Storia della SUCAI Torino – 1 (1-2)
(dal dopoguerra all’inizio degli anni ’90)
di Carlo Crovella (gennaio 2013)
Foto tratte dall’Archivio Crovella, salvo dove espressamente precisato.
A Giuseppe, la cui bicicletta ha illuminato anche le nostre pedalate, come i suoi sci hanno pennellato i pendii scesi insieme.
Si ringraziano Renzo Stradella e Flavio Melindo per l’accurata revisione storica, specie nelle parti relative ai decenni “iniziali”, e la disponibilità a fornire le preziosissime fotografie.
Prendendo spunto da una carrellata di foto che è stata oggetto di una proiezione al Monte dei Cappuccini, con piacere raccolgo l’invito a stendere alcune righe sulla storia della SUCAI. Ho deliberatamente posto il titolo “Una visione storica della SUCAI” per rimarcare alcune caratteristiche di questo scritto: innanzi tutto che si tratta di una visione “soggettiva” del mondo SUCAI, visione che a sua volta segue l’evoluzione personale del mio andare in montagna. Non si tratta, quindi, di una semplice cronaca di fatti rilevati oggettivamente. Tuttavia, se assumiamo la mia evoluzione come rappresentativa di chi ha “mediamente” vissuto la SUCAI in quegli anni, tale “viaggio” da soggettivo può traformarsi in oggettivo, almeno agli occhi di chi legge oggi queste righe.
Inoltre non voglio limitarmi ad una chiacchierata focalizzata esclusivamente sulla Scuola di scialpinismo, perché la Scuola, per quanto costituisca senza dubbio la punta di diamante del mondo SUCAI, non lo rappresenta nella sua totalità ed anzi la poliedricità delle attività svolte dalla Sottosezione SUCAI costituiscono un importantissimo volano fra Scuola e Sottosezione: una volta che i nuovi adepti entrano per una delle tante vie nel mondo SUCAI, rimbalzando fra la Scuola e le numerosissime attività sociali, hanno innumerevoli ed eterogenee opportunità per costruirsi una notevole esperienza organizzativa, logistica e di capacità a condurre altre persone su terreni impegnativi. Corollario di tale scelta è l’apparente disorganizzazione cronologica del testo, che a volte salterà avanti e poi indietro sull’asse temporale, in funzione dello svolgersi degli argomenti trattati, che costuiscono il vero asse portante del ragionamento, ma che a loro volta sono intrecciati in una fitta rete interdipendente.
Dopo un preambolo così lungo (di cui mi scuso), dei concetti già abbozzati ne scelgo uno per partire: limitandosi alla semplice storia della sola Scuola SUCAI, il documento riuscirebbe, come dire, “amputato” nelle dimensioni e nella profondità dell’analisi. Inoltre si renderebbe poco onore alla stessa Scuola, perché pochissime altre realtà (forse nessuna) hanno alle spalle un così ampio bacino, che contemporaneamente attinge dalla Scuola e alimenta la Scuola stessa.
La stessa nascita della Scuola va compresa e inserita in questo scenario di fondo. Allora dobbiamo partire dal concetto di SUCAI e inserirlo poi nella realtà torinese.
SUCAI è un acronimo e significa: Sottosezione Universitaria del Club Alpino Italiano. Quando venne elaborato il concetto, il sottogruppo degli universitari avrebbe dovuto esistere in ogni sezione del CAI: non era quindi una prerogativa torinese. Durante il ventennio fascista, nell’ambito della reimpostazione del CAI (che allora si chiamava Centro Alpinistico Italiano), gli sportivi universitari vennero raggruppati nei GUF (Gruppi Universitari Fascisti) e le relative Sottosezioni sostanzialmente scomparvero.
Alla ricostruzione post bellica, la rinascita delle varie SUCAI non fu “imposta” dal riordino nel CAI, ma derivò dall’iniziativa degli interessati, per cui si ricrearono gli ambiti solo dove ci fu un’azione locale in tal senso: fra le Sezioni rilevanti, oltre a Torino, anche Milano e Roma registrarono la rinascita della rispettiva SUCAI.
