Giovanni Baccolo, studioso di glaciologia e climatologia fresco fresco di dottorato, dopo aver letto su GognaBlog l’articolo Innevamento artificiale: economia salva ma fine delle emozioni?, si è imbattuto in un articolo comparso sulla rivista internazionale The Cryosphere, tra le più prestigiose nel campo della glaciologia, che ha subito pensato potesse e dovesse mettersi in relazione con il primo. Il titolo del lavoro è How much can we save? Impact of different emission scenarios on future snow cover in the Alps. (qui è l’abstract; qui invece è il pdf integrale)Nel lavoro è presentata una stima della quantità di neve prevista durante i mesi invernali in alcune delle regioni svizzere più importanti da un punto di vista sciistico. Utilizzando diversi scenari per il futuro gli autori giungono alla conclusione che entro fine secolo la riduzione del volume nevoso annuale diminuirà tra il 30% e il 70% considerando il totale, con ovvie differenze a seconda della quota e del periodo considerati (a 500 metri di quota è prevista la completa scomparsa della neve, a 1500 metri una diminuzione del 50% durante l’inverno e del 100% durante la primavera, a 3000 metri una diminuzione di circa 50 % su base annua).
Una pubblicazione rigorosa come questa dovrebbe rappresentare un segnale importante per il futuro sviluppo delle attività turistiche invernali sulle Alpi. Il cambiamento climatico, a prescindere dalle sue cause, è inevitabile. È già in atto e non sarà più possibile arrestarlo, al massimo potremo cercare di contenerlo. Chi si saprà adattare sarà vincitore, altrimenti la sconfitta è assicurata.
Lettura: spessore-weight***, impegno-effort***, disimpegno-entertainment*
Neve neve neve!
di Giovanni Baccolo
Quando abbiamo bisogno di te per rendere davvero natalizie le vacanze ti fai corteggiare, quando invece non servi più, cominci beffarda a cadere copiosa sulle nostre montagne. Ma noi, galvanizzati da un caldo decisamente insolito, eravamo già pronti a recuperare dagli armadi il telo da mare e a riempire i parchi cittadini in cerca di una tintarella anticipata. Altro che neve d’Egitto.
Dal Monte Legnone verso il Lago di Como
Come successo molte volte negli scorsi anni, anche quest’anno la stagione invernale sulle Alpi è stata anomala. Terribilmente secca, con diverse settimane trascorse senza che un solo fiocco di neve fosse avvistato su vasta parte dell’arco alpino. Rispetto al trentennio climatico di riferimento (1981-2010), le Alpi hanno raccolto meno della metà delle precipitazioni normalmente attese, in alcune regioni si parla addirittura di un terzo. Insomma, per poter godere di un vero panorama invernale al di sotto dei 2000 metri, abbiamo dovuto aspettare la primavera inoltrata.
Riflettiamo sulla definizione di anomalo. Per individuare un’anomalia climatica è necessario definire un riferimento che serva come metro di paragone rispetto al fenomeno che stiamo indagando. Quando i dati si discostano tra loro ecco che si potrà parlare di anomalia. Detto questo possiamo sicuramente dire che l’inverno 2017 è stato anomalo se confrontato con il trentennio di riferimento 1981-2010. Ma potremmo cercare di approfondire questa analisi che fino ad ora non presenta alcuno spunto interessante, se non l’ennesima conferma che questo sia stato uno tra gli inverni più secchi di sempre. Facciamo uno sforzo intellettuale, ribaltiamo la prospettiva. Cambiare punto di vista è sempre un buon modo per comprendere in profondità un dato e renderlo una vera e propria informazione.
Abbandoniamo il famigerato trentennio di riferimento e definiamone uno nuovo. Perché andare sempre a pescare i termini di paragone nel passato? Troviamone uno nell’altra metà della linea temporale, il futuro. Al giorno d’oggi la scienza, nella forma di modelli climatici sempre più complessi ed efficaci, ce lo permette, pur con ineliminabili margini di incertezza. Scegliamo come riferimento il trentennio che va dal 2070 al 2099. Ecco, ora si che ci siamo. Se confrontiamo il tipico inverno atteso per la fine del secolo con quello appena terminato, la situazione per questo 2017 non è affatto tragica, anzi, si potrebbe dire che con tutta probabilità è caduta sulle Alpi più neve quest’anno rispetto a quanto ci saremmo aspettati. Un successo insomma, tutti hanno festeggiato le abbondanti nevicate.
