senso della comunità, cioè fare squadra e camminare insieme, non ciascuno per conto suo. Altrimenti il prezzo lo sappiamo già quale sarà: laggiù in fondo al viale, piccoli piccoli ma già visibili, ce lo ricordano i carri armati cinesi.
La Cina accelera e progetta il futuro, mentre il mondo resta al palo
di Marco Lupis
(pubblicato su huffingtonpost.it, il 30 ottobre 2020)
Che il quinto Plenum del Partito Comunista Cinese fosse foriero di importanti novità per il futuro del gigante asiatico lo si era già capito dalle premesse dell’apertura, lunedì scorso, ma più ancora dalla decisione – piuttosto irrituale per i cinesi – di indire stamattina una conferenza stampa ufficiale per annunciarne nel dettaglio le decisioni, con la maggiore risonanza mediatica possibile. Ed è emerso così un Paese che schiaccia sull’acceleratore dell’economia, respinge il “decoupling” con gli Usa, riduce drasticamente la disoccupazione e punta sempre di più sulla “autosufficienza tecnologica”. Mentre il resto del Mondo resta al palo.
Un programma per futuro a tutto campo, dove non mancano le rassicurazioni e le aperture “verso l’esterno” sui temi importanti del dibattito internazionale: “Siamo disposti a lavorare con il mondo sui cambiamenti climatici, i cambiamenti energetici, la salute pubblica e supportare gli esperti globali nei loro studi, completare il perfezionamento del sistema legale cinese, proteggere meglio la proprietà intellettuale e cercare di creare un ambiente ospitale per l’innovazione tecnologica in Cina”, ha detto Wang Zhigang, ministro della Scienza e della Tecnologia; uno dei protagonisti di questa assemblea plenaria.
Neppure la ribelle Hong Kong è stata dimenticata: “il governo centrale sosterrà ulteriormente Hong Kong per “consolidare e migliorare” il suo vantaggio competitivo nel corso del 14 ° piano quinquennale” ha assicurato Han Wenxiu, vicedirettore della Commissione Centrale per la Finanza e l’Economia, “Lavoreremo perché Hong Kong diventi un centro internazionale di innovazione e tecnologia e creeremo una piattaforma funzionale per la Belt and Road Initiative”.
Insomma, Xi Jinping e i suoi procedono a vele spiegate nella loro lunga marcia verso la definitiva realizzazione del “socialismo con caratteristiche cinesi”, sicuri di ottenere presto il risultato di garantire a tutti i cinesi quella che Xi ha definito più volte una “moderata prosperità”, apparentemente incuranti della devastante crisi economica globale e solo marginalmente “sfiorati” dalle difficoltà dovute al CoViD-19. In questo rivendicando la loro capacità di gestire la pandemia: “Grazie alle nostre misure rigorose, questi problemi sono stati alleviati”, ha dichiarato sul punto il potente vicedirettore della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme (NDRC), Ning Jizhe. Il quale ha anche sciorinato i positivi risultati della lotta alla disoccupazione, che invece di essere aumentata, è diminuita significativamente, passando dal 9,2 per cento dell’inizio dell’anno al 5,4 per cento di settembre. Un risultato tanto più stupefacente in quanto raggiunto malgrado le difficoltà create anche in Cina dal CoViD-19, tra cui la disoccupazione tra i lavoratori migranti del paese e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.
Scartato invece come “irrealistico” il ventilato de-coupling, cioè il “disaccoppiamento”, ovvero la separazione totale tra le due economie più forti del Pianeta, quella cinese e quella americana. Nel corso della conferenza stampa post-Plenum, sempre Han Wenxiu ha definito “irrealistico” un de-coupling totale, dicendosi sicuro che “nessuna delle due nazioni, né il mondo intero, potrebbero trarne benefici. Per raggiungere la modernizzazione socialista entro il 2035″, ha detto, “serve un ambiente esterno stabile”. “L’apertura è una scelta inevitabile per il progresso. Abbiamo fiducia nelle riforme, nelle aperture e nell’innovazione”, ha concluso Han. “Se ci affidiamo a queste tre priorità possiamo raggiungere gli obiettivi che ci siamo fissati per il 2035″.
