Ritorno al Siguniang

Ritorno al Siguniang
(una via nuova di 72 lunghezze in Cina conclude una storia di ossessione e redenzione)
di Chad Kellogg
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2009)


Il 28 settembre 2008, alle 16.35, Dylan Johnson ed io abbiamo raggiunto la vetta del Siguniang Shan. Il viaggio aveva gettato molti ostacoli sul nostro cammino, da tempeste di fulmini a creste affilate, giorni senza cibo e acqua e notti insonni. Abbiamo scalato 72 tiri di terreno tecnico in otto giorni per stare sulla vetta di 6250 mi e per completare la più grande scalata della nostra vita. Tuttavia, questa strada verso il Siguniang era iniziata molti anni prima.

Dopo una discesa dalla cima durata tutta la notte, gli scalatori hanno continuato a scendere sotto al loro campo 7 per la parete sud di 900 metri, raggiungendone il fondo dopo 9 ore di corde doppie. L’evidente sperone subito a destra della loro linea di discesa era stato salito dai giapponesi nel 1992. La cresta sud-est (lo skyline di destra) era stata salita nel 1981 da un’altra spedizione giapponese (quella che per prima conquistò la vetta). Foto: Kenzo Okawa.

Quando ho visto il Siguniang per la prima volta nel 2004, mi sono invaghito della massiccia e granitica parete nord e della cresta sud-ovest apparentemente infinita. Mia moglie, Lara, ed io avevamo appena scalato una nuova via sul Luk Tse nella catena del Nyanchen Tanglha occidentale del Tibet. Avevamo accolto il suggerimento di Charlie Fowler e visitato il Parco Nazionale di Siguniang a ricognizione per future vette da scalare. Il Siguniang era mozzafiato nella sua grandezza. Sapevo di non avere altra scelta che tornare e scalare la Quarta Sorella.

Tra i vari ostacoli che gli scalatori dovevano fronteggiare, c’era anche un ripido approccio, 800 metri di fitta vegetazione, fino al piede della parete. Qui è ritratto Dylan Johnson alle prese con gli sterpi. Foto: Chad Kellogg.

L’anno successivo reclutai Joe Puryear e Stoney Richards per tentare la parete nord del Siguniang a settembre e ottobre. Con nostra delusione, 10 giorni di tempeste di neve hanno martellato la montagna mentre aspettavamo alla base. Tuttavia, abbiamo completato due prime salite in quella spedizione. Abbiamo salito la Raindog Arête (550 m, IV 5.10c) sulla cresta nord-ovest di una vetta che abbiamo chiamato Angry Wife. Più significativamente, abbiamo aperto una nuova via che abbiamo chiamato Salvage Op (850 m, IV 5.10+) sulla parete sud del Daogou Main in 17 ore di salita.

Nell’aprile 2007 Jay Janousek, Joe Puryear e io siamo tornati nella Changping Valley, sperando ancora una volta di scalare il Siguniang. Abbiamo iniziato il nostro viaggio con la prima salita di una vetta senza nome di 5700 m a nord-ovest del Siguniang; abbiamo trascorso sei giorni ad acclimatarci e negoziare la parete sud coperta di seracchi. Tornati al campo base, Joe ed io decidemmo di cambiare il nostro obiettivo sul Siguniang verso la cresta sud-ovest. Abbiamo trovato un modo per arrivare ai piedi dell’arrampicata tecnica e ci aspettavamo di iniziare a trasportare carichi alla base della parete una volta che il tempo si fosse schiarito.

Dylan Johnson (a sinistra) e Chad Kellogg al campo base.

La mattina dopo, Ma Gou Bin, la guida principale della zona, arrivò al nostro campo base, a 12 miglia dalla città più vicina di Rilong. Stava portando un messaggio di Michelle Puryear che diceva che mia moglie aveva avuto un incidente nella Ruth Gorge dell’Alaska. Non conoscendo l’entità delle sue ferite, ho caricato rapidamente uno zaino e Joe e io siamo partiti per la città mentre Jay è rimasto a guardare il campo base. Ho telefonato a casa e ho saputo che mia moglie era morta tre giorni prima perché, scendendo in doppia e cercando di approntare un ancoraggio successivo non si era accorta che la corda era finita. La notizia mi ha scosso nel profondo. Ma Gou Chan, il fratello del signor Ma, ha guidato tutta la notte per me fino a Chengdu in modo che potessi prendere il primo volo per tornare a casa.