La SUCAI Torino ricoprì un ruolo storicamente rilevante, grazie ad una particolare combinazione di eventi sul piano della didattica, ma inizialmente nessuno immaginava cosa sarebbe successo. La tradizione didattica è sempre stata molto sentita nell’ambiente torinese e già nel 1939 venne fondata, in seno alla Sezione di Torino, una Scuola di Alpinismo, intitolata a Gabriele Boccalatte (il celebre alpinista caduto all’Aiguille du Triolet nel 1938) e diretta da un altro valentissimo alpinista Giusto Gervasutti detto Il Fortissimo, soprannome datogli dopo la sua partecipazione al Trofeo Mezzalama del 1933 e che lo accompagnerà per tutta la vita.
Non deve stupire che i “grandi performer” dell’epoca non si sentissero offesi dall’abbassarsi a condividere le proprie giornate alpine con semplici cittadini, cui insegnavano il corretto modo di approcciare la montagna: è sintomo della strutturale vocazione “didattica” dell’ambiente subalpino.
La Boccalatte, diventata nel 1944 Scuola Nazionale pur non avendo più svolto dal ’43 alcuna attività alpinistica (era in pieno svolgimento la guerra partigiana!), nel ’45 venne ripresa dalla SUCAI e operò con discreto successo (cinquanta allievi nel ’48!), grazie ad un corpo di istruttori fra cui i sucaini Giulio Castelli e Paolo Bollini, accademici, insieme ad altri personaggi tipo Francesco Ravelli, Rivero, Palozzi, Mila e alcuni aiuto istruttori di belle speranze, fra cui Alvigini, Manzoli, Quagliolo e Stradella. Purtroppo l’8 gennaio 1951, nell’incidente della seggiovia di Cesana, perse la vita Giulio Castelli, elemento fondante della Scuola, e ciò, insieme all’abbandono di alcuni istruttori per motivi di età o di lavoro, ne determinò la fine: nella primavera del 1951 si registrarono infatti le ultime uscite. Tuttavia dalle ceneri di questa esperienza maturarono la condizioni per la nascita dell’attuale Scuola SUCAI. Nell’allora ambiente SUCAI si era infatti diffusa la convinzione che lo scialpinismo fosse un’attività che, rispetto all’alpinismo “puro”, consentiva con maggior efficacia l’organizzazione di un’iniziativa didattica. Questa convinzione poggiava su due assiomi di fondo: che lo scialpinismo permetteva (e permette tutt’oggi) un più favorevole rapporto numerico fra istruttori e allievi, laddove l’alpinismo impone, con il vincolo della cordata, un rapporto molto stretto (un istruttore per uno o al massimo due allievi) e che un’attività meno “esasperata” (rispetto all’alpinismo) avrebbe coinvolto molte più persone, sia dal lato degli istruttori che in quello degli allievi.
Lo scettro di Scuola di alpinismo passò perciò alla Gervasutti, fondata nel 1948 con sede presso l’associazione ALFA (Associazione Libertas Fascio Alpinisti), trasmigrata per qualche tempo presso la Società Ginnastica Magenta e infine confluita in seno alla Sezione del CAI Torino: è la Scuola, ancor oggi esistente, che fece dell’“eccellenza” il carattere distintivo della propria attività e della propria finalità didattica.
Alla SUCAI invece la spinta di alcuni giovani di belle speranze, fra cui spicca per entusiasmo Andrea Filippi, fu tale che nell’inverno 1951-52 il Consiglio della Sottosezione diede vita al Primo Corso di scialpinismo. Balzano all’occhio alcune note di rilevante importanza: era il Consiglio della Sottosezione a dare mandato per l’organizzazione di una specifica attività (il Corso di scialpinismo), come lo dava per le altre attività sociali; che veniva investito di tale responsabilità il Direttore, il quale da un lato rispondeva al Consiglio e dall’altro si circondava di soggetti (gli Istruttori) considerati idonei all’attività didattica.
Fatto sta che la SUCAI fu la prima istituzione in Europa a dare vita al Corso di scialpinismo, bruciando sul tempo anche importanti iniziative francesi, svizzere ed austriache: è nel cromosoma della SUCAI ricoprire il ruolo di “pionieri” nel mondo didattico dello scialpinismo e vedremo che anche in seguito le vicende sucaine risponderanno a questo connotato storico. I primi dieci anni circa di vita dell’allora Corso di scialpinismo ripeterono un certo cliché, analogo alla prima annata, nonostante l’alternanza di 6 Direttori (9, se contiamo anche qualche “Condirettore”): inizio a dicembre (a volte anche novembre!), con gite sistematiche fino a San Giuseppe, più raramente oltre. Se ne evince che la coda primaverile era lasciata alle iniziative private: ciò nonostante il Corso si spinse sovente in alta montagna anche in epoche, come metà o fine marzo, che rientrano più nella stagione invernale che in quella primaverile.
