Passaggio a nord-ovest
di Marco Lanzavecchia (da FuoriVia, 17 luglio 2012)
Ma anche là, nelle lande dell’ovest, sarà che il mondo è in discesa, sarà che sono anche un po’ terrone, il peso del mio culone mi ha spinto a sud, al confine con le terre degli avari e dei belin… nella provincia granda.
Quando dieci giorni fa si chattava lievi su un luogo dove trascorrere il WE con la mia amica Gio, ho provato a buttare lì una cosa che avevo in testa da 15 anni ma mai ero riuscito a concretizzare: andiamo al Mongioie? Uno degli ultimi luoghi rimasti dove ancora non si è abbattuto il furore iconoclasta del Trad e dove si può scalare senza sensi di colpa tra gli spit senza smarzumoni dolomitici, temporali, cadute di sassi, eroismo aquilotto, ecc, ecc. Addirittura ho sentito dire che se uno ha all’attivo più di tre vie alla Rocca dei Campanili viene espulso ipso facto dall’accademico e per farsi riammettere deve camminare su un letto di ramponi ardenti ed affrontare il cosidetto giudizio di Lammer.
Eugenio Guido.
Ma non so se è vero.
Forse si tratta di una maledizione senza perdono, tipo quelle di Harry Potter.
O era Dean?
Mah.
La Circe delle Retiche viene da lontano ma ha una certa tendenza ad andare lontano… in quanto instancabile viaggiatrice e anima più vagabonda che blandula…
Ci troviamo in zona puttanone (nomignolo affettuoso di un ameno parcheggio) e partiamo. Mangiamo due schifezze a un autogrill e ci fermiamo a dormire quasi a destinazione, in un bosco.
La mattina, ovviamente piove, ma non sembra così male, e senza troppe menate ci incamminiamo per l’aspro sentier.
In un panorama di vie abbastanza severe aperte da Manlio Motto ed altri analoghi austeri colonnelli del Savoia Cavalleria ho trovato la relazione di due vie che paiono essere più rabbit tailored e risalgono la parete in un luogo di aspetto dignitoso. Tra le due, in un rigurgito neocaiano, scelgo la più difficile, Afa, e commetto un errore. Si tratta non proprio della madre di tutte le vie di cacca ma
Il giorno dopo si presenta con altre premesse:
e ci dirigiamo verso l’altra delle vie rabbit proof tanto per riscatto, anche se già intuisco che queste vie non hanno nulla a che vedere con il nocciolo duro, l’hard core di roccia scolpita dagli dei, delle vie di Motto & C.
Ma la carne è debole… si sa.
Be… ‘nzomma.
Trial si rivela tranquilla e godibile:una discreta ciodera e difficoltà modeste.In due ore esatte saliamo i cinque tiri e rientriamo alla base con veloci doppie.
Mo’ ce tocca.
Andiamo nel settore di sinistra della parete, dove è più bassa e più adagiata ma fanno mostra di sé delle placche davvero meravigliose… intanto arrivano le prime nebbie.
Non guardo neanche la guida e scelgo un attacco a caso.
Ma voi sareste riusciti a resistere a una cosa così?
La via per il mio livello è bella kattiva ma sopravviviamo.
Rientriamo presto perchè Giò deve essere alle nove a recuperare i suoi genitori e forse anche mia moglie rientra in serata.
Arriverà nel pomeriggio del giorno dopo… ma acquisire punti conviene sempre.
Il giovedì successivo, il forte Giacomino (forse suggestionato dal tamtam) lancia un’offerta pubblica sul Mongioie e io mi aggrego nella speranza di farmi ippotrainare su qualcosa che gratifichi il mio io miserabilmente ambizioso.
Ma alla fine siamo in quattro… Jack(_omino), Paolo(75) ed il Peleè che nella realtà è fossile ma ancora vegeto.
Partiamo prima dell’alba da casa ma arriviamo in zona in tempo ancora più che utile.
I gggiovani schizzano in avanti e i vecchi (io) e i fumatori compulsivi (Peleè) restano indietro.