Ho sentito una certa responsabilità per la morte di Lara. Mi aveva chiesto di arrampicare con lei nella gola di Ruth invece di andare in Cina, e dopo l’incidente sono rimasto vittima di un grave conflitto interiore. Se avessi scalato con lei in Alaska, sarebbe ancora viva? Sapevo di aver dato una priorità più alta alla mia ossessione per il Siguniang rispetto ai desideri di mia moglie. Per onorare la memoria di Lara, Jay, Joe e io abbiamo deciso di nominare la vetta che avevamo scalato Lara Shan. Nel frattempo, mi sentivo come se dovessi tornare al Siguniang per finire ciò che avevo iniziato. A mio avviso, l’arrivo sulla vetta mi avrebbe aiutato a cancellare il dolore.

I 17 tiri di corda (600 metri) di parete rocciosa (5.11 A2) all’inizio della scalata, sovrastata dalla cresta sud-ovest e dalla vetta. Nel 2006 Cosmin Andron e Wai Wah Yip salirono una linea diretta alla vetta di questo primo grande risalto alcune centinaia di metri a destra del tracciato del 2008. Foto: Dylan Johnson.

Pochi mesi dopo, nel luglio 2007, Joe, Jay e io iniziammo a fare piani per tornare al Siguniang a settembre. Ho acquistato il mio biglietto aereo e ho programmato il lavoro in base alle date del viaggio. Tuttavia, la rabbia e la tristezza che avevo dentro di me erano come l’acido che corrode  gli organi. Ad agosto mi è stato diagnosticato un cancro al colon al secondo stadio. Ho trascorso settembre e ottobre riprendendomi da un intervento chirurgico e chiedendomi se avrei mai scalato di nuovo, per non parlare di tornare al Siguniang. Joe e Jay si sono diretti in Cina senza di me quell’autunno, e anche se non sono andati al Siguniang ero molto arrabbiato con loro. Quando mi sono ripreso, però, ho iniziato a guardarmi dentro per trovare il motivo della mia rabbia e del mio comportamento egocentrico. Sentivo di dover prendere una decisione: potevo smettere di arrampicare o riorientare la mia ambizione di arrampicare come un modo di abbracciare la vita, avendo avuto una seconda possibilità di vivere i miei sogni. Alla fine, le esperienze di quell’anno hanno accresciuto la mia devozione all’arrampicata. Affrontare le mie paure e accettare le sfide attraverso l’arrampicata sembrava essere parallelo a ciò che stavo attraversando emotivamente.

Chad Kellogg festeggia il suo 37° compleanno salendo da secondo la decima lunghezza senza il suo zaino da 22 kg. Foto: Dylan Johnson.

A dicembre sono stato in grado di iniziare l’arrampicata su roccia in palestra e poi l’arrampicata su ghiaccio. Il mio amico Dylan Johnson ed io abbiamo iniziato ad arrampicare insieme, poiché tutti gli altri nostri partner erano fuori dal paese per altre spedizioni. Dylan è alto un metro e ottanta e ha un ape index di +sette (cioè la differenza tra apertura di braccia e statura è pari a 7 pollici). Possiede un atteggiamento incredibilmente positivo, ha scalato sul 5.12 per oltre un decennio e ha il mix completo di abilità alpinistiche. Abbiamo tentato le salite invernali di alcuni dei problemi irrisolti delle North Cascades e ci siamo trovati benissimo nonostante i risultati non siano riusciti. Attraverso queste avventure, abbiamo riconosciuto di avere tipologie di capacità che completavano i punti di forza o di debolezza dell’altro.

Nel febbraio 2008, dopo il ritorno di Dylan da un viaggio in Patagonia, gli ho chiesto di andare in Cina a settembre. Dylan, un architetto, non era certo di poter ottenere altre sei settimane di ferie dal lavoro. Tuttavia, dopo aver ricevuto un riconoscimento AAC Lyman Spitzer, la natura prestigiosa di quel premio ha convinto il capo di Dylan a concedergli il tempo di ferie extra. Abbiamo iniziato ad allenarci con il Siguniang come nostro obiettivo.

Johnson scioglie neve durante un piccolo riposo a 5000 m. I due erano stati senz’acqua per più di 36 ore. Foto: Chad Kellogg.