Resta in sostanza confermata la traiettoria che si era intravista nei giorni scorsi, all’inizio del plenum: autarchia tecnologica, innovazione, rafforzamento dei consumi interni, ma il tutto inserito in una strategia “duale” di doppia circolazione, che punti allo sviluppo del mercato interno ma coinvolgendo allo stesso tempo l’esterno, confermando inoltre l’obiettivo dell’ammodernamento delle aree rurali – dove ancora permangono vaste sacche di povertà – e di conseguenza la limitazione del divario economico tra le ricche città costiere e le ancora sottosviluppate aree interne: il principale cruccio del Partito, che sul punto ammette di non essere ancora riuscito a completare la sua missione.
Manca per ora all’appello, tra le decisioni prese da questo quinto plenum del Partito Comunista Cinese – l’organizzazione politica più potente al Mondo – l’atteso versante delle novità sul piano politico e degli equilibri all’interno della leadership, probabilmente rimandati a un futuro molto prossimo.
Ci si aspettava, infatti, che questo plenum ratificasse la consacrazione del già potentissimo Xi a presidente a vita della Cina, attraverso la “revisione del regolamento riguardante il lavoro del Comitato centrale del PCC”; nella pratica estendo il suo potere oltre i limiti – già amplissimi – che furono di Mao. Storicamente, infatti, le riunioni plenarie del Partito sono state spesso l’occasione per questo tipo di decisioni; nel 1978 il terzo Plenum del Partito comunista cinese vide la consacrazione di Deng Xiaoping, e fu proprio nel corso del Plenum del 18 ottobre 2010 che lo stesso Xi Jinping venne eletto vicepresidente della potentissima Commissione militare centrale.
Forse Xi non vuole spingere ulteriormente sull’allargamento dei suoi già vastissimi poteri, fino al raggiungimento di quello status “imperiale” che molti osservatori già gli attribuiscono, ma l’effettivo raggiungimento del quale potrebbe nuocere alla sua immagine internazionale – e di conseguenza a quella della Cina – già compromessa dalle accuse americane sull’origine della pandemia e la crescente ostilità dell’opinione pubblica occidentale, colpita dall’oggettiva constatazione che la Cina è stato l’unico Paese a ad aver risentito pochissimo – o addirittura ad avere tratto beneficio – della tragedia del CoViD-19.
Di fatto Pechino prosegue senza tentennamenti né battute d’arresto – malgrado il difficilissimo quadro internazionale – verso il suo “luminoso futuro socialista”, forte di una crescita del Pil che già sfiora il 5%, di una disoccupazione – come si è detto – in forte calo e scommettendo su un’autonomia e una leadership tecnologica che difficilmente qualcuno potrà ostacolare o soltanto insidiare. E tutto questo senza la benché minima apertura alla democrazia e ai diritti individuali, mantenendo più che mai saldi il controllo pervasivo sui cittadini, sulla stampa e sulla censura.
E gli altri, stanno a guardare.
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https://youtu.be/65QZ8o5Yz1Y
Ascoltatela se già non la conoscete. È del 1969 ma è attualissima. Profetica.
Mai stato in Cina, vero Lusa?
Difficile concentrare in una sola frase più stereotipi assolutamente svincolati dalla realtà di così!
Salà dula anche pel Clovella!
Preparatevi a tagliarvi i capelli e a farvi crescere il codino, la Cina si avvicina….
Ve la scordate la movida, gli apericena, le chiacchere al bar e gli scioperi se arrivano i rossi dagli occhi a mandorla.
