Quintino Sella e la battaglia del Cervino (parte 1)

Quintino Sella e la battaglia del Cervino (parte 1)
Le lettere ritrovate con il retroscena politico e con la regia dello statista alpinista
di Pietro Crivellaro e Lodovico Sella (per gentile concessione)

Il testo di questo saggio è corredato dai Documenti. Rimandiamo perciò al testo integrale: i Documenti sono da pag. 40 in poi.
Il testo integrale è stato pubblicato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito degli Scritti (Gli Archivi e la Montagna) in onore di Paolo De Gasperis, a cura di Francesco M. Cardarelli e Maurizio Gentilini (Documentalia 7).

Pietro Crivellaro è storico dell’alpinismo e Direttore artistico del Teatro Stabile di Torino. Lodovico Sella è Presidente della Fondazione Sella di Biella.

Pietro Crivellaro
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Una questione nazionale
Nella storia illustre e romanzesca della conquista del Cervino c’è ancora qualcosa che non quadra. Dopo tanti libri che raccontano l’emozionante vicenda, ad analizzare l’episodio più emblematico dell’alpinismo classico, riaffiorano snodi e retroscena poco chiari, travolti dalla raffica di colpi di scena che nel luglio 1865 liquidarono la partita aperta da un quinquennio pieno di tentativi falliti. Nel giro di una decina di giorni si susseguono “il tradimento” di Edward Whymper da parte di Jean-Antoine Carrel, ex bersagliere e guida del Breuil, ritenuto l’unico capace di raggiungere la vetta; il vittorioso blitz lungo la cresta svizzera del testardo inglese guidato da Michel Croz di Chamonix intercettato a Zermatt; ma il trionfo subito si trasforma in tragedia perché in discesa quattro compagni della cordata di Whymper, compreso il grande Croz, vanno a sfracellarsi nell’abisso della parete nord; infine l’immediata replica di Carrel che, per non perdere la faccia, si decide a ritentare con tre compagni e questa volta riesce a espugnare la cresta del Breuil raggiungendo a sua volta la vetta.

Perché Carrel conduce anni di tentativi, non solo con Whymper, lungo la “sua” cresta italiana, per poi farsi prendere in contropiede dalla cresta svizzera che si rivela ben più facile? Perché già un tentativo di John Tyndall del luglio 1862 condotto, si badi, dalla forte guida forestiera Johann-Joseph Bennen, con Carrel del tutto demotivato nel ruolo di portatore, riesce a spingersi fino all’ultimo baluardo a meno di 250 metri dalla vetta, bloccandosi alla spaccatura dell’“ enjambée”, ma poi per tre anni il nostro eroe non avanza di un metro, fino al brusco epilogo del 1865? Possibile che egli non potesse risolvere il problema prima di essere costretto dall’umiliante sconfitta inflittagli da Whymper? Ora, a distanza di un secolo e mezzo dai fatti, sulla base di documenti solo in parte nuovi, possiamo riscoprire che questi interrogativi polarizzati sullo strano comportamento di Carrel riguardano solo l’aspetto più immediato ed esteriore della vicenda, che non si riduce a una gara tra la guida del Breuil e l’inglese Whymper, come tendono a semplificare le divulgazioni più correnti. Possiamo in sostanza renderci conto che la partita è ben più ampia di un duello tra la guida valdostana e il suo cliente inglese, perché alle spalle della guida riemerge la committenza “nazionale” del Club Alpino nascente, deciso a contrastare i conquistatori inglesi dell’Alpine Club sul campo delle “nostre Alpi”. Infatti dietro l’ambizione scientifica e sportiva ante litteram del Club Alpino di Torino si consolida il movente politico che fa capo a Quintino Sella di non lasciare agli stranieri la vetta più bella e ambita delle Alpi, caposaldo emblematico dell’alpinismo dei pionieri. Cosicché dietro la facciata del duello tra Whymper e Carrel si delinea una battaglia, non priva di vittime, per il prestigio della nuova Italia appena nata dal Risorgimento. Dobbiamo in definitiva reinterpretare l’episodio cruciale del Cervino, fino a oggi incorniciato a fondamento della piccola storia degli alpinisti, perché grazie al costante coinvolgimento di Quintino Sella e della sua cerchia di amici e collaboratori si rivela come una questione nazionale, un episodio che appartiene in realtà alla storia d’Italia, al capitolo “fare gli Italiani”.