Il 12 aprile 2008 abbiamo appreso che un violento terremoto aveva colpito la regione del Sichuan. Sembrava che la perdita di vite umane e gli ingenti danni alle infrastrutture potessero impedirci di tentare ancora una volta il Siguniang, ma abbiamo continuato ad allenarci, sperando che tutto sarebbe andato per il meglio. Alla fine di luglio abbiamo ricevuto la notizia dalla Sichuan Mountaineering Association che ci sarebbe stato dato il permesso di scalare quell’autunno.

Quella primavera mi ero iscritto a una serie di corsi di meditazione buddista tibetana. Settimana dopo settimana, ho iniziato a imparare come risolvere parte della rabbia e del dolore che stavo portando con me. Un anno dopo la mia diagnosi di cancro, ero in uno stato di salute buono. Dopo alcune salite alpinistiche di successo insieme, Dylan ed io ci siamo sentiti mentalmente e fisicamente pronti per affrontare le sfide della cresta sud-ovest del Siguniang. Sembrava che tutto si stesse finalmente riprendendo.

Il 6 settembre siamo arrivati ​​a Rilong. Il terremoto aveva gravemente danneggiato tutti gli alberghi, e solo due erano aperti. I miei amici, la famiglia Ma, avevano perso la casa, così come molte altre famiglie di Rilong. Mi è stato detto che, miracolosamente, nessuno a Rilong era stato ucciso. Gli abitanti del villaggio credevano che Sukolajiddha, il dio della montagna della zona, li avesse protetti. Anche se vivevano in case improvvisate di teloni, si sostenevano ancora l’un l’altro, cosa che, dopo tutto quello che avevo vissuto, sapevo essere più importante di qualsiasi possesso materiale.

All’inizio dell’escursione nella valle di Changping, ho visto che il monastero che era crollato l’anno prima era in fase di ricostruzione. Lama Rinzin Dorje mi ha invitato a visitare il monastero e pregare insieme accanto allo stupa per la nostra impresa. Ero molto entusiasta di vedere tutti quei cambiamenti positivi e di avere la benedizione del lama per la nostra scalata.

Dal campo base di Lianghekou a 3500 m, Dylan ed io abbiamo esplorato un sentiero attraverso rilievi coperti da fitta vegetazione fino alla base della parete sud-ovest del Siguniang; ognuno di noi trasportava un carico di 20 kg di attrezzatura da arrampicata da riporre ai piedi della parete a 4330 m. Abbiamo individuato un sistema di fessure al centro della parete, molto a sinistra della linea di salita in cresta di Cosmin Andron e Wai Wah Yip nel 2006.

Johnson contempla la vista che si apre dal sesto bivacco sulla cresta sud-ovest, a circa 5250 m. Foto: Chad Kellogg.

Il 21 settembre siamo tornati verso la parete con cielo sereno, ciascuno con un altro carico di 20 kg, incluso cibo e carburante sufficienti per sette giorni. Abbiamo raggiunto la base della parete nel primo pomeriggio e abbiamo recuperato ciò che avevamo nascosto. La nostra tattica in parete prevedeva che Dylan andasse in testa e che io ripulissi ogni tiro salendo a jumar con sulle spalle uno zaino da 22 kg e recuperando un saccone da 30 kg.. Abbiamo salito due tiri quel giorno e abbiamo dormito su piccole cenge rocciose in cima al primo tiro. Il secondo giorno abbiamo fatto grandi progressi, raggiungendo il decimo tiro prima che facesse buio. Come regalo per il mio 37esimo compleanno, ho seguito il tiro 10 con le mie scarpette da free climbing senza zaino. Dylan è arrivato a metà dell’undicesimo tiro prima che l’oscurità ci costringesse a riscendere sulle cenge sottostanti, solo a metà della parete.

Johnson a cavalcioni salendo verso il campo 7. Foto: Chad Kellogg.

Non potendo montare la nostra tenda sulla piccola cengia sotto l’11° tiro, abbiamo usato l’involucro della tenda come sacco da bivacco per tenerci asciutti mentre dei temporali passavano nel cuore della notte. Al mattino ci siamo accorti di avere solo un litro d’acqua a testa; ci aspettavamo che due giorni e 10 litri fossero sufficienti per arrivare in cima alla parete. La parete si è fatta più ripida e il terzo giorno siamo saliti ben al buio, cercando invano di raggiungere la cima della parete e trovare un po’ di neve. Abbiamo trascorso una notte scomoda in un’alcova in pendenza in cima al 14° tiro, ancora 150 metri sotto la cresta.

