Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022
di Sergio Cerutti
(pubblicato su scuolagervasutti.it il 6 settembre 2022)
Anche quest’anno la scuola Gervasutti ha partecipato attivamente al meeting di Valli di Lanzo in Verticale tenutosi il 3-4 settembre 2022 a Forno Alpi Graie.
Il meeting è arrivato ormai al suo sesto anno con crescente successo di partecipazione da parte di tutti gli amanti della montagna. Di pari passo la Scuola G. Gervasutti continua a proporre ogni anno in concomitanza con il meeting il corso monotematico di arrampicata “trad” sulle grandi pareti di granito che incombono sul Vallone di Sea, e da quest’anno su quelle che sovrastano dall’alto la Val Grande come il Bec di Roci-Ruta.
Al corso ci siamo posti l’obiettivo di insegnare in sicurezza i primi rudimenti dell’arrampicata “trad”, attività bellissima ma che comporta rischi notevoli se non svolta con le necessarie competenze tecniche sul posizionamento corretto delle protezioni mobili.
Il primo dei due giorni, dedicato alla didattica pratica insegniamo la costruzione delle soste con chiodi da roccia e relativo uso del martello e la costruzione delle soste con protezioni mobili, quali nut e friend.
Il secondo giorno ci dedichiamo alle salite sulle grandi pareti di granito della valle.
Lì in piena parete, gli allievi comprendono che contrariamente a ciò che molti pensano, arrampicare “trad” non significa solo saper scalare in fessura, ma anche di avere “occhio” per capire dove poter mettere delle protezioni sicure su fessurine o diedrini, ecc. non proprio evidenti o un po’ fuori dalla nostra linea di scalata.
Il corso è senza alcun dubbio molto innovativo e peculiare della nostra Scuola, lo dimostrano i numerosi allievi o candidati al corso, che ogni anno vengono a frequentarlo anche da altre regioni di Italia.
Non abbiamo certo la pretesa di insegnare tutto in due giorni, l’arrampicata “trad” necessità di tempo e dedizione per essere svolta in piena sicurezza, ma crediamo che chi viene da noi abbia il desiderio di cominciare a capire come iniziare a scalare “clean”.
A fine corso molti allievi/e ci chiedono indicazioni su dove possano cominciare a scalare mettendo le loro protezioni. Noi istruttori della Scuola li indirizziamo sempre su vie di fessura non difficili e già protette, totalmente o parzialmente a spit, dove potersi esercitare a posizionare nut e friend e proteggendosi anche con gli spit dove non si sentano particolarmente sicuri, in modo da evitare incidenti potenzialmente molto pericolosi.
Il gradimento del corso è sempre molto alto e siamo orgogliosi di aver avviato un percorso, anche all’interno del CAI, che speriamo venga ripreso dalle altre scuole del nostro sodalizio.
Il commento
di Carlo Crovella
Grandi complimenti alla Scuola di alpinismo Giusto Gervasutti di Torino perché, nell’ambito della sua attività davvero variegata e completa, procede ormai da qualche anno anche all’organizzazione di un Corso Trad.
Ma cosa diavolo è un “corso trad”? Si tratta di un corso dove si insegna a piazzare le protezioni che un tempo chiamavamo “naturali” e che oggi si definiscono “mobili” (nut, friend, ecc) sia nella progressione che per le soste. Quindi è l’altra faccia dell’arrampicata che sfrutta esclusivamente le protezioni artificiali già in loco, tendenzialmente spit e fittoni.
Speriamo che il pregevole esempio della Scuola torinese non sia isolato e, anzi, che anche altre Scuole di alpinismo (teoricamente tutte…) organizzino corsi o quanto meno delle uscite con analoga finalità.
Però da alpinista stagionato mi pongo alcune riflessioni sull’orientamento generale dell’arrampicata attuale. Sono un po’ stupito che la organizzazione di un Corso Trad sia addirittura un evento degno di nota.
Un Corso Trad è il recupero, in termini didattici, dell’impostazione arrampicatoria alla veja manera (ogni riferimento “fonetico” è puramente casuale…). Saper mettere nel modo corretto nut, friend, ma anche fettucce/cordoni attorno alle clessidre è la base dell’arrampicata in montagna.
Di conseguenza in ogni scuola di alpinismo il corso di arrampicata dovrebbe trattare questo approccio e non la percorrenza di vie spittate, esasperando la performance tecnica. Quest’ultima attività dovrebbe riguardare i corsi di “arrampicata libera”, non quelli generici di arrampicata.
So bene che questa differenziazione così netta è appannaggio quasi esclusivo delle grandi Scuole, che spesso agiscono avendo alle spalle un ampio bacino metropolitano. Le scuole più piccole però possono ovviare mixando i due approcci nello stesso corso. È invece incompleta (per una Scuola di alpinismo) la didattica che punti esclusivamente all’arrampicata su strutture spittate.
Aggiungo una riflessione finale: al grande tema dell’insegnamento sul corretto uso delle protezioni “mobili” si dovrebbero sistematicamente aggiungere, come fa la Scuola Gervasutti nel Corso Trad, altri due concetti a mio avviso fondamentali, purtroppo un po’ negletti da lungo tempo: saper chiodare correttamente e, udite udite, saper verificare i chiodi in loco. Parlo di chiodi tradizionali, non di spit.
Troppo spesso vedo in giro giovani virgulti, capaci di volteggiare sul 9z, ma che non sanno riconoscere “a vista” un chiodo marcio. Non parliamo poi del saper capire a vista che chiodo sia adatto da inserire nella fessura sprotetta che hai davanti al naso… In giro si osservano chiodi messi contro ogni logica, sia di corrispondenza con la roccia che li contorna sia con riferimento al più corretto scorrimento della corda.
Infine si dovrebbe tornar a a comprendere al volo quando un chiodo “canta” come Dio comanda mentre lo stai martellando…
Tutte piccole cose, a-b-c di spicciola quotidianità, ma rilevantissime per portare a casa la pelle.
7
Io ho riflettuto cosí: «A me, me pare ‘na strunzata».
… … …
Ho riflettuto bene?
Colpisce che un’attività presentata come espressione di libertà e persino di creatività sia un pullulare di sigle, di distinzioni, di classificazioni, di gradazioni, di scale articolate su cui si misurano e si confrontano prestazioni, risultati, abilità individuali e si scatenano controversie, a volte persino un po’ pedanti agli occhi della maggioranza dei praticanti. Un livello di dettaglio crescente, tiro per tiro, passaggio per passaggio. Quasi ancora più analitico di quello che accade nelle attività di pista indoor. È non da oggi, anche se ormai il livello di gradazione per specificità e articolazione delle varie attività, anche nelle descrizioni delle vie ha raggiunto livelli mai visti in passato. Fenomeno interessante e singolare su cui riflettere.
Gli inglesi, da sempre pragmatici e molto più interessati al “come” che al “cosa” (parole che riporto dal bell’articolo di Climbing Pills, dove è presente anche uno scritto di Bernard Newman a riguardo che spiega bene, molto bene, cosa è il trad), hanno anche una scala difficoltà trad, in cui il fattore rischio è fuso a quello tecnico in sigle, lettere e numeri, e nella quale NON compare il termine A0. Motivo per cui l’arrampicata trad ortodossa esiste eccome, in uno spirito sportivo: piantare anche un solo chiodo di protezione o mungere una protezione vuol dire escludere quella via dalla catalogazione trad o dal potersi fregiare di averla salita trad. Ed è il motivo per cui Steve McLure passa da E10 7a al 9a+ francese senza troppe riflessioni, sapendo lui bene che per la prima attività userà solamente protezioni mobili (e i chiodi mobili non lo sono), e per la seconda userà solo protezioni fisse.
In tal senso nelle Alpi si è fatto raramente del trad ortodosso (ripeto, solo protezioni mobili ed in sola arrampicata sportiva, o libera, o free, questo lo lascio specificare a Cominetti, il concetto è senza mungere nulla), ed, anzi, spesso la “conta” dei presunti chiodi usati ha reso a dismisura mitiche alcune vie (e di cui lo scanzonato Livanos nel suo bel libro ne ha giustamente riportato qualche episodio); inoltre sempre sulle Alpi, essendo stato molto più importante il cosa, ovvero arrivare in cima, l’uso di rurp e ancorette varie ha spesso permesso di imbrogliare (spesso) non solo sull’utilizzo reale del numero di chiodi, ma anche sulle difficoltà superate.
E’ bene chiarire che se è pur vero che, esistendo una scala difficoltà trad crescente, vince “metaforicamente” chi fa la via trad più dura, è anche vero che il trad esiste su qualsiasi tipo di difficoltà, dal momento che si può fare una salita trad di una certa difficoltà tecnica (ad esempio 6a) che ricade in una valutazione di rischio più basso (ad esempio E2) oppure più elevato (ad esempio E5), oppure viceversa una salita HVS (hard very severe) valutata tecnicamente in un range che per noi potrebbe valere V+ oppure VI+ UIAA a seconda della proteggibilità. Mi viene in mente la Comici al Salame, fatta usando solamente roba mobile, soste comprese, oppure Patabang, in val di Mello, dove è necessario e sufficiente usare solo una protezione mobile, un friend, essendo le due soste una su albero ed una su clessidra.Black Bean vale E10 7a, ma E10 può essere assegnato anche ad una via tecnicamente più difficile, 7b, ma meglio proteggibile. Questo significa che l’E10 7a di Black Bean è da ampia sgommata nelle mutande; ho avuto l’onore di fare sportivamente il primo tiro di Black Bean, Les colonnettes, utilizzando tutto l’acciaio ad espansione presente, e l’idea di percorrerla trad mettendo 4 protezioni in 20 metri di cui quelle nelle “colonnettes” molto dubbie, mi avrebbe provocato sicuri problemi gastrointestinali.
