Lo scrittore e il mondo della narrativa dopo il Covid: «Tutto è più cupo, anche nei racconti degli aspiranti autori». Ora un libro sulla pesca a mosca e un altro sul lato zen di Cristo.
Raul Montanari: «Il politicamente corretto è il veleno dei nostri tempi»
di Simone Bianco
(pubblicato su bergamo.corriere.it il 3 giugno 2022)
Raul Montanari in tre decenni di carriera ha messo la firma su decine di libri e si è aperto una grande finestra sulla voglia di scrivere degli altri, grazie ai corsi di scrittura creativa — sempre molto frequentati — e alla presidenza del concorso Straparola di Caravaggio. Montanari è di Castro, sul Lago d’Iseo, è cresciuto pescando nei fiumi delle valli bergamasche ed è di questo che racconta in un libro in uscita, Più grande di noi. Confessioni di un pescatore a mosca (Hopeful Monster, 128 pagine). A Milano abita, scrive ed è lì che vivono tanti personaggi della sua narrativa.
Chi sono oggi gli aspiranti scrittori?
«Sono un mondo molto vario, personalmente vengo in contatto ogni anno con 160-170 allievi dei miei corsi, altrettanti ne conosco attraverso lo Straparola. E c’è di tutto: l’hobbista e chi ci crede moltissimo. Durante i corsi i più intelligenti spesso scoprono di non avere abbastanza storie o abbastanza talento e lasciano perdere. Ma ho conosciuto anche una signora, bravissima, che si era inventata un vero lavoro: partecipava a decine di concorsi e ne vinceva tantissimi. “Sulla carta d’identità ho fatto scrivere scrittrice, guadagno più di mio marito”, mi disse quasi vergognandosi».
Questi due anni, dallo scoppio della pandemia allo scoppio della guerra, come hanno inciso su chi scrive, o almeno ci prova?
«Beh, tutto è diventato più cupo, lo dicono le tematiche scelte da chi propone racconti. Sempre più presente è quella della morte, della vecchiaia, spesso dei genitori. Mentre prima del Covid per lunghi anni una delle questioni centrali che venivano trattate era stata il lavoro, con la precarietà lavorativa che diventava precarietà esistenziale».
Come si riflette questo su un concorso letterario come lo Straparola, di cui lei è presidente dal 2000?
«Ancora non abbiamo letto i testi, ma credo che la tendenza sarà la stessa. Nel 2020, ultima edizione, siamo stati investiti in pieno dall’onda emotiva della prima fase della pandemia. Era naturale, la gente ci mandava messaggi di grande affetto per quello che era successo in provincia di Bergamo. I racconti arrivano da ogni parte d’Italia, anche dall’estero. Questo credo sia il risultato di un lavoro importante fatto in questi anni per sprovincializzare lo Straparola: aver dato maggiore peso alla giuria tecnica valorizza la qualità della scrittura. Questo è anche uno dei pochi premi “ricchi”. Per chi scrive, vincere 1.000 euro non è poco e soprattutto è molto diverso da quello che si trova in giro, spesso concorsi che costringono i vincitori ad autopubblicarsi. Non è un caso che in questi anni siamo riusciti a lanciare scrittori che poi sono stati pubblicati».
Nella sua scrittura come affronta la cesura che il Covid ha rappresentato nelle vite di tutti?
«L’ultimo romanzo pubblicato, nel 2021, Il vizio della solitudine, è Covid free. Lo stavo scrivendo nel gennaio del 2020, prima che succedesse tutto, e poi ho ritoccato alcune scene proprio per evitare che temporalmente cadessero dentro quel periodo, rendendo troppo complicato lo svolgimento della storia. Invece nel 2023 uscirà un nuovo romanzo che è ambientato in una casa di Milano, durante il lockdown, che gioca una parte centrale nella storia. In generale, al di là della pandemia, in questo momento per uno scrittore è molto complicato affrontare una narrazione nel presente. Non è un caso che molti si siano buttati sul romanzo storico o su un futuro distopico. Perché il presente oggi cambia nel giro di pochi mesi, settimane, addirittura. Rischi di inserire riferimenti che già al termine della revisione sono superati. Già nel 2014 mi capitò di parlarne con Ammaniti, a cui è sempre stata riconosciuta una grande capacità di cogliere il presente soprattutto dei più giovani. Mi disse: ma se io cito un videogame in mano a un ragazzino, sei mesi dopo è già vecchissimo».
In che direzione sta andando ora il suo di lavoro?
«Nelle prossime settimane usciranno due libri. Il primo è un memoir, Più grande di noi. Confessioni di un pescatore a mosca. Amo nascondermi nei miei personaggi, pratico la pesca a mosca, soprattutto nei fiumi delle valli bergamasche, fin da quando sono bambino. L’altro invece si intitola Il Cristo zen. Alla ricerca di un Gesù mai raccontato (Baldini&Castoldi, 138 pagine, ndr). Da ateo, sono sempre stato molto interessato alla teologia e alla fede come esperienze culturali. E devo dire che, se da giovane degli anni ‘70 vivevo la Chiesa cattolica come un nemico, oggi rimpiango il ruolo che aveva la religione nella società. Se a prevalere fosse stato il libero pensiero, Socrate, Voltaire, Bertrand Russel, sarei felice. Invece hanno vinto Elon Musk e Zuckerberg, la religione e le ideologie hanno lasciato il passo al vuoto, riempito dal marketing».
