Samurai Direct
(prima ascensione della parete sud-est del Kamet, India
di Kazuya Hiraide e Kei Taniguchi
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2009)
Il nostro piano per scalare il Kamet non è stato il risultato di una decisione improvvisa. Avevamo affrontato molte sfide in precedenza e, sebbene da queste esperienze fosse nata fiducia, erano nate anche paura e ansia. Con i suoi 7756 metri, il Kamet è la montagna più alta scalabile nella regione indiana del Garhwal (poiché il Nanda Devi è ancora off-limits). Avevamo raccolto molte relazioni da altri alpinisti e studiato fotografie della montagna, ma sapevamo che questa ricerca non poteva arrivare a rivelare la vera natura del Kamet. Molti alpinisti erano stati travolti da quella montagna, che comunque aveva ancora pareti inesplorate. Come mai? Non potevamo conoscere la risposta finché non fossimo andati a dare un’occhiata da soli, e nessuna conoscenza avrebbe alleviato la nostra ansia fino a quando non avessimo percorso la cresta finale fino alla vetta.
La nostra collaborazione sulle montagne più alte è iniziata quando abbiamo salito una nuova via sul lato nord-ovest dello Spantik 7028 m in Pakistan nel 2004 (questa via era stata precedentemente discesa due volte dopo la salita di altre vie sullo Spantik, NdR). Dopo quella salita, abbiamo deciso di prolungare il nostro viaggio e di scalare la parete nord del Laila Peak 6096 m, nei pressi del Gondogoro Glacier. Il nostro desiderio di nuove sfide è stato affinato da queste esperienze. Quelle cime aguzze di ghiaccio e di neve ci attiravano davvero.
L’anno successivo abbiamo salito nuove vie sulla cresta est del Muztagh Ata 7546 m in Cina e sulla parete nord dello Shivling 6543 m in India: su quest’ultima abbiamo entrambi sofferto un grave congelamento. Kazuya ha perso quattro dita dei piedi. Anche se non abbiamo scalato insieme per tre anni dopo la lottaa sullo Shivling, ognuno di noi ha continuato a fare attività. Kazuya ha scalato il Broad Peak e il Gasherbrum II. Kei ha scalato il Manaslu e l’Everest. Quelle esperienze ci hanno reso più furbi e più seri riguardo alle nostre vite. Una bella scalata, crediamo, debba includere il ritorno alla vita.
L’esplorazione della piramide gigante del Kamet risale al 1855 e fu scalata per la prima volta nel 1931 da una spedizione britannica guidata da Frank Smythe, attraverso il Purbi East Kamet Glacier, il Col Meade e la cresta nord-est. Era allora la montagna più alta mai raggiunta. La maggior parte delle ascensioni da allora ha seguito lo stesso percorso, offrendo a molti alpinisti una buona occhiata alla parete sud-est di 1.800 metri: questa si erge dalla testata del ghiacciaio Purbi Kamet. Nel 2005 la montagna è stata riaperta agli stranieri dopo essere stata off-limits per decenni. Gli americani John Varco e Sue Nott speravano di provare la parete sud-est nel 2005, ma il maltempo ha impedito loro di mettere piede sulla via, non l’hanno nemmeno vista.
Volevamo massimizzare le nostre possibilità di raggiungere la vetta. Non volevamo che nessuno dicesse: “Qual è la tua grande scusa? Non potevi arrampicare a causa del maltempo?” Non avevamo abbastanza soldi per usufruire dei servizi di una qualche società che fornisce previsioni meteorologiche in Himalaya, quindi dopo aver stabilito il nostro campo base (4700 metri) alla confluenza dei ghiacciai Raikana e Purbi Kamet il 1° settembre 2008, abbiamo chiamato amici in Giappone ogni pochi giorni via satellite per controllare le previsioni su Joshimath, la città più vicina. Ma abbiamo presto appreso che le previsioni per Joshimath avevano poco a che fare con ciò che stava accadendo sul Kamet. Quando le previsioni dicevano che a Joshimath avrebbe piovuto, sul Kamet invece il cielo era azzurro.
Quindi abbiamo guardato le nuvole sopra il Kamet, e presto abbiamo scoperto un denominatore comune per il bel tempo: la direzione del vento. Quando i venti soffiavano da sud-ovest, il Kamet aveva un clima mite; un forte vento da sud schiariva il cielo sopra alla vetta. Con vento diverso il tempo è sempre peggiorato e sono iniziate forti piogge o nevicate. Queste sono state grandi lezioni per noi.