La mattina del nostro quarto giorno in parete, ho dato a Dylan il mio ultimo sorso d’acqua mentre si avviava al tiro 15. Tre tiri dopo abbiamo raggiunto la cresta a circa 4940 m, poco dopo mezzogiorno. Abbiamo riconfezionato i nostri zaini per includere tutta l’attrezzatura da parete e ci siamo caricati in spalla carichi di 33 kg mentre iniziavamo a scalare la cresta in cerca di neve. Eravamo senza acqua da oltre 36 ore. Pochi tiri dopo, ho trovato un camino profondo con la neve dentro, e ci siamo fermati a sciogliere otto litri d’acqua e mangiare un pasto caldo. Alla fine della giornata ci accampammo in un intaglio tra due grossi gendarmi. Il tempo era cambiato e una fitta nuvola avvolgeva la cresta, coprendo la roccia di nebbia scivolosa.

Con una sola corda singola, Kellogg e Johnson hanno fatto da 25 a 30 doppie per scendere la parete sud del Siguniang nella bufera. Foto: Dylan Johnson.

La mattina successiva iniziammo a negoziare i numerosi gendarmi che delimitano la cresta inferiore. Questa è stata la classica arrampicata in cresta alpina con difficoltà tecniche fino a 5.9. Nonostante la difficoltà moderata, abbiamo lottato con i nostri zaini molto pesanti. Spesso dovevamo calarci in doppia dai gendarmi prima di proseguire verso l’alto. Abbiamo stabilito il Campo 5 a circa 5120 m, appena prima dell’intaglio più profondo nella cresta sud-ovest.

Abbiamo passato la serata a spianare nei detriti un terrazzino, e poi, all’interno della tenda, abbiamo avuto una discussione seria riguardo alle nostre scorte di cibo e carburante. Abbiamo deciso di avere abbastanza calorie e carburante per raggiungere la vetta e scendere in quattro giorni se il tempo non fosse peggiorato e avessimo trasportato zaini più leggeri. Il nostro piano era di lasciare un deposito al Campo 5, inclusi chiodi, scarpe da roccia, la nostra corda statica, un set di Camalots, jumar e altre attrezzature. Recupereremo questa attrezzatura durante la discesa.

La mattina seguente scoprimmo che le dense nubi avevano ricoperto la roccia di uno strato di verglas. Abbiamo scalato la cresta fino a quando non ci siamo trovati in cima a un risalto a strapiombo sopra l’intaglio prominente. Temevo che avremmo trovato molto difficile tornare al nostro deposito, ma abbiamo deciso di recuperare la corda comunque dopo esserci calati in doppia e andare avanti. Con i nostri zaini più leggeri ci muovevamo molto più velocemente e trovammo un buon sistema di fessure che conduceva fuori dall’intaglio aggirando alcuni gendarmi simili a dita a nord della cresta. Dylan ha condotto attraverso ripidi camini ghiacciati fino a una posizione appena sotto la cresta, e io ho scavato una galleria attraverso il cornicione per arrivare sulla spalla del seracco più basso. In cima al tiro 49 abbiamo fatto il nostro Campo 6 a 5250 m. Le nuvole si sono schiarite per un po’ la sera, e abbiamo intravisto l’affilata e appuntita cresta sottostante: l’avevamo chiamata the Rake, dal nome di una montagna di casa nostra nei Cascades.

Ci svegliammo presto, ci arrampicammo sulla neve sopra il seracco e cominciammo a traversare a sinistra. Su roccia innevata abbiamo ripreso una linea diretta fino alla cresta che ha richiesto due tiri di M5 consecutivi. Al di sopra di questo la cresta era simile alle salite dell’Alaska, con ottimo granito e neve stabile. Siamo saliti proprio lungo la cresta, incontrando spesso sezioni che hanno richiesto la tecnica del ”Changping Cowboy”, a cavalcioni con una gamba di qua e l’altra di là. L’ultima sezione di Changping Cowboy ci ha portato su un altopiano glaciale, dove abbiamo scavato una piattaforma di neve per il nostro campo alto a circa 5570 m e ancorato alle rocce sopra. Dentro la tenda io e Dylan abbiamo valutato di nuovo le nostre razioni di cibo e carburante. Avevamo appena sufficienti calorie per la cena di quella sera, un tentativo alla vetta e una discesa affamata.