In seguito a ciò ci apparirà anche come un evento, probabilmente il primo, che anticipa l’immenso ruolo politico che lo sport assumerà per l’identità delle nazioni solo da fine Ottocento.

Lodovico Sella
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Il nipotino Guido Rey
Per mettere a fuoco meglio il caso Cervino bisogna anzitutto prendere un po’ le distanze dall’affascinante ma univoca versione di Whymper narrata nel suo primo libro, forse il più classico dell’alpinismo di tutti i tempi, inizialmente (1871) pubblicato con il titolo generico Scrambles amongst the Alps in the Years 1861-1869, ben presto riproposto con quello più efficace per quanto parziale di The Ascent of the Matterhorn. In Italia quel testo è arrivato solo nel 1933 (1), ma in seguito è stato più volte ristampato e riedito fino alla recente nuova traduzione nei “Licheni” di Vivalda, ora rilevati da Priuli & Verlucca.

Per avere un quadro più completo di tutta la vicenda bisognerebbe intanto riscoprire le fonti nostrane, a cominciare dal magnifico libro di Guido Rey Il Monte Cervino, pubblicato nel 1904 da Hoepli, che nel centenario ne ha fatto un’elegante ristampa. Il bel volume di Rey, a suo tempo tradotto in varie lingue, resta la fonte più completa perché ricostruisce più equamente la storia suonando anche l’altra campana e spiegando in dettaglio i sorprendenti retroscena sul fronte italiano che Whymper liquidò come uno strano voltafaccia da parte di Carrel.

Guido Rey
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Rey, che tra Otto e Novecento fu l’ideologo carismatico del Club Alpino Italiano fino al fascismo inoltrato, conosceva il Cervino da alpinista meglio di chiunque altro. Ma in più, riguardo alle fonti per la storia, aveva potuto consultare l’archivio di Quintino Sella, l’artefice del CAI fondato come si sa a Torino 150 anni fa. Lo statista biellese infatti era suo zio acquisito, marito di Clotilde Rey, sorella del padre Giacomo, che fu a lungo tesoriere del Club Alpino delle origini. Da ragazzo il torinese Guido veniva spedito in vacanza a Biella dove poteva esplorare con i cugini le rocce del torrente Cervo, adiacente al lanificio Sella e partecipare alle gite sui monti biellesi, spingendosi poi a Gressoney, ai ghiacciai e agli alti colli del Monte Rosa fino ai piedi del Cervino.

L’istruttore che capitanava la scuola famigliare di alpinismo era naturalmente lo zio Quintino (2).

Il quale non era stato soltanto il protagonista della “riconquista” italiana del Monviso e il promotore della fondazione del Club Alpino nel 1863. L’ingegnere, geologo e scienziato prestato alla politica fu sempre anche alpinista, più attivo e aggiornato di quanto comunemente si creda, e va considerato – come si vedrà – il maggior intenditore e il più deciso promotore della conquista italiana del Cervino. Anzi, il regista costretto dalla priorità dei suoi molteplici impegni politici e scientifici ad agire nelle retrovie, rimanendo celato dietro le quinte.

