Intervista a Saro Costa
di Giacomo Rovida
Siddharta, Pizzo d’Eghen, solitaria invernale
Sono felice. Quando sono stato contattato da Alessandro ho subito accettato di prendere parte a questo progetto di interviste senza pensarci su un secondo di più.
Via Welzenbach, Grand Charmoz, con David
Non mi piacciono i media e non mi piace l’informazione. Non mi piacciono le mezze verità, le notizie nascoste e quelle leggermente modificate, non mi piace sapere che nel paese in cui vivo l’informazione è pilotata.
There Goes the Neighbourhood, Aig. Sans Nom
Su Divine Providence, Pilier d’Angle, Monte Bianco
Il giorno che ho accettato di collaborare ho anche deciso che l’avrei fatto a modo mio e così… Così oggi, dopo qualche intervista, si corona il mio sogno di presentarvi Saro.
Saro è un “matto” ed’ è per questo che mi piace. È un alpinista con i “contro cazzi”, di quelli che amano il freddo e la neve, gli avvicinamenti lunghi e complessi e che il 99,9% delle volte torna indietro con l’amaro in bocca, di quelli che vivono ogni giornata in montagna come un avventura, non come una mera prestazione fisica.
Verso la cresta Kuffner, Mont Maudit, solo
Saro non è famoso, non è sulle riviste dei giornali, non lo troverete sui siti web e nemmeno in qualche falesia vestito da fighettino a mostrare i suoi rinvii nuovi appena ricevuti dallo sponsor, non ha chiuso nessun tiro di dry tooling estremo e non è mai stato in Patagonia. Saro è semplicemente un alpinista, di quelli veri, di quelli che cercano nell’alpinismo un modo per crescere, per confrontarsi, per scoprire qualcosa dentro di sé e per provare emozioni forti.
Ha avuto l’opportunità di emergere nel mondo alpinistico con una spedizione importante ma ha avuto il coraggio di andare dritto per la sua strada e, trovandosi in disaccordo con gli altri membri della spedizione, di tornare a casa e lasciare la spedizione.
Da quel momento, come sempre, i chiacchieroni di mezzo mondo (che trovate in falesia e sulle pagine dei giornali ma MAI in montagna) hanno detto di tutto e di più ma lui si è presentato un anno dopo con una nuova spedizione organizzata tra amici in Perù ed’è tornato a casa con una via nuova aperta in un posto dove, i chiacchieroni di prima, stenterebbero a fare l’avvicinamento.
Questa intervista per me è un insegnamento. Non leggetela come un resoconto di un attività in montagna, leggetela come si leggerebbe una pagina di aforismi, di Nietzsche o del Vangelo.
In questa intervista c’è un “modo” di andare in montagna unico, fatto di avventure e non di prestazioni, un alpinismo essenziale.
Essenziale è il termine giusto.
Lasciate stare il vostro progetto in falesia, il Pesce in Marmolada, la Nord dell’Eiger (ma solo dopo che l’hanno fatta in 1000 e si trovano le condizioni in internet) e per un giorno cercate nelle montagne intorno a voi, lasciatevi trasportare dall’immaginazione e cercate una linea, andate e provateci, tornare indietro sarà pesante ma le cose che avrete provato vi ripagheranno da tutto.
Mi sono rotto le palle che anche in montagna stia morendo l’immaginazione, che grazie a internet tutti vadano a fare solo la cascata in condizione, la via dove si trova la relazione e il canale ben tracciato con la neve giusta.
Mi sono rotto le palle che solo chi fa il 9b e l’M14 venga considerato. Da quando il grado è tutto? È questo l’alpinismo?
Ho accettato con piacere quest’opportunità perché l’avrei fatto a modo mio e credo, con questa intervista, di essere sulla buona strada.
Questa introduzione è cruda, incazzata, piena di parolacce e di contraddizioni. Non vi piace? Beh, sono sicuro che piacerà a Saro e al suo modo di vivere la vita e visto che questo spazio se l’è conquistato credo di avergli dato un giusto tributo.
“Non mi importa la grana, non mi importano le necessità della vita, mi importa solo quando mi provocano, mi importa arrampicare, punto (Mark Twight, Confessioni di un serial climber).”
Via Lomasti, Mangart, con Fabiez
Intervista a Saro Costa
Ciao Saro, presentati un po’ al grande pubblico, chi sei? Dove vivi? Cosa fai nella vita?