Quanto al corso della Gerva, far vedere come si mette (bene) un friend od un tricam è cosa encomiabile, e lo scritto di Sergio Cerutti è piacevole, essenziale e contiene tutti gli elementi per una lettura priva di fraintendimenti e critiche (sempre secondo me). Difficilmente poi i fruitori di questo corso si dedicheranno al trad ortodosso sulle Alpi, a meno che non lo vadano espressamente a cercare (molte vie in Sbarua sono percorribili trad con difficoltà contenute, così come alcune vie in valle dell’Orco). Magari però questi ragazzi sapranno come mettere un friend decorosamente e salendo Luna nascente od Oceano Irrazionale avranno meno problemi di altri a farne uso; nel caso di Oceano, l’idea di salirla trad sarà sicuramente una opzione, ma non avrà nulla a che vedere rispetto alla salita fatta utilizzando le protezioni già in loco, seppur poche.
Quindi da rocciatore qual sono stato, ormai convertito da tempo alla sola parte sportiva breve (massi e falesia), non mi pongo alcuna riflessione alla lettura del brano, a differenza del commentatore dell’articolo di Cerutti, e plaudo all’iniziativa della Gerva, sapendo bene che nei corsi alpinistici del CAI (AR, A) si privilegia spesso il cosa (arrivare in cima) e non il come (non tirare i chiodi, ad esempio, o saper mettere un friend).
@96
Non è’ che io confonda il grado con la specialità’ ma, almeno per un certo periodo, trad ha significato salire con protezioni tradizionali / amovibili tiri il cui grado ( quindi un grado alto) aveva fatto pensare che la salita in libera sarebbe stata possibile solo con spit già’ in loco ( quindi arrampicata sportiva). L’esempio di Petit a Ceuse e’ calzante. Che poi chi sale una via di quarto in Dolomiti faccia arrampicata trad lo scopro adesso… sarà’ come dite voi che siete certamente più aggiornati di me. Nonostante ciò’ lo trovo ridicolo…. Perché, ripeto, almeno in una certa fase, salire vie in stile trad ha significato una cosa molto precisa. Passo e chiudo
Enri, confondi il grado con la specialità.
Certo che Petit sull’8b protetto con friends e nuts è trad, ma lo è anche Brambilla sulla via Dimai alla sud della Tofana di Rozes, IV+.
L’alpinismo è nato trad così come lo sci è nato “scialpinismo”. Poi il primo si è diversificato nell’arrampicata sportiva e il secondo nello sci alpino.
Trad piace perché è corto e ormai rende l’idea ma di nuovo ha solo il nome.
-Camminare su sentiero: trekking/hiking
-Aggirarsi a pelo d’acqua immergendosi di tanto in tanto trattenendo il fiato o facendo apnea: snorkeling.
-Guardare uccelli di nascosto: birdwatching.
Se piace così….
Per me trad significa Arnaud Petit che scala Black Bean a Ceuse 8b proteggendosi a friend.
Per il resto tutti i corsi possono chiamarsi come vogliono ma la specialità’ trad esiste.
Mi sembra proprio strano che si continui a disquisire sul termine trad. L’unico vantaggio che ha, e per cui è entrato nell’uso comune, è la sua brevità per definire quello che è la scalata alpinistica tradizionale, appunto.
Se qualcuno (anche molte guide lo fanno) propone corsi di arrampicata trad è perché vuole usare un termine che da tempo è entrato nel linguaggio comune.
L’altro tipo di arrampicata è quella sportiva, ovvero protetta da ancoraggi fissi come spit, Fox o fittoni resinati. Quest’ultima si può declinare in plaisir o alpina a seconda della distanza tra le protezioni fisse.
Io so solo che ci sono vie a spit in cui la distanza tra le protezioni, assieme all’impossibilità di integrare con protezioni amovibili, è tale che ci si ritrovi costretti a praticare l’alpinismo per non schiantarsi e per capire dove passare.
Il Cai ha sempre fatto i Corsi di alpinismo che altro non sono che di arrampicata trad. Non c’è differenza. Quindi se ha usato questo nome l’ha fatto per farsi capire meglio oppure per propaganda. Ma non ci vedo nulla di male.
@85 e 68 Enri. Alla luce delle tue osservazioni, ho riletto l’articolo di Cerutti, ma continuo a non ritrovarmi con le tue considerazioni. Errore (della Gerva)? Ma se è scritto che hanno mostrato i rudimenti basilari di un tipo di arrampicata (trad) che, successivamente, richiede una lunga esperienza per esser praticata con giusta padronanza: nessuna pretesa di replicare l’arrampicata anglosassone di punta! Operazione di marketing? Questa opinione è proprio infondata. Non conosci a fondo lo spirito che anima, nei diversi settori, i torinesi. Piuttosto, si tratta di piacere nel mettersi a disposizione (questo sì che è una caratteristica molto “caiana”) per spirito di servizio. A To, i genere, il soldo ne’ la fama sono le anime del nostro agire. Evidentemente, come annotavo io, queste nozioni, che tutti noi consideriamo di base per un corso di arrampicata, non sono invece un sistematico oggetto didattico nelle scuole CAI. Il fatto che al meeting abbiano partecipato, e con soddisfazione, iscritti anche di altre ragioni la dice lunga sul punto (certo, alcuni ne avranno approfittato anche per vedere di persona una location arrampicatoria che merita). Circa il termine trad, non vorrei sbagliare (mi informero’ dopo le feste), ma mi pare proprio che si tratti di una diffusa prassi “caiana”, inserita per comodità nel burocratichese quotidiano, per indicare proprio l’attività che è stata effettivamente svolta in quel corso (cioè quella che noi classiconi consideriamo la “base”). Questa ipotesi spiegherebbe perché tu pensi al trad anglosassone e non ti ritrovi con il trad utilizzato per definite cio’ che si è fatto in quel contesto. Auguri di buon anno!
Dimenticavo, portatevi diversi kevlar, sciolti, per infilare le clessidre che al Procinto ce ne sono parecchie. Ottime da volarci sopra😁
A qualcuno che innalza come metro la capacità di piantar chiodi vorrei ricordare che ormai ci sono frotte di scalatori che salgono oltre il 6c su protezioni mobili su cui ci volano pure, che ripetono vie blasonate sul Bianco in giornata ed in libera e nemmeno lo raccontano, che ci sono intere falesie su arenaria e calcare dove si sale “trad” e dove neppure le soste sono attrezzate. La Gervasutti in questo panorama fa il suo dovere dando prima di tutto degli strumenti e delle rudimentali nozioni di base e ricordiamo un principio delle arti orientali per cui il bravo maestro è colui che viene superato dall’allievo…
“Crovella … è poco credibile”
Per acclamazione premio per il miglior understatement del 2022!
Urca….Gestire l’aggressività interpersonale è una competenza complessa, un po’ come arrampicare in montagna. Richiede un processo di apprendimento lungo e a 360 gradi. Tuttavia anche un breve corso di “Gestione degli scatti di ira/rabbia” magari può essere utile e avere un senso, purché onesto e senza creare troppe illusioni gonfiando le capacità che il partecipante porta a casa alla fine. Saluti
Se volete fare, del buon TRAD o se volete chiamatelo CLEAN . Comunque con la possibilità di passare chiodi e spit se siete nella cacca, 😁 in Apuane vi consiglio il Procinto.
Premesso che trovo l’apporto del lombardosabaudoligure al confronto – dietro a una apparente aria buonista e costruttiva che da tempo lo contraddistingue (e che come spesso nota Merlo nasconde un vuoto di contenuti dietro belle parole…) – inutilmente e scioccamente provocatorio, perché non mi pare vi sia alcuna SabaudiaVs apuania e friends, semmai un sabaudia contro il resto del mondo
Premesso, per il sabaudo, che nessuno è frustrato e rancoroso ne anticaiano per definizione (come ha già più volte sottolineato Cominetti) e come potrei a mia volta affermare: al CAi sono affettivamente legato e mi ha dato molto in anni passati ma da tempo non mi ci riconosco più e me ne sono venuto via, deluso da certe dinamiche e da un immobilismo molto politico su alcuni temi a mio avviso importanti, pur essendo associazione che certamente fa anche cose meritorie e che ancor più certamente raduna un sacco di persone in gamba (oltre ad una bella serie di mediocri pataccati che si credono napoleone e merenderos, sui quali si potrebbe forse intervenire in maniera diversa, ferma la legittimità di coltivare anche chi ambisce alla mera gita caiana con polentata).
Caiano, per quanto mi riguarda è un termine sarcastico e scherzoso per identificare taluni monturati (o meglio ancora il loro atteggiamento) che si aggirano per i monti, e non certo per identificare – e tantomeno giudicare – tout court chi abbia la tessera con lo stemma dell’aquila, visto che le categorizzazioni sono sempre sciocche e prive di senso
sul tema specifico, ci si è semplicemente chiesti perché una scuola certamente di nome e composta da tanta gente in gamba, chiami trad un corso che forse è riconducibile ad altre forme. PEr markenting, per convenzione, per opportunità, perchè crede sia davvero trad (non credo)
Da tale confronto, se non fosse inflazionati dai soliti strali del noi siamo noi e voi non siete un c…., Darwin e compagnia, non toccate la scuola blasonata sabauda, via andare, forse si poteva trarre un interessante confronto su cosa sia oggi l’andar per monti e semifalesie senza spit.