Dopo quella più famosa “Io credetti e credo la lotta coll’Alpe, utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede“, ecco un’altra massima di Guido Rey
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La congiura patriottica
Guido Rey è dunque lo storico più documentato in grado di svelare i retroscena della “congiura patriottica” organizzata fin dall’estate 1863 dallo zio con gli amici fondatori del Club Alpino per non lasciarsi soffiare anche il Cervino dagli Inglesi che già avevano salito per primi il Monviso, “la vetta piemontese per eccellenza”. In verità se Quintino Sella fu il promotore più autorevole di una conquista italiana del Cervino dopo la fondazione del CAI (23 ottobre 1863), è ben noto che localmente, in Valle d’Aosta e in Valtournenche, quel progetto era già stato ideato e sostenuto dal canonico Jean-Georges Carrel, “l’ami des anglais” che da appassionato e lungimirante naturalista sognava un futuro turistico per la Valle d’Aosta e la sua valle del Breuil (che lui autoctono chiama Breil). Rey attinge il nucleo della “congiura patriottica” da un resoconto di Carrel che la fa risalire alla fondazione del Club Alpino a Torino. Per quanto privo di fonti dirette sugli argomenti trattati al Castello del Valentino di Torino, il canonico Carrel scrive: “Mi sia permesso di credere che qui venne tramata una vendetta nazionale. Essendo loro sfuggito il Monviso, posto quasi alle porte di Torino, bisognava prendere d’assalto il Monte Cervino e raggiungerne il punto culminante a ogni costo”.

Il canonico valdostano, che scrive alla fine del 1867, sa bene chi sono i protagonisti della progettata conquista: “I signori commendatori Quintino Sella e Felice Giordano, è mia convinzione, si sono incaricati dell’esecuzione di questa gloriosa e nazionale impresa, e hanno compiuto i più grandi sacrifici per raggiungere questo scopo. Poiché ragioni di Stato non avevano permesso al primo di partecipare attivamente sul campo, il secondo si trovò ad operare da solo (3)”.

Jean-Georges Carrel
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Siamo ormai al precipitare degli eventi, in quel luglio 1865 al “campo base” del Breuil, che Guido Rey ricostruisce citando quasi integralmente la sequenza delle lettere scritte dall’ingegner Felice Giordano al ministro Sella negli ultimi, concitati giorni di assedio alla Gran Becca. L’astigiano Giordano, compagno di studi del biellese all’École des Mines di Parigi e in seguito fidatissimo collaboratore nella politica mineraria, è il braccio destro spedito a spronare la guida Jean-Antoine Carrel all’azione, per l’onore dell’Italia. Nelle sue lettere fornisce una cronaca dettagliata del succedersi dei fatti, oltre a vari elementi che ci aiutano a mettere a fuoco il contesto. Fino all’ultimo Giordano agisce da collaboratore subalterno che ha preceduto Sella per spianargli la strada e spera che il ministro – tornato alle Finanze già dal 28 settembre 1864 – possa liberarsi dagli impegni politici e raggiungerlo in extremis per compiere l’agognata ascensione e piantare in vetta alla colossale montagna il tricolore. In tal modo l’impresa avrebbe avuto il massimo risalto per la gloria italiana.

 


Una battaglia politica
Finora le lettere di Giordano del luglio 1865 in cui si lamentano spese crescenti, superiori al previsto, fino al clamoroso equivoco di scambiare dal fondovalle del Breuil il successo della comitiva Whymper con quello di Carrel, ci inducevano a concentrarci sulle ragioni della sconfitta. In particolare alimentavano il sospetto che la guida Carrel avesse un po’ menato il can per l’aia per moltiplicare le giornate di paga alla squadra di guide. Già all’epoca lo stesso canonico Carrel puntò il dito sul cittadino Giordano, rimproverandogli velatamente l’ingenuità di aver pattuito con l’ex bersagliere una paga a giornata per un numero indefinito di giorni, anziché una somma allettante e forfettaria per la vetta.

Insomma, la sconfitta italiana pare proprio dovuta alla venalità della grande guida, più che comprensibile in un montanaro agli albori dell’alpinismo che, carico di figli da mantenere, cercava di rendere più redditizia la sua attività (4).

Ma il carteggio indubbiamente prezioso dell’estate ’65 può essere notevolmente arricchito da un’indagine più approfondita dell’archivio Sella, ora che è anche possibile incrociarlo con il vasto epistolario in otto volumi portato a termine da Guido Quazza e soprattutto dalla moglie Marisa con un lavoro trentennale.