Ci siamo svegliati alle 4.30 e ciascuno ha bevuto un litro d’acqua e mangiato due barrette energetiche. Dopo aver riposto ciò che non ci serviva per il tentativo di vetta, ho iniziato a far pista su un ripido pendio di neve oltre il seracco. Dylan ci ha portato a sinistra sopra i seracchi, ma presto ho chiesto di subentrare dato che lavoro bene in quota. In cima al tiro 64, sopra alcune scanalature di ghiaccio alpino, abbiamo scoperto delle corde fisse e un ancoraggio lasciati dagli scalatori giapponesi durante la loro prima salita dello sperone sud nel 1992. Questa era la prima traccia del passaggio di altri alpinisti che vedevamo dall’inizio dell’intera salita. In alto sulla cresta, Dylan ha condotto altri due tiri di Changping Cowboy, raggiungendo così l’altopiano sotto i seracchi sommitali.

Dopo un tiro attraverso i seracchi, ho attraversato l’altopiano sommitale avvolto in una fitta nuvola. Ho notato mentre posizionavo una protezione che la roccia era cambiata da granito a un tipo di scisto. Nella nebbia non potevo dire dove fosse la vetta, ma poi le nuvole si sono squarciate e ci siamo resi conto che eravamo a soli 30 metri dalla cima. Ho scalato la delicata cornice sommitale poco dopo le 16.30, e dopo che Dylan si è unito a me ci siamo presi qualche minuto per spargere le ceneri di Lara. In cima ho sentito che si chiudeva un cerchio. Penso che Lara avrebbe voluto che realizzassi il mio sogno di scalare il Siguniang, ma ora per onorare davvero la sua memoria dovevamo scendere la via in tutta sicurezza. Era tardo pomeriggio e dovevamo fare quanti più progressi possibili verso il basso prima del calare della notte.

Il Siguniang 6250 m visto da nord. La cresta sud-ovest sale per circa 1925 m dalla base della parete rocciosa. I due scalatori sono scesi per la parete sud, sul lato opposto della cresta. Foto: Dylan Johnson.

Eravamo quasi arrivati ​​alla sezione superiore del Changping Cowboy quando siamo stati presi da un forte temporale, completo di fulmini e bufera di neve. Il bastoncino da sci sulla mia schiena iniziò a ronzare per l’elettricità. Ho tolto rapidamente il palo dal mio zaino e ci siamo rannicchiati tra le rocce sotto la cresta. Non appena cessata la serie di fulmini, abbiamo attraversato la cresta del Changping Cowboy nell’oscurità. La nevicata era abbondante e le nostre tracce erano coperte. Non siamo riusciti a trovare il nostro campo alto, ma non abbiamo potuto smettere di cercare a causa del freddo. Ogni volta che iniziavamo a scendere, trovavamo un’altra fascia rocciosa sotto i nostri punti di attacco, l’oscurità inquietante che ingoiava la luce delle pile frontali. Abbiamo vagato tutta la notte senza trovare il nostro nascondiglio.

Quando è arrivata l’alba eravamo ancora persi in nuvole fitte. Alla fine una raffica di vento ha spazzato via le nuvole e abbiamo scoperto che avevamo passato tutta la notte a negoziare i pendii a 300 metri sopra l’altopiano glaciale che ospitava il nostro Campo 7. Scendemmo rapidamente verso l’altopiano e disseppellimmo il nostro deposito. Eravamo in viaggio da 27 ore con un solo litro d’acqua a testa. Disperatamente stanchi e assetati, abbiamo cercato di capire cosa fare dopo.

La tempesta aveva lasciato cadere più di 10 cm di neve durante la notte. Data la distanza, le difficoltà tecniche e il maltempo, sapevamo che ci sarebbero voluti almeno due giorni per ritirarci al Campo 5 e sentivamo di non avere altra scelta che abbandonare le migliaia di dollari di attrezzatura nascosta lì. Per scendere lungo la via giapponese, avremmo dovuto risalire di circa 300 metri su pendii esposti a valanghe, ed eravamo troppo stanchi per considerare anche questa opzione. Abbiamo deciso che la nostra unica scelta era quella di scendere in corda doppia lungo la parete sud di quasi 900 metri sotto di noi.