Ci siamo acclimatati in due fasi. Dal 4 al 7 settembre abbiamo fatto un giro andata e ritorno ai piedi della parete a 5750 metri, con due bivacchi sul ghiacciaio Purbi Kamet, e abbiamo riscontrato che il pericolo di valanghe non sembrava grave nel canale principale in parete . Dopo due giorni di riposo al campo base, abbiamo scalato la via normale a 7200 metri, sopra il Col Meade, per acclimatarci ed esplorare la via di discesa. Ci siamo accampati a 6600 m per due notti per studiare la parete, concentrandoci su tre principali preoccupazioni: i tre passaggi chiave evidenti sulla via, la possibilità di pericolo di valanghe dal seracco in vetta e i luoghi dove bivaccare. Abbiamo lasciato un deposito di cibo e carburante a 6600 metri per la nostra discesa e siamo tornati al campo base il 16.
Nella settimana successiva, quando è caduta una forte nevicata, abbiamo discusso del cibo e delle attrezzature che avremmo portato in parete. Abbiamo deciso di portare un materassino di gommapiuma tagliato in due e un saccopiuma da 600 grammi, lungo tre quarti che avremmo condiviso. Una piccola tenda di Gore-Tex. Due corde da 50 metri da 7,5 mm. E una piccola dotazione di chiodi, per lo più viti da ghiaccio.
Sapevamo che il peso più leggero sarebbe stato una delle chiavi del successo, ma volevamo anche assicurarci di avere cibo a sufficienza. Non avevamo dimenticato la lezione dello Shivling e così, con più esperienza alle spalle, ci siamo concentrati sull’equilibrio tra alimentazione e apporto calorico giornaliero. Il nostro motto era “dormi bene e mangia bene, così il giorno dopo puoi arrampicare senza fatica”. Abbiamo impacchettato cibo per cinque giorni più viveri di emergenza. Alla fine, ci sono voluti sei giorni per scalare la parete invece dei quattro giorni previsti. Ma a causa del cibo extra, non eravamo preoccupati per quel ritardo.
Durante la nostra preparazione, abbiamo discusso all’infinito su cosa portare: è stato un lungo processo. Tuttavia, quel processo ci ha reso più sicuri della nostra attrezzatura e il risultato è stato quasi perfetto.
Il maltempo al campo base è durato più di una settimana. Quando avevamo quasi perso la speranza, il vento è cambiato ed è tornato il bel tempo. Siamo partiti verso la parete il 26 settembre con neve soffice e profonda. C’era un metro di neve fresca al Campo 1 e 1,5 metri di neve al Campo 2. Ci è voluto il doppio del tempo per raggiungere la parete rispetto a prima. Abbiamo dovuto far riaffiorare la nostra tenda semidistrutta al Campo 2, ma era ancora utilizzabile. Abbiamo allestito il campo base avanzato a 5900 metri, ai piedi della parete, il 28 settembre. La linea era evidente, seguiva un canale sinuoso direttamente in vetta: perfetta e bella. Non avevamo più dubbi.
Al mattino il cielo era luminoso e limpido. L’arrampicata non è stata molto difficile e ci siamo fatti assicurazione solo verso la fine della giornata. A 6600 metri, sotto l’evidente primo passaggio chiave, abbiamo passato un’ora e mezza a tagliare il ghiaccio per creare una piccola piattaforma. Su questa parete non abbiamo mai trovato un posto comodo per dormire in due, ma siamo piccoli e avevamo solo un mezzo saccopiuma, quindi bastavano dei terrazzini piccoli. Per prima cosa ci siamo sdraiati entrambi rivolti a destra, dopo due ore ci siamo girati e ci siamo rivolti nella direzione opposta. Quella notte era gelida, sotto milioni di stelle.
Il primo passaggio chiave ripido aveva ghiaccio marcio e roccia friabile coperta da neve asciutta. Nel pomeriggio, piccole slavine di spindrift si riversavano lungo la parete, accecandoci e creando soste gelate. La fatica dell’arrampicata non ha impedito ai nostri corpi di tremare di freddo. A 6750 metri abbiamo trovato una piccola cresta di neve dove abbiamo ritagliato una piazzola per tenda un po’ meglio della precedente. Durante la notte, la nostra tendina è stata colpita da piccole valanghe e qualche sasso.
La nostra ricognizione ci aveva impensieriti al riguardo del passo chiave successivo, ma la verità era ben oltre le nostre aspettative. Roccia marcia e ghiaccio cattivo erano ovunque. Dopo aver tagliato via 30 centimetri di ghiaccio schifoso, sotto trovavamo ghiaccio nero. Era difficile trovare un modo di salire e a quasi 7000 metri era difficile respirare. Pensieri negativi ci passavanoi per la mente: perché arrampichiamo? Qual è il significato di tanto sacrificio? Alla fine della giornata, eravamo solo a metà della ripida parete. Abbiamo fatto una traversata a corda fino a un piccolo nevaio sotto uno strapiombo e allestito un bivacco a 7000 metri, tagliando il ghiaccio come al solito. Quando strisciammo nel rifugio della nostra piccola tenda era già passata la mezzanotte.