Felice Giordano
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La ricerca da noi compiuta alla Fondazione Sella per l’allestimento della mostra Le montagne di Quintino Sella. Dall’ingegnere e geologo all’alpinista realizzata per i 150 anni della fondazione del CAI, aperta nell’autunno 2013 nella ex fabbrica dove lo statista abitò per tutta la vita con la sua famiglia, ha permesso di individuare altre lettere sia di Giordano, sia di altri corrispondenti, oltre a lettere dello stesso Sella, che mettono a fuoco meglio il coinvolgimento del fondatore del CAI nella storia della conquista del Cervino. In particolare le nuove lettere ricomposte nella sequenza cronologica gettano nuova luce sugli antefatti dell’estate 1864, quando l’intera partita avrebbe potuto prendere una piega ben diversa, se solo Quintino Sella fosse stato libero di assecondare l’invito della guida Carrel che il 7 agosto gli scriveva da Valtournenche di affrettarsi a raggiungerlo (5). E inoltre, dopo il drammatico epilogo del ’65, documentano la continuità dell’interesse di Sella scienziato e alpinista per il Cervino negli anni successivi. Le lettere post 1865 ora riemerse, ossia dalla n. 25 alla n. 50, la metà dell’intero carteggio, si polarizzano intorno a due momenti, tra loro piuttosto distanti: gli ultimi mesi del 1868, e gli ultimi mesi del 1877, idealmente collegati da tre lettere degli anni intermedi (nn. 37, 38 e 39) che portano in scena lo stesso Whymper, il quale intende fare omaggio dei suoi libri al Re d’Italia, appassionato frequentatore delle Alpi.

Sulla simpatia reciproca tra Vittorio Emanuele II e l’uomo politico biellese, accomunati dalla passione per le montagne e dalla franchezza dei modi, si potrebbe aprire un’interessante digressione. Basterà qui rammentare che quando Quintino Sella assume la presidenza del Club Alpino Italiano si adopera per far acclamare il re cacciatore presidente onorario del CAI. La nomina dà luogo, verso la fine del 1877 all’incisione di una targa di bronzo dedicata al re, con il testo in latino della solenne deliberazione firmata dai delegati di tutta Italia.

Ritratto di Guido Rey. Foto: Vittorio Sella, 1879
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L’omaggio giungerà a destinazione pochi giorni prima della morte di Vittorio Emanuele II. Per questa ragione e per dare continuità all’ideale legame del Club con il sovrano, Quintino Sella fa deliberare l’incisione di una seconda targa dedicata al nuovo re Umberto, anch’egli acclamato presidente onorario. Le copie delle due targhe latine in bronzo sono riemerse dall’archivio dello statista per la citata mostra Le montagne di Quintino Sella.

 

John Tyndall
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Dal primato scientifico di Giordano alle imprese record di figli e nipoti
Dopo le delusioni patite nel ’65, l’ingegner Giordano insiste a ritentare il Cervino con Carrel nelle estati seguenti ma incontra per due anni consecutivi tempo pessimo. Nel ’66 rimangono bloccati al Pic Tyndall per diversi giorni (6).

A fine estate 1867, un tentativo improvvisato fissato a metà settembre va a vuoto per il peggioramento del tempo (7). Quando finalmente, nell’estate 1868, riesce a realizzare l’agognata ascensione, immediatamente Sella si adopera per divulgare degnamente l’impresa del collega e i suoi risultati per la geologia. Dapprima induce Giordano a riferirne al convegno degli scienziati riuniti a Vicenza a metà settembre e nei mesi successivi lo sollecita con insistenza per strappargli una memoria geologica da presentare all’Accademia delle Scienze di Torino in una seduta fissata per fine anno. Le resistenze di Giordano che, in quanto ingegnere e geologo professionista ma non docente universitario, non fa parte dell’Accademia, faranno slittare la consegna del testo fino ai primi del 1869, quando Sella potrà leggere la relazione di Giordano sulla geologia del Cervino ai colleghi accademici. Dopo l’esito piuttosto deludente della battaglia per la vetta, lo scienziato biellese cerca almeno di assicurare all’Italia il primato platonico di uno studio all’avanguardia sulla singolare struttura geologica della Gran Becca (8).