Ma lasciamo da parte questo assurdo e rimettiamo la linea del tempo nel verso giusto. Proprio a febbraio di quest’anno è stato pubblicato sulla rivista internazionale The Cryosphere, un lavoro dedicato esattamente a questi temi. Il confronto alla rovescia di poco fa è stato possibile grazie ai dati presentati nell’articolo. Gli scienziati hanno cercato, attraverso la creazione di un complesso modello climatico, di prevedere l’altezza e la distribuzione del manto nevoso sulle Alpi (Svizzere in questo caso) da qui al 2099. Per farlo è stato necessario mettere insieme una gran mole di dati meteorologici, che permettessero al modello elaborato di allenarsi e testare le proprie capacità nel presente, unico possibile riferimento per valutare la bontà del modello stesso. La parte climatica del modello è stata poi accoppiata a quella di rappresentazione topografica e tematica (roccia, bosco, prato, insediamento, ecc) del territorio. Ultimo ingrediente indispensabile per poter girare la chiave e iniziare la simulazione, sono stati gli scenari climatici globali, necessari per considerare le diverse possibili dinamiche di crescita demografica ed economica nel futuro. Quanti saremo nel 2050? Quali fonti energetiche sfrutteremo? Fossili, rinnovabili? Ciascuna di queste domande ha notevoli implicazioni sul clima del futuro, dal momento che da ciascuna risposta ad esse dipende il tasso futuro di emissione di gas serra. Nel modello dei ricercatori svizzeri sono stati previsti 3 scenari. Ad un estremo troviamo un cosiddetto scenario interventista, ovvero che preveda delle misure attive per limitare la popolazione mondiale e stabilizzare la concentrazione di CO2 in atmosfera entro il 2050 (target previsto di 450 parti per milione, ad oggi abbiamo raggiunto circa 410 ppm). All’estremo opposto è stato scelto uno scenario che invece preveda una crescita demografica costante, con un conseguente aumento progressivo della CO2, e quindi della temperatura (concentrazione prevista 860 ppm). Nel primo caso ci si aspetta entro fine secolo un aumento della temperatura media alpina di 1,5°C, nel secondo caso la temperatura aumenterebbe di circa 4°. Meno incisive sarebbero invece le variazioni in termini di precipitazioni totali attese.
Dicembre 2015, impianti a San Martino di Castrozza
I risultati danno un quadro piuttosto semplice da interpretare. Il risultato bruto è che entro il 2035, a prescindere dallo scenario considerato, l’altezza del manto nevoso ridurrà la propria altezza media di circa il 25% rispetto alla media 1999-2012. Per spingersi più in là nel tempo diventa doveroso distinguere i diversi scenari futuri. Quelli più sostenibili (a dire la verità poco probabili) danno una riduzione entro il 2090 del 30 %, ma nel peggiore dei casi tale riduzione si spingerà fino al 70 %. Ciò che rende ancora più interessante il lavoro è la possibilità di porre l’attenzione alle diverse fasce altitudinali alpine. Sotto ai 1000 metri la neve scomparirà del tutto, intorno a 1500 metri la riduzione prevista sarà sempre superiore al 70 %, ma anche oltre i 3000 m si prevede una perdita della metà del manto nevoso entro la fine del secolo. Lo studio tenta anche di capire quali conseguenze possano avere tali previsioni sul mondo dello sci alpino. Se oggi le stazioni sciistiche ritenute economicamente sostenibili (ovvero manto nevoso di almeno 30 cm per 100 giorni l’anno) sono quelle al di sopra dei 1600-1800 m, nel 2035 ci dovremo spostare a 2000-2200 m e nel 2090 ad oltre 2600 metri. Ovviamente queste stime sono puramente indicative, dal momento che non esiste una definizione assoluta di sostenibilità economica per l’attività commerciale sciistica.
Non c’è bisogno di aggiungere commenti, simili dati, per quanto associati ad un margine d’errore, parlano da soli e fanno capire a chi è rivolta la domanda con cui è iniziato il discorso. Ma rimando ad altri interventi già pubblicati anche in questa sede circa le conseguenze economiche e culturali che potrebbe avere l’eccessivo ritardo nell’affrontare la questione. Sono tuttavia dell’avviso, dettato esclusivamente dal buon senso, che chi per primo avrà il coraggio di convertirsi e riadattare la propria offerta turistica alla luce del nuovo clima alpino invernale, per primo riuscirà a trovare un nuovo equilibrio sostenibile, anche da un punto di vista economico. È l’unica via d’uscita. Qualcuno a quanto pare si sta già attrezzando. Emblematica la scelta fatta sul Dobratsch, in Carinzia, dove già nel 2002 tutti gli impianti sciistici, seppur ancora utilizzabili, sono stati interamente smantellati. Gli abitanti e i governanti per proteggere l’ambiente e il patrimonio idrico da opere ritenute dannose, hanno preferito rinunciare in toto a questa forma di turismo in favore di altre alternative. A quanto pare la scelta è stata di successo per tutti, la popolazione locale, l’ambiente e i turisti.