Avevamo un magro assortimento di materiale da roccia, 15 metri di cordino da 5 mm e una corda singola; la nostra seconda corda era stata nascosta al Campo 5 con il resto della nostra attrezzatura da roccia. Abbiamo iniziato a calarci in doppia, 30 metri alla volta. Abbiamo continuato lungo la parete per nove ore, facendo doppie su stopper singoli e anche su cordini passati su spuntoni, colpiti da slavine di neve bagnata. In tutto, abbiamo fatto da 25 a 30 doppie. Al tramonto abbiamo raggiunto il piccolo ghiacciaio sotto la parete sud del Siguniang. Eravamo determinati a raggiungere il nostro campo base quella notte, poiché tutto ciò che trasportavamo era bagnato fradicio. Abbiamo avvolto le corde e tolto le imbragature che avevamo indossato per nove giorni, indossato le nostre lampade frontali e riempito con gratitudine le nostre bottiglie d’acqua per la prima volta in 36 ore.

Alle 23 ci siamo resi conto che eravamo bloccati sopra un risalto al buio, quindi abbiamo ricavato una piazzuola nei detriti per la nostra tenda sul pendio dello zoccolo, cercando di dormire nei nostri sacchipiuma fradici. Poche ore dopo, al sorgere del sole, mangiammo il nostro primo pasto caldo in oltre 52 ore. Riforniti di carburante, abbiamo iniziato la nostra discesa attraverso i risalti, facendo un’altra doppia accanto a una cascata impetuosa. I risalti lasciarono il posto alla foresta e iniziammo a incontrare gli yak al pascolo. Abbiamo trovato il sentiero e lentamente siamo tornati al campo base, dove i volti sorridenti e sollevati di Ma Gao Chan, manager del campo base, e Mao Fei, il nostro ufficiale di collegamento, hanno salutato il nostro ritorno incolume.

Ripensando ai miei quattro anni di ingaggio verso la vetta del Siguniang e ritorno, vedo una catena ininterrotta di momenti che arricchiscono la vita, nelle molte battute d’arresto che abbiamo dovuto affrontare, i successi e i fallimenti. Ho fatto degli errori terribili lungo la strada: non ascoltare Lara dei suoi sogni di arrampicata; permettendo alla rabbia che ribolliva dentro di me di creare spaccature tra me e i miei amici. Ero così concentrato sui miei obiettivi che non ho mai considerato come influenzassero le persone intorno a me. Fortunatamente, il Siguniang mi ha dato un’ultima possibilità di crescere come essere umano oltre che come scalatore.

Chad Kellogg (a sinistra) e Dylan Johnson subito prima di iniziare la loro impresa. Foto: Chad Kellogg.

Sommario
Zona: Qonglai Shan, Sichuan, Cina
Ascensione: prima salita in stile alpino della completa cresta sud-ovest del Siguniang Shan 6250 m, 1925 m, 5.11 A2 AI3+ M5), Dylan Johnson e Chad Kellogg, 21-30 settembre 2008. I due hanno scalato una parete rocciosa di 600 metri con tre bivacchi, e poi hanno seguito la cresta fino alla vetta con altri quattro bivacchi, unendosi alla via giapponese del 1992 sulla cresta sud-ovest superiore a circa 5900 m. Hanno sceso la cresta sud-ovest fino al loro campo alto a 5600 m, quindi si sono calati sulla parete sud, a sinistra della via giapponese.

Una nota sull’autore
Nato nello stato di Washington nel 1971, Chad Kellogg ancora si sente a casa sua a Seattle. Lavorava come appaltatore generale per finanziare le sue ambizioni di arrampicata. Ha perso la vita il 14 febbraio 2014, a 42 anni, mentre stava scendendo dal Fitz Roy.

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Ritorno al Siguniang ultima modifica: 2022-03-26T05:10:00+01:00 da GognaBlog

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1 commento su “Ritorno al Siguniang”

  1. Una scalata un pezzo di  vita. E anche l’autore è andato…quanti morti lasciati per strada. Forse non sta bene detto in un sito di alpinismo ma i fatti non sono altro che fatti. Amen.

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