Non si pensi che i fondatori affrontassero la montagna senza interesse per la tecnica: a metà anni ’60 venne organizzato (su iniziativa in particolare di Enrico Cinato) un aggiornamento di tecnica di discesa con i maestri di Cervinia-Breuil.
Nel 1959 venne invece istituito il Distintivo con una duplice finalità: da un lato concretizzare la raggiunta autonomia nel sapersi muovere in montagna (completando così il percorso didattico), dall’altro consentire l’ulteriore partecipazione alle uscite ufficiali, pur non essendo né allievi né (ancora…) istruttori.
Il Corso partì alla grande ma tempo una decina di anni l’iniziativa perse un po’ dell’abbrivio iniziale, anche per il venir meno di Andrea Filippi, che purtroppo rimase vittima di un incidente da valanga durante una gita privata. A cavallo fra anni ’50 e ’60 il Corso di Scialpinismo della SUCAI rischiava quindi di estinguersi. Per contrapporsi a tale rischio, nell’ottobre del 1959 il Consiglio della Sottosezione diede incarico ad un gruppo di sette trentenni (da allora chiamati “I Savi Anziani”) di reimpostare l’iniziativa in modo da evitare la chiusura e da gettare le basi per una continua crescita futura.
I Savi Anziani furono: Pierlorenzo Alvigini (Vigio), Beppe Auxilia, Mario Bertotto (Quintino), Maurizio Quagliolo, Franco Manzoli (Il Faraone), Renzo Stradella, Franco Tizzani (Il Monarca). Con parole contemporanee, li possiamo definire un “governo tecnico” che, reggendo la SUCAI fino al 1965, ha saputo svolgere il suo compito in modo egregio a tal punto che non solo ha evitato il tracollo del Corso, ma ne ha “sistemato” le fondamenta creando i presupposti per l’evoluzione del Corso in Scuola di scialpinismo e “lanciandola” verso la crescita dei decenni successivi fino ai nostri giorni.
Seppur con un direttore unico per un lungo periodo (nella persona di Manzoli, che più tardi divenne Presidente della Commissione Centrale di Scialpinismo del CAI), di fatto la collaborazione dei Savi Anziani ha introdotto nel mondo SUCAI il concetto di Direzione, cioè di un team che, suddividendosi i compiti e coagendo sistematicamente, dirige l’iniziativa didattica con un’ottica “manageriale” (ma, beninteso, con spirito sempre “no profit”!).
La rinnovata spinta ideologica ed organizzativa dà presto nuovi frutti: il 17 aprile 1966 su iniziativa della SUCAI viene organizzato alla Capanna Mautino il Primo Raduno dei Direttori dei Corsi di scialpinismo. Lo spirito sucaino, che abbiamo già sperimentato come nel suo DNA possieda quel particolare carattere “pionieristico”, aveva percepito che occorreva mettere ordine nel mondo didattico del CAI, dove in circa 15 anni (dal 1951, data del Primo Corso SUCAI), i Corsi erano nati a macchia di leopardo, cioè su iniziative spontanee e locali, e soprattutto con poca (per non dire nulla) omogeneità di impostazione, programmi, obiettivi e metodologie logistiche e di insegnamento.
Nell’ambito di tale clima ideologico venne elaborata l’idea di dar vita ad una nuova figura di istruttore di scialpinismo: l’Istruttore Nazionale (INSA) e il relativo corso sarà organizzato nel novembre 1968 sotto la direzione del “nostro” Renzo Stradella. Di conseguenza: se oggi esistono gli INSA e, più in generale, gli istruttori titolati di scialpinismo, con tutto ciò che ne deriva (corsi, esami, aggiornamenti, ecc.), l’idea originaria va ascritta al Mondo SUCAI. In parallelo alla figura dell’Istruttore Nazionale venne elaborato il concetto di Scuola Nazionale di Scialpinismo e la SUCAI fu la prima ad essere insignita di tale titolo, acquisendo così una struttura ben più solida di quella che aveva un semplice Corso.