L’articolo scientifico cui fa riferimento il testo è in questo pdf.
Report meteorologico sull’inverno 2017 (Svizzera):
http://www.meteosvizzera.admin.ch/content/dam/meteoswiss/it/Publikationen/doc/Resoconto_inverno2016-17.pdf
Gli altri interventi pubblicati sul Gognablog inerenti il rapporto tra frequentazione invernale delle Alpi e sempre più ridotte nevicate:
https://gognablog.sherpa-gate.com/innevamento-artificiale-economia-salva-la-fine-delle-emozioni/
https://gognablog.sherpa-gate.com/quanto-vale-un-inverno-senza-neve/
Sulla scelta presa in Carinzia di rinunciare completamente al turismo invernale sciistico:
https://www.villacher-alpenstrasse.at/va/it/dobratsch/ildobratsch
http://www.lastampa.it/2017/03/07/scienza/ambiente/il-caso/via-skilift-e-neve-artificiale-dobratsch-sceglie-il-renaturing-Mohgn4AcQhYwkK9Du363xM/pagina.html.
Interessante articolo che ho letto solo adesso. Meglio tardi che mai.
Grazie Giorgio Daidola!
Io di sicuro sono pessimista per natura, Lei forse è più ottimista e vede le “cose” con un po’ più di speranza… Ringrazio ancora.
Mi permetto di correggere Paolo Panzeri su un punto peraltro poco importante. Cipolla, che ho avuto la grande fortuna di avere come professore di Storia economica, non dice che in una società gli stupidi sono l’ottanta per cento, ma che (prima legge fondamentale) “sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”. E aggiunge con la seconda importantissima e sottovalutata legge fondamentale che la “la probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona” Quindi, ad esempio, la percentuale di stupidi è la stessa indipendente dal sesso o dal ruolo sociale. Ne consegue che la percentuale di stupidi fra i governanti , i capi religiosi, i professori universitari ecc…è la stessa che si ritrova fra gli operai, gli analfabeti, i bidelli, ecc… Ed è questo il vero problema, che ci siano tanti stupidi fra chi potrebbe fare qualcosa per non dico risolvere ma almeno cercare di sensibilizzare le masse e quindi tentare di controllare il problema demografico. I danni che hanno fatto e continuano a fare al riguardo importanti governanti, osannati capi religiosi e insigni studiosi è sotto gli occhi di chi “vuol vedere”. Purtroppo, e arriviamo alla quarta importantissima legge fondamentale, “le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide”. I non stupidi che “non vogliono vedere” sono insomma il vero problema, insieme a quello della stupidità umana. La terza e la quinta legge fondamentale non le commento per non diventare troppo noioso. Rimando al prezioso volumetto “Allegro ma non troppo” di Carlo Cipolla.
Purtroppo il problema demografico sembra sia stato rimosso dai consessi internazionali che dovrebbero invece valutare seriamente la crescita della popolazione del globo e quindi delle inevitabili conseguenze ad essa collegate.
Tanto per dare alcuni numeri:
– nel 1800 vi era 1 miliardo di esseri umani ( di cui almeno il 50% al di sotto della soglia di povertà)
– dopo 2 secoli siamo in 7,6 miliardi ( si stima il 20% di poveri)
quindi siamo passati da 500 milioni nel 1800 a 1,5 miliardi ad oggi:
che bel risultato!!
Se vogliamo restare in Italia, siamo passati da 22 milioni 150 anni fa a 60 milioni ad oggi, e questo in una nazione prevalentemente montuosa in cui le arre di più facile insediamento sono ormai state antropizzate da secoli. E questo può valere per l’intera Europa già densamente popolata.
A livello mondiale, stante le dinamiche demografiche attuali, nel corso dei prossimo 25 anni dovremo trovare spazio e risorse per almeno 1,3 miliardi di esseri umani in più.
Già oggi si ritiene che il consumo di risorse e beni non rinnovabili richieda 1,7 pianeti Terra.