Credo di essere uno sciatore perché sciare è quello che mi piace fare di più! Ora vivo in Ticino che è la mia terra d’origine e passerò l’inverno a fare il maestro di sci. Sono anche aspirante vagabondo ma non è una strada facile…
Vivi a Milano, come è nata la passione per l’alpinismo pur essendo un cittadino?
Ho vissuto a Milano la gran parte della mia vita però non sono un milanese doc. Da piccolo ho sempre giocato nei boschi, fatto il bagno nei fiumi e con la nonna mi arrampicavo sui sassi, l’importante era stare fuori e cercare di fare le cose più pericolose. Ogni volta tornare in città era la fine di tutto. Andare in montagna è venuto naturale come andare in skate, sciare fuori pista e tuffarsi dagli scogli.
Sei uno dei pochi giovani in Italia a muoversi abbastanza bene su ogni terreno e soprattutto a preferire la montagna e l’alpinismo a un approccio sportivo, cosa ti porta a metterti in gioco sulle montagne e a lasciare da parte “sicurezze e comodità”?
Sicurezze e comodità non fanno parte di quei giochi che facevo da bambino e che faccio ora e che intendo fare il più a lungo possibile. Ravanare è bello. Yvon Chouinard diceva che non è vera avventura finchè qualcosa non va storto. Beh, io sono d’accordo.
Qual è il tuo terreno preferito (roccia, ghiaccio, misto)?
Misto! Quando ci sono le croste di ghiaccio e i tappi di neve… Anche la particolare neve andina è molto bella, spesso ti rendi conto che l’unica cosa da fare è girarsi e scendere sul culo!
Hai arrampicato tanto in solitaria da vie sportive, alla ripetizione invernale di Siddartha sul Pizzo d’Eghen alla Kuffner quest’estate al Mont Maudit, perché si arrampica in solitaria?
Arrampicare da solo è necessario come lo è saper stare soli nella vita di tutti i giorni. Ci sono cose che so che devo e voglio fare solo e solamente io. Decisioni, scelte, vie in montagna, sfide, fallimenti che si affrontano unicamente con un dialogo interiore. A tu per tu, una condizione che aspetto e vivo sempre con piacere. Una condizione molto personale che non per forza deve essere giustificata a secondi e terzi.
Sei un estimatore di Mark Twight, cosa ti piace del suo alpinismo e della sua “filosofia di vita”? Hai ripetuto alcune delle sue vie più famose come Beyond Good and Evil e There goes the neighborhood nel massiccio del Monte Bianco. Raccontaci qualcosa di queste avventure.
Twight è una delle mie guide spirituali, quando sono in difficoltà leggo Jack London, Yukio Mishima, Dylan Dog, Erich Fromm e Mark Twight che a differenza degli altri è una guida specialistica perché si esprime attraverso l’alpinismo. “Più divento abile, più ho voglia di osare e più si stringono le mani che mi strozzano la gola”. Non serve sapere tanto altro e comunque non intendo “mescolare un diploma delle superiori con una laurea breve ed un fidanzamento da collegiale ed ottenere una vita rigida senza via di scampo”! Mi piace leggere storie di avventura, coraggio, volontà, estrema motivazione, sono sempre racconti appassionanti. Quando con Fabiez abbiamo salito Beyond Good and Evil sono stato molto felice, dieci anni prima avevo letto per la prima volta le confessioni e quella striscia di ghiaccio mi era entrata in testa insieme a tutte le avventure da pirata che comportava. Volere intensamente qualcosa e poi vederla realizzata è una cosa molto bella e appagante. Su There goes the Neighbourhood con David è stata una dimostrazione di credo. Noi volevamo fare una cosa in un certo modo e con un certo stile e lavorando sulla motivazione e non mollando mai la nostra linea, ci siamo presi la via. Da godere a modo nostro.
Hai avuto un esperienza “negativa” durante la spedizione all’Uli Bahio con i Ragni di Lecco, hai voglia di raccontarci cosa è successo? Cos’hai imparato da quella spedizione?