La ricorrenza del Raduno alla Capanna Mautino apre il discorso sugli stretti rapporti di quel periodo fra il Mondo SUCAI e lo Ski Club Torino, istituzione torinese di lontana fondazione (1901), ma estranea all’ambiente del CAI: dal dopoguerra fino a tutti gli anni ’70 la condivisione degli iscritti era molto profonda e si può dire che un buon 60-70% degli aderenti ad una istituzione partecipasse anche all’altra. Lo dimostrano i soggiorni di giovani sucaini alla Capanna Mautino.
I profondi rapporti fra SUCAI e Ski Club sono sottolineati anche dall’organizzazione congiunta (SUCAI Sottosezione e Ski Club) di un’altra iniziativa rilevante sul piano storico (se si può parlare di “Storia” dello sci torinese dal dopoguerra in poi!): il Corso di Sci Fuoripista. L’idea basilare era quella di fornire un sostegno didattico, con tanto di maestri di sci (ma in neve fresca e non solo in pista!), perché il mondo degli appassionati sentiva l’esigenza di un miglioramento nella tecnica di discesa.
Questo Corso, iniziato nella stagione 1966-’67, fu organizzato a doppio marchio fino a tutti gli anni ’70 (anche se nella parte finale, di fatto era ormai solo più un’iniziativa SUCAI) ed è tuttora presente nei programmi della Sottosezione, rinnovandosi nello stile e nel calendario (con novità come i “weekendoni del fuoripista”), ma riproponendo sempre lo spirito originario di introduzione al mondo della neve fresca, con tutte le tematiche del caso, tematiche che oggi non si limitano solo alla pura discesa fuori pista, ma arrivano a coinvolgere anche le tecniche di autosoccorso e le altre nozioni collaterali.
Un’altra gemma della collaborazione fra SUCAI e Ski Club Torino è costituita dall’organizzazione, sotto la direzione di Claudio Riccardi, del Rally CAI-CAF del Centenario (1963), realizzato nel gruppo del Monte Rosa.
I rally, che hanno caratterizzato tutto il peridodo degli anni ’60 e ’70, erano molto differenti dalle odierne competizioni scialpinistiche. Si trattava fondamentalmente di “occasioni d’incontro” fra scialpinisti di provenienze diverse, spesso anche di nazionalità differenti. Certo, erano scialpinisti “forti”, in forma e ben allenati, ma del tutto privi dell’approccio da gareur che vediamo oggi. Non si immaginava neppure di utilizzare un’attrezzatura differente rispetto a quella di una “normale” gita.
I rally, di cui il CAI-CAF (organizzato ad anni alterni in Italia e Francia) era il più importante, prevedevano una serie di salite e numerose esercitazioni (fra cui, “famosa” era la discesa a tempo con la barella, nella quale “stazionava” uno dei componenti del team). Chi riusciva a stare nei tempi e, in più, dormiva in tenda o in truna rientrava fra le Medaglie d’Oro, altrimenti scivolava fra le Medaglie d’Argento o di Bronzo.
Molti sucaini parteciparono brillantemente ai rally degli anni ’60 e ‘70, in particolare Mario Schipani, Claudio Riccardi, Ninetto de Bono, Piero Perotto, cui si aggiunsero in modo un po’ più sporadico Andrea Cavallero e Flavio Melindo (che ha fornito locandina e disegni, 1963). La tradizionale partecipazione dei sucaini al rally CAI-CAF si è estesa fino all’ultima edizione (’81) nelle Alpi Orobie (Bergamo), con il “giro” capitanato da Guido Vindrola e comprendente, fra gli altri, Enrico e Marco Camanni, Fulvio Vindrola, Clemente Rebora (detto Zio Clem) e Roberto Pirrone (detto Tronte).
Sul versante “estivo” dell’attività sucaina, già a partire dai primi anni ’60 si prese ad organizzare (grazie all’iniziativa di Adolfo Quaglino) i raduni sociali, allora chiamati “campeggi”: il termine non implicava necessariamente l’utilizzo delle tende, ma spesso si trattava del sinonimo di “accantonamenti sociali”, in genere settimanali. Sono le settimane estive che, in varie modalità (settimane in rifugio, trekking itineranti, etc), si sono propagate fino ai nostri giorni: nell’estate 2012 un gruppetto di sucaini ha calcato i ghiacciai dell’Oberland Bernese sotto l’attenta guida di Marco Bongiovanni.