Se poi vogliamo parlare di offerta formativa, di obiettivi e di tanti altri bei concetti che a me personalmente ricordano i motivatori e i gestori del personale (a cui spesso associo mentalmente il concetto di fuffa…), potremmo banalmente dire che alla fine del corso probabilmente non avranno imparato che qualche nozione e avranno messo in saccoccia qualche salita con l’istruttore cominciando a farsi un’idea di come funziona, perché l’esperienza non è trasmissibile :o)
PS tenevo precisare quanto sopra, e mi pare costituisca l’esempio lampante di come intervenire perennemente per contrapposizioni voi/noi, caiani/non caiani, vax/no vax, presidenzialisti/costituzionalisti sia un atteggiamento devastante per qualunque discussione (lo dico dai tempi del covid e delle accese discussioni su chi voleva andare ai monti a fronte di provvedimenti con tutta evidenza irrazionali e illegittimi…) e che, anche se talvolta si cazzeggia o ci si scalda, il confronto esiste sulle idee (enri docet) e purchè non si viaggi per dogmi
Alziamo un po’ il tiro rispetto al tema Sabaudia v/s Apuania & Friends. L’articolo a mio parere solleva una domanda importante. L’articolazione sempre più spinta rispetto agli approcci “generalisti” del passato delle proposte formative relative a competenze ed abilità diciamo del tempo libero (il fenomeno riguarda non solo la montagna ma anche la corsa, la vela, il kajak…..) quanto è davvero giustificata dalla complessità delle prestazioni finali in uscita e quanto è indotto da ragioni di business e di segmentazione markettara (titoli compresi)? Per trovare risposte bisogna secondo me guardare bene non tanto dentro i programmi (cosa faranno i formatori) ma dentro le capacità in uscita che si propongono come obiettivi finali (cosa sapra’ fare il partecipante alla fine). Le abilità in uscita giustificano davvero la frammentazione specialistica del processo? Lo stesso criterio può valere per valutare la lunghezza delle proposte formative: è davvero necessario tutto quel tempo di apprendimento “strutturato” e formalizzato o si tratta di allungamento del brodo ai fini di fidelizzazione e cooptazione e perché no anche di lievitazione dei costi?
Crovella leggi il mio commento 68. Stiamo sul punto, non su quanto e’ perfetta la Gervasutti o se quanto sono male il Cai e le sue scuole. Proprio perché’ e’ una scuola valida dovrebbe evitare di proporre corsi di tradizionale alpinismo ( ben fatti ne sono certo) con termini che nulla hanno a che vedere.
Crovella spaccia per oro la latta, e vuol far mangiare agli altri pane e volpe. Se la fa e se la minestra a modo suo, ma è poco credibile.
Effettivamente, a posteriori mi rammarico di aver segnalato questo articolo all’amico Gogna. Credevo di dare uno spunto interessante al Blog e non immaginavo proprio che addirittura un totem come la Scuola Nazionale di alpinismo Giusto Gervasutti potesse essere oggetto di scherno e sfottò. E’ indiscutibile che apparteniamo a universi contrapposti e incompatibili. E’ privo di fondamenta l’assioma da cui partite voi, voi “anticaiani”, ovvero che tutto ciò che è istituzionale sia sbagliato, antipatico e che odori di imposizione e forzatura dittatoriale. Non è per nulla così, e la gente che frequenta le iniziativa caiane è felicissima e completamente a suo agio. Mentre molti di voi si rivelano strutturalmente rancorosi e frustrati. Ribellione fine a stessa, la vostra: se anche il CAI cambiasse come da voi desiderato, voi restereste contestatori del CAI, anche del “nuovo” CAI. Perché attraverso la vostra contestazione, della serie “a prescindere”, sfogate le vostre frustrazioni. A dispetto delle buone intenzioni di Balsamo, non ci potrà mai essere un sano confronto con persone viziate alla fonte da rancore e frustrazioni, come appunto si rivelano molti di voi. Ognuno porti aventi i suoi discorsi. Ci penserà Darwin a mettere ordine.
MG. Certe questioni, se non adeguatamente trattate, permangono tutta la vita. Anzi tendono ad aggravarsi con il declino fisico che genera altre complessità legate alla funzionalità urinaria, come ha ricordato con competenza professionale da GB (che mi pare uomo di sanità pubblica). E poi non dimentichiamoci dell’ “Insostenibile leggerezza dell’essere”. L’ho appena riletto per la terza volta. Aiuta, aiuta tanto, ad attenuare le tensioni inutili come sono spesso quelle più legate alle antipatie personali che ai contenuti e ad affrontare i momenti difficili. O almeno ognuno ha i suoi rimedi preferiti. Io preferisco l’ironia alla chimica almeno finché posso e la gravità delle patologie me lo consente. Buon anno anche a te.
Fabio B. :
MAGARI!!!
Caro Cla, se tu accosti il Corso di alpinismo della Scuola Gervasutti di Torino al Corso raccolta arance di Rosarno, al Crovella viene un coccolone.
A Rosarno organizzano un corso di “raccolta arance” tutti i Ven. Sab. Dom. 12 ore/giorno, iscrizione euro 40.
Pernottamento in struttura, portare sacco a pelo e fornelletto.
Attestato di frequenza a chi raccoglie più di 10 qli. di arance nel treek-end!
@71
Ah, finalmente qualcuno l’ha detto! 🙂
E con gustosa ironia (alla quale, se posso, aggiungerei una costante pressione all’ugello, sì da ottenere la medesima gittata).
Grazie Pasini, buon nuovo anno anche a te.
Passo e (per quest’anno) chiudo.
@Pasini mah, te la potevi anche risparmiare questa tiratina fallocentrica.
La questione mi pare un pelo più complessa e interessante del mero scontro testosteronico, ormone peraltro ormai assai diluito vista l’età media dei frequentatori, semmai mi pare prevalga l’arterio…
@74. Giacomo, il termine trad e’ nato con un significato ben preciso, salire vie di alta difficolta’ ( diciamo 7c e passa) su monitori, ponendo le protezioni. Il fatto che sia nato sull’’arenaria inglese lo ha reso ancor più’ pauroso. Che oggi il termine trad sia usato in modo più’ ampio non lo metto in dubbio se anche tu me lo dici, resta il fatto che per un lungo periodo ha voluto dire una cosa ben precisa. Non è’ che 30 anni fa quando portavo i miei allevi sul diedro Gozzini sopra Genova insegnavo loro il trad….Detto questo chiamino pure il corso come meglio pare a loro, però’ non spacciamo per oro la latta.
Placido Master… 62
Completamente d’accordo.
Aggiungerei che questi corsi servono di più agli istruttori che agli istruiti. Come i corsi di shatzu, pasta di pane, cesti di vimini, tessitura e vari altri.
Aumenterà a dismisura la vendita di friend… che riposeranno negli armadi in eterno.
I gestori di negozi di articoli sportivi ringraziano!
@68 Enri, la chiarificazione sull’origine ci puo’ stare ma ne stai facendo una critica un po’ inconsistente. I miei (giovani) soci inglesi indicano comunemente come ‘arrampicate trad’ le vie con protezioni tradizionali, per esempio le vie classiche nelle dolomiti. Nel linguaggio comune, soprattutto giovanile, non fa fede l’enciclopedia e si e’ generalizzato quello che tu indichi essere l’unico stile/etica corrispondente a quel nome. Lo stesso vale, a torto o a ragione, per le riviste del settore. Lo puoi chiamare marketing se vuoi, ma questa e’ la situazione di fatto. Quindi, secondo me, ci sta abbondantemente che quel corso lo chiamino cosi’.
68@Enri. Analisi direi che calza pienamente . L’errore e’ grosso e possibilmente non voluto, cioe’ pensando male questi signori sanno cosa vuol dire Trad?
Balsamo, approfitto della tua disponibilità e della tua capacità analitica per verificare cosa pensi di un punto cruciale, che (alla fine del mio ragionamento) capirai che si lega strettamente alle tue considerazioni sul “confronto”.
Mi spiace “sporcare” un articolo sulla pregevole iniziativa dei colleghi della Gerva, ma cerco di approfittare dell’accenno, più volte ripetuto dagli anticrovelliani anche nei commenti a questo post, di mia stoltezza (secondo loro) fondata sull’invarianza della mia visione.
Mi si accusa di non cambiare idea da 61 anni (la mia età). Giusto o sbagliato che sia l’idea in sé, la sua invarianza nei sostenitori NON è peculiarità esclusiva della mia persona. La componente più “caiana” del CAI torinese, quella cui io appartengo per nascita (la mia famiglia vi era già profondamente radicata da tempo), detiene “quella” particolare mentalità, che appunto la contraddistingue storicamente. Non è caratteristica di un singolo, ma è il marchio di fabbrica dell’Istituzione. Chi è interessato a far parte di tale agglomerato socio-ricreativo, non può pensare diversamente, altrimenti viene spinto ai margini del gruppo fino a scomparire. Non è frutto di cattiveria, è un meccanismo tipico dei “gruppi omogenei”.
Questa mentalità si aggiorna costantemente in termini tecnici e didattici con l’evoluzione dei tempi (anzi, da questo punto di vista, spesso l’evoluzione è frutto di nostre invenzioni, vedasi a puro titolo di esempio i Corsi SBA, inventati nella nostra Scuola 18 anni fa), ma resta immutata nei principi fondamentali. Procediamo, procediamo sempre, ma sempre nel solco della tradizione, che risale alla notte dei tempi. L’obiettivo implicito è proporre la visione caiana aggiornata agli sviluppi tecnico-didattici, ma sempre di visione caiana si tratta. La visione caiana è che l’andar in montagna non è un semplice divertimento, né uno sport né un passatempo, ma è un elemento educativo, ovvero di crescita personale, crescita che poi si estende a ogni risvolto dell’esistenza, anche quelli che nulla hanno a che fare con la montagna (lavoro, famiglia, cultura, politica…). La nostra tradizione è così profonda e temprata dal tempo che inevitabilmente ne siamo “convinti” a priori e, in più, siamo convinti che tale approccio alla montagna sia indiscutibilmente il più nobile e il più etico fra tutti. Di conseguenza la “cocciutaggine” che spesso mi viene rinfacciata (dagli avversari della visione caiana) si inserisce quindi in questo trend molto più ampio della mia singola persona.
Faccio un esempio chiarificatore. Collaboro con il Gogna Blog all’incirca dal 2015. Fra i tanti miei contributi al Blog, a nel 2019 è stato pubblicato un mio articolo intitolato “Montagna scuola di vita“. E’ la summa sintetica della visione di cui sopra. Lascio agli eventuali interessati il compito di rintracciare l’articolo e leggerlo (lo si può trovare con la funzione “cerca” in altro a destra).