In Pakistan con i Ragni eravamo in cinque ma io ero amico solo di uno, gli altri erano conoscenti. Partire così è stato un errore ma preso dall’entusiasmo e dalla bella opportunità non ho saputo rinunciare e sono partito in quarta senza badare al principio fondamentale che mette al centro di ogni scalata una cordata unita e funzionale. Alle prime difficoltà non ci siamo trovati d’accordo su alcuni punti fondamentali e da parte mia la fiducia e la motivazione sono sparite e dunque ho abbandonato la nave. Un fallimento molto istruttivo.
Beyond Good and Evil, Aig. Du Pelerins
Quest’anno insieme a Luca Vallata e a Tito Arosio sei stato nella Cordillera HuayHuash in Perù. Avete ripetuto delle vie e aperto il El malefico Sefkow ( M5+ e AI5, A1, ED2, 800m). Deve essere stata un’esperienza fantastica e soprattutto una bellissima impresa alpinistica. Come avete vissuto la spedizione? È andato tutto per il verso giusto? Qualche episodio particolare?
In Perù è andato tutto a meraviglia, eravamo un gruppo di amici con le stesse idee e con gli stessi principi etici che sono molto importanti! Abbiamo avuto un’idea e con le nostre forze l’abbiamo materializzata, la sola partenza dall’Italia direzione Ande è stata un successo. Il resto come una vacanza ma solo grazie alla positività che deve rimanere sempre alta e permette di soffrire il freddo ridendo, scavare un bivacco ridendo e spaventarsi ridendo!
Un’altra esperienza magica nella tua “carriera” credo che sia la ripetizione di Divine Providence al Gran Pilier d’Angle sul Monte Bianco. Raccontati come hai vissuto quei giorni fantastici.
Su Divine Providence con il Tito è stata una bravata, avevamo scalato poco insieme ma fin da subito era chiaro che avevo trovato un altro fanatico di avventure alpinistiche. Così alla sua proposta di lanciarci su per di là per me è stato naturale dire di sì. Ci siamo concentrati bene sulla salita ed una volta in cima, con la via nel sacco, ci siamo resi conto di non sapere da dove scendere… Tutti e due per la prima volta in cima al Bianco, ce l’avevamo fatta per una via difficile, senza dubbio saremmo scesi in qualche modo! Arrivati al Gouter ci giochiamo una leggenda letta su Vertical, pernotto offerto per chi arriva da Divine Providence… probabilmente un’abitudine d’altri tempi e noi torniamo bruscamente alla realtà.
Insieme a Tito Arosio avete creato il BAL, di cosa si tratta?
Trovare soci è difficile per ogni climber, trovare gente della stessa età e motivazione lo è ancora di più. Io e Tito ci siamo conosciuti grazie al Vecchio e da qui è nata l’idea di un raduno organizzato da giovani per i giovani. Requisiti: una passione sfegatata per l’alpinismo che ti faccia rinunciare a tutto non appena si forma qualche goulotte. Obiettivo: creare nuove cordate di giovani invasati
Quali sono i progetti futuri? Altre spedizioni?
Prevedo un freddo intenso e tanta fatica!
El malefico Sefkow, Quesillio, Perù
Cosa ti ha insegnato l’alpinismo in tutti questi anni?
Ho imparato che è possibile andare oltre. Le difficoltà che appaiono insormontabili sono spesso psicologiche e personali e questo è molto motivante perché vuol dire che ci puoi lavorare. Ho scoperto che tutto quello che apprendo in montagna è estremamente polivalente, applicabile alla vita di tutti i giorni e questo mi rende tranquillo.
In Italia sembra che tutti siano concentrati sulla difficoltà, sulle falesie. Perché pensi che ci siano pochi giovani alpinisti?
Penso che ce ne siano pochi perché io ne conosco pochi. Anche cercando però, non è facile trovare un vero ravanatore e spesso la gente ha obiettivi super tecnici, il grado, abbattere il record, salire nella classifica… Sono aspetti sportivi e io non credo nella sportivizzazione dell’alpinismo. Sono il primo ad esultare se chiudo un tiro, ancor meglio se difficile ma non arrampico in funzione della difficoltà pura. In Italia gli avventurieri ci sono spesso però manca un fil rouge, molti sono isolati nella propria valle e nelle proprie idee. E’ difficile trovare un punto di contatto.
Perché continui a praticare alpinismo? Che valore ha nella tua vita?
Continuo perché mi va bene così. Adrenalina, avventura, appagamento, non vedo perché dovrei smettere. Sensazioni che voglio e devo provare, non mi immagino una vita senza sciare o senza scalare. Sarebbe un percorso esistenziale troppo piatto.