Probabilmente troveremo una soluzione anche se magari a caro prezzo…
Interessante il testo di Massimo Livi Bacci: Il Pianeta Stretto, che tratta in modo semplice queste problematiche.
Concordo, e aggiungo che i più pericolosi sono gli “stupidi volonterosi”. Se uno è solo stupido fa meno danni.
Prof. Giorgio Daidola for President!
Il Cipolla diceva di porre molta attenzione agli stupidi che sono l’80% degli umani, anzi assolutamente evitarli: sono quelli che non riescono a fare del bene a se stessi e provocano danni agli altri, non riescono a impegnarsi pensando e imparando…. hanno aspirazioni solo di tipo animalesco di gruppo.
Siamo in un sistema quasi globale che si basa sulla democrazia, quindi decide quell’80% e sembra ci sia poco da fare per cambiare……. penso che solo un bello scossone di tipo “fondamentalista” ci salverà, forse l’acqua potabile.
Finalmente qualcuno che non gira intorno al problema: la causa prima dell’aumento di anidride carbonica e quindi della temperatura, del degrado ambientale, della siccità e dell’innevamento sempre più scarso, è la folle crescita demografica del pianeta. Tutte le altre cause di aumento di anidride carbonica vengono dopo, non sono che una conseguenza dell’aumento folle della popolazione. Ogni essere umano, anche se povero, partecipa, seppur meno di un ricco, all’inquinamento globale. É sempre stato così. Quindi con l’aumento della popolazione aumenta l’inquinamento. Il guaio é che siamo passati da 1 a 7 miliardi in poco più di un secolo, un aumento mostruoso se si pensa alla storia dell’umanità. Eppure capi religiosi, insigni economisti e governanti di ogni sponda dicono che bisogna continuare a crescere. Altrimenti non cresce il PIL , la popolazione “invecchia” e, aggiungo io, enti come la FAO non avrebbero più ragione di esistere. Per me chi la pensa così appartiene alla fitta schiera degli stupidi o dei banditi. Precisando subito, come dice Carlo Cipolla nel suo saggio “Le leggi fondamentali della stupidità umana”, che lo stupido è più pericoloso del bandito. Pericolosi sono anche tutti coloro che si astengono dal prendere una posizione su questo problema. Da cui dipende non solo la mancanza di neve e lo scioglimento dei ghiacciai ma anche e soprattutto l’insostenibile aumento dei flussi migratori e, in generale, la qualità della vita di tutti.. Giovanni Sartori,, autore di “La terra scoppia”, un libro che tutti dovrebbero leggere e assimilare, purtroppo non c’è più. Era l’unico, con i suoi articoli a tener vivo il problema. Se la terra scoppia la neve non avrà piu ragione di esistere.
. Emblematica la scelta fatta sul Dobratsch, in Carinzia, dove già nel 2002 tutti gli impianti sciistici, seppur ancora utilizzabili, sono stati interamente smantellati. Gli abitanti e i governanti per proteggere l’ambiente e il patrimonio idrico da opere ritenute dannose, hanno preferito rinunciare in toto a questa forma di turismo in favore di altre alternative. A quanto pare la scelta è stata di successo per tutti, la popolazione locale, l’ambiente e i turisti.
Mica è obbligatorio sciare.
Sono molto scettico sulle previsioni a lungo periodo, li ritengo puri ragionamenti. Penso sempre alla storia della farfalla che oggi muove le ali in Giappone e domani si scatena un uragano nell’Atlantico. Ma ragionare magari avvisa dei pericoli possibili e …. dà da pensare.
Comunque, visto l’andamento di questi anni, nevicherà un po’ solo a fine febbraio o in quel periodo. Non so però se la quantità si invertirà: l’oriente con l’occidente; al centro resterà stabile (poca).
Mi spiace per gli sci-alpinisti che dovranno viaggiare molto, gli sci-attori se la caveranno con quella artificiale più o meno calda (questa l’hanno brevettata), però i proto-alpinisti magari proveranno a fare invernali.
E’ una previsione un po’ più realistica?
Ps: si potrebbe produrre neve artificiale senza acqua, riciclando i rifiuti plastici e i copertoni delle auto e metterla sulle piste: durerebbe tutto l’anno con affari garantiti, si ridurrebbe l’inquinamento dei mari e magari anche la co2. Il colore però dovrebbe essere il bianco così rifletterebbe bene i raggi solari e l’abbronzatura sarebbe ottima!