L’esempio che voglio riportare, però, non è incentrato su quel mio articolo, ma è relativo ad un evento di pochi giorni fa. Mi pare di aver già accennato, in altri commenti recenti, che ho partecipato alla serata inaugurale della stagione 2023 della Scuola di scialpinismo. Metà dicembre per capirci.
La squadra che oggi tiene in piedi la Scuola (che è una organizzazione molto complessa, come ho descritto l’altro giorno) appartiene a due generazioni gestionali successive alla mia, forse addirittura tre. Per intenderci: non sono stati miei allievi diretti (di quando ero direttore io), ma allievi di miei allievi, forse addirittura allievi di allievi di miei allievi… Quindi sgomberiamo il campo che gli attuali gestori siano stati “inquinati” dalla mia persona.
Ebbene, all’inaugurazione uno dei Direttori di Corso ha espresso agli allievi un concetto del genere: “Andare in montagna, specie nella montagna innevata, è una cosa che si impara poco a poco, per questo noi storicamente riteniamo congruo, per gli allievi, un ciclo didattico di almeno tre stagioni consecutive, se non addirittura di quattro o cinque anni anni. Durante queste ampio arco temporale, con noi imparerete un approccio complessivo alla montagna, dal preparare lo zaino a come scegliere l’itinerario a tavolino, dal tracciare sul terreno, a come comportarvi in ogni occasione, fino a saper gestire a puntino le situazioni di emergenza. Questo apprendimento, lento, diluito nel tempo, con progressione millimetrica da un giorno all’altro (ma “abissale” se valutata dall’inizio del processo alla fine dello stesso), comporterà in ciascuno di voi una maturazione personale che poi vi accorgerete che applicherete indistintamente a tutta lo vostra esistenza. Perché – ha concluso l’odierno Direttore di Corso – la montagna è scuola di vita e questo noi insegniamo da sempre.”
Ricordo che attualmente la Scuola ha 90 allievi (+ 20 dello SBA) e storicamente non abbiamo mai avuto penuria di iscrizioni. Il motivo? La gente, specie i giovani (incredibile dictu!), si iscrive proprio perché ricerca il sopradescritto motivo “educazionale”. Cioè: durante le uscite si fanno belle gite, se possibile anche lunghe e impegnative, poi si imparano tutte le nozioni didattiche e le si testano ripetutamente sul terreno, ma alla fine della fiera ciò che fa premio (in chi si iscrive) è quel principio particolare: Montagna scuola di vita.
Ebbene se due o addirittura tre generazioni gestionali dopo la mia, il principio di fondo resta sempre “quello” che esprimeva la mia generazione (così come lo era due, tre, quattro generazioni gestionali prima della mia), vuol dire che quella particolare visione è la nostra pietra angolare e per noi non cambierà mai. E’ così dalla fondazione della Scuola, 1951-52 (oltre 70 anni fa), e a sua volta quella filosofia affonda le radici nella tradizione precedente della Sottosezione e più in generale del CAI. (Pe motivi di spazio sorvolo sul fatto che anche le altre principali scuole CAI, specie di scialpinismo, hanno all’incirca la stessa impostazione e la ripropongono nel tempo).
Con tutto ciò così radicato, è ingenuo ipotizzare che uno tipico rappresentante di quell’ambiente, come il sottoscritto (che prendiamo a puro titolo di esempio, ma si potrebbe prendere uno qualsiasi degli altri, a caso, e il risultato sarebbe lo steso), possa cambiare idea. In realtà chi qui dà addosso a Crovella è perché, per mille motivi (variabili da individuo a individuo), detesta il CAI caiano e quindi immagina di abbattere il CAI caiano bastonandone uno dei suoi rappresentanti. Invece di perdere tempo inutilmente in tale attività (che tanto i caiani – specie Crovella – hanno la pelle di un rinoceronte e non patiscono niente) sarebbe molto più intelligente analizzare le caratteristiche di quella particolare visione sabauda (molto “caiana”) e magari prelevarne i rivolti utili.
Dubito che, in noi caiani sabaudi, sia tutto e solo “schifo”: lo schifo non può persistere per decenni e decenni, tra l’altro con un impatto proattivo sull’evoluzione generale della didattica (quanto meno quella scialpinistica, ma anche quella più generale, visto che spesso i rappresentanti sucaini hanno agito in ambito CNSASA e Scuola Centrale che operano per tutte le Scuole CAI, di ogni disciplina).
Ciao!
Per GB. C’è un’interferenza di tipo anatomico che ostacola il confronto negli ambienti virili. Se invece di una struttura ad assetto variabile e con un range di variazione a pieno regime di 6/7 cm i maschi della specie umana avessero sviluppato evolutivamente una struttura per la riproduzione di dimensioni fisse e di assetto costante, probabilmente la nostra storia e la nostra personalità sarebbero state diverse. Forse questo aspetto dell’evoluzione ha una ragione o forse è puramente casuale. Chissà? Certo ne paghiamo le conseguenze, anche sui social. È vero, per fortuna, che i blog sono un terreno dove si verificano danni collaterali sicuramente minori rispetto ad altri ambienti comperitive dove le conseguenze di quella che potrebbe apparire una bizzarria dell’evoluzione sono ben più drammatiche. Cerea e buon nuovo anno.
…l’ha detto meglio mg prima di me…
“incontro…che si propone…la possibilità di un’intesa attraverso un dialogo aperto ed equilibrato” Mi ritrovo abbastanza in questa definizione e sottolineo la parola incontro.”
Mi sa che prima di ritrovarti, dovresti dare una ripassata alle definizioni del significato in italiano di “aperto” ed “equilibrato”
Provo a tornare sul punto. A mio avviso l’errore se così si può’ dire della Scuola Gervasutti e’ aver chiamato trad un corso che è’ un normale corso si alpinismo, al limite alpinismo avanzato. Perché’ lo hanno fatto? Non lo so, probabilmente per ragioni di marketing. Delle due l’una: o trad e’ la semplice abbreviazione di tradizionale e quindi ciò’ conferma il fatto che sia solo una trovata di marketing oppure trad vorrebbe essere usato nel solco di ciò’ che da anni ha significato l’arrampicata libera di alto livello, ponendo le protezioni in loco, molto spesso su monitori, non spittati e su cui spesso e’ richiesto di porre dadi e friend in situazioni molto precarie e dalla conseguente tenuta aleatoria. Nulla a che vedere con l’insegnare come si pianta un chiodo o come si mette un dado ed un friend in fessura. Se volete capire questo secondo modo di intendere l’arrampicata trad cercare su internet Hazel Findlay o prima Johnny Dawes, solo per dire due nomi.
Capirete che quello che alla scuola Gervasutti chiamano trad nulla ha a che fare con il trad. Che, tra l’altro, non si insegna! E se guardate i video lo capite! E’ quasi come dire di voler tenere un corso di free solo.
Detto questo la scuola Gervasutti ha un buon nome, sono certo che il corso dara’ qualche buona nozione a principianti o poco meno della arrampicata libera e a chi già’ ha masticato la falesia e vuol aggiungere qualche abilità’ nell’attrezzare un tiro. Il trad rimane completamente altra cosa.
@GB solo per amor di discussione, e senza polemica.
“la possibilità di un’intesa attraverso un dialogo aperto ed equilibrato” mi pare sia esclusa in partenza da qualcuno che ti dice che ha ragione per ascendenza divina e che comunque quella e la sua idea da sessant’anni e non la cambiarà per nessuna ragione al mondo poiché la Sabaudia è un modello per il resto del mondo.
Direi che in tal caso non si tratta di confronto ma semplicemente di scontro.
Allora talvolta, per rabbia o per diletto, a seconda dei casi, si interagisce: la prima quando quel modalità coriacea diviene talmente invasiva e fastidiosa da impedire qualunque riflessione o sviluppo della riflessione sul tema, la seconda quando di fronte ad enormità come le descrizione di studi fantozziani, la si butta un pò in caciara.
Ritengo che altro presupposto ineliminabile del confronto, che può anche essere aspro ma dovrebbe sempre essere costruttivo, sia la disponibilità ad aprirsi a punti di vista nuovi ma, soprattutto, un minimo di competenza sugli argomenti di confronto.
Se vuoi ragionare di tutto ponendoti in una posizione di supremazia, di volta in volta perché sei provetto sciatore, provetto alpinista, sommo letterato, apprezzato conferenziere, giurista per consanguineità, et cetera, temo sia impossibile confrontarsi e si scade semplicemente nella dialettica da bar (anche in tal caso, alla fine l’esito non può essere che il dileggio, quando la si spara grossa, o lo scazzo quando si eccede nei modi e nei toni).
Perché se parliamo del prezzo delle cipolle è una faccenda, ma se ci confrontiamo su questioni tecniche il confronto presuppone la conoscenza del tema di discussione: per dire, io non mi vado a confrontare con un ematologo o un ingegnere nucleare sui loro temi spiegandogli che non han capito nulla e che mio figlio, che fa il secondo anno dell’istituto tecnico industriale, mi ha spiegato bene le piastrine o i neutrini.
Quello, imho, non è confronto, è patologia dialettica e ego compulsivo.
Quanto al lasciar perdere credo sia ciò che accade 990 volte su mille. restano quelle dieci in cui alla settecentesima celebrazione della nobiltà sabauda scappa il vaffa…
Il tutto sempre nei limiti di relatività e irrilevanza che, personalmente, ha in genere l’interagire sul web e, nello specifico, in questo blog, che rimane – o dovrebbe rimanere – un marginale momento ludico.
In ultimo, il giudizio non è mai sulla persona, che non conosco, ma su ciò che scrive quella persona e sul suo modo di porsi qui dentro.
@60
Solo per completezza.
Treccani su “confronto” riporta: “In senso fig., soprattutto nel linguaggio polit., incontro polemico fra sostenitori di tesi, concezioni, programmi diversi, che si propone non tanto la lotta e la vittoria di una delle parti quanto la possibilità di un’intesa attraverso un dialogo aperto ed equilibrato”
Mi ritrovo abbastanza in questa definizione e sottolineo la parola incontro.