Non è detto che i cinesi punteranno solo a comperare grandi aziende come Prada & C, hanno già iniziato da tempo con le infrastrutture come, per esempio, con i porti:
https://formiche.net/2020/01/cina-porti-europa-mensi/
Ora stanno già acquistando le tabaccherie, sull’orlo del fallimnento, come sta accadendo a Milano:
https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/19_novembre_18/02-milano-sche1corriere-web-milano-f01941b2-09cb-11ea-bb7c-d14e3a07c9b7_preview.shtml?reason=unauthenticated&cat=1&cid=VJBDlzxz&pids=FR&credits=1&origin=https%3A%2F%2Fmilano.corriere.it%2Fnotizie%2Fcronaca%2F19_novembre_18%2F02-milano-sche1corriere-web-milano-f01941b2-09cb-11ea-bb7c-d14e3a07c9b7.shtml
Che il 2021 (almeno) sarà un anno difficile e complicato lo confermano dal CTS:
https://www.huffingtonpost.it/entry/ippolito-il-virus-restera-per-almeno-tutto-il-2021_it_5fa40633c5b69c36d952d12c
Mettiamoci l’elmetto da Sturmtruppen e puntiamo ad andare oltre la tempesta, cinesi permettendo.
Questa volta sono abbastanza d’accordo con Carlo Crovella. In toto, devo dire.
Non voleva essere condiscendenza, ma semplice Realpolitik, sia nei confronti della Cina che del virus
Matteo, io non voglio mettere nulla e tantomeno stilare classifiche delle sofferenze dei popoli.
Solo rimarcare come anche il governo cinese non si astenga da interferenze comunque violente.
E’ che mi ha alquanto sorpreso la condiscendenza espressa al punto 2 del tuo primo commento, venendo da uno così attento alla libertà come te (almeno, così ho inteso io).
Questo perchè, personalmente, non ho buoni pensieri riguardo a quale sia per il governo cinese il ruolo della Cina nel mondo e alle relative implicazioni per le democrazie occidentali.
P.S. Lo stesso errore sugli asintomatici mi sa che l’ha fatto anche il dottor Manera nella sua intervista 🙂
Balsamo, vuoi mettere con quello che hanno provato in Afganistan, Iran, Vietnam, Serbia, Chile, ecc.
Scrivendo veloce ho mescolato asintomatici, paucisintomatici e un po’ raffreddati in un unico 95%…diciamo tutti quelli che non avvertono differenze dall’anno passato!
Questo non lo so però se vuoi approfondire basta che cerchi su Facebook sotto “Pillole di ottimismo”.
In ogni caso la percentuale di pazienti gravi rimane pressoché inalterata al 5% come attestato da svariati studi.
Antonio, per calibrare opportunamente, sarebbe necessario sapere su quanti tamponati o sierologicizzati. Hai il dato? Merxi.
Aggiungo, per precisione, che sintomatici severi non significa terapia intensiva.
Di quel 4,8% una parte va in intensiva e l’altra no.
@2
Secondo uno studio che mi è sembrato ben fatto (dott. Spada Humanitas) gli asintomatici veri sarebbero il 59,3%, i paucisintomatici e i sintomatici lievi un altro 35,4%, i sintomatici severi il 4,8% e i morti il 0,5%.
Ovviamente è tutto in evoluzione.
Mi viene qualche dubbio su cosa possano pensare in Tibet, a Taiwan e a Hong-Kong in proposito alla non interferenza da parte del governo cinese…
Ho qualche dubbio anche sul fatto che il 95% dei malati di COVID siano asintomatici. C’è uno studio in merito ?
Due sono gli assunti che non mi convincono nel ragionamento di Carlo:
1 – che la Cina si sia effettivamente ripulita e non abbia semplicemente modificato la propria e altrui percezione dell’epidemia tramite un’accorta regia delle comunicazioni (minimizzare gli effetti di una malattia per cui più del 95% dei malati sono asintomatici non mi pare poi così difficile…e forse nemmeno così sbagliato!)
2 – che un eventuale futuro vaccino sia realmente efficace (cosa che non è per niente garantita viste le caratteristiche della malattia: i vari vaccini antiinfluenzali quando va bene danno una copertura del 60%)
Io credo che la realtà sia che dobbiamo imparare a convivere con il Covid esattamente come con l’idea che la Cina assuma nel mondo il ruolo che le compete, perché, che ci piaccia o no, andrà così.
E riguardo alla Cina, tutto sommato forse potrebbe non essere nemmeno così male: non è mai successo che i cinesi interferissero con governi stranieri con colpi di stato o bombardandoli perché non allineati (anche se questo non significa necessariamente che non lo facciano in futuro, però…)