Da un po’ di tempo la tv trasmette due spot che ci invitano a riciclare la plastica. Le immagini di spiagge invase da tappi, bottiglie, cotton fioc, i video di rifiuti che galleggiano a perdita d’occhio sulla superficie degli oceani hanno indignato tutti. Ma davvero siamo così incuranti che poco ci importa di vivere nel sudicio? E come siamo arrivati a questo punto? F&L ne parlano già nel 1982 partendo da un tema apparentemente «leggero»: le vacanze. Sì, perché noi, turisti di tutto il mondo, lasciamo tracce del nostro passaggio in ogni dove, persino in cima all’Everest. Siamo in vacanza, non è la nostra Città, Paese, Continente, non tocca a noi, e se anche buttassimo la carta in quel cestino laggiù qualcun altro dopo di noi la getterebbe per terra quindi… tanto vale. E così carta dopo carta, cicca dopo cicca, anche le piazze, le fontane, gli anfiteatri, le foreste, i deserti si riempiono di spazzatura. Ma allora a che serve contemplare la Primavera, ammirare i templi, passeggiare nei giardini di Boboli se tutte queste meraviglie sono assediate dalla sporcizia? F&L ci suggeriscono sommessamente di restare a casa, sdraiati sul divano, davanti alla tv, a guardare un bel documentario sugli stessi strepitosi scenari, ripuliti dall’incivile umanità. Bibite e popcorn sotto mano e contenitori per il riciclo sotto i piedi. Sarà questo il nostro destino? (C.F., redazione del Corriere della Sera).
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(4)
Carlo Fruttero (a sinistra) e Franco Lucentini, in un disegno di Tullio Pericoli
Oggi Ulisse resterebbe nella sua isola
di Carlo Fruttero e Franco Lucentini (F&L)
(Il ritorno di Fruttero & Lucentini, pubblicato su Corriere della Sera, 7 dicembre 2018)
Cartacce e rifiuti a quota 8000, diceva un tragico titolo apparso tempo fa su questo giornale. Il trafiletto riferiva che la cima dell’Everest, visitata da innumerevoli comitive di scalatori, è ormai cosparsa d’immondizie e rottami d’ogni specie, tende, scatolame, macchinette e arnesi vari, piatti, tazze, posate, bombole vuote, senza contare i «borsini» di plastica, simbolo onnipresente della nostra civiltà.
Ma tutta la immane catena (a quanto risulta da una «Conferenza per l’Himalaya» tenuta in questi giorni a Monaco di Baviera) è nelle stesse condizioni. Non diversa, immaginiamo, sarà la situazione sulle Ande. E lo stesso accadrà sulla Luna, su Marte, non appena ci si potrà andare con un’agenzia di viaggi.
Anche chi non ha la passione della montagna ed è indifferente all’astronautica non può non provare una gelida stretta al cuore. È troppo poco farne una questione d’educazione, auspicare corsi di buone maniere alpinistiche, mettere su un sistema di divieti, controlli, ammende salate, risarcimenti. Una fila di escursionisti compunti come collegiali, un campo-base tenuto come una caserma prussiana, una meticolosa raccolta di spazzatura mediante netturbelicotteri delle nevi, non toglierebbero purtroppo nulla all’intrinseco orrore della faccenda. Sì, si potranno limitare i danni; ma il danno essenziale, il danno metafisico e irreparabile, sta nel fatto che su quelle vette favolose ci sia un cartello che avverte: «I trasgressori saranno puniti ai sensi dell’art. 261».
Già più di mezzo secolo fa Paul Valéry, a chi gli chiedeva che cosa distinguesse l’epoca moderna da tutte le altre, rispondeva: la scomparsa di terre ignote. E, prima di lui, Apollinare invocava l’arrivo di un Colombo che «disiscoprisse» l’America, per ridare un po’ di spazio a questo pianeta ormai totalmente esplorato, cartografato, conquistato, e quindi miseramente ristretto come un guanto di lana lavato in acqua bollente.
Soprattutto il sedentario profittava di quei territori sconfinati e misteriosi, di quelle cime vergini, di quei poli inaccessibili; soprattutto il timido profittava di quelle avventure, di quelle sfide di piccoli uomini alle forze ancora titaniche della natura, venti e ghiacci, cascate e foreste, sabbie e oceani.
Da destra, gli scrittori Carlo Fruttero (1926-2012) e Franco Lucentini (1920-2002)
Ma quale esultanza, quale esaltazione possiamo condividere dalle nostre poltrone con un indomito imbecille che, oggi, attraversa l’Atlantico in sandolino? Con altra brava gente, che si toglie la soddisfazione di rischiare (moderatamente) la vita nel Sahara, nel Congo, sull’Himalaya? Sono coraggi turistici, temerarietà sfiziose, vane emulazioni, fatue, pubblicitarie scimmiottature, che contribuiscono a creare attorno al globo la più inquietante delle atmosfere, quella dell’inautenticità. Viene il sospetto che un uomo autentico, un duro, un degno erede di Ulisse, sia oggi colui che, disdegnando le imprese di seconda e terza mano, resistendo alle avventure col borsino e alle sirene del «tutto compreso», resta a casa sua, accanitamente, eroicamente immobile.
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Bé, non è che sbagliassero poi di molto con il danno essenziale, metafisico e irreparabile dell’inautenticità, considerando la dovizia di “panorami mozzafiato” in accordo alla legge 626 e di “esperienze indimenticabili” a 100€ a persona, seguite dall’immancabile pranzo tipico che c’è in giro!
Non sono d’accordo per niente. La mia stima per i grandi Frutteto e Lucentini è immensa, ma questo scritto non mi piace affatto.
Certo è che, due intelligenze sopraffine come furono loro due, si strizzerebbero l’occhio a questa mia rimostranza: “…eccone un altro” ammiccherebbero al mio cascare nel trabocchetto intellettuale dell’articolo.
Però, amaramente, a qualcuno la tesi suggerita furbescamente potrebbe apparire vera.
In fondo io lo spero 😉
Libererebbe spazi.
Devo confidare che sono giunto anche io alla stessa conclusione di F&L…35 anni dopo…
Si vede che, da buon torinese, io sono particolarmente affezionato e indulgente verso questi due autori….hanno lavorato a Torino, nella mitica Einaudi dei tempi d’oro, hanno ambientato molti loro libri a Torino (La donna della domenica su tutti), hanno descritto, in migliaia di articoli, la torinesità nel bene e nel male…
A proposito di vacanze, mio padre mi citava un antico detto strettamente torinese: “Che bisogno c’è di andare al mare? Basta guardare il Po per lungo…”
Probabilmente per capire fino in fondo la finezza intrisa di provocatorio humor britannico (altro risvolto tipicamente torinese) dell’articolo qui riportato, occorre immedesimarsi in questa particolare “visione delle cose”…
In ogni caso, del dubbio, facciamo la raccolta differenziata…
Discorsi da Quello del club.