Riguardo ai “modi e metodi” ho già scritto cosa ne penso @35, ma cerco di farmi condizionare il meno possibile da giudizi sulla persona (peraltro mai vista faccia a faccia e di cui non so nulla eccetto per quanto scrive qui) che possono facilmente diventare pregiudizi.
Ad esempio, stupore per stupore, potrei provarne altrettanto nel constatare come ancora non si sia compreso come approcciarvisi in modo positivo (o, in alternativa, non si sia scelto di ignorarlo del tutto) ma si perseveri sullo scontro.
@65
Apprezzo l’offerta, ma devo declinare. Ricambio però volentieri gli auguri.
@57 Balsamo. Condivido sempre di più la tua analisi psicologica, molto azzeccata. Se interessato, ti spedisco alcune mie pubblicazioni (per esempio l’analisi storica sul personaggio Gervasutti), in versione informatica. E’ un testo che consente di capire molto della visione “caiana” in ambito torinese (sembra incredibile per gli alpinisti di oggi, ma Gervasutti era “caianissimo”, secondo i parametri attuali, e ha lasciato in tal senso una traccia profonda nell’ambiente subalpino). Se di tuo interesse, puoi farmi arrivare il tuo indirizzo mail tramite Alessandro Gogna e provvederò a stretto giro. Se non ci “incrociamo” su terreni informatici, ti anticipo i mie auguri di Buon anno. Ciao!
@62 analisi condivisibile. Forse il termine trad non è del tutto corretto, visto da dove arriva, ma fa trendy e alla fine la sostanza è quella, imparare a salire proteggendosi by fair means (mummery docet).
Pane e volpe, fuoco sacro, Darwin, imparare ad insegnare ed amenita’ simili mi sono chiesto quanti di questo blog si fiderebbero di una sosta su terreno infido attrezzata dal sabaudo. Aprirei un sondaggio. Io per me i miei chiodi me li metto da solo, e alle soste crovelliane non affiderei lo zaino. 🙂
Molto semplicemente, alla “Gerva” si sono accorti che c’era mercato per un corso di arrampicata trad, e hanno messo a punto la loro offerta.
Gli acquirenti tipici sono i falesisti puri, già bravi ad arrampicare, che vogliono espandere il loro terreno di gioco per curiosità, moda, spirito di emulazione, o vattelapesca.
Tutto qui, mi pare.
La cosa più divertente è l’uso delle parole e delle frasi, in senso univoco, con un significato arbitrario e spesso differente da quello reale; significato che viene reiterato e imposto come fosse universale e unico.
In Lombardia si chiede ironicamente a qualcuno “ma hai mangiato pane e volpe?” quando ha commesso una sesquipedale cretinata. Dire che qualcuno “mangia pane e volpe ogni mattina” significa che è proprio scemo.
Ironia lombarda, incomprensibile a un sabaudo nutrito fin dall’infanzia a piccoli, incolpevoli predatori fulvi…
vedi Balsamo per me invece confronto significa mettersi in discussione.
se non vi è quel presupposto di partenza è attività del tutto inutile.
con riguardo al verbo confrontarsi la treccani riporta ” b. Con uso più recente, c. le proprie opinioni, i proprî punti di vista, le proprie tesi, in un dibattito fra due o più oppositori, metterle a confronto per rilevare somiglianze e divergenze, per saggiarne la validità, con il proposito di giungere a un accordo, a una soluzione, o comunque a un risultato positivo. Con sign. analogo anche il rifl. o rifl. reciproco confrontarsi, riferito a due o più parti in contrasto che, in un dibattito politico, sindacale, culturale, espongono e sostengono ciascuna le proprie tesi, cercando di farle prevalere su quelle dell’avversario o di trovare comunque una soluzione soddisfacente”
comprenderai che è pratica impossibile con colui che afferma di aver ragione a priori e chi la capisce bene, chi non la capisce e non viene illuminato dalla sua sapienza è destinato a scomparire.
Nessuno intende fargli cambiare idea, perché è evidente che non sia possibile. evidente il suo processore è datato e da sessantuno anni gestisce un solo concetto (il che la dice lunga…), semplicemente talvolta si è chiesto di non seppellire ogni riflessione fra coloro che vorrebbero confrontarsi sotto la montagna dei tre concetti autoreferenziali e da asilo, ripetuti all’infinito
Questo giusto per la semantica, perché se non vedi l’assurdo nella condotta di costui, davvero me ne stupisco ( non parlo delle idee, parlo dei modi e dei metodi)
e ora la pianto qui, che di dare ulteriore motivo di logorrea al solipsista antonelliano che sbraga ad ogni intervento, direi che mi sono stancato.
p.s. Benassi, che è un apuano, mi può chiamare come vuole. senza necessità di stupido sarcasmo da parte di chi non sa quello di cui parla.
Buona serata
@55
“la penso da sessantuno anni nello stesso modo e non cambierò idea”
Direi che la frase esprime senza equivoci la propria posizione (altro motivo d’intervento), ma che c’entra questo con la “possibilità di confronto” ?
Abbandona l’idea di far cambiare opinione a Crovella (tanto non succederà mai 🙂 e vale anche il viceversa, mi pare) e vedrai che la “possibilità di confronto” c’è eccome.
Confronto, almeno per come lo intendo io, non è cambiare l’idea altrui, ma (provare a) capirla, vedere come l’interlocutore reagisce alle nostre obiezioni e, attraverso questo, capire meglio anche noi stessi.
Sarebbe stato interessante seguire un vostro confronto sul presidenzialismo a margine del pezzo di Guzzanti, ad esempio.
Occasione persa, peccato (anche se sull’argomento la penso all’incirca come Merlo: occuparsi di presidenzialismo è come mettersi a spazzare il pavimento mentre la casa va a fuoco).
@57
Nè Piemonte nè Liguria. Vivo in un paesino dell’Emilia, vicino a Bologna. Se potessimo parlarci in voce l’avresti capito subito 🙂
Sul piantare chiodi non avete capito una mazza. Non leggete con attenzione. Non si tratta di imparare a piantare i chiodi (cosa per la quale occorre una lunga esperienza prima persona), ma imparare come si insegna (ad eventuali allievi) a piantare i chiodi. Sono due concetti profondamente diversi.
@54. Balsamo. Ma sai che mi sei proprio simpatico?! Davvero! Lo dico in modo sincero. Hai azzeccato il punto, in ogni sfaccettatura. A differenza dei numerosi geni che impazzano e che invece non “colgono” nulla di nulla.
Ecco, con chi ha il tuo approccio io sono naturalmente portato a dialogare, pur da posizioni ideologiche molto contrapposte. Quindi sono a tua disposizione.
Il tema dei tanti “fenomeni” (che amano sguazzare nelle considerazioni salaci e irte) è che sono solo dei provocatori per motivi di frustrazioni, le quali frustrazioni probabilmente sono molto differenti da un individuo all’altro (chi.pet lavoro, chi per famiglia, chi per emarginazione in ambito CAI…). Ma, stante questo loro pre-requisito, è impossibile un confronto: loro devono demolire il sistema che ha generato queste loro frustrazioni. Pensano di ottenere ciò dando addosso a me in quanto io sono un tipico rappresentante del sistema “istituzionale”,sia sui temi di montagna sia sul resto della vita. Vengano pure all’assalto, non otterranno mai nulla: tanto, basta stare fermi e, come i francesi all’Assietta, si infrangeranno da soli contro le fortificazioni. Basta aspettare e non cedere un millimetro.
Balsamo, curiosità, se posso. È una semplice questione di cultura alpina (intesa come storia del territorio): dove risiedi/operi? Il cognome è tipico del Sud Piemonte (Granda), ma anche un po’ della Liguria di Ponente…
Buona Serata.
@53 Benassi. Attenzione che MG ha più volte minacciato che non vuole essere nominato in modo diretto! Evidentemente non desidera lasciare traccia esplicita, agli occhi di soggetti terzi, che sta cazzeggiando su argomenti di montagna. Pare che, nel caso, voglia addirittura coinvolgere il buon Gogna nella sua azione legale. Per cui, Benasso, se non vuoi arrecare danni all’amico Sandro, non chiamare più MG per cognome!!!
“Sempre che si intervenga per confrontarsi, naturalmente.”
mi pare ovvio che non sia così, sarebbe interessante capire quale confronto vedi con qualcuno che dice la penso da sessantuno anni nello stesso modo e non cambierò idea e voi siete una manica di debosciati ma taluno soccomberà per legge darvinista e gli altri li educherò.
vedi una qualche possibilità di confronto?
io vedo solo la possibilità, ogni tanto, di un prosit… a scopo meramente ludico.
@52
MG, se ti riferisci a me immagini male.
Trovo “infinitamente” più divertenti mille altre cose che non leggere n volte le stesse frasi: che siano queste ripetizioni di Crovella o reiterati attacchi alla sua persona.
Non posso, tuttavia, fare a meno di sorridere leggendo tali tentativi volti a far desistere il soggetto.
Tentativi che, se ho un compreso anche solo un epsilon del carattere del personaggio in questione, sono destinati non solo a fallire, ma a sortire l’effetto opposto.
Ed essere, quindi, la causa diretta di quelle aborrite “trecentottantamillionesime ripetizioni”.
Per avere un vero confronto, secondo me, occorrerebbe tenere conto, fra le tante cose, anche dell’impostazione dell’interlocutore.
Sempre che si intervenga per confrontarsi, naturalmente.
Grazie Ginesi, mi dai la possibilità di ricordare Alessandro Bertagna che ha aperto la VOLPE E LA FOLAGA una via divetata una classica del monte Corchia.
Come giustamente sottolinea Ginesi, non si può insegnare a chiodare nelle poche lezioni di un corso. Non è un fatto di istruttori bravi. Si possono (e si dovrebbe) dare indicazioni e suggerimenti e dire che non c’è solo il trapano. Ma di sicuro ci vuole tempo ed esperienza e dare tante martellate.
the onemanshow continua toccando nuove vette.