Fra i campeggi degli anni ’60, spicca quello del ‘65 al rifugio Elisabetta in Val Veny. La settimana è stata contraddistina da una ragguardevole performance, compiuta da 12 sucaini. Si tratta della traversata del Monte Bianco, con salita dal versante italiano, primo pernottamento al rifugio Gonella, successivo pernottamento al refuge du Gouter, salita in vetta, discesa al Col de la Brenva, prosecuzione attraverso Mont Maudit e Tacul, fino a recuperare (con risalita) la funivia dell’Aiguille du Midi. Rientrati in Italia su costosissimi taxi, i sucaini si sono imbattuti nella sorpresa di non trovare più posto al rifugio e hanno concluso il “campeggio” con… una notte all’addiaccio!
Nel campeggio dell’estate ’66, la SUCAI si spostò nel Vallese, con una haute route che, transitando attraverso la cabane des Vignettese, la Schönbielhutte e la cabane du Montet, “costrinse” i partecipanti a compiere circa 40 km (e 4.000 metri di dislivello) in una settimana!
Una delle più prestigiose conferme dell’ “interattività” fra Scuola SUCAI e altre iniziative del Mondo SUCAI è costituita dalla spedizione alpinistica in Afghanistan (1967).
La spedizione collezionò risultati di rilievo, fra cui prime ascensioni assolute di vette con altezze comprese fra i 5 e i 6.100 metri e prime ascensioni di itinerari alpinistici, come la via di salita al Koh-i-Sharan. Per la nostra “storia” l’aspetto più rilevante è costitiuito dalla salita di alcuni colli a circa 5000 metri, di cui uno fu battezzato Colle SUCAI e un altro Colle dei Savi Anziani, per ricordare a tutti l’importanza della nostra Sottosezione e di chi ha impostato la Scuola secondo criteri “moderni”.
In quel periodo, a livello di attività alpinistica privata, si erano formate importanti cordate, come quella costituita da Andrea Bonomi e Mario Bertotto (il primo a sinistra fra gli accosciati nella foto della spedizione): nell’inverno 1963-‘64 riuscì a realizzare la prima invernale del Couloir Couturier sulla parete nord dell’Aiguille Verte (Gruppo del Monte Bianco), “soffiandola” addirittura a René Desmaison, considerato dai francesi il “loro” Bonatti. Nello stesso anno la cordata Bonomi-Schipani si aggiudicò la prima invernale della parete nord-ovest del Pizzo di Coca (Alpi Orobie), Luciano Ratto con la guida Giovanni Ottin fece la prima invernale della Cresta De Amicis al Cervino e Anna Odone, in cordata con Mario Bertotto, fu la prima donna a salire in inverno la parete nord della Tour Ronde (Massiccio del Monte Bianco).
Il Mondo SUCAI non è però stato caratterizzato solo dal tecnicismo (nelle due versioni: la didattica durante le uscite della Scuola e l’attività di punta – alpinistica o sciistica – in attività collaterali), bensì anche da un forte senso dei valori conviviali. Oltre al prestigio nella tecnica canora (proprio in quegli anni la SUCAI ebbe un primo coro, che si esibì in diversi Festival, di cui uno a Grenoble, e un altro negli anni ’80, organizzato da Renzo Maina), è sempre stata molto sentita l’abitudine del “cantare insieme”, in vetta, in rifugio, in pullman.
Il nostro canto di vetta è Cijol mi me, ma il repertorio è molto vasto. Proprio per tramandare alle prossime generazioni un così vasto repertorio di canzoni di montagna, nell’ambito dei festeggiamenti per i 60 anni della Scuola (2011) è stato realizzato da Flavio Melindo un CD che contiene 117 canti di montagna e tutti i testi in formato pdf.
Nell’attuale compagine del prestigioso Coro Edelweiss del CAI Torino sono compresi i seguenti sucaini: Flavio Melindo, Tarcisio Condini, Enrico Pessiva, Ernesto Wüthrich e Alberto Morino.
Negli anni a cavallo fra ’60 e ’70, quando mi sono affacciato al mondo della montagna e della SUCAI in particolare, le due componenti (tecnicismo e convivialità) convivevano in modo molto profondo. In una gita del Primo Maggio 1971 ai Bagni di Vinadio (Valle Stura di Demonte) la pesante nevicata innescò numorosissime valanghe che bloccarono il gruppo della SUCAI fino alla riapertutra della strada il lunedì pomeriggio.