Il giorno successivo fu breve. Altri due tiri ci hanno portato alla fine del secondo passaggio chiave, poi due tiri e mezzo di neve ripida ci hanno condotti alla base del terzo passaggio chiave. Sembrava più grande di quanto ci fossimo aspettati. Esausti dal breve sonno della notte precedente, non avevamo il tempo o l’energia per continuare, quindi abbiamo intagliato un altro terrazzino e piazzato la tenda alle 15. Sapevamo che stavamo andando un po’ piano, ma il bel tempo ci faceva sperare. Non riuscivamo a smettere di tremare, però, e di notte ci massaggiavamo i piedi a vicenda. Kazuya era molto preoccupato per le sue dita dei piedi e mi ha chiesto un’iniezione di Lovenox per migliorare il suo flusso sanguigno.
“Dove dovrei iniettarlo?”.
“In qualunque posto!”.
Non voleva perdere più dita dei piedi.
La quinta mattina della salita, siamo arrivati alla base della terza ripida parete. Il primo tiro è stato misto, seguito da tre tiri e mezzo di duro ghiaccio. Finalmente siamo entrati nel Banana Couloir, il canale di neve che porta in cima, a circa 7250 metri. Lo scenario da questa quota era stupendo – le parole non possono esprimerlo – ma tanto l’ambiente era magnifico quanto il nostro fisico lasciava a desiderare. Riuscivamo a malapena a parlare, ma ci incoraggiavamo dicendo: “La vetta è domani!”.
Quel canale di neve sembrava infinito, tuttavia, e ci muovevamo così lentamente… Potevamo vedere la cresta sommitale, ma sembrava non avvicinarsi mai.
“Sto morendo, sto morendo”, mormorò Kei, e Kazuya rispose: “Non preoccuparti, non stai morendo”.
Poi ha chiesto: “Non è che vuoi scendere?”.
“No, no”.
“Allora andiamo su”.
Abbiamo bivaccato in un crepaccio a soli 150 metri sotto la vetta. Potevamo vederla, ma non avevamo l’energia per continuare. Non era rimasto molto cibo, ma comunque non avevamo fame.
La mattina del 5 ottobre, settimo giorno di scalata, a 10 giorni dal campo base, l’orizzonte orientale è stato inondato di una splendida luce arancione mentre il sole sorgeva da dietro il fianco destro del Kailash. Dal nostro bivacco abbiamo risalito la cresta che corona la parte superiore della parete nord-est e alle 10, dopo un’ora di arrampicata su neve, eravamo in cima. Il tempo era sereno e abbiamo goduto di una maestosa vista a 360 gradi, con la curva della Terra visibile all’orizzonte, una vista completamente diversa da quella che avevamo potuto vedere durante la salita. Eravamo estasiati di questa nuova prospettiva.
Sommario
Zona : Garhwal centrale, India
Ascensione: prima ascensione in stile alpino della parete sud-est del Kamet 7756 m, per la via Samurai Direct (1.800 m, WI5+ M5+), Kazuya Hiraide e Kei Taniguchi. Lasciando il campo base il 26 settembre 2008, i due giapponesi hanno camminato per tre giorni sul ghiacciaio Purbi Kamet fino al campo base avanzato a 5.900 m, quindi hanno scalato la parete con sei bivacchi, raggiungendo la vetta il 5 ottobre 2008. Sono poi scesi sul fianco nord-est (la via “nomale” della prima ascensione del 1931) a un deposito di cibo e carburante che avevano lasciato a 6600 m, e il giorno successivo hanno proseguito fino al Campo 2 sul ghiacciaio. Hanno raggiunto il campo base prima dell’alba dell’8 ottobre, quasi 13 giorni dopo la partenza, dopo aver camminato per tutta la notte.
Una nota sugli autori
Kazuya Hiraide, 29 anni, nato il 25 maggio 1979 a Fujimi (distretto di Nagano, Giappone) lavora nel negozio ICI Sports di Tokyo. Anche Kei Taniguchi, 36 anni, nata il 14 luglio 1972, viveva a Tokyo, dove lavorava come facilitatrice per il team building aziendale. Morì in montagna il 22 dicembre 2015. Per maggiori dettagli su questa grande alpinista vedi https://www.sherpa-gate.com/grandi-storie/il-vaso-di-pandora-vita-breve-e-geniale-di-kei-taniguchi/.
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