L’ultimo nucleo di lettere comprende quelle riferibili alla seconda parte del 1877, quando anche lo statista può permettersi di festeggiare i suoi 50 anni compiendo l’ascensione del Cervino accompagnato dai figli Alessandro e Corradino e dal nipote Carlo, condotti dalle guide italiane più rinomate dell’epoca, Jean-Antoine Carrel, Jean-Joseph Maquignaz, Antonio Castagneri e Ferdinand Imseng, tutti nomi che qualche anno dopo scompariranno in circostanze drammatiche.

Ritratto di Jean-Antoine Carrel, senza data, autore ignoto
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Dopo l’occupazione di Roma e il definitivo trasferimento della capitale, Quintino Sella è tornato all’alpinismo attivo ritagliandosi ogni estate qualche giorno di vacanza per mettere personalmente in pratica la sua concezione pedagogica dell’andare in montagna, facendosi istruttore di figli e nipoti, come ha rievocato Guido Rey. Oltre a ciò, dal gennaio 1876, meno incalzato dagli impegni politici in seguito alla caduta della Destra storica, ha anche accettato di assumere la presidenza del Club Alpino, carica a cui si dedicherà fino alla morte con assiduo impegno, a giudicare dai folti carteggi, ancora tutti da esplorare, con i dirigenti del CAI e delle sezioni ormai sparse in tutta Italia.

L’ascensione del Cervino è il coronamento di un sogno, non più un traguardo per l’Italia come era stato il Monviso nel 1863, ma una meta personale che gli procura un entusiasmo neppure immaginato. Ne parlerà per anni, ancora nei primi giorni del 1880 a un convegno degli alpinisti napoletani, nel corso del quale addita la nuova frontiera delle ascensioni invernali. Se siamo lontani dal fervore risorgimentale della battaglia per la conquista, tuttavia la salita del Cervino con i figli brilla come una tappa saliente della sua strategia pedagogica per far crescere gli allievi che presto compiranno imprese di rilievo internazionale con la conquista del Dente del Gigante, le prime invernali realizzate da figli e nipoti e i brillanti esordi del nipote Vittorio Sella, fotografo alpinista.

Edward Whymper fotografato a Courmayeur con le guide e i portatori poco prima della partenza per il Monte Bianco, agosto 1892. Foto: Giovanni Varale.
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Quintino Sella
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Note
(1) E. Whymper, Scalate nelle Alpi, trad. di A. Balliano, Torino, Montes, 1933. La traduzione venne riveduta da Balliano per la nuova edizione integrale stampata a Torino nel 1946, con ill. dell’autore. Alla fine del 1947 Montes fu rilevata da Viglongo che sarà l’editore del libro di Whymper per vari decenni. Considerato che la traduzione francese del libro di Whymper fu pressoché immediata e la traduzione tedesca uscì nel 1909, ancora vivente l’autore, va rilevato il vistoso ritardo dell’approdo in Italia. Quasi una prolungata rimozione.

(2) La formazione alpinistica alla scuola dello zio Quintino viene rievocata da Guido Rey (1861- 1935) nel racconto Primi passi, pubblicato nella raccolta di G. Saragat (Toga Rasa) e G. Rey, Famiglia alpinistica. Tipi e paesaggi, Torino, S. Lattes e C., 1904 (nuova edizione a cura di G. Marci, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi-CUEC Editrice, 2005). L’avvocato sardo Giovanni Saragat (1855-1938), padre del futuro presidente della Repubblica Giuseppe, operò a Torino unendo alla professione forense un’intensa attività di giornalista e scrittore di vena umoristica, firmandosi con lo pseudonimo “Toga Rasa”. Il tema della formazione sulle orme dello zio Quintino è ripreso da Guido Rey nelle pagine autobiografiche del libro Il Monte Cervino, Milano, Ulrico Hoepli, 1904, pp. 161 sgg. (capitolo quarto, La prima volta che vidi il Cervino).