Ci dirigiamo a un breve e piacevole itineario di riscaldamento mentre i ggggiovani si dirigono verso un settore dall’aspetto truce e punitivo.
Mbè. Noi scegliamo benissimo:
e ci divertiamo come ricci.
Mentre saliamo adocchiamo un itinerario accanto
dove due “berghem” stanno battagliando e riesco a convincere il Peleè (dubbioso) a provarlo.
Non è così innocente ma con qualche rantolo ce la caviamo.
Il Peleè si concede persino uno sfrimb da vero free e, non domo, riprova il passo e riesce. Verrà respinto poco dopo ma grande onore!
Ben paghi e ben pagati torniamo il rifugio, prendendo anche una spruzzatina di pioggia, e ci mettiamo ad attendere i gggiovani che tardano.
Tardano.
Speriamo che si bagnino ben bene.
Tardano.
Speriamo che non si bagnino troppo.
Tardano.
Speriamo non sia successo niente.
Alla fine sbinocolando li vediamo scendere dal sentiero apparentemente integri e ci decidiamo a scendere a valle dopo aver affidato gli zaini a due ragazzi, visto che i suddetti gggiovinastri dormono al rifugio mentre noi vecchiacci indebitati e miserandi dormiamo in fondovalle accanto o dentro l’auto.
Più tardi per telefono ci chiariranno l’arcano. Dopo una feroce battaglia con un tosto itinerario sono riusciti pure a far casino con le doppie… dimostrando di avere delle gran dita ma dei piccolisssssimi cervelli.
Durante il nostro bestiale bivacco, nella notte più nera del vino, giungono Tato e Giò… che la mattina dopo ci preparano un’ottima colazione:
Dopo un po’ di cazzeggi risaliamo verso il rifugio ma nel frattempo i ggggiovani sono scattati, sospinti dall’esuberanza dei loro ormoni, verso l’aspra meta del giorno: le temibili Rocce del Manco.
Dove tra due rotonde chiappone di strapiombi si apre un buco impressionante (e sospetto).
Attacchiamo la bella via Vaivai che parte proprio all’arrivo del sentierino con promessi gradi umani:
che si rivelerà una discreta tuonata… mentre la Giò e il Tato sfrillazzano su quella accanto, cartaceamente più minacciosa:
Al Peleè, forse stanco, improvvisamente compare la maronnocarmine e giunto alla fine del secondo tiro getta la spugna.
Mi faccio assicurare sul difficile terzo tiro e raggiungo i giovinastri mentre il giacomino sta polverizzando il quarto e ultimo tiro. Butto giu le corde (ai rinvii penserò calandomi in doppia) e mi lego a una delle corde del supereroe concludendo la via.
Alla base scompigliamo le cordate e mentre il Peleè e Paolo si vanno a infrattare su un itinerario promesso più mite (e presumibilmente a dedicarsi al fist fucking), Giacomino e il iopanzame ci dedichiamo alla via che hanno appena risalito Tato e Giò, mentre questi ultimi si mettono sulla nostra.
Non rantoliamo neanche troppo:
ma subiamo l’umiliazione di vedere prima Tato:
e poi Giò
sentierare il teatro delle nostre epiche battaglie.
Ma è possibile che siano tutti bravi e io pippa?
Vabbè… si torna a casa… anche se uno dei gggiovinastri si inventa il diversivo di farsi cadere una delle scarpe da avvicinamento sullo zoccolo e di cercarla (e per sua fortuna trovarla) dopo 40’….
Tutto il resto… è noia!
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Uno dei giovinastri, di suprema sfiga, ci ha lasciato le penne in uno stupido incidente. Come sanno essere stupidi gli incidenti. Credo che questa sia stata l’unica volta in cui è stato uno dei protagonisti di un mio raccontino e voglio ricordarlo e rendergli un omaggio. Era un amico, uno stordito dei nostri. Ciao Paolo!
Aha ah ah mi son fatto delle belle risate, nel contempo mi sudavano le mani, però…bel posto, belle vie, complimenti a tutti.
ben scritto: come sempre bravissimo >Rel!
Bel racconto! Il mongioie fu anche teatro di un etilico e divertentissimo raduno di FV….
Bel racconto!