Matteo diceva semplicemente che non si insegna a piantare un chiodo con due veloci istruzioni, volpi o folaghe che siano gli allievi (Benassi ci leggerà qualcosa…).
A piantar chiodi bene non si impara ad un corso si impara, se si sopravvive, nel corso dell’esperienza, perché è una faccenda che capisci solo quando la fai nessuno tel può insegnare, semmai può darti indicazioni e i chiodi e le fessure son così tanti,(come i dadi e i frind) che solo andando e sperimentando si può sviluppare quella abilità.
Che è poi pure quello che dicono merlo e, un pò, anche Cominetti.
Tutti militanti antisabaudi, presumo.
Qualcuno ha parlato di osservazioni che non devono contenere attacchi personali, altrimenti annoiano. Immagino costui si diverta invece infinitamente a leggere, per spiegare un concetto inesistente, la trecentottantamillionesima ripetizione dell’ufficio sturmtruppen crovellico o delle scuole dove se non sei pane e volpe soccombi…
Modalità espositive che, peraltro, a me fan tanto venire in mente il buon Freud…e quelli che si svegliano tutti sudati.
@46 Non ci arrivi propri, eh. Si vede che non lavori a Torino. Mi capita spesso, in ufficio, di verificare l’avanzamento lavori dei collaboratori. Magari per conto mio sto portando avanti un mio lavoro e, magari, sto guardando in contemporanea due lavori diversi di due collaboratori diversi. Oggi sempre più spesso ci si intreccia per via telematica più che fisica.
Cosa credi, che, con i ritmi frenetici e a tamburi battente, faccio estrema attenzione alle istruzioni che impartisco ai collaboratori??? Ma sta coppa. Nonostante io sia noto per la precisione maniacale, può capitare che le frasi.e le istruzioni ai collaboratori, dette al volo, siano “colloquiali”, un po’ imprecise, non chirurgiche. I collaboratori devono essere svegli e capire. Tocca a loro essere svegli, non ho tempo per ripetere le cose mille volte. Se uno “inciampa”, io dico “pane e volpe”. quello capisce di aver fatto.una mina e si attiva per correggere. Quando a uno io arrivo a dire “pane e volpe” con ripetuta frequenza, significa che costui non regge qualità e quantità del lavoro… non riesco a tenermi persone così. In tutti gli studi professionali chd conosco il modello è sostanzialmente così. Quindi esser svegli e capire anche se le istruzioni, magari, sono un po’ ingarbugliate (per i motivi che ho detto) è condizio si qua non.
Da questo punto di vista le scuole subalpina di scialpinismo (mi riferisco in particolare alle scuole di questa attivita’) sono estremamente formative. Forse forse, è proprio per questo obiettivo educazionale, così importante nella vita, che c’è così tanta gente che vuole iscriversi.
Certo è che un “nostro” allievo non si mette a fare le questioni che poni tu. Per gentilezza e con spirito “caiano”, ti ho spiegato, per l’ennesima volta, la questione, però adesso basta, ti prego di non tornarci più. Se le mie frasi non le capisci, fattene una ragione d mettiti il cuore in pace.
Lusa. Mi spiace esser poco garbato cin jna gentile donzella, ma pane e volpe te lo devi mangiare anche tu. Quelle che hai “recuperato” sono uscite sociali della Sottosezione e non della Scuola, cui invece mi riferisco io. Le gite polenta sono una delle tante attività che offriamo, per generosità, a chi non è animato dal sacro fuoco: regaliamo loro giornate di montagna, garantendo la sicurezza e offrendo un clima umano tranquillo e non stressante. Ma la scuola è un’altra cosa. Incredibile che ci siano così tante persone che non sappiano nulla della Scuola SUCAI…
Caos e entropia: in sè totalmente o parzialmente indeterminabili (relazioni interne), ma valorialmente deterministicamente connotate (costante) quando sono presenti in contesto meccanicistico-amministrativo (campo chiuso).
Indeterminazione, tipico del relazionale (campo aperto).
Soggettività, tipico campo chiuso, autoreferenziale. In quanto tutte le affermazioni avvengono nel rispetto della biografia che le emette.
Non ci avevo mai pensato. Al momento mi pare così.
Certo.
Ci sta tutto sotto l’egida del non se è vero o no ma in che termini lo è.
Circostritto un campo si erge un’aministrazione e la verità si fa ovvia.
@43
Accostamenti a mio parere un pò bizzarri, ma interessanti.
Se ne potrebbe discutere parecchio, ma in altra sede, senza togliere spazio al “trad”, alla “Gerva” e al “dagli al Crovella” 🙂
(Spunti: indeterminazione nella meccanica classica – caos, entropia – e relazione fra indeterminazione e soggettività).
Crovella, io non bizantineggio sulle parole, ma sottolineo quando tu scrivi cose che non hanno senso in italiano…se tu intendevi dar loro un certo senso e se qualcuno riuscito a capire quello che tu avresti voluto dire, questo non cambia il fatto che tu abbia scritto cose senza senso.
Non ho ben capito perché dovrei imparare a insegnare a piantar chiodi, ma solo uno come te (che non ha evidentemente idea di cosa sia un chiodo e come si pianti) può pensare che possano bastare “due istruzioni, magari non precisissime in termini lessicali, e via andare”
Sono certo che gli istruttori della Gerva hanno idee ben differenti dalle tue; anche suoi chiodi, il loro uso e come insegnarlo.
POLENTA & POWDER – SUCAI
Anche qui vedo polenta e salcicce. Manca Crovella, l’hanno lasciato solo sulla corriera a mangiare pane e volpe; ecco perchè sono tutti così allegri e sorridenti
Crovella vuole farci mangiare pane e volpe ma alla Sucai mangiano la polenta e si divertono. Quel giorno avevano perso la corriera e fortunati loro si sono fatti la loro gita in macchina senza quello scassa…. di Crovella 🤣🤣
Seconda Polenta – SUCAI
Nelle relazioni ogni eventualità è aperta: principio di indeterminazione.
In campo chiuso ogni eventualità è prevedibile: causa/effetto.
In campo relazionale si prevede l’evento scaturente quando il binomio è impari, come nel dominato-dominatore. Ma si tratta allora di un campo chiuso. Per entrambi, sebbene differente.
@38 Anziché bizantineggiare sulle parole (che le cose chi le vuol capire, le capisce capisce senza tanti fronzoli), piuttosto impara a insegnare bene come si pianta un chiodo che canta come dio comanda. Leggi bene la frase: il concetto è espresso a prova di asilo. Non si tratta di saper piantare il chiodo, si tratta di saper insegnare come si pianta detto chiodo. Mica sofismi: due istruzioni, magari non precisissime in termini lessicali, e via andare.
Se del caso, per poi insegnar bene sul punto, magari iscriviti alla prossima edizione (settembre 2023) del Corso Trad di cui si parla in questo articolo. La Gervasutti è la più blasonata scuola di alpinismo (o, al massimo, fra le 3 più blasonate, giusto per lasciar un piccolo margine…) dell’intero panorama italiano. Se vuoi imparare bene, però, a quell’evento portati dietro tanto pane e tanta volpe. In assenza di tale tua dotazione, l’impegno degli istruttori sarà improduttivo.
Brigadiere: ” Marescia’, ricreazzione con 1 o con 2 z ?”
Maresciallo: ” con 2,con 2, come cazzo!!!”
@38
Mah, Matteo, se qualcuno si ritiene “un maestro, detentore e interprete della verità” per me è un problema suo: per quanto mi riguarda può anche mettersi in testa il cappello di Napoleone, se così gli piace.
In questo contesto, ciò che conta sono i concetti che esprime.
Se lo fa in modo poco chiaro (e il mezzo non aiuta alla chiarezza), si può sempre chiedere spiegazioni (se interessati) così come si può esprimere dissenso se non si è d’accordo.
Però restando sul tema.
Per quanto possa stare sulle palle il personaggio, a che scopo l’attacco personale ?
@39
Non sono d’accordo, ma già lo sai.
Tutti i contesti amministrativi, quelli dove tutti sanno tutto, dove i confini del campo e le sue regole, segni e linguaggio sono condivisi trovano corrispondenza formale con la meccanica classica.
Al contrario quelli relazionali, dove manca la condivisione stretta di anche uno solo degli elementi su elencati, ce l’hanno con la meccanica quantica.
No Giuseppe, non sono d’accordo: la famosa frase “chi parla male, pensa male e in fondo vive male” è valida anche per lo scrivere.
Sopratutto se chi scrive si ritiene un maestro, detentore e interprete della verità, per ricondurre gli altri sulla retta via
@34 Guarda, da noi diciamo che “mangia pane e volpe a colazione” e così ci si sveglia. Non ripetiamo le cose, anche se magari “escono” in modo non precisissimo né al di sopra di ogni possibile dubbio interpretativo. Non abbiamo neppure bisogno di “sgridare”: i ritmi organizzativi da soli fanno regola e selezione.
Per esempio alla prima serata diciamo semplicemente che la partenza delle uscite pratiche è alle 06.00, non stiamo a sottilizzare, né ci impegniamo in dibattiti sulle interpretazioni lessicali. Chi capisce, capisce. Chi non capisce, si prenderà nasate.
Di conseguenza. Nelle uscite pratiche, alle 05.59 trovi ancora i pullman al parcheggio e riesci a salirci sopra, mentre alle 06.00 spaccate i pullman partono, per cui se arrivi al parcheggio alle 06.01 lo trovi vuoto.
Stai tranquillo che, se ti interessa far parte delle nostre attività, la volta dopo ti organizzi e arrivi addirittura alle 05.45, qualcuno è già lì anche prima. Se invece non ti interessa questo stile di vita… guarda il mondo è grande, non corriamo dietro a nessuno.
Questo modo di fare è trasversale alla vita. Non riguarda solo l’andar in montagna, ma la quotidianità intera, il lavoro, la famiglia. “Pane e volpe” è la regola.