(3) J.G. Carrel, La Vallée de Valtornenche en 1867, “Bollettino del Club Alpino Italiano”, III, 12, 1868, pp. 3-72, ristampato come volume: La Vallée de Valtornenche en 1867, Turin, Imprimerie J. Cassone et Comp., 1868.

(4) Questo sospetto che la storiografia nazionale tende a respingere con sdegno (vedi La sconfitta italiana al Cervino, in F. Cavazzani, Uomini del Cervino, Milano, Ceschina, 1955, pp. 315-327) era già una radicata convinzione nei Sella che avevano scalato con Carrel. In particolare ne era convinto Vittorio Sella che con Carrel compì la famosa prima invernale al Cervino nel 1882. In un appunto del 1969 Lodovico Sella scrive: «Cesare mi dice che suo padre Vittorio Sella giudicava Carrel uomo ottimo come alpinista ma terribilmente venale. Avrebbe potuto scalare il Cervino cinque o sei anni prima di Whymper se avesse voluto, ma preferiva ripetere la gita. Quando Giordano e Quintino Sella gli diedero l’incarico per non lasciar sfuggire questa vetta all’Italia, forse non era ancora convinto. Dopo la riuscita di Whymper, Carrel salì senza alcuna difficoltà (due o tre giorni dopo).
Certo è che Vittorio raccontò che Carrel tentennava a un certo punto della sua salita invernale del 1882 e che Vittorio stesso, visto che Carrel voleva tornare indietro, si mise a capocordata e continuò a salire. Carrel capì che aveva da fare con qualcuno più forte di lui e più tardi si rimise capocordata quando si arrivò a un passaggio che Vittorio non conosceva. Cesare Sella pensa che Carrel volesse rinunciare per poi ripetere ed essere di nuovo pagato in un successivo tentativo».

(5) Vedi lettera n. 10.

(6) F. Giordano, Escursione al Gran Cervino nel luglio 1866, “Bollettino del Club Alpino di Torino”, I, XX, 1866, pp. 6-24.

(7) Escursioni dal 1866 al 1868. Notizie dell’ingegnere Felice Giordano membro del Club Alpino Italiano, “Bollettino del Club Alpino Italiano”, III, 13, 1868, pp. 259-260.

(8) Il 10 gennaio 1869 alla riunione della Classe di Scienze fisiche e matematiche dell’Accademia delle Scienze di Torino, Quintino Sella leggerà la memoria di Giordano Sulla orografia e sulla geologica costituzione del Gran Cervino, pubblicata negli Atti dell’Accademia, vol. IV, 1868-1869, pp. 304-321. Secondo il geologo Giorgio Vittorio Dal Piaz la memoria di Giordano segna una tappa importante negli studi di geologia delle Alpi. Vedi G.V. Dal Piaz, Il Monte Cervino: dalla conquista alle ricerche geologiche di Giordano e Gerlach in Le Alpi: dalla riscoperta alla conquista. Scienziati, alpinisti e l’Accademia delle Scienze di Torino nell’Ottocento, a cura di A. Conte, Bologna, Il Mulino, 2014 (in stampa). Per il resoconto dell’ascensione di Giordano: Ascensione del Monte Cervino nel settembre 1868, dell’ingegnere Felice Giordano, “Bollettino del Club Alpino Italiano”, III, 13, 1868, pp. 295-320; pubblicato anche in Atti della Società italiana di Scienze naturali, XI, 1868, pp. 669-694.

(continua)

 

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Quintino Sella e la battaglia del Cervino (parte 1) ultima modifica: 2015-08-24T06:00:31+02:00 da GognaBlog

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