Lei è stato anche traduttore di alcuni romanzi di Cormac McCarthy, ultimo grande vecchio della letteratura Usa. Uno che di cogliere il presente non si è mai preoccupato, ma ha prodotto grandi premonizioni, come “La strada”. In autunno sono annunciati due suoi nuovi libri.
«Sì, McCarthy in pratica ha sempre scritto la stessa storia, la lotta del bene contro il male, con confini mai troppo ben definiti. E poi c’è quest’uso dei dialoghi che se ne fregano della verosimiglianza: miserabili che parlano come filosofi e teologi, un modo estremamente affascinante. In effetti è l’ultimo grande vivente della letteratura americana, ma pare non sia più tra i candidati al Nobel».
Che impressione le hanno fatto invece quegli episodi di censura che si è abbattuta sugli autori russi, da Dostoevskij in giù?
«Nel caso di Paolo Nori siamo arrivati al ridicolo. È l’estrema manifestazione del politicamente corretto, che è uno dei veleni della nostra epoca. A me sta avvelenando la vita, il politicamente corretto, non mi sento più libero di fare una rappresentazione del femminile nelle cose che scrivo, come lo ero vent’anni fa. Mi pongo problemi, devo andare con il bilancino, cerco di equilibrare. Nel caso di Nori la cosa più grottesca è che hanno cercato di imporgli di parlare di autori ucraini accanto a quelli russi, per tenere il corso. Anni fa successe una cosa del genere al Salone del Libro, quando ci furono proteste contro la scelta di Israele come Paese protagonista della rassegna e qualcuno insistette che si dovesse dare lo stesso spazio ad autori palestinesi. E, mi tocca precisarlo, sono tutto meno che un sionista».
Questa par condicio forzata poi porta nei talk show figure discutibili, tipo quegli ospiti russi che negano la realtà nel parlare di guerra.
«Sono sicuramente entrati in campo dei personaggi di questo genere, ma la realtà è varia. Ho visto, ad esempio, da Lucia Annunziata questo analista russo, Andrey Kortunov che dimostra come anche da quel lato c’è chi è capace di fare analisi serie e credibili. Ha parlato di “guerra” e di grande confusione che vivono ora i russi. Ma solitamente i talk show sono costruiti sul gioco delle parti, per generare il litigio tra figure stereotipate».
I social amplificano queste dinamiche?
«I social danno maggiore visibilità a caratteristiche umane che sono sempre esistite, l’egocentrismo, l’odio. Non hanno inventato niente».
Corrado, nel primo caso la lettura che suggerisce la contrapposizione manichea (lettura peraltro falsa e falsante) è tutta di Montanari.
Nella seconda frase invece è semplicemente sbagliata l’interpretazione dell’aggettivo “corretto”
Da questi fondamenti, evidentemente l’unica conclusione è che le idee sottese possono essere solo fallaci.
Oltre che mal esposte, ovviamente
1.Lorenzo.
Direi che quanto asserisci sarebbe un’ottima battuta se non fosse vero.
@4
E’ la tua impostazione di pensiero manicheo (perfettamente adeso al momento storico in cui siamo immersi) ad impedirti di comprendere il senso di quanto scritto.
Non è tutto e sempre contrapposizione di qualcos’altro, le idee esistono in quanto tali, non come antagonismo di posizioni.
Sarà anche un ottimo traduttore e un grande scrittore, ma mi pare che quanto a logica e analisi storica sia piuttosto carente:
“rimpiango il ruolo che aveva la religione nella società. Se a prevalere fosse stato il libero pensiero, Socrate, Voltaire, Bertrand Russel, sarei felice. Invece hanno vinto Elon Musk e Zuckerberg, la religione e le ideologie hanno lasciato il passo al vuoto, riempito dal marketing”
Russel e Voltaire avranno anche vinto e la chiesa perso (ed è alquanto opinabile…) ma se fosse avvenuto il contrario sarebbe stato meglio? La guerra di religione meglio della guerra di mercato (posto che la religione contrasti il mercato, ovviamente)
Ma anche in semantica mi pare che pecchi leggerissimamente:
“È l’estrema manifestazione del politicamente corretto…Nel caso di Nori la cosa più grottesca è che hanno cercato di imporgli di parlare di autori ucraini accanto a quelli russi”
questa è una manifestazione estrema -e stupida- del politicamente schierato, non del politicamente corretto!
E’ tutto scritto qui.
Considerazione condivisibile e giustissima
“politicamente corretto, che è uno dei veleni della nostra epoca”.
Se non lo capisci sei progressista.