Le principali salite di Saro Costa
Presolana, Parete del Fupù – Via Marco e Sergio Dalla Longa, 1a invernale
Pizzo d’Eghen, via Siddharta, prima solitaria invernale
Grand Pilier d’Angle, Divine Providence
Traversata Piz Scerscen – Piz Bernina
Aiguille des Pélerins, Beyond Good and Evil
Mont Blanc du Tacul, Supercouloir
Les Droites, via Ginat, solitaria in giornata da Milano
Aiguille sans Nom, There Goes the Neighbourhood
Piz Cancian (Bernina), parete nord, Nuova via di misto
Quesillio (Cordillera Huayhuash, Perù), El malefico Sefkow, via nuova
Piccolo Mangart, via Lomasti
Grand Charmoz, via Welzenbach
Mont Maudit, via Kuffner, solo
Cervino, Cresta di Furggen
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Grande lettura. Mi comprerò un libro di Twight.
Arrivo in ritardo, come il mio solito. Noto con piacere che questa interessante intervista a Saro è decorata da una bella successione di commenti…e commenti di un certo valore!
Il primo, nonostante l’utente sia anonimo, è firmato da Ivo Ferrari, una leggenda dell’arrampicata nella zona delle Dolomiti da cui provengo, che fa all’autore una educata e condivisibile critica stilistica.
Vi sono poi: le risposte e le rettifiche di Giacomo Rovida, un ragazzo ce non conosco ancora ma che pare piuttosto simpatico; la, al solito criptata, risposta del Panza (che porta l’epiteto fisso di “amico dei giovani alpinisti”).
Infine appare il pepato commento dell’utente Christian; ma chi è C.? Dev’essere sicuramente un alpinista (italiano?) molto forte e competente, le sue critiche sono precise ed i suoi riferimenti anche; ma se cerco il nome C. ad esempio nella classifica del premio Grignetta d’Oro http://www.planetmountain.com/News/shownews1.lasso?l=1&keyid=42739 la mia ricerca non porta a risultati.
Dando doverosamente per scontata la buona fede e la sincerità dell’utente-alpinista C., vedo tre possibilità:
1- Christian è una vecchia gloria dell’alpinismo italiano, anche se, pensandoci, forti C. non mi tornano alla memoria, povera mia ignoranza alpinistica!;
2- la giuria della Grignetta d’Oro si è dimenticata colpevolmente del fortissimo Christian, d’altra parte non è che un premio alpinistico e il suo valore assoluto è quello che è;
3- Christian è un alpinista DIVERSO come scriveva prima urlando, che non si fa pubblicità e scala nell’ombra (in effetti parla di se come “uno sconosciuto come me”).
Non crediate che quanto ho scritto, sia una maniera insolente di dire “guarda qui i miei muscoli, sono più forte io!” (ma chi se ne frega!); spero non offendiate la mia intelligenza pensando a me come un primitivo clava-munito o un fascistello competitivo, qui quello che ci interessa è solo scoprire chi è Mr.C.!
Dando sempre per scontata la buona fede e soprattutto la maturità di C., credo purtroppo che l’indagine debba terminare qui, senza svelarici l’identità dell’utente mascherato.
Solo un’ultima cosa (come dice il tenente Colombo), mi sembra interessante che, quando C. vuole riportare nomi di veri forti alpinisti italiani, parta con il citare i Catores, butti all’interno della lista con nonchalance qualche Ragno qui e lì, e concluda con le guide alpine.
P.S. A me piace fare la strada da col Flambeau al Capucin legato. Luca Vallata
Ho letto oggi per caso le simpatiche e aggiungerei, da quel poco che li conosco, sincere interviste a Giulia e a Saro.
Mi infastidiscono sempre certi commenti negativi sui pochi giovani moderni, che praticano un alpinismo d’alto livello senza fanfare e pon pon che li precedono.
Mi sembrano commenti dettati da invidia o da interessi particolari, penso che i due giovani magari non vogliano appartenere ad un determinato gruppo di riferimento.
Come battuta sui commentatori negativi mi sembra di poter dire che le palme crescono nei deserti, dove ci sono le oasi.