La morale è che chi si mette a dire ma questo in italiano non è perfetto, lì c’è un contrasto dialettico, là un stridio concettuale… io non sto neppure a dargli retta. Chi vuol capire, capisce. Per gli altri, ci pensa Darwin.
P.S. @33 era @34…
@31
Dovere.
Spesso esprimi posizioni (opinioni) sulle quali non concordo, nel merito e nel modo (niente di personale in questo, naturalmente), nondimeno le leggo con interesse (proprio perchè diverse dalle mie).
Almeno fin quando il dialogo resta sui contenuti e non scade in altro.
@32
Più chiaro di così…
E senza nemmeno tirare in ballo la fisica quantistica 🙂
Io di solito faccio l’esempio del vetro del forno (se lo tocchi ti bruci), ma anche il dentino del moschettone non è male.
@33
Lo si capisce dal contesto e facendo un piccolo sforzo per saltare di là dalla barriera del pregiudizio.
“Forse intendeva di esporle (le posizioni soggettive) senza attacchi personali.”
Magari intendeva così, ma quello che ha scritto non vuol dire nulla.
E tanto per citare le sue parole, ho l’impressione che ciò possa applicarsi “non solo su questo specifico punto, su tutto”.
@31 il che presuppone di essere caianamente dententori della verità assoluta non più solo in montagna ma nella vita.
Si chiama evangelizzazione (che potremmo ribattezzare sucainaizzazione, visto che la chiesa inidicata è quella), oppur delirio di onnipotenza.
a seconda dei punti di vista.
Comunque se vi divertite così, ha ragione pergogna: continuate pure, siamo ormai a un punto da avanspettacolo e non credo che un simile imbarazzante spettacolo e un simile portavoce giovi nè al blog ne alle istituzioni caiane sabaude :o).
Chi ha scalato con le protezioni veloci e conosce il modello col dentino e quello senza, è al pari di Marcello. Quindi Marcello non sta traferendo esperienza e nessuno la sta assumento dalle sue parole.
Chi non è al pari esperienziale di Marcello, perché non conosce i moschettoni, il cavetto, perché non scala, e anche perche non gli è mai capitato l’incastro del cavetto eccetera, eccetera capirà poco o tutto e magari eseguirà l’indicazione ma non si tratterà di trasmissione di esperienza.
Solo la ricreazzione personale confermerà a chiunque la verità delle parole di Marcello. Solo allora quello a cui non è mai capitato ricreerà la verità espressa da Marcello. Se – per quanto improbabile – seguiterà a scalare senza l’inciampo, non la pronuncerà affatto.
L’esperienza non è trasmissibile. È talmente vero che se non ci arrivi da solo a ricrearla la citi inopportunamente come nel caso 28. Sempre che fosse sarcasmico e non innocente. Nel caso, pardon.
@30 Grazie, hai capito al volo.
Purtroppo molti degli altri no. Ma non solo su questo specifico punto, su tutto.
La mia natura caiana mi porta inevitabilmente a mettermi a disposizione per spiegare le cose a chiunque, con l’obiettivo di riportare tutti sulla retta via (questa è l’essenza più profonda del caianesimo: spirito di servizio). Ma non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Inutile sprecare energie e tempo: ci penserà la natura, darwinianamente.
A molti di voi farebbe davvero bene un bel periodo didattico presso la scuola di scialpinismo subalpina: imparereste come si deve. Non il solo scialpinismo, ma proprio la “vita”.
@29
“non ho idea di cosa possa voler dire in crovellico”
Forse intendeva di esporle (le posizioni soggettive) senza attacchi personali. Che, alla lunga, stufano.
P.S. Torno a dormire sul divano insieme ai miei amici sciatori, mentre in TV parla uno dell’ONU… 🙂
“Nell’universo in cui vivo, io sono tenuto in massima considerazione”
Maddai? Nell’universo in cui vivo io sono orgoglioso di essere ritenuto un pirla.
Però sono tutti contenti di arrampicare con me, compresi diversi accademici piemontesi (forse non proprio “sabaudi”, però…)
“partecipate pure al dibattito generale, ma esponendo in modo oggettivo le vostre posizioni”
Grazie del gentile permesso di partecipazione, vorrei segnalare però che “esporre posizioni soggettive in maniera oggettiva” in lingua italiana non ha senso…non ho idea di cosa possa voler dire in crovellico
@ Cominetti al 10. Fiato al vento Marcello perché “L’esperienza non è trasmissibile”.
Non appaio più da tempo trovo vacuo e inutile discettare sul sesso degli angeli che al 99 per cento avviene su questa rubrica?quello vero .. di sesso lo fanno le giovani leve ..qui la gerontocrazia vive di riflessi sbiaditi.Ma è sempre bene ricordare a chi legge che regola prima ..mai togliere il delirio al paziente.. diversamnte si ritroverà nudo e disperato e farà il passo succesivo. pertanto lasciate perdere il a seconda del caso ..l’economista, il leguleio ,il pancetta skiatore maestro di Holzer..giachè è uno stretto collaboratore della proprietà .tale ne è che può minacciare randellate a destra e a manca..meditate..ora ritorno nel mio.. carie da miseria ma vivu dal me..
“ma sono basito che esista gente che ragiona, scriteriatamente, come alcuni di voi.”
mai ha davvero scritto che ti lascia basito che possa esistere qualcuno che la pensa diversamente da te e lo manifesti?
é curiosa questa cosa: dunque scrivere su una qualche rivista, essere salutato dagli accademici torinesi e dalle cariche caiane sabaude (parlapà mi pare si dica dalle tue parti…. ) renderebbe di fatto intangibile il pensiero del beneficiario di simili omaggi…
Non deve essere semplice la vita degli allievi caiani sabaudi. è che l’assolutismo dell’istruttore sucaiano non ha valenza erga omnes sul territorio, purtroppo. e quindi vi è qualche temerario che si permette di dissentire.
Immagino che in simile prospettiva, anche la vostra riforma della costituzione sia oltremodo semplice: basta un articolo: “si fa come dico io”.
In ogni caso, visto che ti amareggia che si sia criticato un articolo su uno dei quattro misteri della religione alpina sabauda, come han fatto notare diversi temerari il trad – nella sua accezione letterale – è un’altra cosa e un corso dove si insegna a salire vie proteggendosi è semplicemente una orso di alpinismo.
semmai ci sarebbe da chiedersi perché oggi si debba paludare un corso di alpinismo base, con un qualche belletto esotico come il trad.
per dire… questo è il trad come si intende oggi e come ha sottolineato enri
https://www.youtube.com/watch?v=me6MvieBAF0
dubito che alla Gerva lo intendano così.
Crovella è una balena spiaggiata.
Suggerisco a Carlo di aprire un CrovellaBlog (o PanzerBlog), con possibilità di commento riservata a chi ne abbia il permesso.
Mi rivolgo genericamente, perché il ragionamento riguarda diverse persone: con alcuni di voi evidentemente viviamo in universi incompatibili. Nell’universo in cui vivo, io sono tenuto in massima considerazione, altro che scrivere vaccate! Come accade ogni anno prima delle feste, la scorsa settimana ho ricevuto gli auguri personali delle varie cariche istituzionali dei CAI cittadini (sezioni, scuole, biblioteca naz.) e addirittura un paio di Accademici mi hanno telefonato di loro iniziativa a titolo individuale. In ogni stagione dell’anno vengo sistematicamente invitato a parlare sui temi di montagna nell’accezione più ampia possibile. Ricevo sempre e solo attestazioni di stima e di gran considerazione della mia conoscenza della Montagna e di ciò che dico e che scrivo. Non ultimo, pubblico regolarmente su riviste sia di area CAI che imprenditoriali distribuite in edicola (=c’è gente che addirittura mi paga per pubblicare i miei testi!). Per tutti questi motivi è incomprensibile che consideriate delle “vaccate” le cose che scrivo. L’unica spiegazione e” appunto ti che apparteniamo a universi incompatibili. Da parte mia non sono minimamente intimorito a espormi, figuriamoci sono un goregn come ho detto mille volte, ma sono basito che esista gente che ragiona, scriteriatamente, come alcuni di voi. Pensate di esser illuminati dalla luce divina, ms vi prego di credermi, nelle scuole torinesi non sareste neppure accettati come allievi, nonostante certi titoli nominali che detenete. Come ho gia’detto mille volte, anziché preoccuparvi di commentare “salacemente” le mie tesi, partecipate pure al dibattito generale, ma esponendo in modo oggettivo le vostre posizioni. Alcuni di voi, invece, intervengono “solo” per fare polemica soecifica contro Crovella. È questo approccio che è oggettivamente sbagliato. Buona serata a tutti.
Crovella, seriamente.
Scrivi un pò quel che vuoi. Se non ti rendi conto da solo delle ridicolaggini logorroiche che scrivi, francamente è un problema tuo.
mi pare nuoccia più questa roba al blog che qualche momento salace quando esageri (peraltro hai mandato in vacca pure una discussione dove era intervenuto il presidente generale del cai , che poteva essere interessante momento di riflessione e confronto vista l’informalità del suo intervento).
Ti sfugge che scrivere significa esporsi, anche alle critiche, talvolta salaci specialmente quando ci si pone nel tuo modo che risulta a molti (me compreso) insopportabilmente saccente, quasi sempre tuttologo, vuoto e ripetitivo.
E ti sfugge che le rare volte che commento, lo faccio per sottolineare qualche enormità, magari in maniera provocatoria, e non per cercare un dialogo o una dialettica con te, processi che ti sono con ogni evidenza del tutto ignoti (e dei quali vista la pochezza e la rigidità delle tue vedute, non mi importa nulla) né tantomeno per provocazione o invidia, my dear.
stai bene
Nessuno tocchi la piccola vedetta sabauda, allias carlo crovella, classe 61, pluripremiato scrittore alpino della sezione vecchio scarpone solito trombone.
Fa sempre piacere leggere le sue chiose; si viene trasportati come per incantamento in quelle diatribe di ieri oggi e domani sull’eticita dei ramponi a 12 punte rispetto agli scarpini chiodati.