In un’era ancora priva degli attuali strumenti di comunicazione, la SUCAI era bloccata in una specie di Shangri-La, una valle sospesa e isolata dal resto del mondo: le valanghe avevano interrotto la linea elettrica e la linea telefonica (solo Renzo Stradella ed altri due “temerari” scesero nel pomeriggio della domenica lungo il torrente e, giunti in fondovalle, avvertirono parenti e posti di lavoro).
Pur ristabilitosi il bel tempo, i pendii carichi di neve impedivano ogni escursione: nello spiazzo innevato, istruttori e allievi eseguivano diligentemente le esercitazioni, ma al loro fianco i giovani rampolli sucaini giocavano nella neve.
Una caratteristica del periodo era infatti l’interconnessione fra Mondo SUCAI e alcuni importanti gruppi familiari che costituivano la spina dorsale della stessa SUCAI.
Chi apparteneva a tali gruppi non poteva sfuggire al destino di venir iniziato alla montagna nell’ambito familiare, meccanismo che però giovava anche alla Scuola.
Non stupisca quindi il mio cammino personale, che ripropongo ai lettori perché è rappresentativo di quanto accadeva al “sucaino medio” di quel periodo. L’iniziazione familiare mi ha fornito un adeguato apprendistato sia con gli sci che d’estate.
Il terreno d’azione ha avuto come baricentro privilegiato lo spartiacque fra Alta Val Susa e Delfinato.
Alla metà degli anni ’70 approdo alla SUCAI come allievo, devo dire all’inizio piuttosto “sfiatato”.
Il mio primo istruttore è stato Arnaldo Caroni. Ricordo con molto affetto Arnaldo, che è purtroppo scomparso in un incidente alpinistico nel 2008, perché ha fornito per decenni un contributo molto consistente alla vita della Scuola.
Tra l’altro Arnaldo fece sovente cordata con Ezio Mentigazzi, un altro importantissimo nostro istruttore, anche lui prematuramente (1995) scomparso in Val Sesia.
(continua su https://gognablog.sherpa-gate.com/storia-della-sucai-torino-2-2/)
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Ho avuto il grande piacere di cantare come “basso” nel coro SUCAI durante la mia ormai lontana carriera universitaria (1953 – 1958). Lo dirigeva il grande BEPPE REVIGLIO.
Si facevano le “prove” una sera, ogni settimana, nella sede del CAI in via Barbaroux, in inverno, mentre in estate “provavamo” in quella che allora era la sede estiva della Sezione di Torino del CAI al Monte dei Cappuccini, dove attualmente si trova il Museo Nazionale della Montagna. Ricordo che le sale del Monte dei Cappuccini avevano una acustica meravigliosa.
A volte, dopo le “prove” di via Barbaroux, ci spostavamo alla CROTA PALUCH (la Crota di preive), ubicata nei sotterranei della Chiesa di Santa Teresa, dove continuavamo a cantare in modo più informale fino a mezzanotte. Qualche avventore, divertito, ci “alimentava” offrendoci un fiasco di vino.
L’atmosfera cameratesca che regnava tra i componenti del coro è per me un ricordo MERAVIGLIOSO !
Sono molto lieto che si parli di SUCAI, perchè questa sigla rappresenta una parte importante della storia dell’alpinismo italiano, spesso dimenticata. Ad essa ho dedicato il mio libro Studenti in cordata – storia della SUCAI 1905-1965 pubblicato nel 2008 da Vivalda (serie Licheni) e ristampato dal Corriere della Sera nel 2016 nella collana Montagna leggendaria. Non intendo farne pubblicità ma soltanto farne conoscere l’esistenza agli appassionati e per completezza di documentazione. In esso alla SUCAI Torino è dedicato un capitolo di 30 pagine dal titolo La SUCAI Torino maestra di scialpinismo,e in appendice è riportato lo Statuto della SUCAI Torino del 1965. Nella stesura del libro ricevetti grande aiuto da G. Garimoldi, E. Rizzetti, F. Tizzani, R. Stradella, P.L. Alvigini, G. Cavalchini e M Schjpani. Tutte persone validissime che i sucaini di oggi ricorderanno sicuramente e verso le quali nutro profonda riconoscenza. In appendice ho riportato scritti di sucaini che raggjunsero la notorietà, come C. Rebora, P. Monelli, G. Natta, C. Malaparte., p. Jahier, L. Gasparotto. Cordialmente. Lorenzo Revojera