Ciao paolo panzeri
Oggi girovagando sul web ho trovato questo :http://regazclimbingteam.blogspot.it/2015/01/schiaffi-invernali.html, all’interno dice: Recentemente una bella intervista a Saro ha messo a fuoco alcuni pensieri che frullano in testa da un po’. Basta con le relazioni, i report, le classiche, i grappoli di gente in sosta, le corse sugli avvicinamenti per essere i primi.
Basta un po’ d’immaginazione, e l’avventura è dietro casa. L’unico limite è quello mentale.
Forse il curricolum non c’è l’ha Saro e io manco lo faccio il sesto grado ma questa volta il messaggio, a qualcuno, è arrivato.
Saluti
Giacomo Rovida
Ciao Cristian, sono l’intervistatore, quello che hai riempito di insulti sulla lettera che hai mandato a Stile Alpino. In queste interviste lo scopo non è di presentare il più forte, il più bravo, quello con il curricolum migliore. Saro (che io non conosco se non per l’intervista) mi ha stupito e ho deciso di intervistarlo. E’ un ragazzo giovane e forte. Ha un idea alpinistica e ha realizzato delle belle salite. Che c’è qualcuno più forte ci mancherebbe, c’è n’è sempre uno più forte. Mi interessava con questa intervista presentare la disciplina del misto e il personaggio di Saro (basta leggere l’intervista, le risposte alle domande sono belle e profonde) che per quanto controverso può essere sicuramente uno spunto. Hai dimostrato con la tua arroganza e presunzione di non saper ponderare le parole e di essere capace solo di parlare a insulti.
Avrai un curricolum altissimo ma questo non fa di te una grande persona.
con simpatia
Giacomo Rovida
Solita intervista al solito romanticone che non avendo la preparazione per gli obiettivi più difficili la mette sul IO SONO DIVERSO. In Pakistan sanno tutti come è andata, se l’è fatta sotto prima del campo avanzato, manco nella salita. In Perù non hanno finito una via e ha avuto più articoli di quelli che le vie le fanno, al corso guide è scappato, il suo curriculum è pieno di salite che tra Catores, Ragni, guide alpine e sconosciuti come me ce ne sono almeno mille superiori. Con Internet diventano tutti bravi. Mandate quel curriculum ad Alpinist e vedete cosa vi rispondono. E poi si dice che non è fighetta e si presenta con capelli ossigenati e giacca blu alla moda? Di dov’è, Milano o Roma? Ma per favore. Conoscete Holzknecht, Schiera, Pesce, Della Bordella? Hanno attaccato Bubu Bole perché ha sparato alto sui gradi, ma avete presente Bubu cosa ha fatto rispetto a questo qui? Dispiace che su un sito di un festival serio compaia un viziato simile. E dite all’intervistatore, che sarà il solito ragazzino da sesto grado e corda tesa verso il Capucin, che Twight uno così non se lo portava neppure a cena.
come ho riportato sul web l’introduzione è solo penna mia (Saro dunque non c’entra). Ho usato volutamente termini “politically scorrect” per enfatizzare meglio il testo e il messaggio dell’intervista. Volevo prendere posizione contro un alpinismo internetiizzato fatto di è in condizioni? ci son le foto? allora vado. Giusto o sbagliato? Ognuno ha la sua idea e io attraverso Saro ho espresso la mia. Ho deciso di farlo usando toni alti e un pò incazzati come farebbe un 20enne incazzato con il mondo, credo che in qualche modo potesse combaciare bene con l’intervista. Alessandro mi lascia totale libertà e di questo lo ringrazio. Mi spiace di aver urtato i vostri animi sensibili per certi termini aimè volgari, userò parole più consone a un’ intervista. Saluti. Giacomo Rovida
Bella intervista, Saro è uno di quelli che se conosci non è poi cosi tanto sconosciuto. Però permettimi di farti una piccola osservazione, che non centra niente con Saro. i termini “contro cazzi” e “in qualche falesia vestito da fighetto” secondo me sono inappropriati per uno che intervista e presenta un … Protagonista come è Saro. Forse sarò all’antica, o forse sono antico, ma nella scrittura, negli scritti, anche moderni, certi termini vanno pensati ma non scritti … magari da fastidio solo a me, ma se io fossi Alessandro che conosce a 360 gradi il modo di esprimersi su carta e pc … Senza rancore ovviamente, è solo una idea mia. ciao, aspetto di leggere una tua prossima intervista. ivo ferrari