In lui arde il sacro fuoco del caiano mai domani, di quelli che i giovani non sono più quelli di una volta, o dei saggi tecnici di 100 pagine che come conclusione hanno un forse non si sa bene potrebbe essere, ma facciamo come abbiamo sempre fatto.
“Quindi ti ostracizzerò completamente, scrivi le peggio cose su di me, non avrai alcuna risposta chiarificatrice.”
Te lo ricorderemo alla prossima “risposta chiarificatrice”.
Sono decisamente dispiaciuto che un articolo su un’iniziativa della Scuola Gervasutti (cui, pur non facendone parte in prima persona, io sono profondamente legato perché è uno dei fiori all’occhiello – anche se non l’unico – del monda CAI torinese) sia preso da te come pretesto per ridurre il tutto a terreno di schermaglie da mercato del pesce.
Cerco da un po’ di farti capire che è inelegante continuare da parte tua su questo linea, ma mi pari piuttosto sordo agli inviti. Tra l’altro nuoci al Blog, più che a te stesso. Limitati ai tuoi commenti oggettivi e lascia perdere le valutazioni sulla mia presunta o infondata capacità tecnica o editoriale. Se Gogna ritiene opportuna una mia presenza così corposa, significa che non la giudica negativa come invece fai tu.
Non mi dilungherò maggiormente nel cercare di farti capire le cose, arrivaci da solo. Quindi ti ostracizzerò completamente, scrivi le peggio cose su di me, non avrai alcuna risposta chiarificatrice.
La mia risposta strutturale alle malignità tue e di altri sarà la riproposizione (Gogna permettendo) della mia costante presenza con articoli, commenti all’interno degli articoli, interventi vari ed anche libri, tutte cose che fanno riferimento a questa area (quella gestita da Alessandro) di divulgazione del pensiero di montagna.
“Se continui a sputar fiele per gelosia/invidia ”
Caro hai l’autostima decisamente altina. non sputo fiele, commento le tue riflessioni, dalle quali traspare un mediocre alpinista che conosce assai poco determinate realtà, ma ne scrive come fosse un fuoriclasse…
Mi pare riflessione che hanno già fatto anche altri.
Quanto al tuo curriculum alpinistico letterario, perdonerai se non mi importa di approfondire :o)
@13 (non metto neppure la sigla, così nessuno sa che scrivi di montagna in orario di lavoro…). Tocca a te, se davvero interessato, attivarti per reperire informazioni puntuali sulla mia persona, sia in termini di libri di montagna da me pubblicati che di CV alpinistico/scialpinistico/didattico ed anche editoriale (inteso come sfilza di articoli pubblicati sulle più importanti riviste del settore).
Se continui a sputar fiele per gelosia/invidia non fai un bel servizio agli anti-caiani. Non fai neppure un bel servizio al blog. Scrivi i tuoi commenti, oggettivi, e lascia perdere insinuazioni, malignità, valutazioni su chi ti sta sulle palle come il sottoscritto. Tanto, te l’ho già detto, i piemontesi goregn come me non li sposti neppure di un millimetro e, a forza di dar cornate contro una lastra di acciaio inox , finisce che ti smembri da solo. Capita sempre così. Da retta a chi conosce i goregn…
regattin, non fermarti alla puntualizzazione sul grado (che se scrivi 7b in falesia 5a trad è ovvio che scrivi una roba senza senso).
vai oltre che il problema non son le tavole sinottiche di raccordo fra specialità, ma un certo approccio insulso e paternalistico (e son gentile…) ala questione.
Battimelli, ti sei spiegato benissimo, il mio commento non era rivolto a te, ma alla frase che avevo quotato nel 7.
MG. So qual è mediamente il potenziale di un climber da 7b in falesia, come immaginavo anche che sarebbe intervenuto qualcuno a fare le pulci sul grado. Arrampico da qualche annetto anch’io, non era necessaria questa puntualizzazione, era un esempio.
Cosa non si farebbe pur di riempire la corriera…
@11 trovo parecchia prosopopea caiana anche in questa discussione
se faccio il 7b in falesia, probabilmente su terreno alpinistico (che la definizione trad fa ridere, almeno chi ha a iniziato a scalare su vie classiche quarantanni fa), probabilmente scalerò allegro senza necessità di grandi protezione almeno sino al 6 a 6b (altro che 5a…). Per quel che è la mia esperienza i ragazzetti che van forte e hanno preparazione atletica, tecnica e mente aperta fanno ben prima di chi arranca da decenni sul 5 c a capir come funziona.
vedo sempre una pò una crovelliana volpe che non arriva all’uva e allora mette ai novizi limiti.
L’articolo è davvero bislacco, il commento lo è di più: sarebbe pure curioso capire il novello cognetti pruriginoso, che fa il figo con la tastiera, quante vie abbia salito da primo piantando chiodi sonanti o mettendo dadi e friend… (probabilmente tante quante i romanzi scritti e quasi sicuramente entro il 5c, ma fare il ganzo qui sopra non costa nulla)
Per la cronaca, qualche anno fa ho incocciato due caiani attempati che sulla campia al corno stell,a essendo ai limiti della loro capacità, moschettavano chiodi messi da campia o da qualche suo coetaneo con la prolunga dal basso per poi tirarsi su ancoraggi sui quali nulla era dato capire a priori… vedendo tale modalità sciagurata indirizzai diverse riflessioni poco garbate verso il basso, a costoro che erano piuttosto monturati caiani e saccenti la sera al rifugio e dipendenti da un bastone con moschettone in testa la mattina.
magari poi son di quelli che fanno la morale ai ragazzetti che scalano sul 7 b in falesia :o)
Regattin. “Da che mondo è mondo, si impara per gradi”. E’ esattamente quanto cercavo di dire, ma evidentemente non riesco più a spiegarmi chiaramente. Mea culpa, non è grave comunque.
9. In ordine sparso
Perché da che mondo è mondo, si impara per gradi: se faccio il 7b in falesia non posso pretendere in un giorno di fare lo stesso grado proteggendomi, quindi comincerò, x esempio, con vie di 5a, dove il grado è sotto controllo e dove ho tutto il tempo per piazzare e ripiazzare le protezioni, poi mano a mano che acquisirò esperienza e sicurezza, arriverò al mio obiettivo.
Perché se pago per fare un corso, pretendo che mi venga insegnato bene l’oggetto del corso.
Perché se io insegnante al termine di un percorso formativo, ritengo gli allievi non all’altezza degli obiettivi prefissati, la lacuna è mia, non degli allievi.
Perché se faccio un corso di guida sicura, l’insegnante non può dirmi al termine che è meglio che per un po’ guidi solo alle 2 di notte in autostrada.
Perché se io allievo voglio passare da fare vie spittate al trad, non posso sentirmi dire dall’istruttore che dopo il corso devo continuare per un po’ a fare vie a spit.
Perché si può imparare a piazzare bene le protezioni anche con i piedi a terra, e prima di alzarli, i piedi, devi essere sicuro di quello che fai.
Perché è palesemente una contraddizione che in un corso trad si inviti l’allievo alla fine del percorso a salire su spit.
Insomma, un po’ di coraggio, dai!
E senza scomodare il classico “quando ero giovane…, una volta…” ecc.
Suggerisco agli utenti di tenere i nuts in moschettoni senza dentino (vedi foto di apertura) perché il cavetto ci si incastra sempre quando non dovrebbe.
Si sa che spesso si opera in posizioni non comodissime e dove risparmiare qualche secondo può persino salvare la pelle.
L’arrampicata trad comunque non esiste.
@7. “Incommentabile” perché? Commentabilissimo, invece. Per apprendere a posizionare in modo efficace le protezioni mobili è un’ottima prassi quella di cominciare a farlo su vie in cui un cattivo uso del materiale (mica si nasce imparati…) potrebbe avere conseguenze poco gradevoli.
È un corso del Cai.
Grande confusione.
“il CAOS regna, perchè c’è sempre qualcuno che pensa di inventare quello che già c’è.”
Dici bene Alberto, ma oltre a questo, l’apice della contraddizione è in queste parole:
li indirizziamo sempre su vie di fessura non difficili e già protette, totalmente o parzialmente a spit, eccetera. Incommentabile.
“Infine si dovrebbe tornar a a comprendere al volo quando un chiodo “canta” come Dio comanda mentre lo stai martellando…”
Insegnate a piantare i chiodi in casa per appendere i quadri, prima di fare le uscite 😄
E il corso ” free solo”?
il CAOS regna, perchè c’è sempre qualcuno che pensa di inventare quello che già c’è.
Mi sembra che anche qui come per l’articolo di B. Amy si faccia confusione. Arrampicata trad? Quindi anche la famosa scuola Gervasutti ha definito trad un corso che’ e’ un normale corso di alpinismo. La scuola Gervasutti sa o dovrebbe sapere che il termine trad nasce in particolare in Inghilterra dove, in piena era post sportiva, alcuni pazzi hanno iniziato a salire vie di roccia di massima, o quasi massima, difficoltà’ sportiva, non protette a spit, con la posa di protezioni mobili anche su piccoli e svasati buchi su arenaria. E non solo in fessura come si legge nell’articolo. Andate a vedervi qualche video in merito poi ditemi se il corso della Gervasutti e’ un corso trad.
E’ un normale corso di alpinismo ( in cui da sempre si insegna come mettere chiodi dadi e friend) soprannominato Trad. Noto poi che Crovella non ha perso occasione per dare addosso al climber da 9z di turno, colpevole a suo avviso di non saper posizionare protezioni inamovibili o riconoscere un buon chiodo. Sarebbe come colpevolizzare uno scialpinista perché’ non è’ in grado di coordinarsi correttamente per fare un lancio su una via a spit.
Grande confusione.
Ma stai bestemmiando!!!!! Vade retro satana!!!
Fix e resinati dovunque.Come dice qualcuono: ” non ci vedo nulla di male”
Lupus in fabula…